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Autore: My Pride    05/09/2009    9 recensioni
«È strano come certe cose cambino le persone.
Prima che tutto questo avvenisse, non avevo mai visto Oka-san comportarsi così
»
[ Missing Moment: Evento RoyEd Marriage del 10/10/10 { 30 } ]
[ Terza classificata al «Flash Contest» indetto da Addison89 { 14 / 20 } ]
[ Sesta classificata al «A contest, a rose and a story!» indetto da Roy Mustung sei uno gnocco { 26 } ]
[ Storia fuori serie: 16 { Dedicata a Red Robin }, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 25 { Dedicata a Red Robin }, 26, 27, 28, 29 ]
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio, Roy Mustang, Un po' tutti | Coppie: Roy/Ed
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shattered Skies ~ Stand by Me' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Heart burst into fire_Episode 21 Titolo: Tenere pesti (Distrazioni)
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist

Tipologia: One-shot [ 2415 parole ]
Personaggi: Roy Mustang, Jason Mustang & Figli
Genere: Slice of life, Sentimentale, Commedia
Rating: Giallo
Avvertimenti: Shounen ai, What if?



FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.



[ STORIA FUORI SERIE ] EPISODIO 21: TENERI PESTI (DISTRAZIONI)

    Dinanzi a me si prospettavano quattro giorni d’Inferno.
    Edward era a Reesembool, per la manutenzione del suo auto-mail, mentre io ero stato incastrato da nostro figlio di controllargli i bambini per un po’. Aye, i bambini. Quattro adorabili pesti frutto di tre notti di fuoco. Almeno non aveva lasciato le cose a metà, riconoscendoli tutti come suoi nonostante non si fosse deciso a sposare nessuna di quelle povere donne che aveva messo incinta. Se non fossi stato certo e stracerto che fosse adottato, avrei pensato che avesse davvero i geni Mustang, nelle vene. Non riusciva proprio a tenere il fratellino nei pantaloni. C’era da dire, però, che aveva fatto delle ottime scelte. Non significava certo che approvavo quel suo modo di fare, persino io avevo sempre fatto minuziosamente attenzione quando si era trattato di donne... e per fortuna, c’era da aggiungere. Chi l’avrebbe sentito a Edward, altrimenti! Certe volte veniva persino il dubbio che Jason fosse frutto d’una mia notte passata con una donna, tanta era la somiglianza e il modo di fare. Ma non era ciò a cui pensavo, in quel momento.
    Comodamente adagiato sul fondo della vasca, con l’acqua che mi lambiva i fianchi, riflettevo su come avrei potuto cavarmela con i miei nipoti. Solo, senza l’aiuto di Edward. Aveva scelto proprio un bel giorno per andare dalla sua cara meccanica, quel fagiolino! Sbuffando via un po’ di schiuma, mi portai le braccia dietro la testa, distendendomi meglio e lasciando che un piede fuori uscisse dall’acqua mentre abbassavo di più il capo per far sì che il calore ammorbidisse le cicatrici. Chiusi l’occhio e mi concentrai sul flebile scrosciare contro il bordo della vasca ai miei lievi movimenti, con il pensiero che vagava alla bottiglia di whisky adagiata sul pavimento.
    Quel momento di pace, però, fu infranto in poco. Un insistente bussare alla porta ruppe l’attimo e, riluttante, dovetti abbandonare quel bagno di tepore, arraffando l’accappatoio per asciugarmi alla bell’e meglio prima di passare ai vestiti e alla benda. Ancora umido, ci misi un po’ di più per infilare intimo e pantaloni, indossando la camicia sulla pelle ancora fumante e appiccicosa. Pensai ai primi bottoni strada facendo, mentre l’ospite inatteso continuava a bussare. «Arrivo, arrivo», borbottai, dirigendomi all’ingresso.
    Una volta aperta la porta, fui letteralmente investito da un tornado di colori e stature che portava svariati nomi. Eccole lì, le mie adorabili pesti. Seguite a ruota dal caro papà. «Ciao, ‘Ka-san», mi salutò, con quel sorriso strafottente su quella faccia da prendere a schiaffi. «Su bambini, salutate la nonna».
    Tutti avvinghiati a me, alzarono lo sguardo verso il mio occhio in contemporanea. «Ciao, nonna Roy!» esclamarono all’unisono, con lo stesso sorriso del padre. Inutile dire quanto quella situazione mi stressasse. Già in passato ero stato scambiato per una nonnina, esserlo davvero, adesso, era un altro paio di maniche. Stavo invecchiando sul serio, purtroppo.
    Mi piegai sulle ginocchia, abbracciandoli uno ad uno, soprattutto le mie gemelle preferite e anche l’unico ometto di casa, che sembrava un po’ contrariato.
    «Niente dolci prima delle sette ‘Ka-san», mi informò Jason, entrando con una sacca più grande di lui. «Chi le sente alle mie mogli, poi!»
    Ridacchiai, non riuscendo a farne a meno mentre seguivo la sua figura. Stava posando la sacca accanto al mobile, seguito dal figlio e da una delle figlie. «Me la vedo io, non preoccuparti», lo rassicurai, incontrando i suoi occhi azzurri.
    «Appunto per questo ti avverto», scherzò, scompigliando i capelli della maggiore delle figlie, che non tardò a far sentire le sue proteste.
    «Sono grande, papi, smettila!» esclamò, cercando invano di sistemarseli. Un morso di bambina e già si atteggiava ad adulta! Aveva proprio preso il gene Elric, non c’erano dubbi. Da poco aveva compiuto i sei anni, ed era, se la si voleva mettere in quei termini, la secondogenita. Era la figlia della figlia di Alphonse, ed era stato arduo calmare il caro fratellino del mio compagno, quando aveva saputo che Jaz aveva messo incinta la sua bambina.
    «Lo so che sei grande, Beth, ma resti sempre la mia piccina», fece Jason, prendendola in braccio e strofinando il naso contro il suo; l’altro si imbronciò e gli strattonò il pantalone, così lui abbassò lo sguardo, sorridendo. «Non fare il geloso, Will», disse, ricavandoci solo un altro colossale broncio. William, sette anni: stranamente alto per la sua età, era il gallo del pollaio e spettava a lui occuparsi delle sorelline. Capelli scuri, occhi azzurri... sputato al padre.
    «Mica sono geloso», replicò, ma la sua espressione diceva il contrario, così Jason sorrise di nuovo, passandogli un braccio dietro alla schiena in perfetto stile padre premuroso. La scena mi fece sorridere, ma non potei osservarla oltre che fui richiamato da due manine che mi tiravano la camicia. Mi voltai, incontrando gli occhi delle gemelle.
    «Dopo ci racconti una ‘toria, nonnina?» mi chiesero all’unisono, con quel dolce faccino.
    Come avrei potuto dire di no? Amber e Sarah, quattro anni: capelli lunghi, castani, avevano preso dalla madre. Solo gli occhi erano quelli di Jason. Me le abbracciai entrambe, issandomele subito dopo in braccio. «Tutte le storie che volete», concessi, venendo subito richiamato dal padre.
    «So quali sono le tue storie, ‘Ka-san, me le traumatizzi», sghignazzò, ritornando sui suoi passi per darmi una leggera pacca sulla spalla. «E cercate di non fare tardi la notte».
    «Alle otto i miei due angioletti saranno già a letto, promesso», dissi, nonostante le proteste che subito si lasciarono sfuggire le dirette interessate.
    Jason, invece, sollevò divertito un angolo della bocca. «Io non lo dicevo per loro, ma per te», ribatté sarcastico. «Sessant’anni sono sessant’anni».
    Storsi la bocca in una smorfia, quasi fossi stato pugnalato. «Non mi piace sentire la mia età, lo sai» mi lagnai come un bambino capriccioso. E quelli erano gli unici momenti in cui potevo ancora sentirmi tale.
    Jason rise, dandomi un’altra pacca sulla spalla. «Dai, dovresti farci i conti prima o poi», sghignazzò, sollevando ammiccante un sopracciglio prima di avvicinarsi maggiormente a me, più precisamente al mio orecchio. «Ma penso che te lo faccia già notare ‘To-san quando in quei rari momenti andate a letto, vero?»
    «Siamo entrambi in forma smagliante, quando si tratta di quello», replicai, sentendolo sghignazzare ancora un po’, troppo divertito.
    «Io non volevo insinuare nulla», ridacchiò, passandomi distrattamente due dita sul mento per accarezzare la barba che mi stavo facendo crescere. «Questa faresti bene ad eliminarla, però», constatò pensoso, e io gli scoccai un’occhiataccia.
    «Volevo farmi crescere i baffi», ironizzai, guadagnandoci un’occhiata stranita.
    «Staresti peggio!» esclamò divertito, agitando distrattamente una mano, dando un bacio alle gemelle prima di premurarsi di fare lo stesso con Elisabeth e William. «Fate i bravi», raccomandò, salutando poi anche me. «Ci vediamo sabato, ‘Ka-san», mi informò, e con quel solito sorriso se ne andò, agitando divertito la mano. Non era cambiato affatto, anche a trent’anni restava tale. Avrei affermato con certezza che si trattasse di una cosa di famiglia.
    Solo con i miei nipoti, adesso, non mi toccava altro che trovar loro qualcosa da fare. Mancavano tre orette all’ora del sonnellino, quindi potevo intrattenerli con la tanto agognata fiaba che avevano richiesto le gemelle. «Che ne dite di un bel gelato?» chiesi subito, richiamando presto la loro attenzione.
    William mi osservò, un po’ scettico. «La mamma non me lo fa prendere se non mangio», mi disse, guardandomi con quegli stessi occhioni azzurri che, tanti anni orsono, mi avevano catturato.
    Sorrisi, però, nel vedere invece l’espressione indecisa sul suo volto. «La mamma non c’è, no?» feci in risposta, facendo cenno ai maggiori di seguirmi in cucina, con le gemelle ancora avvinghiate al mio collo.
    Elisabeth e William mi trotterellarono dietro, la mia nipotina sembrava ansiosa di gustarsi un bel gelato fuori orario. «A me crema al limone, nonnina», mi informò, aspettando che aprissi il frigorifero. Mi evitai di ridacchiare, e lo feci solo perché poi si intromise anche William.
    «Io lo voglio al cioccolato», fece invece lui, infischiandosene in un lampo delle regole della madre. Dovetti chinarmi per far poggiare i piedi a terra a Sarah e Amber, che mi si aggrapparono invece ai pantaloni.
    «Dai, nonnina, muoviti!» si lamentarono, sempre in coro.
    «Un momento, un momento», replicai con un sorriso.
    Pronti i gelati per tutti, ci accomodammo in salotto, con un libro d’alchimia sottobraccio e un bicchiere di whisky sul tavolino. Ciotole di gelato alla fragola, al cioccolato, al limone e alla stracciatella si paravano lì accanto, con una bella spruzzata di panna e cialde. Avidi, i miei nipotini cominciarono a consumarle, e le più piccole non tardarono ad inzaccherarsi.
    «Voglio sentire la storia sui fratelli che cercano la pietra filosofale», incalzò Elisabeth, tirandomi la camicia per farmi cedere a quella richiesta. Già, le mie storie si basavano quasi sempre su avvenimenti realmente accaduti. Quella era nata così, per caso. Nemmeno ricordavo esattamente come. Un piccolo litigio con Edward su chissà cosa, ed ecco che mi ero ritrovato a raccontare la sua vita come una fiaba da tramandare ai nipoti. E non gli era affatto dispiaciuto, anzi.
    «Racconta quella dei due amici che rubavano negli armadietti dei capitani!» fece in risposta William, guadagnandoci un’occhiataccia dalla sorella. Anche quella era una storia di vecchia data. Molto vecchia, per essere precisi. Nata la prima notte che avevamo passato con Jason, la ricordo bene. Non sapendo su che specchi arrampicarmi, mi ero ritrovato a raccontargli di quando io e Maes, ai tempi dell’Accademia, scassinammo l’armadietto del nostro capitano e ci avevo rimediato anche una ramanzina da Edward. Proprio lui, poi, aveva attaccato con l’alchimia. La stessa alchimia che tanto era piaciuta a Jason, ora alchimista di stato come noi. Fiero anche di dire che ero stato io
a sottoporlo all’esame e a consegnargli di persona quella carica, iinvestendolo di quelle alte onorificenze. Aye, proprio io, il nuovo Comandante Supremo!
    A distrarmi dai miei pensieri di gloria, fu il battibecco fra William ed Elisabeth che stavano bisticciando su chi avesse ragione, praticamente ignorati da Amber e da Sarah che si godevano, a differenza loro, il gelato. Una delle due mi gettò un’occhiata, con il musetto sporco di panna. «Nonnina, perché non ci leggi il libro d’acchimia?» mi chiese, angelica come non mai. Ed era strano, visto che insieme alla sorellina era una vera e propria miniera di caos. Ne combinavano sempre una più del Diavolo. Solo in rare occasioni erano calme, giusto quando si avvicinava il momento del riposino. Il giorno dopo, invece, mi sarei ritrovato a fare i conti con due pesti scatenate!
    Sorridendo alla mia cara, quanto pestifera Amber, allungai di poco il braccio per prendere il libro, interrompendo così il litigio tra i due maggiori.
    «Ma no nonnina!» si lagnarono, non appena lo videro.
    «‘Ti, invece!» rincarò la dose Sarah, accoccolandosi contro di me con la faccia sporca di gelato alla fragola.
    Glielo ripulii, troppo divertito. Mi sembrava di essere tornato ai tempi in cui era Jason quello che si sporcava sempre. Ai miei cari, vecchi, trent’anni... scossi la testa, preparandomi ad una bella e profonda lettura.
    «Leggi nonnina, leggi!» mi scosse Amber, ancora in ginocchio sul divanetto.
    Risi tra me e me, felice per quel loro interesse. Sarebbero diventate alchimiste provette, un giorno. Ci avrei messo la mano sul fuoco. Mi sistemai meglio sul morbido divano, attirandoli tutti a me prima di cominciare a sfogliare le prime pagine alla ricerca di un argomento non troppo pesante prima di apprestarmi a leggere, con i loro sguardi puntati su di me. Domande varie non mancarono, così come alcuni sbuffi da parte di Will o Beth. Le uniche davvero interessate erano le mie gemelline, e non lo trovavo affatto strano. Finché una di loro non sbadigliò sonoramente, interrompendo la mia lettura.
    Guardai i volti assonnati delle mie piccine e allungai distratto un braccio per afferrare l’orologio sul comodino, controllando così l’ora e restandone stupito. Erano quasi le dieci. Il tempo era davvero volato e non avevamo nemmeno mangiato qualcosa... se si escludeva il gelato, ovviamente. Chiusi il libro con uno schianto secco, sbadigliando a mia volta senza ritegno prima di guardarli ad uno ad uno.
    «Ce la fate a restare svegli mentre preparo da mangiare?» chiesi, ricevendo sguardi e sbadigli. William annuì, così come Elisabeth, anche se lei sembrava più addormentata. Amber e Sarah, invece, si limitarono solo a spalancare la bocca in un ennesimo sbadiglio. Scompigliai i capelli del maggiore alzandomi, stiracchiandomi poi. «Bada a loro, Will, okay?» mi premurai, sgranchendomi il collo.
    Sorridendomi, lui si alzò un po’ e, calandosi nell’imitazione d’un soldato, fece il saluto militare. Tutti quella strada in famiglia, eh? «Ci penso io, nonna. Anzi, no, Eccellenza», disse, atteggiandosi già a grand’uomo.
    Stavolta non potei evitarmi di ridacchiare e mi diressi in cucina per preparare un pasto leggero, tenendo conto sia dell’ora che della loro età. Chi l’avrebbe sentito Jason, altrimenti! Ci misi non più di dieci minuti e, quando li chiamai, si presentò solo William. «Le tue sorelle?» gli chiesi perplesso, seguendolo con lo sguardo e mettendogli poi il piatto davanti.
    Lui si strinse nelle spalle, tranquillo. «Dormono», rispose semplicemente, avventandosi subito dopo sul cibo, famelico.
    Andai a dare un’occhiata alle altre e, trovandole tutte accucciate sul divano, mi intenerii alla scena. Decisi di prenderle in braccio ad una ad una, portandole almeno nel letto. Non ebbi il cuore di svegliarle. Dormivano troppo saporitamente. Me ne tornai quindi da William, consumando la cena con lui finché non fu tempo anche per noi di coricarci accanto alle sorelle. Attesi che crollasse anche lui nel mondo dei sogni, vegliando sul loro sonno.
    Mi accorsi di essermi addormentato anche io solo quando qualcosa di caldo e morbido si posò su di me, ridestandomi pian piano. Schiusi lentamente la palpebra e, con l’occhio ancora assonnato, mi parve di scorgere gli occhi di Edward che luccicavano appena nella penombra. Che ci faceva lui a casa? Che stessi ancora sognando? Lo diedi per scontato e sbadigliai, tornando a chiudere l’occhio mentre sentivo stretti a me i corpi e le braccia dei miei nipoti.
    Nelle orecchie mi risuonò una vaga risatina divertita, prima che delle labbra morbide e piene mi sfiorassero appena il viso. Un respiro sul collo, nell’orecchio. Il suono delle giunture di quell’auto-mail che tanto avevo imparato a riconoscere... poi la sua voce, come un’eco sussurrato in un sogno. «Dormite bene».







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