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Autore: aelfgifu    04/09/2023    5 recensioni
Sei mesi della vita di Brian Cruyfford.
[La storia inizia dal cap. 4 di “Un anno dopo - A Parigi e ritorno”]
Genere: Romantico, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Brian Cruyfford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hier, in deze wereld'
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16. Rewind: intanto, a Monaco
 
Viktoria Schneider era nata alle 17.15 di due giorni prima: una bella bambina sana e forte di due chili e settecentocinquanta grammi, già piena di capelli biondi e ricci, con occhi di un vivido azzurro e polmoni davvero poderosi. Quando l’avevano messa in braccio al padre, c’era mancato poco che lui, il Kaiser, il campione, il grande calciatore, non svenisse, per l’emozione o per la paura o per tutt’e due insieme. 
Sembrava che tutto fosse a posto e quella sera Karl era tornato a casa e aveva preparato la valigia per raggiungere la squadra in Spagna l’indomani, quando alle otto del mattino - stava per uscire di casa - aveva ricevuto una chiamata dalla dottoressa Seuss: Julia aveva avuto un’emorragia. 
“Co-come un’emorragia?”
La dottoressa gli aveva spiegato che un’emorragia post partum poteva accadere, per una serie di ragioni, e che… 
“È grave?” aveva chiesto lui, afono dal terrore. 
“Non le nascondo che la situazione è seria… finché non riusciamo a scoprire la causa, non sapremo come intervenire”. 
Karl aveva subito chiamato suo padre: “Non posso partire, Julia sta male”. 
“Come sta male?” 
“Un’emorragia, dice la dottoressa Seuss”.   
Quando era arrivato in ospedale, trafelato, con aveva trovato Uta, i genitori di Julia, sua madre, Marie e Alexander Schnell, muti e sbigottiti. Avevano aspettato fino a dopo mezzogiorno per avere qualche aggiornamento, erano le 15.17 quando la dottoressa Seuss era andata loro incontro con un sorriso incoraggiante: la causa dell’emorragia era stata trovata e le perdite ematiche erano state fermate, ma:
“C’è bisogno di sangue, c’è urgente bisogno di sangue… qualcuno della famiglia può donare?” 
A quel punto avevano fatto un passo in avanti contemporaneamente Uta e Karl-Heinz. 
“Abbiamo lo stesso gruppo, sono sua sorella” aveva detto Uta. 
“Anch’io posso” aveva detto Karl. “Sono zero positivo. Se avete bisogno di fare verifiche possiamo chiedere subito la mia documentazione clinica allo staff medico del Bayern, così non si perde tempo”. 
Bloccata l’emorragia, con le trasfusioni Julia era migliorata rapidamente.  I familiari erano stati cortesemente invitati a tornarsene a casa, e così lui aveva fatto, non prima di essere passato a salutare la sua piccolina che gli rivolse uno sguardo gioioso con i suoi stessi occhi, uno sguardo allegro e sereno che gli morse il cuore. A casa non era riuscito a riposare neanche un minuto, era rimasto seduto in poltrona, con gli occhi sbarrati, a fissare il buio per tutta la notte. 
Alle sette del mattino il primario di ginecologia e ostetricia s’era presentato tutto allegro di fronte a sei persone dagli occhi disfatti dalla mancanza di sonno e dalla paura, e aveva annunciato  che la paziente era fuori pericolo, i suoi valori si erano stabilizzati, ora riposava tranquilla. Sarebbe dovuta rimanere in ospedale per alcuni giorni, sotto osservazione, prima di poter tornare a casa. (Il dottore era stato lì lì per chiedere a Karl di fargli un autografo, ma vedendolo in quello stato aveva lasciato perdere).
Karl aveva preso il telefono e aveva parlato con qualcuno, poi aveva chiuso la comunicazione. A quel punto Marie aveva assistito a qualcosa di incredibile: suo fratello si era avvicinato ad Alexander Schnell, gli aveva posato una mano sulla spalla, lo aveva condotto nel vano di una finestra e lì gli aveva detto qualcosa. Marie non aveva sentito cosa si erano detti, aveva solo visto il signor Schnell annuire con forza più volte. Poi Karl gli aveva stretto la mano, lo aveva lasciato vicino a quella finestra da cui entrava la prima luce di un mattino che si annunciava splendente, era andato da Marie, le aveva sussurrato: “Vado a Madrid” ed era scappato via. 
Più tardi avevano saputo che era partito con un volo privato, e nelle quattro ore di volo fino a Madrid i medici a bordo lo avevano abbondantemente rifocillato e costantemente parametrato: quella giornata tremenda, senza pace e senza sonno, e quei 250 ml di sangue in meno, avrebbero potuto giocargli qualche brutto scherzo. 
A mezzogiorno, Marie aveva ricevuto un messaggio: 
Sono arrivato. Dammi notizie. 
Lei aveva risposto immediatamente: Julia è stabile e sta dormendo. Ho visto la piccola, dormiva anche lei. 
Il secondo messaggio era arrivato alle cinque: Dammi notizie. E lei gli aveva dato le ultime notizie.  
L’ultima volta lo aveva sentito alle 19: Stiamo andando allo stadio, papà vi saluta. Come va? 
Marie gli aveva scritto: chiama, Julia è sveglia. 
Il telefono era squillato nel giro di mezzo secondo. “Ciao Karl” lo aveva salutato Marie, senza dargli neanche il tempo di parlare “ti passo Julia” e aveva messo il telefono in viva voce, posandolo tra le mani di Julia. Le prime parole di Karl-Heinz erano state: “Tutto bene?” 
Julia si era sforzata di ridere. 
“Sì, mi sento debole ma ora è tutto a posto, devo riposare. Alla piccola hanno pensato le ostetriche, io non ce la faccio ancora, ma secondo la dottoressa Seuss tra qualche giorno dovrei aver ripreso abbastanza le forze… com’è il tempo in Spagna?”
“Ventun gradi, un po’ nuvoloso”. 
“Rischia di piovere?” 
“No, direi di no…” 
“OK, allora dovrebbe andare bene. Salutami Frank e Stefan e Genzo e i ragazzi e… e anche Cruyfford. Mi ha mandato un messaggio!” 
“Cruyfford? E che dice?” 
“Mi ha incaricato di dirti che se non scendi in campo a Madrid sei un vigliacco” aveva ridacchiato Julia. 
“Quel…” aveva imprecato Karl-Heinz “io lo…!” 
“E dai. È ansioso di confrontarsi con te…”
“Magari possiamo seguire la partita in streaming” era intervenuta Marie. 
“Non farla stancare” le aveva raccomandato lui. “Ehi, guarda che ti sento” aveva protestato Julia. 
“Appunto. Non devi stancarti, devi riposare”. 
Un quarto d’ora dopo era arrivato il signor Schnell con Robby. 
“Siamo andati a vedere la sorellina. Somiglia a Marie!” aveva esordito Robby entrando di furia nella stanzetta. E subito aveva cercato di arrampicarsi sul letto per tuffarsi tra le braccia della mamma, ma il padre lo aveva trattenuto, poggiandogli le mani sulle spalle e consentendogli di avvicinarsi solo lentamente e cautamente. 
“La mamma non si è sentita bene” aveva detto a Robby con una voce sorprendentemente dolce e persuasiva “abbracciala piano!” 
E così Robby aveva fatto, stringendosi a Julia che a sua volta se lo era avvicinato per quanto poteva. 
“Ma poi ritorni forte?” aveva domandato il bambino.
“Sì, Robert, tra qualche giorno starò di nuovo bene.  Non vorresti andare a prendere un’aranciata con Marie?” 
Marie e il piccolo erano scesi al bar della clinica e avevano ordinato due aranciate. Mentre bevevano, Marie ne aveva approfittato per chiamare Levin. 
“Ti faccio vedere come sta tuo fratello” le aveva detto lui, inviandole un’immagine di Karl che guardava fisso davanti a sé, con aria assente. “Non capisco se sia preoccupazione quella che gli si legge in faccia o se sta semplicemente raccogliendo le forze per la battaglia”. 
Nel frattempo, nella stanzetta al primo piano, Alexander Schnell si era seduto nella piccola sedia accanto al letto. 
“Robby è stato tranquillo?” 
“È stato con Uta e con tua madre e Mick lo ha distratto parecchio con la playstation. È felicissimo per l’arrivo della sorellina”. 
“Hm, hm”. Julia aveva fatto un sorriso affaticato. “È bello che non sia geloso”. 
“Schneider ti ha dato il sangue, te l’ha detto la dottoressa Seuss?” 
“No, non mi ha detto niente nessuno”. 
“Sì, avevi perduto molto sangue, loro non avevano abbastanza riserve o forse avevano bisogno di fare in fretta, e così…” 
“Quindi ora ho letteralmente il suo sangue in circolo”. 
“Già”. 
“Ma che cosa romantica, non trovi?” 
“È stato molto bello da parte sua”.
“Ma potrà giocare? Non si sarà indebolito?”
“Chissà, stiamo a vedere. Avrei una mezza idea di mandare Robby a casa con la piccola Schneider e di restare io qui con te. Pensavo di guardare la partita in streaming, ma forse non è il caso di esporti a emozioni violente…”
“E Lorenz e tua madre?” 
“Con i vicini, una volta tanto”.  
“Mi dispiace” si era schermita Julia. 
“Hai sempre avuto ragione tu” era stato il commento di  Alex. 
 
Alle ore 21 precise, sull’erba dello stadio Santiago Bernabéu, alla presenza di oltre 80.000 spettatori, il Bayern Monaco e il Manchester United avevano fatto il loro ingresso in campo. Quando era stato chiaro a tutti che quello che apriva la fila dei bavaresi era proprio Schneider, tutto lo stadio aveva trattenuto il respiro. “Karl-Heinz Schneider è riuscito a raggiungere la squadra”, “Qualunque impedimento il capitano del Bayern abbia avuto, ora sembra rientrato”, le voci di cronisti e corrispondenti s’incrociavano in molte lingue. 
Mentre uscivano sul campo, Brian Cruyfford apostrofò il capitano bavarese: “Si può sapere dov’eri?” 
Karl rispose con una smorfia. 
“Sono stato trattenuto, Cruyfford. Era importante”. 
“Più importante di questo?” 
Schneider annuì, stavolta con un sorriso aperto, e passò oltre. 
“Che mi prenda…” mormorò Brian. Mentre ancora imprecava fra sé, qualcuno gli bussò sulla spalla. Si girò di scatto e si trovò di fronte il viso algido ed enigmatico di Levin. Lo svedese si schiarì la voce:
“Due giorni fa è nata sua figlia, subito dopo Julia è stata male, e lui è rimasto con lei finché non si è ripresa. E poi è corso qui, è arrivato poche ore fa. Compris?” 
Due secondi dopo, da bordocampo tutti poterono vedere Brian Cruyfford, le mani sui fianchi, che rideva da solo come un matto, a gola spiegata, ma quando Dempsey gli passò accanto si stava strofinando gli occhi con una mano. Stava piangendo. 
“Ehilà, Brian, che succede?” gli disse Dempsey, stringendogli un braccio con fare incoraggiante.  
Brian gli sorrise tra le lacrime. 
“Tutto bene. Mi è solo entrato qualcosa in un occhio!”
 
*** 
 
“Gentili telespettatori, signore e signori, prepariamoci ad assistere a una grande partita”. 
 
***
 
[Terminato di scrivere il 4 settembre 2023]
 
*** 
 
Note di Ælfgifu. La nascita di una piccola Schneider con la madre che rischia la vita mi è stata ispirata da un capitolo del bellissimo “La nuova stagione” di Vallentyne (grazie Vallentyne, avevo bisogno di una scusa per far soffrire tremendamente Karl e per farlo arrivare a Madrid all’ultimo momento!) 
Bella la famiglia allargata di Julia e Schneider, eh? E Levin è sempre un grande, non c’è che dire 😍 Nota bene, Brian alla fine ride/piange di contentezza, non è diventato pazzo! 😂😂😂. Grazie a Francyzago77, Gaijin, MilanistaEly, Sheila259 e Vallentyne, che hanno assiduamente commentato la storia, e grazie anche ai molti lettori silenziosi: la mia sfida era quella di far interessare i lettori del fandom a un personaggio molto trascurato di Captain Tsubasa, che il maestro Takahashi ha un po’ abbandonato per strada dopo il brillante esordio in “L’avversario più forte: Holland Youth”… io l’ho sempre trovato veramente affascinante e mi ha dato modo di lavorare bene sul character building. Brian Cruyfford uno di noi 😍
 
  
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