Fumetti/Cartoni europei > Winx
Segui la storia  |       
Autore: Applepagly    09/12/2017    4 recensioni
Il riposo è solo un pretesto per nascondere un segreto, una festa è l’occasione per svelarlo. La battaglia è finita ma non è mai finita davvero, e il male non è fuori ma dentro le mura... inizia la ricerca di ciò in cui è difficile credere. Inizia la ricerca del bello.
Genere: Commedia, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bloom, Nuovo personaggio, Tecna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
IX
 
You’re not the only one
Staring at the sun
Afraid of what you’d find
If you stepped back inside
Staring at the sun, U2
 
Vedere Fonterossa in quelle condizioni non apparve poi tanto tanto strano ai ragazzi.
Quella notte fredda non era molto diversa da quella afosa dell’estate precedente in cui le virtù e lo spirito dei maghi erano stati messi a dura prova dal male.
Le aree esterne della scuola erano quasi deserte e così anche le aule, i corridoi, i dormitori e perfino le stalle dei draghi– come Sem aveva spiegato, se ne sarebbero presi cura gli allevatori del centro dell’Allevamento che frequentava egli stesso.
Gli unici ospiti dell’accademia erano i pochi studenti rimasti, Codatorta, altri docenti ed il vecchio Saladin che, scrutando al di là della finestra un’ultima volta, prima di addormentarsi, aveva percepito una frizzante energia che da est giungeva trasportata dal vento.
In preda all’agitazione, le Winx e gli Specialisti si calarono per la botola.
Come misero piede sulle fredde piastrelle della vecchia scuola, un refolo gelido investì tutti loro insieme all’eco di un sibilo e di una risata.
Quel suono agghiacciante invitò ciascuno a farsi avanti.
Avevano riflettuto a lungo sul da farsi. Intervenire o lasciare tutto nelle mani dei presidi?
Il pericolo e la posta in gioco erano elevati, ma Tecna e le altre non volevano pensare di aver fatto tanti sforzi per nulla. Per di più, avevano concluso che quelle vibrazioni che molte di loro avevano avuto l’impressione di percepire, e che negli ultimi giorni si erano intensificate, erano dovute allo spostamento della creatura che albergava lì sotto.
Il suo frenetico muoversi rappresentava un pericolo per l’intera Accademia che sorgeva su quelle rovine, e la fata della tecnologia aveva calcolato che sarebbe crollata l’intera struttura se avessero aspettato ancora un giorno.
Perciò, mossi dall’idea di ciò che era giusto e non di ciò che era conveniente, i ragazzi si addentrarono per le gallerie di quello che un tempo era stato un luogo vivo ed affollato.
Decisero di non frammentarsi in piccoli gruppi. Il fatto che Saladin e gli altri avessero esitato a lungo lasciava intuire la pericolosità di una creatura che necessitava di più forze, per essere sconfitta.
Eppure, come ciascuno di loro aveva realizzato, se il mostro era nato per sconfiggere le creature d’ombra e loro ce l’avevano fatta, forse, l’impresa non sarebbe stata poi così complicata, no?
Più il tempo trascorreva e quella cosa non si trovava, più avrebbero tutti voluto tornare indietro. Non avrebbero saputo come spiegarselo, ma l’aria che filtrava dalle crepe delle pareti aveva in sé un che di maligno; un’energia che permeava nei loro cuori e ne accresceva l’inquietudine.
Un incanto che crebbe e raggiunse il suo picco massimo nel momento in cui, con la stessa tempestività di uno schiaffo, qualcosa li raggiunse alle spalle, costringendoli a terra e trascinandoli in un buio vorticoso, fatto di voci, sussurri ed urla mostruose.
Nella baraonda, nessuno poteva percepire nulla all’infuori di sé e di quel chiasso infernale; niente oltre alle ombre che si facevano sempre più forti e truculente. L’oscurità prendeva forma sotto i loro occhi, per tutti in maniera diversa.
Erano consapevoli che il mostro avrebbe cercato di aggredirli ma, nonostante questo, la rapidità con cui sferzò l’aria con la sua corporeità giunse totalmente inaspettata.
I ragazzi fecero appena in tempo a scansarsi ed a schivare anche gli attacchi successivi. La creatura sembrava percepire la loro presenza ma, abituata a muoversi senza la luce, era diventata cieca.
I suoi movimenti la spingevano da ogni parte, costringendola a scontrarsi con le pareti strette delle gallerie; i suoi sibili non erano risate, ma grida di una rabbia che giungeva metallica e amara dalle sue labbra.
Mentre si contorceva nel tentativo di abbracciarli tutti nella sua morsa, si divisero.
Bloom prese per mano Tecna e Riven, i più vicini a sé. Si accucciarono dentro un’ampia fenditura del terreno, cercando di combattere il disgusto provocato dal tanfo di muffa.
La ragazza fece un po’ di luce evocando una debole fiamma, ansimando; tremava, forse più per la paura che non per l’adrenalina. La presenza di quella creatura suscitava in lei lo stesso effetto della volta precedente, quando il panico si era impossessato del suo corpo come non aveva mai fatto.
Era quasi una reazione involontaria, la sua; come se per natura fosse stata spinta a temere quel male più di ogni altro.
Ora si udivano dei singulti inumani e dei suoni che lì per lì non parevano molto diversi dai fruscii delle vesti; l’oscurità avanzava sinuosa e dolorante, alla ricerca delle sue nove prede di quella notte.
«Se è una creatura d’ombra non sarebbe sufficiente la Fiamma del Drago, per sconfiggerla?» sussurrò Bloom.
Tecna scosse la testa. «È una creatura oscura, ma non della stessa natura di quelle a cui diedero vita le Trix. Le creature d’ombra erano state originate dalla Fiamma del Drago, ricordi?» fece in risposta. «Questa entità ha preso vita nel momento in cui le stesse creature hanno attaccato l’accademia; perciò deve essere depositaria di un potere abbastanza efficace da contrastare quello della magia di cui erano impregnati quei mostri»
La fulva tacque, stringendo i pugni. «In poche parole… per sconfiggere me?» ecco perché provava una paura folle, in quel momento. «Perciò, noi… cosa possiamo fare? Tu non hai in mente un… piano?»
L’altra ragionò.
Aveva un’idea, abbastanza valida da mettere finalmente a tacere quella storia, ma troppo azzardata per essere di facile riuscita. Ci aveva riflettuto tutto il giorno, giusto per non fare irruzione a Fonterossa e scontrarsi con qualcosa che non avrebbe potuto scalfire nemmeno per ipotesi.
«La convergenza» disse allora, gli occhi fissi in quelli agitati ed ora curiosi di Riven.
Bloom sussultò. «Ma è…»
«…un argomento che è stato a malapena accennato, a scuola» concluse Tecna per lei. «Lo so. Ma è la nostra unica possibilità»
L’altra deglutì. Forse si sarebbero dovute premurare di escogitare qualcosa prima di piombare lì sotto.
Ricordava sprazzi del discorso di Griselda, durante una delle ultime lezioni; la convergenza. Un’unione non di soli incantesimi e scintille, ma di menti ed anime che, nell’esatto momento in cui si cercavano e si trovavano, davano il via ad un tripudio di energia a cui nessuna creatura poteva resistere.
L’ispettrice non aveva esaurito la materia più di tanto, dal momento che le fate del secondo anno se ne sarebbero occupate solo durante gli ultimi mesi di corso. Tuttavia, loro cinque avevano fatto dei tentativi.
«È un’impresa dispendiosa e anche piuttosto rischiosa. Se anche dovessimo riuscire ad incanalare l’energia, potremmo indirizzarla lungo la traiettoria sbagliata, qualora il mostro dovesse continuare a muoversi» rifletté la ragazza. «E allora rischieremmo di vedere Fonterossa crollare su di noi»
«Io e gli altri potremmo creare un diversivo» intervenne allora Riven. «Così da condurre il mostro in un vicolo cieco, o qualcosa del genere»
Tacquero. Si sarebbe trattato di una mossa utile; ma quanto erano disposti a rischiare?
«È troppo pericoloso, Riven!» sbottò Bloom, regolando poi il tono di voce non appena sentì la creatura avvicinarsi.
«È pericoloso, ma necessario» disse Tecna, freddamente. «Riven, mentre io e Bloom distraiamo il mostro, vai a cercare gli altri ed illustra il piano»
Quello, forse per la prima volta nella sua vita, annuì remissivo, sgattaiolando fuori dal loro nascondiglio. L’essere era là fuori e, come udì i passi del ragazzo, scattò in avanti.
Prima che quelle che, presumibilmente, dovevano essere le sue fauci – o qualsiasi cosa vi andasse vicino – raggiungessero la carne dello Specialista, un getto rovente si perse nell’oscurità di cui era fatta la creatura.
Quella assorbì il fuoco, confermando le ipotesi di Tecna: era immune alla Fiamma del Drago. Il colpo non era andato a segno, ma aveva perlomeno distratto il mostro da Riven.
«Okay… come ce la caviamo?» chiese Bloom, la voce che tradiva il panico.
«Per intanto…» l’altra guardò in direzione del punto in cui il ragazzo era scomparso. Pregò che ci impiegasse poco. «…Scappiamo!»
Corsero, maledicendo gli spazi angusti con cui avevano a che fare e domandandosi come quell’ombra vivente potesse muoversi lì, ogni notte, e dar voce al suo tormento senza che ogni cosa le crollasse sopra.
Come formularono quel pensiero, il terreno prese nuovamente a vibrare, cosicché il sordo rumore di pareti che si squarciavano le raggiunse. Il soffitto stava per cedere.
Dopo un po’ non seppero più in che direzione stavano correndo, né da quanto tempo; Tecna gongolò quando si accorsero di aver raggiunto il tanto agognato vicolo cieco.
Non persero un istante; subito fasci di luce e sortilegi di ogni tipo tessero delle barriere che potessero fermare lì il mostro, anche solo temporaneamente. Reti fitte di dati e specchi di ogni genere bloccarono il flusso di quell’oscurità che, filtrando attraverso i sottili spazi tra un nastro e l’altro, cercava di ricomporsi al di fuori dello scudo.
Fu tardi che le due si accorsero dell’inutile dispendio d’energia; perché ormai la creatura si era già ricostituita alle loro spalle, pronta per attaccare.
Fu solo grazie al pronto intervento delle altre Winx, che Bloom e Tecna riuscirono a scansarsi in tempo.
In un gioco quasi labirintico, Flora aveva intrecciato un fitto telaio di quelle piante rampicanti che Bloom aveva scorto al di fuori delle finestre del grande salone, una delle prime volte in cui era andata lì.
Subito dopo, gli Specialisti si precipitarono in avanti, cosicché loro cinque potessero iniziare. «Ve la sentite?» domandò la fata della tecnologia, correndo verso di loro.
Stella sorrise. Sembrava debole. «Sarà un lavoraccio» constatò. «Ma che fate saremmo, se non ci provassimo?»
Musa annuì. «Puoi dirlo forte. Alla fine, è come quando abbiamo unito i poteri per far tornare normali le uova di Serperatto, no?» scherzò. «Il mostro è solo un po’ più grosso e vivace»
Prese le mani di Flora e della principessa, e ricercò la forza dentro di sé.
Di nuovo avvertì quell’inebriante ed allegra sensazione che aveva percepito la prima volta che lo Charmix aveva fatto la sua scomparsa, e lo ritrovò lì. La pietra viola rifletteva la sua determinazione.
Si disposero in cerchio, chiudendo gli occhi.
Non sarebbe stato semplice.
I sibili della creatura ed i gemiti, i respiri affannosi dei ragazzi impedivano loro di trovare la giusta concentrazione. La mente correva automaticamente agli Specialisti, alla vanità del loro tentativo di sferzare, con le loro spade ed i loro mezzi, qualcosa che non potevano nemmeno scalfire.
Metaforicamente, era come se non avessero alcuna possibilità contro un male ancor più forte per essere stato bene, prima di quel tempo. Un male che aveva aspettato, era cresciuto ed ora si lamentava in quei versi spregevoli che apparivano risate amare.
Chi avrebbe mai potuto fronteggiare, o anche solo comprendere, una creatura che aveva perso la sua luce, aveva perso il suo bello?
I ragazzi, forse, erano anche più estranei di loro a quel mondo di magie che da vive e brillanti si tramutavano in quell’ombra senza fine che albergava nelle rovine di se stessa.
E allora pregarono; pregarono per i ragazzi, per sé, per Magix. Pregarono per il mostro, perché trovasse finalmente quella pace da cui era stato svegliato a causa di chi, di pace, non ne aveva mai avuta.
La preghiera risuonò nelle loro menti; e perciò Tecna sentiva la voce di Bloom, e Bloom quella di Stella; e così via, fino a che ognuna non percepì il pensiero di tutte le altre e lo fece suo. Erano un tutt’uno, lo spirito che univa cinque corpi e faceva loro perdere la cognizione d’essere, cosicché avessero l’impressione di essere parte di un’unica, grande voce.
Quando la preghiera fu ascoltata e ripetuta e le fate spalancarono gli occhi, la terra – e, questa volta, l’intera dimensione – tremarono di una magia antica, che il mondo riviveva con gioia in ogni momento in cui delle anime, diverse e uniche, trovavano qualcosa di affine e si cercavano, mettendo da parte discordie e differenze per abbracciare una sola, vera e totalizzante bellezza.
Le loro mani si strinsero con più forza; e, nel momento in cui sentirono la presa e la vista venire meno, seppero che ce l’avevano fatta.
«Che cosa succede, qui?»
Musa, per la quale lo sforzo era stato più intenso che per le altre, cadde in un sonno profondo poco prima che Saladin piombasse nelle rovine della scuola, poco prima che l’incubo di quel male terminasse e che esso ritornasse in quel grande cuore stanco che ora poteva riposare.
 
I ragazzi erano là dentro da una buona ventina di minuti e, sempre da una buona ventina di minuti, Bloom non faceva altro che camminare avanti ed indietro per il corridoio antistante l’ufficio del preside di Fonterossa.
Flora stava seduta in silenzio, rigida, che si torceva le mani. Dalla postura composta di Tecna non traspariva alcuna agitazione, ma nei suoi occhi grandi era chiaramente leggibile la frustrazione che la stava logorando.
L’unica apparentemente serena era Stella. Appoggiata alla parete, intenta ad osservarsi le unghie, intonava un motivetto allegro. Bloom la trovò un po’ stonata.
«Si può sapere cos’hai da canticchiare?» le domandò, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
La principessa sollevo lo sguardo, inarcando le sopracciglia come se si fosse accorta della sua presenza per la prima volta. «Sono contenta perché domani è la vigilia del Soldì. Voi no?»
Come rispose, la porta si spalancò. I quattro eroi – Brandon, Riven, Helia e Sem – ne uscirono stremati, ma con uno strano sorriso in volto.
Prima che una di loro potesse chiedere spiegazioni, Helia fece loro segno di entrare. «Credo sia meglio che vi sbrighiate. Faragonda e gli altri vi aspettano»
«Non sanno nulla della festa. Mi raccomando» sussurrò Brandon all’orecchio di Tecna, lasciandola entrare.
Una luce genuina investì le ragazze appena misero piede nella stanza. Davanti alle finestre, le figure dei tre presidi le attendevano, stoiche.
Si fecero forza. In fondo, non poteva andare poi così male.
O, per lo meno, questo era quello che credevano.
Per tutto il tempo in cui rimasero lì – Sem tenne il conto; mezz’ora e sette minuti – Faragonda in primis non si risparmiò di sbraitare loro addosso quanto fossero state sconsiderate ed imprudenti a decidere di agire - senza nemmeno consultare chi di competenza!
Per non parlare poi della maniera in cui, non fidandosi del giudizio dei loro insegnanti, avevano deciso di investigare circa questioni di cui sarebbero dovute rimanere all’oscuro.
L’anziana, che ora comprendeva le ragioni per cui aveva sorpreso Tecna ed Aisha nel suo ufficio, era davvero incredula di fronte a tanta mancanza di rispetto che “francamente si sarebbe aspettata solo da un branco di streghe del primo anno”. La Griffin non poteva che annuire.
Le ragazze rimasero in silenzio per tutto il tempo, conoscendo bene la furia di Faragonda e la quasi totale impossibilità di spuntarla con lei, in una discussione.
Erano consapevoli di aver sbagliato; ma l’errore stava a monte, al giorno in cui loro per primi – vecchi maghi a capo di tre scuole – non si erano fidati dei propri alunni e non avevano ritenuto possibile che la loro negligenza e la loro incapacità di osservare davvero avesse potuto spingere delle ragazze, le Trix, a tessere un sottile piano sotto il loro naso.
In un certo senso, era così naturale che la fiducia nei presidi fosse svanita, che l’idea di confrontarsi con loro, di domandare, di chiedere aiuto o di fare qualsiasi altra cosa sotto la loro supervisione, beh… era divenuta inconcepibile.
Ma, forse, se questa volta avessero lasciato tutto nelle loro mani, avrebbero potuto dimostrare di esserne in grado, di saper far fronte ad un problema senza che la situazione precipitasse. Già il solo fatto che avessero deciso di intervenire lasciando all’oscuro i loro studenti… non era forse segno che qualcosa era cambiato?
Allora, probabilmente, se Tecna ci avesse riflettuto prima, avrebbe trovato insensato quel gran putiferio che, in quelle settimane, aveva combinato per comprendere più a fondo quello che succedeva sotto Fonterossa.
Perciò, appena la ramanzina terminò, decise di assumersi le proprie responsabilità.
Era vero, come disse, che le amiche ed i ragazzi risultavano coinvolti; tuttavia, era importante specificare come lo fossero stati solo a causa della sua incapacità di mettere un freno alla curiosità e alla sospettosità.
Zittì le proteste delle altre con un cenno della mano. «Se è necessaria una punizione… vi pregherei di considerare le mie parole. La responsabilità è mia, in primo luogo»
Saladin annuì, severo; ma, ben presto, la linea dura della sua mascella si sciolse in un sorriso e lo stesso valse per le colleghe.
Il mago e la strega lasciarono la stanza, affidando le ragazze alle cure di Faragonda.
Da dietro le sottili lenti, gli occhi della donna parevano ora pieni di orgoglio.
«Nonostante tutto…» iniziò, per poi interrompersi.
Talvolta si domandava se fosse quello, ciò che aveva sempre cercato.
Seguire le fragili linee delle vite di ogni fata, vederle intrecciarsi, sciogliersi e poi rincontrarsi in un gioco che scorreva sotto al suo sguardo. La scuola, che per lei era casa di tutte le bellezze, era ben più del semplice apprendere.
Vi erano cose – e Faragonda lo sapeva bene – che spesso trascendevano le conoscenze tramandate dai libri e che si potevano concretizzare nel momento stesso in cui i fili di cui sopra erano protagonisti di un nodo così saldo da far nascere un’alchimia indissolubile.
Quelle cinque ragazze, che erano riuscite per ben due volte laddove chiunque fosse pieno di manuali e formule forse avrebbe fallito, erano chiaramente invincibili finché erano insieme. La loro Convergenza era quel legame che poche volte, in tutta la sua carriera e, più in generale in tutta la sua vita, aveva avuto l’occasione di sentire.
Senza contare che non poteva negare la loro arguzia – e quella di Tecna specialmente. Né poteva negare di essere profondamente sorpresa dall’aver appreso che una delle allieve che procedeva più a rilento, Musa, avesse scoperto l’incanto dello Charmix senza che quasi gliene fosse stato accennato qualcosa.
«Suppongo che…» forse, quelle giovani non se n’erano accorte neppure, o non ricordavano la scossa di energia che per pochi istanti aveva smosso Magix.
Faragonda l’aveva avvertita in sogno e, una volta sveglia, aveva avuto l’impressione di essere ancora in preda a quegli spasmi che derivavano da una condivisione così grande. Certamente avevano avuto molta fortuna; se anche solo una di loro avesse perso la concentrazione l’incantesimo si sarebbe probabilmente riversato sulle altre.
«…la vostra audacia e la prontezza che avete dimostrato non siano biasimevoli. Senza trascurare la perfetta riuscita di un incanto che non avete quasi avuto modo di sperimentare, durante le lezioni» concluse.
Le ragazze si scambiarono delle occhiate incredule. Lei sorrise, soddisfatta.
«Non fate quella faccia. Non ci saranno punizioni» riprese. «Ma dovrete promettere di non agire mai più in questo modo. Ci sono cose che… temo non possiate capire, per ora. Dovete promettere di avere fiducia in noi»
Dobbiamo promettere di fidarci di voi? Di non immischiarci più in affari che, dal vostro punto di vista, non ci riguardando?
Tecna strinse quasi impercettibilmente le labbra.
Aveva preso inconsciamente l’abitudine di farlo, quando qualcosa meritava il suo disappunto.
Forse avrebbe davvero dovuto fare come Faragonda aveva detto. Abbassare gli occhi, la bocca e le orecchie; accettare le cose come sarebbero capitate, senza porsi troppe domande.
Eppure, l’impulso di fare di testa sua era troppo forte.
«Quel che è successo a Musa è solo il risultato del vostro agire nell’ombra. Francamente, credo di essere sempre stata disponibile e benevola, nei vostri confronti… dovreste avere più fiducia nel mio giudizio» concluse, forse un po’ risentita.
Certamente, Tecna ci avrebbe provato. D’altronde, quel briciolo di senso di responsabilità che le era rimasto suggeriva di rigare dritto e cercare di indirizzare le condizioni della sua mente ad un punto di ripristino.
Uniformarsi e riprendere a comportarsi come prima; fare ritorno a scuola e viverla come qualunque altra studentessa, senza caricarsi fardelli eccessivi… viverla con spensieratezza, a partire da quelle tanto discusse vacanze.
Alfea era in fermento. Le ragazze incontrarono diverse studentesse per i corridoi, prese dal panico o dalla collera per uno shampoo o per delle spazzole che non trovavano.
Il Soldì era alle porte.
In un certo senso, era quasi frustrante pensare che nessuna delle loro compagne di scuola – a parte Aisha – fosse a conoscenza della loro impresa; della loro forza di volontà – per quanto avesse sfiorato i confini della testardaggine.
Musa si era ripresa in fretta e sembrava più in forze che mai, ma chissà cosa doveva aver provato. Faragonda aveva spiegato che, essendo lei l’unica ad aver acquisito lo Charmix, aveva speso molte più energie di loro, durante la Convergenza.
«Quindi ora possiamo partire?» fece la fata della musica, allacciandosi le braccia dietro la testa.
Salì in cima alle scale con ampie falcate, piroettando poi su se stessa una volta raggiunto l’ultimo gradino. Sembrava allegra e piena di vita.
«Come mai sei così felice di tornare a casa?» sorrise Flora.
L’altra si strinse nelle spalle, restituendole il sorriso. «Almeno mi potrò riposare un po’. E poi sono sorpresa che Faragonda non fosse furiosa; mi aspettavo tuoni e fulmini»
Bloom rise. «Per una volta che combiniamo qualcosa di buono»
Ora potevano finalmente distogliere la mente da tutte quelle tensioni che avevano imbrigliato i loro nervi in quei tempi.
Tutte e cinque percepivano ormai restaurata l’armonia tra di loro e, anche se forse nessuna lo avrebbe mai ammesso, quasi non potevano ricordare come potessero andare avanti prima, quando nel gruppo si era venuta a creare una frattura.
Percorsero i corridoi di Alfea così e, per un attimo, provarono ad immaginare che quello fosse il loro ultimo giorno in quella scuola. Come doveva essere, per le studentesse dell’ultimo anno?
Come doveva essere, per loro, avere la consapevolezza di dover presto tuffarsi nel mondo degli adulti? Le Winx avevano sperimentato solo qualche breve ma dolorosa incursione; missioni quasi suicide, morti e mostri.
Quelle esperienze erano state sufficienti a fornire un quadro abbastanza esauriente su quello che le aspettava al di fuori della scuola. Come doveva essere, trovarsi ad un passo dall’accesso permanente ad una vita di responsabilità, sacrifici e perdite?
Bloom rabbrividì e scoprì che non aveva poi molto senso e molta voglia di pensarci in quel momento, di rovinare quei pochi istanti in cui la magia tra loro era quanto di più bello avesse mai vissuto.
Nel loro appartamento, quasi non parlarono. Tranne Tecna, che si era occupata dei suoi bagagli a tempo debito – e che, comunque, aveva bisogno solo del suo aggeggino elettronico per tornare a casa – le altre quattro dovevano ancora occuparsi di ogni cosa.
«Pensi di portare a casa tutto, Bloom?» le chiese Flora, guardandosi attorno nella loro stanza. Stava decidendo quali piante portare con sé e quali lasciare lì. «Alcune sopravvivono a lungo senza aver bisogno di particolari cure. Perciò potrei lasciarle qui, perché immagino che in autobus occuperebbero troppo spazio… però…»
«Vuoi che ne porti io qualcuna con me?» domandò Bloom, mentre piegava un paio di pantaloni. Non aveva ancora perso l’abitudine di farlo a mano.
La bruna sorrise, scuotendo il capo. «Ti ringrazio, ma l’atmosfera della Terra sarebbe troppo pesante, per loro. Forse chiederò ad Helia»
«Quindi… avevo ragione!» la voce di Stella rimbombò da oltre la porta della camera.
La principessa si catapultò dentro, con un ghigno trionfante.
«Stella che origlia… ma che sorpresa» sospirò Bloom, a metà tra il divertito e l’esasperato. «Non dovresti riordinare le centinaia di abiti che hai nel guardaroba?»
«Mh, direi di no. No, li lascerò quasi tutti qui» rispose. «Ma, tornando alle cose serie… avevo ragione? Trascorrerai il Soldì con Helia?»
Flora arrossì fino alla punta dei capelli. Si voltò, cercando di nascondere l’imbarazzo. «Beh… non proprio… insomma…» balbettò. «È solo che abitiamo piuttosto vicino, e quindi…»
«Certo, certo…» sorrise la principessa, con il tono di chi la sapeva lunga. Senza fare troppi complimenti, si stravaccò sul letto di Bloom. «Quindi immagino che non avrai tempo per fare una capatina su Solaria, vero?»
«Ma non dovevi stare con Brandon, tu?»
Scosse la testa. «Udite, udite!» esclamò, sperando che il suo proclama giungesse anche nella stanza di Tecna e Musa. Non ottenne però risposta. «Ho detto… udite, udite! Musa? Tecna?»
Dall’altro lato dell’appartamento provenne un sonorissimo sbuffo.
Dei passi, e le due ragazze le avevano raggiunte. «Cosa c’è da strillare, ancora?» sospirò la fata della musica, sfilandosi dalle orecchie degli auricolari. «Ho tentato di alzare il volume per non sentirti, ma non posso andare oltre un certo limite. Cosa devi dire, di così importante?»
«Che modi!» fece la bionda, oltraggiata. «Bene, allora tu non sei invitata. Stavo per chiedervi se voleste trascorrere l’ultima settimana di vacanza con me, su Solaria; ma non importa, tu puoi non venire»
«Su, non litigate» sorrise Flora. «Io avrei senz’altro piacere a venire, Stella. Se non è… di disturbo, certo»
«Io temo di non poterti dire di no» fece Bloom, buttandosi a peso morto su di lei. «Ah! Non puoi protestare! Sei sul mio letto»
«Ugh… Tecna…?» esalò la principessa a fatica. «Sei dei nostri?»
La diretta interessata strinse di nuovo le labbra, come qualche ora prima. Flora sorrise tra sé e sé; aveva capito che quello era il modo dell’amica per esternare il suo turbamento, in un certo senso.
Capiva bene che la proposta la prendesse in contropiede, un po’ com’era stato per la festa organizzata da Looma. Tecna non era abituata a quelle cose e, forse, aveva bisogno di un po’ di tempo per realizzare di avere delle amiche e che, di conseguenza, queste tenessero a lei e cercassero di coinvolgerla in quelli che lei era solita chiamare “briefings”.
«Io… non saprei dirtelo con certezza ora. Ma credo ti darò una risposta quanto prima; grazie per l’invito» replicò, abbozzando un sorriso.
Stella sembrò soddisfatta. «E tu, “Diaspro 2?”» scherzò, rivolgendosi a Musa.
«Devo ammettere che la proposta suona interessante» fece. «Il che è strano, visto che l’hai partorita tu. Tuttavia, non so se sarà possibile… il vecchio Ho-boè vorrà che lo aiuti in negozio per tutto il tempo, suppongo»
La principessa sbuffò, cercando di scrollarsi Bloom di dosso. «Che guastafeste, sei. Peggio per te, carina»
Musa si strinse nelle spalle, in un gesto ormai d’abitudine, quando parlava con Stella. Salutò, per poi rintanarsi nella sua stanza.
Tecna la seguì, fermandosi poi sul posto come vide entrare quella ragazza del terzo anno che frequentava spesso le sue amiche… Looma.
«Ciao!» esordì quella, aprendosi in un largo sorriso che mostrò i suoi denti immacolati.
Lei restituì il saluto, vagamente imbarazzata. Non era certa dell’atteggiamento che avrebbe dovuto assumere nei confronti di quella ragazza.
Non la conosceva abbastanza da poterla definire “amica”, ma nemmeno così poco per etichettarla come una semplice conoscente. In qualche modo, poi, il suo carattere così sereno e spensierato la rendevano insopportabilmente empatica.
Musa era più intima, con lei, ed era solita considerarla l’incrocio tra la solarità di Stella, la dolcezza di Flora e l’ingenuità di Bloom. Il fatto che apparisse frivola era, dal punto di vista di Tecna, ciò che la rendeva meno sospettabile di quell’acutezza che, al contrario, sapeva che aveva.
In un certo senso, temeva la sua spontaneità a tal punto da aver sempre preferito che rimanesse in quella non meglio specificata condizione a metà tra l’essere amica e l’essere conoscente.
Looma doveva averlo capito; eppure, quasi come fosse sotto effetto di un qualche intruglio o incantesimo, la fata della tecnologia aveva sempre l’impressione di aprirsi un po’ di più, ogni volta che ci aveva a che fare.
Che fosse il potere di quella ragazza?
«Bloom è lì dentro?» le chiese.
Tecna annuì. Proprio Bloom pareva essersi parecchio avvicinata a quella giovane dalla smodata passione per la moda; era forse a causa di quel ragazzo, Sem?
Fu sorpresa di scoprirsi curiosa di quei nomi che significavano qualcosa, per le sue amiche. Era quasi come se stesse, in quel momento, esplodendo tutta la sua voglia di domandare e sapere, tutta quella frivolezza che sapeva confarsi ad un’adolescente e che aveva sempre arginato.
O, più probabilmente, il suo era il desiderio di saperne di più delle persone a cui teneva?
Tenere a qualcuno…
«Allora buone vacanze, Tecna! Forse ci vedremo, se andrai da Stella» trillò Looma, superandola.
Si ricordò improvvisamente di quell’invito e del fermento che, per qualche ragione, provocava in lei. Forse… forse…
Sì, forse ci vedremo lì.
 
Mentre scendeva per quei gradini che, non molte ore prima, aveva risalito con uno strano senso di inquietudine e nostalgia addosso, non poteva fare a meno di sentirsi in fermento.
Looma aveva raggiunto lei e le altre per un ultimo saluto e, soprattutto, per avvisarla che qualcuno la stava aspettando nel cortile della scuola. Bloom non aveva dubbi circa l’identità di questo misterioso personaggio; solo, non riusciva a capire perché fosse lì.
In effetti, dopo la sera della festa – circa due giorni prima – non avevano più avuto l’occasione di parlare. Lei sentiva che, in qualche modo, le cose stavano cambiando.
Forse si stavano evolvendo, stavano lasciando che prendessero una direzione diversa, insieme. Non avrebbe saputo dire quale.
Non erano nemmeno lontanamente amici, anzi, nel legame che li univa c’era ben poco di quella genuina amicizia tra lei e le sue amiche, o tra lei ed Helia. Con Sem era abbastanza difficile parlare del più e del meno; non perché lui non sapesse ascoltare – era, al contrario, di poche ma buone parole – ma perché lo conosceva così poco ed era tanto granitico da risultare imperscrutabile.
Bloom trovava difficile aprirsi in virtù del giudizio che pensava lui potesse formulare su di lei; più spesso, si ritrovava a pensare di non volersi esporre perché, forse, lui avrebbe capito fin troppo bene senza che lei parlasse.
C’era affinità tra loro, tra le loro storie e, in un certo senso, i loro modi d’essere; tuttavia, perché fossero amici mancavano ancora dei tasselli fondamentali. Forse ora avrebbero cercato di colmarli?
Avevano molto tempo, a disposizione?
Sem era lì, seduto sulla gradinata di fronte al pozzo. Si stringeva appena nella sciarpa che aveva attorno al collo; era un tipo freddoloso.
Lei sorrise. Non l’aveva vista, mentre carpiva quel dettaglio così intriso di una quotidianità che a lei era ancora sconosciuta.
Non riusciva proprio a fare a meno di vedere in lui un bambino un po’ cresciuto, quando aveva la possibilità di osservarlo così, senza veli; proprio come quella volta che lui accompagnava con la voce le delicate sfere di cristallo che, come gocce di rugiada, lasciava ad imperlare un albero di Natale, al centro del salone sotto Fonterossa.
Via il primo tassello.
Aveva uno sguardo assorto e la consueta espressione che sfoggiava quando era solo.
Granitico, impassibile, corrucciato.
«Looma mi ha detto che c’era un pulcino sperduto ed infreddolito sulle scale» si annunciò. «Eppure io vedo solo un Cerbero scostante»
Come lui si voltò, la luce nei suoi occhi mutò. Si fecero più grandi e calorosi; un cielo plumbeo e di tempesta che trovava la pace.
Bloom non prestò molta attenzione a quel dettaglio, né al motivo di tale cambiamento; sapeva solo di volersi avvicinare e cogliere un po’ di quell’argento che quasi colava dalle ciglia folte e scure.
«Pensa che a me aveva detto che sarebbe andata a chiamare una dolce fata dalle chiome focose, eppure vedo solo una nanerottola pel di carota» la scimmiottò, ridendo.
Lei cercò di incenerirlo con lo sguardo ma, purtroppo, la Fiamma del Drago non glielo consentiva. Non ancora, almeno. Forse avrebbe sfruttato quel periodo di vacanza per provarci.
Lui rise e, come tutte le volte, la sua risata la fece vibrare come una corda di violino. Alan diceva che era raro sentire suo fratello ridere – ancor di più in maniera così sguaiata; eppure, proprio non capiva come potesse trascorrere ore con il gemello senza avvertire la necessità di sentire quel suono così limpido e profondo.
«Sopravvissute alla ramanzina di Faragonda?» commentò il ragazzo, cercando di mettere un freno ai tremori ed agli spasmi eco di quella risata. «Deve aver riservato il meglio per voi»
Bloom annuì, guardandolo negli occhi. «In realtà pensavamo tutte che andasse peggio»
Sem sorrise, provando un improvviso e smodato desiderio di guardarsi la punta delle scarpe; e così fu per Bloom, colta da uno strano imbarazzo che raggelò la conversazione. «Immagino andrai via anche tu» disse dopo un po’; una constatazione al limite della rassegnazione.
«Sì. Mio padre tornerà sulla Terra, dai nonni» rispose. «Sono due anni che non lo vedo»
Bloom sgranò gli occhi. Provò ad immaginarsi al posto di Sem, senza poter abbracciare i suoi genitori per tutto quel tempo.
Scoprì di non riuscire nemmeno a concepire un’idea simile.
«L’allevamento di draghi che gestisce è su Melody» aggiunse.
Draghi. La passione di Sem.
Non avrebbe saputo spiegarsene il motivo ma, concedendosi un minuto di riflessione, comprese di aver implicitamente sempre pensato a lui come ad uno che non aveva un grandissimo rapporto con il padre.
Forse… i draghi sono una di quelle cose che gli permettono di condividere qualcosa con lui?
«Anche tu torni sulla Terra?» le chiese, facendole un po’ di spazio sul gradino.
Bloom sussultò impercettibilmente, di fronte a quel gesto. Annuì. «Penso che aiuterò mia madre nel suo negozio di piante… come al solito. Nulla di che» fece. «Mi saluterai Hedy?»
Sem sorrise. «Senz’altro. Chiede spesso di te» disse, confermando le informazioni che alla festa aveva carpito dai borbottii del fratello. «Alan sbraita ogni volta»
La ragazza rise, prendendo finalmente posto accanto a lui.
«Come sta?» gli domandò.
«Bene… mi ha aggredito verbalmente, quando gli ho raccontato tutto» spiegò. «Si preoccupa sempre troppo, quando in realtà è lui, che rischia di ficcarsi nei guai. Con la lingua che si ritrova…»
Lei ripensò immediatamente a quello che Stella le aveva raccontato, a come, la sera della festa, Alan avesse lasciato che tutta la bile che aveva dentro si riversasse fuori. Sem lo sapeva, quindi.
«Che ne pensi, di Stella?» chiese, all’improvviso.
«Forse dovresti chiedermi cosa io pensi di Brandon» replicò Sem, dopo un po’.
Il sorriso di Bloom si fece ben presto nostalgico. Non conosceva così bene Alan ma, stando a quanto le era stato raccontato, nascondeva una grande sensibilità, dietro a quella coltre di supponenza e alterigia.
Quanto doveva essere pesante, tutta quella vicenda, per lui?
«Ci sarà anche Aibao, da voi?» domandò allora, abbracciandosi le ginocchia.
Sem aggrottò per qualche istante le sopracciglia scure, dischiudendo appena le labbra carnose. Si strinse nelle spalle. «Sì. Ormai è di famiglia» realizzò. «Anche se per Alan è comunque difficile da accettare. Come sempre»
«Spesso la parte più difficile è accettare di amare… no?» domandò, più a se stessa.
Il ragazzo si concesse qualche momento per riflettere. Gli occhi grigi che catturavano le ultime luci di quel pomeriggio, pareva lontano.
La mente correva a giorni passati e mai del tutto svaniti, che vedeva sbucare da dietro il pozzo del cortile, o da quella stessa scalinata su cui era seduto. Rivedeva Vesela scendere, fare una piroetta in quel bell’abito leggero e sorridere, sorridere; come faceva sempre.
Forse, quella purezza era un po’ la stessa che vedeva nello sguardo di Bloom? Eppure era diversa; più simile a lui, a quello spirito diafano che non li aveva mai lasciati nonostante entrambi avessero sofferto per qualcosa che avevano considerato loro diretta responsabilità.
Talvolta la coglieva in quegli attimi in cui sembrava recriminare qualcosa a se stessa; e allora capiva di voler andar più in fondo e di voler cancellare quella macchia nera che lei aveva nel cuore e che lui aveva l’impressione di non sentire quasi più sulla propria pelle.
«Credo che accada molto più spesso di avere difficoltà ad accettare di essere amati»
Bloom si volse a guardarlo, senza proferire parola.
Lui sapeva, perché lo aveva provato.
Quel misero stato di perplessità e piccolezza, sensazione generata da una bellezza che quasi rasentava il sublime e che in esso mutava in sgomento; una condizione dettata dalla difficoltà di cogliere il bello in virtù della difficoltà di accettare di amare qualcosa, qualcuno.
Più spesso, una condizione dettata dall’incapacità di amare se stessi e, dunque, di accettare il fatto di essere da altri amati; una condizione che impone a chi la sperimenta di smettere di vivere e di abbandonarsi ad un’irrequieta ricerca di qualcosa che è sotto gli occhi e che non si può vedere finché non ci si apprezza.
Sem voleva riprovare; questa volta, voleva essere in grado di far cogliere quel fiore a qualcuno che provava a non appassire.
Sem voleva che Bloom capisse di essere il bello di se stessa.
«Sulla Terra sarei in largo anticipo… però, beh» sorrise, stringendole una mano. «Soldì, Natale… è lo stesso. Perciò…»
Uno sbuffo divertito e si alzò.
Ci avrebbe provato.
L’abbracciò.
«…Buon Natale, Bloom»
 
You can’t love nothing
You can’t love anything
Till you can love yourself
Could It Be Another Change, The Samples
 
E così (in anticipo di qualche ora, rispetto alla tabella di marcia…) passiamo al tradizionale momento del capitolo in cui io pongo domande ed affermo cose stupide.
Tanto per cominciare, lo so, lo so… Stella non ce la fa proprio, senza organizzare raduni; alle Winx è andata meglio di quanto pensassero; ma sarà davvero finita? Non è stato troppo semplice?
La convergenza è un qualcosa che ho sempre inteso come un’unione non di soli poteri, ma di menti. Sarà per questo che è difficile?
Sem inizia a rivelarsi per quel pasticcino al caffè che è. E poi dai; dove si trova un altro uomo che metta le palline sull’albero bene come lui?
D’accordo… terminati gli sproloqui, e dopo lunghe ed interminabili sedute di revisione, ho cercato di rendere più ehm, leggibile e decente quell’interminabile one-shot sulla vigilia del Soldì che avrei in programma di pubblicare il 24 oltre al consueto aggiornamento (one-shot che, in verità, è la principale ragione per cui i capitoli vengono pubblicati a distanza di due settimane l’uno dall’altro…).
Beh, sto divagando di nuovo. Che altro dire?
Oh, sì! Ringrazio tutti coloro leggono questa cosetta e coloro che mi hanno lasciato un commento; risponderò appena potrò, promesso!
Au revoir!
7th
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Winx / Vai alla pagina dell'autore: Applepagly