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Autore: Antys    25/12/2018    4 recensioni
Derek con una mano teneva i manici del borsone e con l’altra si accingeva a chiudere il lungo portellone di metallo, pronto per dare un definitivo addio a quella vita che l’aveva privato di tutto quello che aveva amato e che aveva provato con tutto se stesso a ricreare e difendere.
[…]
«Lo so che ogni cosa qui ti ricorda i tuoi fallimenti ed errori. La famiglia e il branco che hai perso, i continui tradimenti che hai subito ed i sacrifici che hai fatto» articolò con precisione ed attenzione il figlio dello sceriffo con lo stesso dolore e afflizione che Derek aveva provato. «Sarebbe facile e meraviglioso andare in un altro posto e ricominciare. Ma io non sono abbastanza?» per rinunciare e restare. Per provarci.
[…]
Derek si sentì tirare un lembo dei suoi jeans della gamba sinistra, da una forza leggera e delicata, e si voltò confuso nell’immediato, incontrando degli occhi giganti dell’ambra più pura e spensierata; innocente. «Signore, sai dov’è la mia mamma?» domandò la piccola creatura con voce minuta ma squillante, educata e pulita.
«Stiles?» se Scott avesse sofferto ancora di attacchi d’asma, in quell’occasione un inalatore non sarebbe bastato.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo

 

Le braccia che circondavano il corpo di Stiles non subirono alcuna modifica, non sortirono alcun effetto, il dolce dormire ebbe la meglio su qualsiasi aspetto si potesse presentare e tutto poteva essere rimandato.

I raggi solari illuminarono completamente l’oscurità del monolocale e ciò che era nascosto si mostrò alla luce del nuovo giorno. Le iridi di giada si aprirono e si specchiarono in quelle di miele.

Erano attente, sveglie, attive, come se ogni traccia di sonnolenza fosse stata spazzata via e lo stessero studiando da diverso tempo, eppure Derek non era disturbato da quella sfaccettatura, ma da un cambiamento che l’offuscamento del ridestarsi non gli permetteva di cogliere a tutto tondo.

Erano gli stessi occhi su cui si era affacciato per due eterne settimane ogni mattina, ma non erano più presenti l’innocenza ed il candore che li caratterizzava, la fanciullezza dei loro cinque anni e l’adorazione che provavano nei suoi confronti; improvvisamente erano più adulti, più consapevoli e con una traccia d’amarezza. Continuavano ad essere grandi, enormi, tipici di Stiles, e seppure il taglio fosse il medesimo e non fosse cambiato di una virgola, apparivano più conformi al viso a cui appartenevano. Ad un’occhiata di sfuggita non sarebbe più stato considerato un volto di soli immensi occhi.

«Stiles» lo realizzò d’impeto, folgorato dall’illuminazione dei fatti, la saetta che lo attraversava da parte a parte.

Stiles sorrise appena, senza alcun sentimento, vuoto e disilluso ed era talmente lontano dal calore che era tipico dedicargli, dalla purezza che fino al giorno prima la sua piccola volpe era in grado di regalargli.

«Sei tornato» proferì il mannaro con un misto di incredulità e concretezza, abbracciando visivamente le nuove sembianze che l’umano aveva preso, tornando al corretto anno d’età. La mano partì in automatico per accertarsi della realtà, per assaporare e rendere tangibile il cambiamento, il viso che non presentava più tratti morbidi, ma più affilati e definiti, quasi marcati e rendendo possibile seguirne il percorso tracciando il loro contorno sulla pelle.

«Non toccarmi» ma Stiles lo scacciò via in malo modo, sottraendosi al suo tocco e scappando dalla sua presa.

Derek restò di ghiaccio sul posto, guardandolo con le iridi spalancate ed esterrefatte. Non poteva essere vero che Stiles si scostasse da lui, non dopo che le sue braccia l’avevano accerchiato per tutta la notte, premendoselo sul petto.

«Dio, Derek. Non sono lui» esclamò con impeto alla sua espressione contratta, il leggero tono di rabbia che albergava tra loro. Un attimo dopo scoppiò in una risata di derisione verso se stesso. «Ero già un ragazzino per te, adesso sarò un poppante» si liberò completamente da Derek, alzandosi a sedere precipitosamente e balzando per scendere dal letto ed allontanarsi il più possibile.

Ma nell’attimo in cui tentò di agire, il mutaforma lo afferrò per un polso e, seguendo le sue movenze, portandosi a gambe incrociate sul materasso, lo attirò a sé, lasciandolo ricadere sulle sue cosce. «Stiles» era solo il suo nome, non era nemmeno la solita gradazione vocale di comando che gli impartiva regolarmente, era solo una sollecitazione a rimanere.

«La devi smettere» gracchiò il diciasettenne furibondo, manifestando tutto il suo odio per il siparietto che si stava presentando. «Non puoi toccarmi così. Non puoi toccarmi affatto. Non abbiamo questa familiarità. In realtà non ne abbiamo nessuna».

«Perché sei così adirato?» la fermezza e freddezza della creatura della notte non vacillarono di un attimo.

«Non sono adirato. Sto sottolineando un concetto» strattonò il polso di cui si era appropriato, districandosi dalla morsa ed allontanandolo quanto possibile. «Hai costruito un’intimità tattile con una persona che non sono io».

«Una persona che non sei tu?» domandò di rimando il mannaro, arcuando un sopracciglio e guardandolo dubbioso. «Vuoi dirmi che non eri tu quel bellissimo e adorabile bambino?».

Il naso di Stiles si arricciò, sia per il disagio che per l’accostamento dei due aggettivi. «No».

«No?» la mano di Derek tornò a sfiorargli il volto, a tratteggiare il contorno del suo viso, ad assaporarne il calore e la consistenza. Stiles resistette con ogni mezzo disponibile dall’abbandonarsi teatralmente a quel contatto premuroso. «Eppure rispondi allo stesso modo» c’era soltanto meno innocenza e trasparenza.

Stiles appariva provato ed umiliato, ripudiando la facilità con cui era affine al corpo del lupo. «Non mi toccheresti mai così».

«Chi l’ha detto?» domandò retoricamente e seriamente il licantropo, poggiando completamente il palmo sulla guancia dell’umano e stringendo un braccio intorno al suo bacino. «Chi ti dice che non sia questo il modo in cui desideri toccarti, sempre?».

Il labbro inferiore del figlio dello sceriffo tremò e lo morse con i canini, sperando di fermarlo e Derek ne approfittò per immergere il naso nella curva del suo collo. «La sua pelle è la tua pelle. Il tuo odore è il suo odore» lo respirò a pieni polmoni, riempiendoli completamente e contemplandolo amorevolmente, schioccando un bacio lì dove affondava il setto nasale. «Tu eri in lui e lui è in te. Eri Stiles. Sei Stiles. Esiste un unico Stiles».

Un singhiozzo incontrollato sfuggì dalla bocca dell’adolescente e tutta la sua materia grigia lo incitava a prendere il largo e tornare al luogo a cui apparteneva. «Ti prego, Derek, non giocare sporco. Lasciami tornare a casa. Lasciami tornare da mio padre e dimentichiamoci di questa storia, anche tu hai dove tornare».

«Dimenticare? Non dimenticherò niente» insorse il mutaforma, allacciando meglio l’arto superiore al fianco dell’umano. «Ti ho aspettato per diciotto giorni. Per diciotto giorni ho invocato il tuo nome, ti ho pregato di tornare da me».

«Sono tornato, hai compiuto il tuo dovere» lo gelò il diciasettenne, le emozioni disturbanti che gli attraversavano tutto l’organismo, incapace di controllarle e detestandole, mostrando solo la corazza stoica che voleva esclusivamente salutarlo e liberarsi di lui. Mettere finalmente il punto ad una storia che non era mai nata. «Ora puoi raggiungere tua sorella, riprendere da dove hai lasciato».

Derek era talmente sopraffatto e sbigottito da non credere a ciò che il suo udito gli riportava. «Riprendere da dove ho lasciato?».

«Sì» confermò Stiles senza divagare, senza aver dubbi o ritrattare ciò che aveva detto. «Avevi i tuoi piani, le tue perfette decisioni, bello pronto a partire e sei rimasto a causa mia, perché sono regredito ad uno stupido bambino di cinque anni e ti sei sentito in dovere di restare. Ma sei libero, spicca il volo, riscrivi la tua storia».

«Non sei stupido, Stiles. Sei la persona più intelligente che conosca e quel bambino, tu, era strabiliante. All’inizio ero convinto che il Nemeton ti avesse fornito gli strumenti per compensare, ma né Scott né tuo padre vedevano la cosa stranamente perché eri tu in tutto e per tutto. Perché sei sempre stato enormemente brillante» era estremamente importante ribattere su quel punto, su quanto importante fosse stato relazionarsi con un esserino paffuto che lo venerava senza inibizioni. Come lo Stiles di cinque anni, quello che si ritrovava dinnanzi riteneva di essere stato un peso, una seccatura da cui era impossibile sottrarsi, ma per Derek quel bambino era stato autentico ossigeno e lo stesso Stiles non poteva permettersi di provare a denigrarlo e ridimensionarlo, infierendo sulla propria medesima persona.

L’accerchio sul corpo del figlio dello sceriffo si fece più sentito, più tangibile e veritiero, finendo per poggiare il capo sulla fronte della sua volpe. Era talmente perfetto che non avrebbe mai voluto sciogliere quell’intreccio idilliaco. «Ho amato quel bambino. Ho amato te. Amo te».

Stiles si irrigidì tra le sue mani ed il fiato divenne quasi inesistente. «Cosa… cosa hai detto?».

«Ho detto che non riprenderò da dove ho lasciato, che non andrò da nessun’altra parte in cui non ci sia tu» gli sorrise di sbieco, in una leggera sua imitazione da grande rivelazione di bonaria presa in giro per le sue reazioni che lo toccavano, riempiendogli quel cuore a cui venivano inferte ferite su ferite. «L’unica cosa che ho lasciato indietro sei tu» le iridi si tinsero di un blu metallico, gli arti superiori si sciolsero e le mani calde andarono a circondare il viso della sua piccola volpe cresciuta. «Ti amo, Stiles».

Le pupille nere si dilatarono a dismisura, appropriandosi quasi interamente dell’ambrato e gli arti superiori afferrarono i polsi del mutaforma, staccandoli dal volto ed allontanando di conseguenza il corpo dal suo. «Ho bisogno… ho bisogno di un momento» tutta la sua attenzione fu rivolta altrove, con lo sguardo che vagava ovunque ma non sul licantropo.

Derek, con lo zaffiro che veniva rintegrato nello smeraldo, non seppe come interpretare la sua reazione, distante da quella che si era figurato nella mente, ma forse quel periodo di stallo ed indefinito gli toccava.

Stiles mollò la presa sui polsi dell’uomo, quasi scottassero, ma allo stesso tempo non fossero minimamente consistenti e le iridi si celarono dietro ad un velo vacuo. «Ero un bambino fino a poche ore fa».

«Sì» confermò la creatura della notte, ben conoscitore di quell’aspetto.

Il figlio della massima autorità della città riportò le gemme dorate sulle sue, in una meditazione complessa. «Non ha nessun effetto su di te?».

«No» rivelò Derek senza alcuna forma di tentennamento, non esitando a rifletterci su. «Riconosco le differenze tra di voi, benché siate la stessa persona. Non ho mai sovrapposto te a lui e non lo farò adesso. Il te bambino ha il mio profondo affetto, ma il te adulto ha il mio amore».

Stiles rabbrividì e le braccia andarono a stringersi attorno a sé, strapazzando l’unico indumento che lo ricopriva fino a metà coscia, lasciandogli completamente le gambe scoperte, e che era pregno dell’odore del Beta. «Non ho mai voluto metterti alle strette, costringerti a scegliere».

Per quanto Derek desiderasse rispettarlo, lasciargli il suo spazio e riprendere nuovamente confidenza con se stesso, non riuscì a trattenersi dal chinarsi su di lui e schioccargli un bacio sulla fronte. «Lo so».

L’umano sgranò gli occhi ed il respiro gli graffiò la trachea, costringendolo a rimanere pietrificato dov’era; non riusciva ad abituarsi a quell’improvvisa e travolgente intimità. Non riusciva a concretizzarla e crederla reale. «Der. È così che ti facevi chiamare?».

Era un capovolgimento d’argomento interessante, era evidente che per qualche ragione l’adolescente non volesse andare in profondità, non in quel preciso istante. A Derek non rimase che scuotere le spalle in un unico movimento, come se non ne fosse toccato. «Ti piaceva e puoi chiamarmi come desideri, piccola volpe».

Tutto l’essere del lupo si arricciò deliziato al rossore che colorò le gote del liceale. «Non chiamarmi così».

«Ah, no?» domandò retoricamente il licantropo, abbassando il tono della voce che si tinse di implicazioni scomode. «Eppure mi pareva che lo adorassi».

Il porpore sul viso dell’umano non accennò a diminuire, al contrario prese più vigore ed istintivamente inclinò il volto. «Ero un bambino».

La giustificazione misera e petulante non soddisfò il mannaro, che si curvò verso di lui schioccando le labbra su uno zigomo accaldato. «Quel bambino stravedeva per me».

«Der» gracchiò Stiles in un ammonimento pregato e dal ghigno che l’uomo gli rifilò, seppe di aver perso su tutta la linea.

Gli depositò un nuovo bacio sotto alla radice del setto nasale, un millimetro sopra il labbro superiore che sfiorò con padronanza, afferrandogli delicatamente un braccio tra le dita e regalandogli uno schiocco di bocca sentito e pieno di sentimento sul polso interno, esattamente sopra una delle vene da cui poteva percepire perfettamente il battito dell’organo cardiaco impazzito. Lo abbandonò pressato contro il proprio cuore, intrecciando le falangi a quelle del figlio dello sceriffo, accostando la fronte alla sua e rimanendo nel perpetuarsi del silenzio incancellabile.

Stiles, sospirando esausto, chiuse le palpebre a contatto con lui e non si mosse per un tempo illimitato.

«Sei sicuro di aver preso la decisione giusta?» gli chiese il liceale infrangendo il tedio che li avvolgeva, prendendo un profondo respiro interno e costringendosi ad aver coraggio.

«Era l’unica decisione che andava presa» dichiarò la creatura della notte, inequivocabile ed imperiale.

Stiles si scosse appena da lui, osservandolo dall’alto con le labbra arricciate e la ricerca di certezza. «Perché non mi hai informato della tua partenza?».

Eccolo lì, il momento cruciale che il Derek di due settimane prima aveva sperato non si presentasse mai. «Perché non ci sarebbe stata alcuna partenza altrimenti» Stiles arcuò le sopracciglia chiare con un interrogativo perfettamente stampato e Derek si ritrovò ad annegare nelle iridi del nettare degli dei. Coprire morbidamente la bocca con la propria fu una necessità fisica che non riuscì, e non tentò minimamente, di sopprimere e quell’unica carezza di labbra mandò il cuore di Stiles in fibrillazione. «Se ti avessi visto, se ti avessi anche soltanto percepito, se mi fossi semplicemente limitato a sentire la tua voce, non mi sarei mai mosso di un passo» sarebbe rimasto con i piedi ben piantati nel cemento ed avrebbe unicamente aspettato un cenno affermativo dell’umano che gli accordasse di muoversi.

La colonna vertebrale di Stiles fremette e l’incredulità emerse nel riflesso della sua anima. «Eri sicuro che ti avrei fermato, anche se non l’avrei mai fatto volontariamente».

Le dita libere del mutaforma andarono ad attorcigliarsi tra le ciocche morbide del ragazzo, con il polpastrello del pollice che prese ad accarezzargli gentilmente una tempia. «Non riuscirai mai ad avere coscienza dell’enorme potere che hai su di me».

«Questo…» il diciasettenne si strozzò, la trachea si ostruì ed il suo organo involontario non voleva saperne di darsi una calmata. «Non giustifica quello che hai fatto».

«Lo so» gli rubò un nuovo bacio, non permettendogli per la seconda volta di ricambiarlo. «Non volevo abbandonarti».

Un ulteriore e nuovo singhiozzo pericoloso scappò dalle labbra ripetutamente baciate dal lupo, costringendo nell’immediato Stiles a coprirle con una mano per smorzarlo, per proteggersi e costruire una barriera impenetrabile tra le loro figure, ma Derek era troppo bravo, troppo affine con l’anima e le emozioni dell’adolescente. Gli scostò le falangi, alzandogli il viso e liberandogli la bocca, congiungendola alla propria. Lo spiazzo di Stiles fu impagabile.

La pressione sulle labbra si fece coincisa, premente e sentita, la consistenza dei cuscinetti rosa veniva solleticata e ricercata, non era più uno sfioramento veloce, inflessibile, che non poteva permettersi di soffermarsi, di prendere di più e fare suo tutto quello che gli veniva incontro. La bocca di Derek non sarebbe fuggita, si sarebbe goduta appieno il bacio, beneficiato della corposità dell’altro ed avrebbe sanato ogni dubbio del ragazzo che stringeva tra le braccia, guarito le sue ferite e ricoperto di promesse. Avrebbe smesso soltanto quando Stiles non sarebbe più stato in grado di respirare, quando avrebbe cessato di rispondere alla morsa, con le lunghe dita affusolate nivee che affondavano tra i capelli corvini.

Le gemme caramellate si specchiarono in quelle di smeraldo e l’anidride carbonica repressa ne fece da padrona. Tutto quello che Derek vide furono le labbra di Stiles gonfie e scarlatte. «Non ho più alcuna ragione di lasciarti».

«Dovrei fidarmi di te, non è vero?» domandò l’umano in risposta, privo di qualsiasi accusa, ma con l’enorme voragine che quella particolare caratteristica aveva creato tra loro, rompendoli.

«Sì» Derek non avrebbe minimamente immaginato che un giorno avrebbe pregato, sperato, che qualcuno riponesse fiducia in lui, che non sarebbe stato il primo a scoraggiare chi aveva di fronte, perfino quand’era stato un Alpha non si era impegnato fino in fondo, con quella discrepanza che esisteva nel suo essere. «Devi fidarti di me».

Stiles arcuò le labbra in una strana piega, un po’ sbarazzina e piena di un ricordo lontano. «Come lo Stiles di cinque anni?».

Non era una vera domanda, era l’esempio concreto e perfetto che avvaleva la realtà di ciò che provava il figlio della massima autorità della città per lui. Il fagotto tutto occhi gli aveva creduto senza fronzoli e promesse di ogni sorta; aveva spaventosamente rimesso la sua piccola vita nelle sue enormi mani estranee. «Lo senti più, il Nemeton?».

«No» negò il diciasettenne in un istante.

No, cosa avrebbe dovuto significare? Sarebbe tornato a far riecheggiare la sua litania alle orecchie esclusive di Stiles? Aveva terminato il compito che si era prefissato e di cui continuavano ad ignorare la motivazione? Sarebbe tornato all’attacco? Avrebbe in qualche modo interferito nuovamente nel momento più impensabile? «Percepisci ancora l’oscurità dentro di te?».

«Solo in parte» proferì il liceale, accostando una mano sul petto, all’altezza del cuore, lì dove il cerchio oscuro risiedeva. «Sembra più gestibile».

Gestibile, Derek tremava all’idea di quanto Stiles avesse sofferto dopo lo squarcio che si era aperto, disperdendo i rimasugli della sua innocenza e scambiandola con il male del mondo. Quanto Stiles avesse sofferto per le pugnalate alle spalle che lui stesso aveva continuato ad infliggergli, finché non era stato più in grado di sopportarle e vincerle. «Non sparirà mai del tutto» gli faceva un male cane quella prospettiva.

«Lo so» confermò il ragazzo, pressando le dita sul torace, avvolgendo trasversalmente l’organo cardiaco. «Ma è già una grande conquista e poi…» gli dedicò una strizzatina d’occhio giocoso e complice, una di quelle che illusivamente credeva di non scorgere da una vita intera e che facevano emergere tutta l’autentica personalità dell’umano. «Ognuno ha i suoi demoni personali».

Derek avrebbe preferito che Stiles non li scoprisse mai, ma purtroppo per lui era affine con quella maledizione da molti più anni di quanti il mannaro potesse contare. Intrappolarlo in un bacio che reclamava perdono e rammarico fu consequenziale, ma Stiles lo ricambiò con uno pieno di sentimento genuino. Quell’essere incantevole l’avrebbe ucciso in tronco. «Sei stato bravo, con il piccolo Stiles» proferì la bella volpe a contatto diretto con la bocca, intensificando con una lieve pausa significata la sua confessione di apprezzamento.

«Sì?» domandò di riflesso la creatura sovrannaturale, faticando non poco a seguire il flusso dei suoi pensieri.

«Sì» confermò il liceale senza remore, ripercorrendo dei ricordi che improvvisamente apparivano distanti, eppure incredibilmente vicini da poter essere stretti tra le falangi e rivissuti, privo di qualsiasi esitazione. «L’hai fatto sentire amato».

Derek era consapevole del raggio d’azione incredibilmente ampio a cui Stiles si riferiva, a come quel bambino a cui aveva donato ogni fibra di sé avesse vissuto nella solitudine più recondita, mai con l’intenzione di cercarla ma perché costretto da un mondo troppo ingiusto per comprendere la sua spettacolare essenza. L’universo della piccola volpe era sempre stato di dimensioni malvagiamente ridotte, smussato fino all’osso e la terribile coscienza eccessivamente competente di Stiles non l’aveva mai aiutato a liberarsi di un peso che non avrebbe dovuto portare. Stiles era stato sempre circondato da amore, ma anche dall’ammontare enorme del rifiuto che la gente aveva nei suoi riguardi, entrare a contatto con una realtà più ampia, con più componenti con cui interagire e costruire un rapporto, era stata una battaglia che Stiles non pensava di poter affrontare e che potesse essere ricambiata con indiscriminato affetto. Soprattutto non uno Stiles che si era ritrovato a dover camminare da solo nell’ignoto. «Sei amato» giunti a quel traguardo, l’unico incarico di cui si investiva era quello di ricordarglielo nell’eternità del tempo.

Per le orecchie dell’umano risuonava ancora come qualcosa di illusorio e che aveva rincorso per una quantità temporale eccessiva, il crederlo reale e possibile appariva quasi come una beffa, eppure era lì, riecheggiava tra le mura di cemento e aveva le fattezze di un uomo fatto e finito, un uomo che non poteva mentirgli.

Stiles si abbandonò contro l’incavo della spalla, respirando sulla clavicola e Derek inspirò l’odore familiare ed intenso della sua pelle, stringendolo accuratamente nella morsa che lo circondava e donandogli un bacio candido tra le palpebre socchiuse. Epurazione. «Tra tutti quelli che poteva scegliere, con la schiera di estranei con cui è entrato in contatto, lo Stiles di cinque anni ha scelto me» quella era una particolarità che non poteva cancellare e passarci sopra come se nulla fosse, soprattutto perché era la ragione che li aveva condotti a quel preciso istante.

«Oh, sì, buffo» elargì Stiles come se fosse qualcosa di poco conto, qualcosa che in qualche modo lo allietava e lo portava a sorridere.

«Buffo?» domandò di rimando il mutaforma, contraendo le folte sopracciglia scure e fissandolo con un’espressione che richiedeva delucidazioni. Derek lo avrebbe classificato in molti modi, ma mai con buffo, era stato terrorizzante.

Stiles lo occhieggiò con una grazia tutta sua, la scintilla ammaliante a cui Derek non sapeva resistere e che per qualche miraggio burlesco la associava alle vesti di una volpe. , Stiles la rappresentava in pieno, in ogni sfaccettatura. «Come il Nemeton conosca perfettamente il mio cuore».

A Derek sembrò di precipitare da un dirupo.

Tutto quel tempo e quella marmaglia di branco mal assortito aveva sempre avuto ragione.

La risata ridacchiante di Stiles si prorogò per tutto il monolocale, divertita e piena di delizia, vagamente intenerita dalla sua reazione. «Ehy, Der» proferì con una nota vocale stracolma di affetto, protendendo le braccia e circondandogli il collo, mentre si issava sulle ginocchia del lupo. «Me li mostri i tuoi meravigliosi occhi?».

Se un attimo prima Derek era frastornato, in quell’istante era alla deriva. Ma non doveva spremersi troppo le meningi per capire a quali occhi in particolare si stesse riferendo, a quali nel suo sconcerto li avesse incoronati come meravigliosi. Lo Stiles cinquenne si era subito infatuato di loro e Derek non riusciva a farsene una ragione.

L’azzurro metallico si rifletté sulle perle dorate e vide nuovamente come Stiles se ne rinnamorò. «Non hai idea di quanto mi sia mancato questo blu» proferì l’umano con un groppo in gola, le falangi affusolate che si allungavano per indicare le gemme di zaffiro, sfiorando una palpebra inferiore. «È sempre stato il mio colore preferito, il più bello» il suo interesse fu totalmente calamitato su di esse e lo schiocco della bocca sulla palpebra destra il mannaro lo avvertì nella complessità della sua interezza. «Sono stati gli occhi con cui ti ho conosciuto, gli occhi per cui hai lavorato tanto, per riscattarti e redimerti. Sono gli occhi che ti hanno reso ciò che sei adesso, ciò che mi ha portato ad amarti» le corde vocali tremarono, ma si fecero più forti, più sonore ed imponenti. «Mi dispiace tu abbia perso il tuo stato di Alpha, ma questi sono i tuoi veri occhi, quelli che amo».

Derek non aveva mai manifestato un’incapacità respiratoria, nessun attacco di panico né di ansia, non aveva mai avuto un nodo alla trachea che gli impedisse di scambiare l’anidride carbonica con l’ossigeno, eppure in quell’istante stava avendo un epocale problema.

Con l’annebbiamento totale dei sensi, Derek si rese conto che, da quando aveva perso il suo stato di capo branco, non aveva più mostrato gli occhi del lupo a Stiles ed egli non era stato testimone del ritorno di quel colore che tingeva i loro albori.

Nessuno, eccetto sua madre, aveva cercato di elogiare i suoi occhi da Beta che si erano macchiati di sangue innocente; erano un marchio di fabbrica, una testimonianza per qualcuno che non conosceva neppure un quarto della sua storia. Derek aveva odiato la pigmentazione di quelle iridi del cielo dai suoi quindici anni e non era mai riuscito a specchiarsi per venire a patti con la loro esistenza. Ma poi era bastato che un bambino di cinque anni con le gemme del nettare degli dei lo risollevasse dalla dannazione a cui lui stesso si era condannato. E senza che il mutaforma ne prendesse coscienza, quegli stessi occhi del tormento delle sue colpe erano diventati l’incarnazione dell’amore unico che Stiles provava per lui.

Non era Derek ad essersi riscattato, era Stiles che si era adoperato in sua vece. «Hai rivalutato tutta la mia vita» disse in un eco del passato, parole similari sillabate nella notte trascorsa, quando lo supplicava di rientrare nella sua perenne quotidianità.

La bocca di Stiles si arricciò verso l’alto, lieta, felice e colma di gioia per quelle parole, per quella testimonianza che prendeva più terreno, più consistenza e materia. «Quindi, valgo la pena?».

Eccola lì, la sua bella volpe furba. Sfiorò la fronte con la propria, accarezzò il setto nasale con il suo ed assaggiò ingordo la consistenza delle labbra rosse che desiderava da due anni e che si schiusero nell’immediato sotto le proprie. Fu un instante in cui ogni mistero dell’universo, dell’intero cosmo, fu risolto. «Vali ogni cosa. Vali ogni atomo di me stesso».

Le braccia di Stiles scivolarono oltre le spalle forti e larghe, circondandogliele e nascondendo il viso contro il suo collo, mentre una mano affondava nei capelli corvini, incastrandosi tra le falangi ed una singola lacrima salata cadeva nel vuoto, dentro la maglia disusa della creatura della notte, depositandosi al centro del suo cuore e cristallizzandosi. «Anche tu, Derek, ne vali la pena».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ha qualcosa di poetico terminare questa storia, o qualsiasi altra li ritragga, proprio il giorno che per una ragione o per un’altra abbiamo destinato al compleanno del nostro lupo scorbutico per eccellenza. È Natale, è il compleanno di Derek e la sua storia si conclude con Stiles.

Abbiamo finito con uno Stiles vicino alla maggior età e il ricordo di uno Stiles di cinque anni che rimarrà nel cuore di Derek. Entrambi i loro percorsi sono importanti, paralleli, Derek in qualche modo è cresciuto con tutti e due, li ha conosciuti in sfaccettature diverse, eppure sapeva sempre riconoscere il suo umano come unico.

Ringrazio come di rito la mia Beta (EarthquakeMG) che ancora una volta si è prestata ad un ruolo che le è capitato per caso tanto tempo fa. Ringrazio chiunque si sia soffermato da queste parti, chi ha lasciato e lascerà qualche parola a questi due e alla storia, chi si limiterà a leggerla a bocca chiusa e chi ancora deve conoscerla.

Il tempismo mi permette di augurarvi un Buon Natale e felice anno nuovo.

Ed anche di rendevi partecipi di aver pubblicato una shot sul fandom de I Medici (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3812075), che in qualche modo ha fatto coincidere il mio antico amore, Merlin, con quello più attuale, Teen Wolf, per gli attori che vi sono presenti, perché il mondo è molto piccolo.

Alla prossima,

Antys

   
 
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