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Autore: Severa Crouch    23/07/2023    2 recensioni
Questa storia partecipa alla challenge di scrittura “Torneo Tremaghi, Harry Potter edition” indetto dal gruppo Facebook “L’angolo di Madama Rosmerta”.
In un universo in cui Roland Lestrange e i suoi fratelli, Roddie e Rabastan, sono cresciuti in Francia con i cugini Philomène e Cyrille e hanno frequentato l'Académie de Magie de Beauxbâtons, l’arrivo del Torneo Tremaghi offre loro la possibilità di andare in Inghilterra e conoscere Hogwarts, la scuola di magia frequentata dai loro genitori. Come sarà il ritorno in Inghilterra dopo la caduta di Lord Voldemort?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Lestrange, Nuova generazione di streghe e maghi
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo 6 - Di figlie e di padri



 

La carrozza di Beauxbatons era deserta. Gran parte degli studenti dell’Accademia di magia francese si era riversata sui prati di Hogwarts approfittando del bel tempo. Era stato un anno difficile per l’intera delegazione: tra un autunno e una primavera piovosi, c’era stato un inverno gelido, al punto che il bel clima dell’accademia con gli incantesimi di Perenelle che rendevano sempre tiepida e piacevole l'aria, era diventato un lontano ricordo. Non era strano che, ai primi raggi d'un sole tiepido, l’intera delegazione fosse corsa a godere del tepore e dell’aria fresca.

“Dove sono finiti tutti?” 

“Ovviamente sono al sole,” disse Cyrille indicando con lo sguardo le finestre che affacciavano sul prato. Intorno al Lago Nero, qualcuno aveva improvvisato un pic-nic con una baguette e del formaggio.

“Per Flamel, è la cosa più francese che vedo da mesi!” Il sospiro di Roddie strappò un sorriso a Philomène che aggiunse: “Andiamo anche noi, chissà cosa mi accadrà in questa terza prova. Potrebbe essere il mio ultimo pic-nic.”

Intorno a lei, gli sguardi di suo fratello e dei suoi cugini si spensero. Roddie balbettò: “Non dire così.”

“Già. Sei fortissima,” aggiunse Cyrille. “Il Calice ti ha scelta, dopotutto.”

Philomène annuì, infilò la mano nella tasca dell’uniforme ed estrasse il foglio di pergamena piegato in quattro. Lo guardava dal mese di febbraio a momenti alterni. Per i primi tempi lo aveva tenuto sempre aperto sulla propria scrivania, sperando che magicamente potesse comparire un indizio della terza prova. Non era mai comparso nulla. Persino in quel momento, a poche ore dall’inizio della prova, il foglio continuava ad essere bianco. Roddie era stato il solo ad essere fortunato con l’indizio, a scoprire per tempo cosa avrebbe dovuto affrontare e prepararsi in modo adeguato. Roland e lei non erano stati altrettanto fortunati.

Il bussare alla porta della carrozza la distrasse dai pensieri. Intravide solo lo sguardo sorpreso di Roland e poi l’esclamazione di Cyrille alle sue spalle: “Mamma!”

Philomène si voltò incredula e felice. Non appena incontrò il sorriso di sua madre, le si lanciò tra le braccia esclamando: “Maman!” Fu così confortante, dopo tutti quei mesi, ricevere la stretta di quelle braccia sottili e sentire nuovamente il profumo di sapone di Marsiglia e lavanda della sua veste da strega. “Ma petite…” le sussurrò dolcemente prima di darle un bacio sulla fronte, proprio all'attaccatura dei capelli. 

“Vieni, mamma, ti mostro la scuola di papà,” disse Cyrille intromettendosi e aprendo la porta della carrozza. “Un attimo, cherie, lasciami salutare la nostra Campionessa.” 

Philomène si staccò da quella presa quando intravide lo sguardo di Roddie, le labbra strette in un sorriso che non riusciva ad allargarsi del tutto perché anche lui avrebbe voluto ricevere lo stesso abbraccio da zia Alex. 

“Andiamo, maman.” 

Philomène fece strada oltre la carrozza, nei giardini affollati. Socchiuse leggermente gli occhi, la luce del sole era così forte che l’abbagliava. Le dita erano intrecciate a quelle di sua madre che si guardava intorno incuriosita.

“Non credevamo che saresti venuta, zia,” disse Roland, riprendendo il filo del discorso. Pucine rise divertita: “Non mi sarei mai persa la finale del Torneo Tremaghi,” lanciò uno sguardo al nipote e aggiunse: “Senza contare che sono l’unica senza un mandato di cattura sulla testa. Vi porto i saluti di tutti, naturalmente. Siamo estremamente orgogliosi di voi e, Roland, sei stato coraggiosissimo nella tua prova, veramente eccellente. Rodolphus non smetteva di ripetere che hai dimostrato di essere un Lestrange in tutto e per tutto.” Si voltò verso Roddie e aggiunse: “Più tardi, io e te dovremo fare un discorsetto perché non posso riferirti adesso le esatte parole che sono state utilizzate per commentare la tua prova.”

Philomène vide il cugino stringersi nelle spalle, imbarazzato. Quella scelta lo stava perseguitando fin dall’inizio della loro esperienza, ma dopo tutto, come insegnava suo padre, “le Arti Oscure esigono sempre un prezzo da pagare.”

“Oh, ma che bel quadretto familiare!”

La voce stridula di Rita Skeeter interruppe i loro discorsi. Li aveva fermati nel mezzo del sentiero che portava al castello, la cui facciata si stagliava alle spalle di quell’orribile strega in un completo giallo canarino pieno di discutibili piume viola. Sorrideva come un predatore che sta per mettere i denti su una preda succulenta. Le dita di sua madre si strinsero leggermente intorno alle sue, evidentemente infastidita dall’interruzione.

“Rita,” la salutò con la voce severa e fintamente gentile che riservava solo alle persone che detestava. Philomène si voltò ad osservare la madre e notò, al di là delle apparenze, la mascella leggermente indurita, gli occhi vigili e puntati sulla Skeeter.

“Mi sento quasi in famiglia,” esclamò divertita. 

Philomène si sentiva a disagio. Cercò prima Roland, poi Roddie con lo sguardo ma entrambi strinsero le spalle, dimostrando di saperne quanto lei. Alle sue spalle, Rabastan e Cyrille si davano delle gomitate. Quei due pettegoli dovevano avere delle informazioni esclusive ed erano troppo lontani perché riuscissero a condividerle senza che sua madre intervenisse.

“Oh, non ti azzardare nemmeno a sognare una cosa del genere. Tu con la nostra famiglia non c’entri niente, non ne hai mai fatto parte.”

“Perché non l’ho voluto, Pucine, perché questa recita della mamma modello non fa per me.”

“Allora sparisci. Lui non c’è.”

Rita allargò ancora di più il suo sorriso, si limitò a dire: “Benissimo, ma una foto della Campionessa con la sua famiglia, non al completo, la scattiamo per la Gazzetta del Profeta. Sono sicura che in Francia vorranno vedervi tutti insieme.”

Le dita di sua madre si sciolsero dalla presa e vide la sua figura raddrizzarsi, pronunciare il “Trés bien,” che in realtà significava basta che la finiamo con questa sciocchezza, che utilizzava sempre quando zio Corvus e zia Balbine li andavano a trovare. Il braccio le cinse le spalle, mentre posava elegante, sorridente, orgogliosa, come una vera aristocratica, tra i suoi figli e nipoti. 

Subito dopo lo scatto, si allontanarono dalla giornalista. Attesero di essere sufficientemente lontani dalle orecchie indiscrete della Skeeter prima che Pucine si lasciò andare a un commento: “Come ha osato rivolgermi la parola… Quella… megera!

Philomène continuava ad osservare la madre nella speranza che si lasciasse andare a un commento che le fornisse un indizio in più. Sicuramente, le due donne si erano conosciute in passato e non correvano buoni rapporti. Fu Cyrille a risolvere il mistero: “Potevamo dirle che se vuole un Rabastan, c’è lui.” Pucine lo fulminò con lo sguardo. “Non dirlo nemmeno per scherzo! Povero Rab, finire tra le grinfie di quella donnaccia!”

“Hai visto come è rimasta male nel vedere che c’eri solo tu? Sicuramente ha atteso il momento per avvicinarsi e chiedere se papà fosse qui.”

“Vuoi dire che?”

Cyrille allargò un sorriso obliquo, perfido: “È la ex fidanzata di papà, non lo sapevi?” Si sentì meno in colpa quando vide lo stesso stupore sui volti di Roland e Roddie; quest’ultimo, poi, proprio come lei era inorridito al pensiero. 

Cyrille, a differenza dei cugini, sembrava trovare l’argomento divertente. “Pensa, se papà avesse sposato lei quando erano in Inghilterra, a quest’ora magari avevi il suo stesso gusto nel vestire.”

“Per tutti i draghi, che orrore!” Philomène e Roddie lo esclamarono in sincrono, con il medesimo tono disgustato, strappando una risata a Pucine che aggiunse: “Oh, non c’era pericolo, tua nonna Philomène lo avrebbe impedito anche dopo la sua morte.”

“Nonna Philomène, però, non approvava nemmeno Bellatrix,” aggiunse Rabastan che dava corda a Cyrille. “Eppure papà l’ha sposata lo stesso.”

“Per quanto fossero due streghe discutibili…” esordì Pucine, “Bellatrix era una Black e questo faceva tutta la differenza del mondo.”

“Pensa, papà avrebbe sposato una Mezzosangue, a quest’ora oltre all’armadio, anche il tuo sangue…” continuò Cyrille al punto da far venire i brividi a Philomène. 

“Smettila di tormentare tua sorella con queste sciocchezze! Ricordiamoci che a breve avrà una prova da affrontare e deve rimanere calma e concentrata!”

Philomène aveva quasi dimenticato la prova, si era rilassata al pensiero di essere in compagnia di sua madre, del fratello e la presenza dei cugini era rassicurante.

“La mamma sarebbe piaciuta alla nonna?” domandò Roddie, incerto. “Insomma, non è una Black.”

Pucine si voltò verso il nipote e gli prese il volto tra le mani. “L’avrebbe adorata. Alex ha l’educazione da lady Purosangue che tua nonna auspicava avesse la futura Madame Lestrange. È un vero peccato che non l’abbia vista con tuo papà, ma soprattutto che non abbia avuto l’occasione di vedere suo figlio finalmente felice con una moglie che lo ama, circondato da figli deliziosi.” Roddie si strinse alla zia e Philomène vide la mamma accarezzare i ricci neri del nipote e sospirare: “Tua nonna non era così ostinata con i cognomi, l’importante era che fosse Purosangue, educata e con la stoffa e il portamento di una lady. Purtroppo, tuo nonno si è messo di mezzo e il risultato lo conosciamo. Eppure, come dice sempre tua mamma, tutto quel percorso era necessario, in qualche modo, perché lei e Rod si trovassero e non dimentichiamo Orion che dovrebbe essere già qui.”

Tutti loro si guardarono intorno sorpresi. Il volto di Roland era improvvisamente diventato raggiante nel momento in cui aveva assorbito la notizia. Alle loro spalle, la voce di Orion esclamò: “Vi cercavo alla carrozza! Eric mi ha detto di avervi visto venire verso il castello!”

“Orion!” 

Roland, Roddie e Rabastan si avventarono sul fratello che non risparmiò abbracci e pacche sulle spalle. Anche lui guardò Roddie e gli disse: “Io e te dobbiamo fare un discorsetto…”

“Desolée, Mademoiselle Lestrange, mais…” 

Philomène alzò lo sguardo verso l’ombra della preside e annuì. Non credeva che il tempo con la sua famiglia sarebbe trascorso così velocemente. “È giunto il momento che mi congeda da voi e che raggiunga gli altri Campioni Tremaghi, suppongo.”

“Più o meno, mi segua.”

“Un attimo, Madame Maxime!” Philomène spostò lo sguardo da quello preoccupato di sua madre ad Orion che si allontanava dai suoi fratelli per raggiungerla. “Mi permetta di salutare mia cugina un istante!” Madame Maxime alzò gli occhi al cielo senza riuscire a trattenere un sorriso: adorava Orion e lo ricordava come uno degli studenti più talentuosi ed educati dell’Accademia. Negli occhi della direttrice, ogni volta che riceveva aggiornamenti sulla brillante carriera di Orion al Ministero della Magia si leggeva dell’orgoglio. Philomène aveva decifrato quegli indizi fin dal suo primo anno di Accademia quando la sua cotta infantile per il cugino iniziava a scemare per lasciare il posto a un affetto sincero. 

Le mani di Orion si posarono sulle sue spalle e Philomène vide gli occhi marroni del cugino e il suo sorriso ampio e accogliente, proprio come quello di zia Alex, sotto una spruzzata di lentiggini e un caschetto di capelli color paglia. La figura longilinea di Orion lo costringeva ad incurvarsi per raggiungere l’altezza degli occhi della cugina. “Mi raccomando, Phi, sappiamo tutti che puoi farcela.” 

La mamma si unì a loro aggiungendo: “Pensa solo che, comunque vada, sei già una Campionessa Tremaghi e tutti noi ne siamo orgogliosi.” 

Philomène soffermò un attimo lo sguardo su Cyrille e Rabastan che avevano smesso di ridacchiare, lo spostò su Roddie e Roland, gli unici in grado di capire il suo stato d’animo. Un po’ in disparte, Eric la osservava, troppo timoroso di farsi avanti e conoscere sua madre in qualità di fidanzato e, in qualche modo, rubare la scena al Torneo. 

Ci sarebbe stato tempo, dopo, per le presentazioni e progettare un futuro che contemplasse la fine dell’Accademia e l’inizio della vita adulta. Il pollice in su, in segno di incoraggiamento e il sorriso che aveva sempre amato, era tutto ciò di cui necessitava per poter affrontare quella prova. Annuì e si congedò dalla sua famiglia dicendo: “Ci vediamo dopo la prova.” 

Furono sufficienti pochi passi in direzione del castello perché il suo animo tornasse a concentrarsi. La mano corse immediatamente alla tasca dell’uniforme: la bacchetta e la pergamena erano ancora presenti. 

“La nostra pergamena era vuota. È normale che fosse così?” 

“Perfettamente normale, mi segua.” 

Era un ultimo controllo, fatto per scrupolo, mentre entravano nella Sala Grande, affollata di studenti che sembravano interrompere le loro conversazioni non appena videro la solenne ed elegante figura di Madame Maxime. Dallo sguardo della Direttrice, era chiaro che non approvava quel clima svagato e poco armonioso. C’erano altri standard a Beauxbatons e le brutte maniere inglesi erano state oggetto di diverse puntualizzazioni nel corso dell’anno. Non si fermarono nella Sala Grande, ma la oltrepassarono entrando in una porticina di legno posta al margine del tavolo dei professori. Dall’altra parte della stanza, Rita Skeeter la osservava con attenzione. Allontanò i pensieri su suo papà e il passato con quella donna

Si ritrovarono nella saletta in cui era avvenuta la pesa delle bacchette. 

Gli altri Campioni Tremaghi sembravano spaesati tanto quanto lei. Si guardò intorno e non riusciva a cogliere elementi che potessero darle degli indizi. Sembrava che in quella stanza i direttori delle tre scuole avessero cenato, o forse erano quelli del ministero ad aver cenato in disparte, ma perché gli elfi domestici non avevano finito di riordinare?

“Benvenuti per l’ultima prova del Torneo Tremaghi,” il delegato del Ministero della Magia la costrinse a prestare attenzione. “La vostra prova inizierà bevendo questa pozione,” annunciò indicando i tre calici che erano sul tavolo di legno. Evidentemente, non stavano cenando e quei calici erano l’inizio della prova.

“Non vi succederà nulla di male,” li rassicurò la Preside di Hogwarts, Minerva McGranitt. Philomène osservò Madame Maxime che le fece cenno di bere con un leggero segno di assenso del capo. Si augurò che il sapore non fosse pessimo.

Buio. 

Luce. 

Una luce abbagliante. 

Philomène aprì gli occhi e il riverbero del sole le fece quasi male, li richiuse per proteggersi da tutta quella luce. “Buongiorno, stellina, vogliamo alzarci e concludere questa buffonata?”

Quella voce. Come poteva essere a Hogwarts? 

Si alzò. 

Le sue mani erano a contatto con l’erba e il primo pensiero fu di essere stata più fortunata di Roland con la sua esperienza nelle fogne. Aprì gli occhi per accertarsi di non essere impazzita. Forse la pozione che le avevano fatto bere le provocava allucinazioni.

Eppure, non c’erano dubbi: i capelli argentei, gli occhi grigi, quell’aspetto altezzoso e sfrontato al tempo stesso, la luce crudele negli occhi. 

“Delphini? Ma cosa ci fai qui?” 

La osservò meglio e notò le sembianze incorporee, l’incredulità aumentò ancora di più. 

“Ma… sei morta?”

Di fronte a lei, Delphini scoppiò a ridere. Dal modo in cui la guardava, la stava prendendo in giro. “Non dire sciocchezze! Ho fatto un patto con le Arti Oscure, mi sto spingendo dove nemmeno mio padre si è spinto!”

“Ma… sembri un fantasma!”

“Ho bisogno di tempo e di poter superare tutti gli ostacoli che un corpo fisico incontra. Non sono un fantasma! Nemmeno il Ministero saprebbe classificarmi e credo che non esista una definizione per questo stato…”

“Quindi, non sei morta?”

“No, posso riprendermi il mio corpo quando voglio. Posso trascorrere anche un secolo in questa forma e poi riprendere il corpo e ritornare come se non fosse trascorso nemmeno un secondo.”

“Quindi il tuo corpo non invecchia?”

“No, rimane sospeso in uno stato di attesa.”

“Non credevo fosse possibile, è… incredibile!” 

Il sorriso di Delphini si allargò. “Certo che è incredibile! Sono la figlia del Signore Oscuro, posso fare cose che le streghette mediocri come te non riescono nemmeno a immaginare!”

“Ehi! Io non sono una streghetta mediocre, sono una Campionessa Tremaghi!” Philomène si alzò da terra e con un colpo di bacchetta rimosse lo sporco dalla sua uniforme. Portò all’indietro la treccia in cui aveva acconciato i capelli e osservò Delphini. Era difficile definirla. Non erano cugine e, certamente, non erano amiche. Eppure erano cresciute insieme da che ne aveva memoria. Suo padre la invitava spesso nella loro casa francese, mandando su tutte le furie zio Rodolphus. Altre volte, organizzava viaggi sull’isola di Lewis dove abitava Delphini con la sua tata, Euphemia Rowle. A lungo, erano state in competizione per le attenzioni di Orion ed era solo uno degli innumerevoli motivi per cui Delphini Riddle non le piaceva per niente.

“E allora vediamo di chiudere questa pantomima ridicola! Con tutta questa gente, io non riesco a portare avanti i miei piani.”

“Che piani?”

“Riportare in vita mio padre e mia madre, mi pare ovvio.”

Philomène le rivolse uno sguardo canzonatorio: “Oh, e io che credevo che una strega potente come te volesse conquistare il mondo. Invece, vuoi solo la mamma e il papà…”

Lo sguardo di Delphini si fece serio. “Ringrazia che sono incorporea, altrimenti ti farei pentire amaramente della tua insolenza.”

“Tu sai dove siamo?”

“Siamo nella Foresta Proibita.”

Philomène assimilò l’informazione. Orientarsi era impossibile, non c’era alcun punto di riferimento al di là della luce del sole. Guardò le ombre degli alberi e sospirò: doveva essere mezzogiorno. Poi, si ricordò dell’umidità del clima scozzese e osservò meglio i tronchi degli alberi: il muschio indicava sempre il nord, poteva orientarsi! Ma in relazione a cosa? 

La Coppa Tremaghi poteva essere in qualsiasi punto di quella Foresta.

“Guarda che dopo il tramonto, la situazione diventa poco piacevole,” le ricordò Delphini. “Non vorrei che il tuo visino delicato venisse sfigurato da un Lupo Mannaro!”

“Smettila.”

Delphini ridacchiò. “Non ci penso nemmeno, sei il mio passatempo.”

Philomène estrasse la bacchetta e tentò di evocare un incantesimo di localizzazione. “Trova la Coppa Tremaghi,” sussurrò alla bacchetta. Sottovoce, Delphini commentò: “Ridicola…” La bacchetta non si mosse, segno che la posizione della Coppa Tremaghi era stata occultata. “Era un tentativo che meritava di essere esplorato,” ribatté piccata. Da qualche parte, c’era una giuria che l’osservava. Al di là della presenza fastidiosa di Delphini, Philomène doveva dimostrare la propria abilità magica. Forse, avrebbe lasciato senza parole anche la sua compagna di avventure.

Si incamminò verso la direzione che le sembrava produrre un sentiero, era sulla sua destra, in direzione est, in modo che il passare del tempo le avrebbe dato il sole alle spalle e delle migliori condizioni di luminosità. Nonostante tutto, lei inseguiva la luce.

“Mi sono accorta di non avere né cibo né acqua.” Delphini scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. “Ti aspettavi di fare una scampagnata, Lestrange?”

“Sta’ zitta, Riddle…” Philomène continuò ad andare avanti mentre la figura di Delphini le fluttuava accanto improvvisamente silenziosa. Il frinire delle cicale si era interrotto, gli uccelli in quella zona della foresta avevano smesso di cinguettare e sembrava che vi fosse avvenuto qualcosa di terribile. Philomène strinse la presa della bacchetta e si mise in allerta.

“Non è possibile…” mormorò sottovoce mentre un unicorno si afflosciava al suolo ferito. Alle spalle della creatura, la sagoma di un’Acromantula. Philomène ebbe l’istinto di avvicinarsi all’animale, ma Delphini esclamò: “Stai scherzando, vero?”

Per quanto detestasse ammetterlo, Delphi aveva ragione. Non c’era rimedio al veleno dell’Acromantula e se solo avesse soccorso l’unicorno, si sarebbe aggiunta come secondo spuntino di quel ragno gigantesco. “Mi dispiace,” disse solo mentre si allontanava da quel posto cambiando direzione, cercando di andare il più lontano possibile dall’Acromantula che sembrava non gradire l’idea di rinunciare a una seconda preda. Ci fu un verso stridulo, cui seguirono rumori di zampettii: stava chiamando i suoi figli, gli altri ragni.

“Presto, allontaniamoci di qua,” esclamò iniziando a correre mentre Delphini fluttuava al suo fianco. Philomène correva con tutto il fiato che aveva in corpo. Di tanto in tanto lanciava un’occhiata alle sue spalle e notava come la distanza con i ragni si faceva sempre più ridotta. Erano moltissimi, giganti, pelosi, con quelle chele che uscivano dalla bocca e si muovevano ritmicamente sotto gli occhi neri e famelici. 

Presto iniziò a mancarle il fiato e dovette fermarsi bruscamente quando il sentiero si interruppe su uno strapiombo. Sotto di lei, rocce e un torrente che scendeva dalle montagne che, nonostante fosse giugno inoltrato, avevano le cime innevate. 

Le Acromantule si stavano avvicinando, aveva poco tempo per prendere una decisione e nessuna possibilità di cambiare strada. Chiuse gli occhi e si gettò nel dirupo sperando di riuscire ad attutire la caduta grazie alla magia.

L’Arresto Momentum non funzionò fino alla fine. I versi di disappunto dei ragni finirono per distrarla e cadde malamente nell’acqua gelida del torrente. “Per tutti i draghi, Lestrange… Nemmeno un incantesimo banale,” commentò Delphini, esasperata. I ragni la tenevano d’occhio correndo lungo il bordo del dirupo, alcuni stavano scendendo con le loro zampette lungo la parete rocciosa. 

Fu in quel momento che abbandonò ogni remora e si lasciò trasportare dalla corrente del torrente gelido. Presto le Acromantule scomparvero dalla vista, il torrente deviò grazie a qualche rapida. Le rocce presenti sul fondo sbattevano violentemente contro il suo corpo, ma l’incantesimo difensivo che era riuscita a evocare le creava una barriera che rendeva quei colpi inoffensivi. 

La corrente rallentò in una radura in cui le cicale frinivano e il sole illuminava l’erba. Su alcune margherite, delle api svolgevano il loro lavoro di operaie. Era il posto perfetto per fermarsi e asciugarsi. Guadagnò la riva e approfittò di un istante per sedersi sull’erba e riprendere fiato mentre il getto di aria calda della sua bacchetta la asciugava e scaldava. Un ultimo colpo di bacchetta e l’uniforme tornò impeccabile sotto lo sguardo sarcastico di Delphini.

Philomène la ignorò perché non aveva nessuna voglia di affrontare l’ennesima discussione in cui Delphini la chiamava la cocca di papà o la principessina per via della sua attenzione all’eleganza e all’ordine. Piuttosto, cercò di capire dove fosse finita e in che direzione andare. Un uccello dorato, un Golden Snidget, le sfrecciò davanti al naso. Seguì la creatura magica con lo sguardo e sulle cime dei massi che circondavano quella radura vi erano dei nidi di Golden Snidget. 

Avevano rischiato l’estinzione a causa dei maghi e del loro utilizzo nel Quidditch. Erano creature affascinanti, ma lei aveva una missione da portare avanti e così decise di percorrere il sentiero che sembrava aprirsi sulla sinistra, verso una zona poco illuminata della Foresta Proibita. 

Iniziò a camminare con Delphini al suo fianco. Doveva ammettere che, nonostante la sua indisponenza, era sollevata di avere una figura conosciuta al suo fianco. “E così vuoi far ritrovare i tuoi genitori,” le disse. Sembrava l’unico argomento su cui poter imbastire una conversazione.

“C’è una profezia, io sono l’Augurey, rovescerò il tempo e farò tornare il Signore Oscuro.”

“Papà ha dei ricordi di quando sei nata, lo sai? Li conserva in un armadietto nel suo studio,” confessò. Lo sguardo di Delphini si allargò. “E tu come lo sai?”

Philomène ridacchiò: “Beh, sono meno principessa di quanto sembri. Ti ricordo che mio fratello è Cyrille…” Si fermò un istante per osservare lo sguardo sorpreso di Delphini e poi aggiunse. “Volevamo saperne di più, dei tempi della guerra. Papà non vuole parlarne, e nemmeno zio Rod e zia Alex.”

Al nome di Rodolphus, Delphini emise uno sbuffo indispettito. 

“Non ti piace proprio, zio Rod.”

“Mi ha confinata con quella megera della Rowle, mi ha tenuta lontano da tutto!”

“Vuole proteggere la tua identità. Cosa accadrebbe se il ministero scoprisse che sei viva?”

“Ma non si rende conto di quanto è crudele vedervi così felici mentre io sono sola, perennemente sola! Cosa hai visto con il Pensatoio di tuo padre? Hai visto mio padre?”

“Sì, e tua madre. Ho visto il modo in cui tua madre ti guardava. Ti sussurrava che saresti diventata una strega invincibile perché avevi il sangue dei Black e quello di Salazar Serpeverde.”

“E mio padre?”

Philomène non sapeva decifrare l’atteggiamento di Lord Voldemort. “Era… più distaccato. Forse non voleva mostrarsi sentimentale davanti a mio papà che, insomma, era pur sempre un suo seguace benché fosse il miglior amico di tua mamma.”

“Me lo dice sempre, zio Rabastan, che sono come la mamma ma anche come il papà, ed è questo che fa soffrire Rodolphus,” sospirò Delphini. “Eppure, crescere con lui e zia Alex, e Orion, Roland, Roddie e Rab mi sarebbe piaciuto.”

“Pensi che tutto questo serva per la profezia?”

Delphini scrollò le spalle. “Me lo auguro.”

L’odore di resina e abete della foresta aveva lasciato il posto a un sentore più salmastro. Gli alberi iniziarono a diradarsi, la vegetazione si trasformò in una sequenza di arbusti e giunchiglia. Pochi passi oltre, giunsero in una palude dalle cui acque emerse un Serpente Marino. 

Philomène strinse la bacchetta. Attese per comprendere le intenzioni dell’animale che, tuttavia, non sembravano essere affatto amichevoli. Riuscì a schivarlo per un soffio non appena questi si lanciò contro di lei. Provò ad attaccarla più e più volte. Philomène ricorse unicamente ad incantesimi difensivi. Dopo la prova di Roddie, non aveva alcuna intenzione di usare maledizioni o incantesimi oscuri e temeva che se avesse attaccato l’animale in qualche modo, avrebbe finito per peggiorare la situazione. Dopotutto, sapeva che non aveva mai ucciso un essere umano, mago o Babbano che fosse. In quel momento, stava difendendo il proprio nido e probabilmente era una femmina che difendeva le sue uova. Philomène aveva letto di spedizioni di cacciatori e collezionisti di uova di Serpente Marino per via della numerosità delle specie esistenti e per le proprietà magiche che rafforzavano gli amuleti e alcuni filtri. 

Osservò il muso cavallino dell’animale, il lungo corpo squamoso le cui spire sarebbero state in grado di stritolarla. 

“Non voglio farti del male, ora me ne vado!”  

“Dai, Philomène, un Avada Kedavra e hai risolto,” le disse Delphini.

“No, è una madre, sta difendendo il nido. Le uova finirebbero in pasto a qualche predatore. Dobbiamo andarcene di qui.” 

“Se la madre muore, qualcun altro baderà a loro, o si faranno forza da soli,” rispose Delphini, la voce indurita dal dolore che si portava dentro da troppo tempo. 

In quel momento, dopo tutti quegli anni, Philomène la vide finalmente per la bambina sola che era sempre stata. Si era avventurata nell’oscurità alla ricerca dei genitori e nel farlo aveva rinunciato a tutto: alla possibilità di una famiglia e persino a un corpo. Era certa che zio Rodolphus si sarebbe ricreduto se lei non si fosse sempre mostrata come una bambina pestifera. Zia Alex l’avrebbe convinto e lei sarebbe stata una cuginetta. Forse, sarebbero persino diventate amiche.

“No, mi dispiace, non permetterò che accada loro qualcosa di male.”

Riuscì ad evitare per un soffio l’attacco del Serpente Marino, ma perse l’equilibrio e rovinò per terra. Da quella posizione, intravide l’inizio di un sentiero che si snodava verso un punto in cui gli alberi tornavano ad essere fitti, segno che la palude sarebbe finita di lì a breve. Si puntellò sui gomiti per alzarsi, quando la creatura magica le afferrò una caviglia e iniziò a trascinarla verso l’acquitrino. Più Philomène si dimenava, più la creatura stringeva. Non aveva altra scelta che ricorrere alla magia: “Relascio!” La presa si allentò e ne approfittò per correre velocemente in direzione del sentiero.

Delphini scoppiò a ridere: “Che incantesimo ridicolo!”

“Ma ha funzionato! Non voglio essere inutilmente crudele,” commentò mentre raggiungeva il sentiero. Passo dopo passo, il terreno tornava ad essere più solido e dall’erba molle della palude si tornò a camminare su un tappeto di aghi di abete. 

Aveva perso il conto di quante ore fossero trascorse da quando aveva iniziato la prova. Iniziava a sentirsi stanca e affamata, segno che poteva essere l’ora del té, o forse era già ora di cena. Non avrebbe saputo dirlo, il sole non l’aiutava e il fatto di trovarsi in Scozia, così distante da casa, dove faceva buio più tardi, finiva per alterare tutto il suo segno del tempo.

“Sai che ore sono?” domandò a Delphi che scosse la testa dicendole: “Ti sembro forse un orologio?”

“No, ma dici di sapere sempre tutto e l’unica cosa che ti chiedo non la sai. Sei proprio inutile.” Delphini la osservò oltraggiata, ma quando Philomène aveva fame perdeva tutte le sue capacità diplomatiche. Aveva bisogno di riposarsi prima di riprendere il cammino, anche perché non era certa di riuscire a sopravvivere all’incontro con le altre creature se non si fosse prima riposata per un po’.

“Ti ricordo che non è una scampagnata.”

“Ti ricordo che il corpo umano ha dei limiti.”

Scoppiarono a ridere entrambe, Delphini la sorprese sollevandosi in aria e puntando il dito verso un luogo in cui sembrava aprirsi una radura. “Forse lì possiamo fare una sosta. Non vedo nessun nido di Golden Snidget né altre creature pericolose.”

Non le sembrava vero di potersi sedere sull’erba morbida e concedersi il tempo di fare un respiro profondo. Il contatto con il terreno le ricordò che era fradicia dall’incontro con il Serpente Marino. Provò ad asciugarsi nuovamente e il suo pensiero corse al povero Roland che si era ritrovato nelle tubature idriche senza alcuna bacchetta magica a supporto. Accese un fuoco per riscaldarsi, pensando che se non potesse mangiare, almeno poteva trovare conforto dalla fiamma scoppiettante e forse, avrebbe trovato qualche fungo da arrostire e mettere sotto i denti.

“Non so se è una buona idea accendere un fuoco,” commentò Delphini guardandosi intorno.

“Sono stata in campeggio con papà, so che si può fare.”

“Scusami, io non ho avuto un papà che mi portasse in campeggio.”

Si osservarono per un attimo e poi Delphini aggiunse: “Non che sia importante andare in campeggio. Sicuramente è più importante conquistare il mondo magico. Sarei stata al suo fianco in battaglia, insieme a mia madre.”

“Sappiamo che era un grande collezionista di manufatti magici antichi,” le concesse Philomène che iniziava a desiderare che Delphini potesse placare quella furia oscura e intrisa di dolore che le divorava l’anima. “forse ti avrebbe portata con sé in missione e forse avreste dormito in un bosco.”

“Lo credi possibile?” La speranza che illuminava gli occhi di Delphini la portò a dire di sì e concedergli un ulteriore elemento di riflessione. “Dopotutto, tua mamma è stata la sua allieva prediletta. Dicono che lui stesso l’abbia addestrata e credo che la tua forza magica lo avrebbe spinto a fare altrettanto.

“Pensi che le cose potrebbero andare in questo modo se riuscissi a tornare indietro nel tempo e salvarli?”

“Non lo so, ma è un’ipotesi che non possiamo escludere.” Philomène si strinse ancora di più al fuoco, ravvivò la fiamma perché sembrava che stesse iniziando a scendere il freddo. Non sapeva se erano i discorsi con Delphini, la possibilità del ritorno di Lord Voldemort e Bellatrix e il pensiero di cosa sarebbe stato di lei se solo fosse accaduto. Suo padre sarebbe andato in Francia? Si sarebbe innamorato della mamma? O sarebbe rimasto in Inghilterra con Rita Skeeter?

L’immagine di suo padre comparve nella sua mente, il sorriso non era orgoglioso, ma sarcastico, gli occhi verdi erano gelidi mentre le diceva che quella vita era la sua seconda scelta, che se avesse potuto scegliere, avrebbe sacrificato moglie e figli per riavere la sua amica Bellatrix, per vincere la guerra, per dimostrare alla Skeeter di essere il mago fatto per lei. Era crudele come non lo era mai stato. Le sfuggì un gemito, “papà…”

“Devi sapere la verità, tu sei la realtà che mi sono fatto andar bene…”

Gli occhi si riempirono di lacrime. “Papà…” Quelli di Rabastan, invece, rimanevano gelidi. “Non sei nemmeno un mago, proprio un primogenito inutile…” Aveva pronunciato l’ultima frase con un sorriso obliquo, scegliendo di farle male. Philomène non riusciva a credere che lui potesse pensare questo di lei. “Ma papà…”

“Spero solo di riuscire a concludere un buon accordo matrimoniale e liberarmi di te.”

Si tappò la bocca per non far uscire il dolore, mentre era rannicchiata per terra, il fuoco incapace di scaldarla. 

“Svegliati, Phi, sono i Dissennatori!” urlò Delphini. 

Philomène aprì gli occhi e vide un gruppo di Dissennatori, troppi perché li potesse affrontare, lei che non sapeva nemmeno evocare l’incanto Patronus. 

“Muoviti, per lo meno!” Delphini si tappava le orecchie, mentre svolazzava cercando di sfuggire alle creature che facevano effetto anche su di lei. 

“No, padre…” urlava quando un Dissennatore si avvicinava troppo. 

Non riusciva a guardarla, ogni volta che alzava lo sguardo verso la figura incorporea di Delphini pensava che sarebbe diventata come lei, pronta a tutto pur di elemosinare un briciolo di affetto a suo padre. Si accovacciò scoppiando in lacrime. Era finito, era tutto finito, presto sarebbe stata baciata da un Dissennatore e sarebbe morta.

Urlò quando qualcosa l’afferrò, provò a dimenarsi, ma una voce maschile, calda, le intimò di star ferma. Aveva un odore di muschio e stalla, doveva essere un cavaliere coraggioso, ma cosa ci faceva nella Foresta Proibita?

Aprì gli occhi e capì che era stata salvata dai Centauri che erano stati in grado di scacciare i Dissennatori e ora le stavano portando lontano da quella radura.

“Non si accendono i fuochi nella foresta, è stato molto sciocco da parte sua, mademoiselle Lestrange,” le disse il Centauro mentre la posava ai margini di un sentiero. “Faccia attenzione.”

“Lei sa da che parte è la Coppa Tremaghi?”

“Non posso darle questa indicazione, ma seguirei Venere, se fossi in lei.” Il Centauro osservò Delphini e poi riportò lo sguardo su Philomène. “La sua famiglia ha sempre danzato tra le ombre, ma se vuole un consiglio, mademoiselle, segua la luce. Il resto è solo inganno, un gioco di specchi che esige molto senza dare niente. La sua famiglia ha pagato un tributo troppo elevato all’oscurità. Eppure, è prosperata solo nella luce.”

“Lo terrò a mente, grazie,” rispose con un inchino che sorprese il Centauro per qualche istante prima che riprendesse il trotto insieme al resto del branco. Philomène si fermò per qualche istante ad ammirare quelle creature così diverse dai maghi, eppure portatrici di enorme saggezza. Fiorenzo, ad esempio, era il primo Centauro ad aver lavorato in mezzo ai maghi ed era stato il primo a scrivere un libro di Divinazione che zia Alex aveva bollato come infarcito di sciocche superstizioni. La zia, però, era prevenuta nei confronti dei Centauri, e di Fiorenzo in modo particolare, perché pareva che le avesse soffiato la cattedra di Divinazione a Hogwarts.

Alzò gli occhi verso Delphini e la trovò immersa in qualche pensiero, con lo sguardo triste rivolto verso il cielo. 

“Cosa succede?”

“L’ho visto, sai?” le disse. “Mio padre, intendo.”

“I Dissennatori possono rievocare i ricordi più dolorosi.”

“Ho visto il suo sguardo e poi quello di mia madre, ho visto il momento in cui mi hanno affidata a zia Alex.”

“Hai sentito cosa le hanno detto?”

“Di proteggermi, che nessuno doveva sapere della mia esistenza. Sapevano che non sarebbero tornati.”

“Non credo, gli zii dicono che fosse la persona meno incline a credere di poter morire. Credo che avessero messo in conto la possibilità di impiegare del tempo prima di raggiungerti, ma non che quella fosse l’ultima volta che ti avrebbero vista.”

“Vorrei rivederli. Forse dovrei tornare dai Dissennatori.”

“Non essere sentimentale, non è da te. Aiutami a trovare la Coppa Tremaghi, piuttosto e dimostriamo che i Lestrange possono vincere il Torneo.” 

Delphini alzò gli occhi al cielo e sbuffò. “Va bene, Lestrange, ma sappi che quando ritornerò nel mio corpo, verrò a trovarti e sfiderò te, Roland e quel pesantone di Roddie. Così potrò dire di essere la strega più forte, quella che ha battuto anche  i Campioni Tremaghi.”

“Dovrai guadagnartela questa vittoria.”

Si scambiarono un sorriso mentre la luce del giorno iniziava a scendere e loro non avevano la benché minima idea della direzione da intraprendere. Philomène si ricordò del consiglio del Centauro e iniziò a camminare nella direzione del sole. Camminò nel silenzio della Foresta per circa mezz'ora, con i piedi indolenziti, stremata dalla fatica. Voleva che finisse e che potesse godersi il banchetto dei Campioni riservato nella tenda. Se Rabastan non divora tutti i croissant salati, le suggerì la mente strappandole un sorriso. Al suo fianco, Delphi fluttuava più serena. Non era poi così male, dopo tutto. 

Fu solo quando il sole toccò la linea dell’orizzonte che un riverbero luminoso nell’aria iniziò a produrre uno strano sfarfallio alla sua sinistra. Voltò lo sguardo e la vide, in una radura, sopra una pila di rocce, si stagliava la Coppa Tremaghi. L’aveva trovata! Corse in direzione della Coppa, salì velocemente le rocce, con la stessa abilità con cui da piccola si arrampicava sugli alberi con Cyrille e Roland, allungò la mano e la strinse intorno al manico della Coppa Tremaghi. Sorrise in direzione di Delphini, ma la scena cambiò improvvisamente e Philomène si ritrovò stesa su un letto dentro la stanza in cui l’aveva condotta la Direttrice.

Si guardò intorno. Gli altri Campioni Tremaghi stavano ancora dormendo. Era stato tutto un sogno? Era mai stata nella Foresta Proibita? E Delphini, l’aveva incontrata veramente?

“Complimenti, mademoiselle Lestrange! Lei è la nuova Campionessa Tremaghi, è stata la prima a trovare la Coppa, ben prima dello scadere del tempo.”

“Voi… avete visto la prova? Non è stato solo un sogno?”

Era molto confusa. Poi, lentamente, un filo di paura iniziò ad attanagliarle lo stomaco: avevano visto Delphini? Avevano scoperto dell’esistenza della figlia del Signore Oscuro e del fatto che i Lestrange l’avevano protetta per tutti quegli anni?”

Cyrille superò la Direttrice e corse ad abbracciare la sorella. “Sono così orgoglioso di te! Sei stata bravissima, elegante, i tuoi incantesimi erano perfetti.”

“Non direi… almeno non tutti,” sospirò insoddisfatta. Gli sguardi di scherno di Delphi le tornarono in mente. 

“Dimmi, Cyrille, hai visto il sogno? Tutto? Hai visto con chi ero?”

“Sul soffitto venivano proiettati i sogni e le prove. Ci hanno detto che ognuno di voi avrebbe avuto un accompagnatore, ma che sarebbe stato qualcuno con cui si ha un rapporto conflittuale e che per proteggere la vostra intimità non lo avremmo visto. Chi era?”

Philomène tirò un sospiro di sollievo, sorrise al fratello e gli rivelò sottovoce: “Delphini.”

“Per tutti i draghi!”

“Esattamente.”

“Vieni, la mamma ci aspetta. Devi prepararti per la premiazione.”

 
   
 
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