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Autore: Mirella__    29/11/2023    1 recensioni
Raccolta di 3 Shot su Cleopatra e Marco Antonio.
La prima riguarda: Un momento rubato alla storia, immaginato tra le sabbie del deserto con Marco Antonio e Cleopatra. Ottaviano incombe su di loro come una minaccia costante, ma i due festeggiano la vita fino all'ultimo granello che la loro clessidra gli concede. Vediamo l'ultimo dei vizi senza la totale certezza di una disfatta definitiva.
La seconda riguarda un momento di Marco Antonio dopo la battaglia di Azio.
La terza riguarda la morte di Marco Antonio.
La Shot "Che la sabbia beva l'ultimo sorso di rosso" è arrivata Terza al Contest “Le quattro stagioni si raccontano” indetto da elli2998 e Inchiostro_nel_Sangue sul forum di EFP”
Questo testo partecipa agli "Oscar della Penna 2023", del quale ha avuto una nomination in "Migliore Fotografia".
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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   Che immagine ha il tradimento?

           Quello di mille remi alzati in segno di saluto.

 

Hai deciso di morire bruciando nelle fiamme della gloria, facendo cadere con te migliaia e migliaia di soldati.

In passato avevi scelto un percorso che ti avrebbe portato a essere un condottiero persino superiore a Giulio Cesare. Bene, questo è ciò che ti ha distrutto. Ti affanni a essere migliore di qualcuno che semplicemente nemmeno ti somiglia, solo per dimostrare di potercela fare, solo per zittire le voci.

E quanto sono importanti le voci del senato per te? Te che hai figli bastardi sparsi da ogni parte dell’Impero, che te la sei fatta con regine, oh, sì, ma anche prostitute, una delle quali, Locride, te la sei portata appresso fino a quando non ti hanno costretto a toglierla dal tuo fianco.

Alzi la testa sopra il pelo dell’acqua, ma quando ti costringono a tornare giù sei il primo che si mette i pesi alle caviglie e alla gola nel rispetto e nel rigore del romano che sei.

È un peccato tu non voglia demordere, davvero, magari rivedresti casa, se lo facessi.

Ma qual è casa tua? Sei ancora Romano?

A Roma dicono che sei diventato un Alessandrino, che ti sei unito a quello stile di vita così raffinato, pomposo, elegante, pieno di fronzoli.

Tu… proprio tu! La stessa persona che fino a qualche anno fa accostavano a Ercole, quelli lì, con tanto di prese in giro per il tuo essere muscoloso, forte, sì, ma anche un ubriacone della peggior specie.

Adesso ti dicono di avere la grazia di un dio che in oriente ha fatto la sua patria.

Carino, novello Dioniso.

Te ne serve un altro, di percorso, che forse era imprevisto o che magari avevi già iniziato a intravedere quando il tuo avversario ha iniziato a dimostrarsi un abile tiratore di dati. Solo che non ti piaceva poi tanto questo secondo percorso, tanto da non considerarlo più di tanto: perché il terreno di cui è formato trema e si spacca a ridosso di un precipizio con un incantevole paesaggio nel suo fondo.

E ti sembra una pigliata per il culo, cazzo, il fatto che quella montagna appaia così bella ma che non appena tu ti unirai alle sue pendici, tanto chiare, verdi, confortevoli e invitanti, ne vedrai solo la tua fine.

Non ci sono montagne dove stai adesso, in realtà.

C’è solo una pianura e tu sei su una delle sue alture, una di quelle che ti permettono di vedere l’esercito avversario.

E Ottaviano può fare lo stesso con il tuo.

Affrontarvi sul campo di battaglia è come vedere uno stesso esercito che si scontra da solo. Fratelli messi l’uno con l’altro, fratricidi. E su quest’altura, dalla quale hai deciso di controllare il mondo, c’è la vista della baia, la vista delle navi.

Hai deciso di combattere in due posti allo stesso momento e quello a cui stai per assistere è una delusione così cocente…

 

Che immagine ha il tradimento?

Quello di mille remi alzati in segno di saluto.

 

Dall’altura, infatti, puoi osservare le tue navi. Sono state mandate da te ad attaccare, ad avvicinarsi al campo nemico in tutta fretta, solo che quando giungono nel punto più pericoloso -lì dove dovrebbero sprigionarsi collisioni e affondamenti- vedi che non speronano le avversarie, ma che, al contrario, si accostano a loro per fare manovra, virare, e finire col puntare contro di te, contro la tua città.

Eccola l’immagine del tradimento.

Un esercito è come un mostro: se vuoi ucciderlo devi tagliargli la testa, oppure… smembrarlo. Nel vedere la flotta abbandonarti senti lo stesso dolore che sentiresti in caso ti amputassero una gamba.

Il tuo esercito è il mostro di Roma da combattere. Per loro non sei più Ercole, ma rappresenti l’Idra che lui ha ucciso.

E magari fosse finita lì, no. L’incubo è al suo inizio. Anche la fanteria ti abbandona. Gli stessi che ti hanno fatto vincere il giorno prima, hanno deciso di passare dalla parte del nemico.

Il mostro ha perso anche un braccio.

E dai l’ultimo ordine con ciò che ti è rimasto da poter usare: la voce, il carisma. E forse sotto sotto non hai mai avuto altro che quello. Il carisma.

Mandi gli ultimi soldati a morire nella battaglia per cui ti si ricorderà in futuro: quella della tua disfatta. Avresti potuto salvarli, avresti potuto arrenderti. Non lo hai fatto. E quando vedi che tutto è finito, che stai per perdere, rientri in città.

Si dice che ti abbiano sentito urlare che Cleopatra ti ha venduto al nemico, nella tua ritirata.

Se ne diranno altre, di storie.

Nella tua stanza ti arriva un messaggio.

 

“La regina è morta”

 

Hai perso la flotta, hai perso la fanteria, hai perso la tua regina. Hai perso. Ora sei solo al mondo, non c’è un singolo soldato che per te alzerebbe la lancia, non c’è una singola donna che ascolterebbe la tua voce, non c’è, nel mondo intero, una scintilla di speranza.

Il tuo cerino ti si è consumato di fronte e puoi costatarne solo quello: che la cera si è consumata, che quel che è rimasto dopo il fuoco acceso è tutta roba da buttare, tu sei da buttare.

Gli oggetti perdono definizione, si confondono, il tuo corpo ritira le sue attenzioni da quello che non è necessario e le butta su se stesso, perché il fatto che tu respiri, il fatto che tu veda, il fatto che tu senta, il fatto che tu possa percepirti non dipende più da te.

Dipende da quelli che ci sono fuori. E se non hai possibilità di scelta fuori, a che cazzo serve prestare attenzione lì? Meglio guardare quello che t’è rimasto da osservare: te stesso.

Ma come sei fastidioso! È fastidioso il suono del tuo respiro, ti ottura l’udito. Anche il battito del cuore è fastidioso da morire, ti sta sfondando il petto, la faccia è completamente sommersa nel tuo stesso sudore e pulsano da morire le ferite della battaglia; basta!

Vuoi che tutto smetta.

Rientri in te. Sai cosa ti manca per recuperare l’onore e su quello puoi ancora fare qualcosa. Guardi Eros e glielo chiedi. È il tuo servo personale e vuoi che lui affondi la lama. Solo che... piuttosto che ferire te, è lui a togliersi la vita.

Se solo tu avessi avuto altri come lui al fianco, forse non avresti… una risata amara. È per amore che lo ha fatto? O perché sa che anche lui sarebbe finito in catene e torturato dai giochi di Ottaviano? Prendi la lama e il lavoro lo finisci tu.                    

                  

         La vita è ironica.

         Hai ucciso tanto, Marco Antonio.

           Hai tenuto a bada l’Oriente. Hai condotto così tanti uomini alla vittoria. Hai vinto così tante volte privando della vita gli avversari.

 

E quando si parla di te stesso, quando è su di te che devi compiere l’azione, sbagli come un novellino alle prime armi. Hai scelto un punto insanabile, sì, dopo una ferita, ma che ti porterà a soffrire per ore e ore, attendendo di non avere più sangue in corpo per spirare.

Non come Eros, che è già passato dall’altro lato dello Stige da un pezzo.

Sospiri e senti lentamente che le forze ti vengono meno. Il ferro ti cade e non ce la fai a provare un’altra via. Attendi e tutto diventa buio. Non sai quanto tempo passa precisamente, potrebbero essere ore… no, no. Forse minuti, sì, più probabile. Ma qualcuno viene a chiamarti, a prenderti, un servo che ti dice che la tua amata è ancora in vita.

E noti, a quel punto, che il cerino che credevi consumato ha una piccolissima, fievolissima, scintilla, così bassa da non illuminare altro che lo stoppino.

Non vedi bene quello che ti capita attorno, è tutto troppo confuso. Qualcuno ti avvolge attorno a qualcosa, mani invadono il tuo spazio vitale, ma non hai nemmeno la forza di opporti. Se questo serve a rincontrare la tua regina, è sopportabile, dopotutto, in passato, hai smosso eserciti interi per incontrarla, cosa sarà mai lasciarsi manovrare in questo modo? È chiusa da qualche parte, a quanto hai capito.

Il mausoleo, sì, quello che stavate costruendo per voi due, deve essere quello. Ma non è ancora finito. Ti faranno entrare dall’unica via disponibile, una parte della facciata che non è completata e ti isseranno fin lassù con un sistema di carrucole.

È terribile il viaggio: ogni volta che il lettino improvvisato in cui ti hanno messo ha degli scossoni ti sale la nausea, la ferita si infiamma e non puoi piegarti perché sei legato, quindi non c’è pausa alla sofferenza.

Quel viaggio di pochi minuti ti sembra duri di più di molte campagne militari. Alla fine ti posano su un pavimento. Lo capisci perché tutto è finalmente fermo, immobile. Il luogo è silenzioso, dai suoni che rimbombano fastidiosamente, anche il più piccolo rumore si disperde, dopo aver rimbalzato in giro, senza meta.

Ti senti un po’ come quel suono. E poi lei entra nel tuo campo visivo. Il tuo cuore ha un palpito in eccesso, uno schizzo di felicità che ti inonda per intero e sorridi come sorridevi negli incontri preceduti da distanze durate mesi, a volte anni.

 

Piange, lei.

Urla, lei.

Si arpiona il petto, lei.

Si graffia il viso, lei.

Si stralcia le vesti, lei.

 

Se le strappa di dosso. E le mette su di te, sulla ferita che continua a perdere e perdere e perdere. Non senti nemmeno l’effetto di questo trattamento, non senti più dolore. Solo sete, tanta sete. Il vino che ti portano è comunque insufficiente a placarla e capisci che niente di questo mondo è più utile.

Niente che riguardi te. Le dai consigli, nel tuo ultimo attimo di vita, le dici cosa fare, a chi rivolgersi, per tenersi il trono, per tenersi ancora salda a questo mondo un po’ più di te. E dopo averla salvata un’ultima volta, chiudi gli occhi e le labbra si aprono, lasciando andare l’ultimo respiro.

Quelli che verranno dopo di te diranno tante cose.

Diranno che sei morto felice della tua morte, perché sei stato battuto in modo valoroso da un romano da romano.

Diranno… fino a quando non saranno costretti a tacere. Sarai sottoposto alla damnatio memoriae, tutto di te verrà disintegrato, dato alle fiamme, distrutto. E tutto ciò che arriverà al futuro è la versione del vincitore.

Buffo come la tua vita sembri una tragedia, non trovi? Sei divenuto non come Giulio Cesare, ma un mito, una leggenda, qualcosa di cui non si sa niente se non la versione raccontata da altri.

Sarai ricordato senza essere davvero ricordato.

Sei felice di questo risultato?     

     

 

Note dell’Autrice     

       Il mese di Agosto nasce da Ottaviano Augusto, che è l’imperatore con cui si scontra Marco Antonio in questa battaglia.

      Sarà infatti Ottaviano a dare all’Impero Romano la sua struttura, dopo aver sciolto il triumvirato (costituito da Ottaviano, Marco Antonio e Lepido).

      Decide di nominare il mese di Agosto… Agosto proprio per la sconfitta di Marco Antonio, avvenuta, a quanto ho capito, il primo di Agosto.

      Ho ripetuto un sacco di volte Agosto.

      A essere Honesti non ricordo quale mese sostituisce perché non conosco i mesi romani.

      Altra chicca, stavolta personale. Non mi piace come Plutarco racconta tutto l’insieme degli avvenimenti. Non so una cifola di storia, la mia fonte è il libro di Alberto Angela e un altro, ma la vicenda, per come è ricostruita, sembra davvero eccessiva. Cioè, sti tizi hanno issato questo corpo morente in alto, sul muro di un mausoleo e io la trovo… boh. Eccessiva, appunto, questa versione. Poi tante frasi messe in bocca ad Antonio sembrano più appartenere a un drama da teatro che a qualcuno che sta effettivamente per morire. Da qui il mio metaplay (se si può definire così) nel corso del testo. Ho cercato di mettere il dubbio sul fatto che questi siano i reali avvenimenti e ho puntato molto sulla “verità del vincitore”.
      Il libro che ho usato per scrivere è “Cleopatra, la regina che sfidò Roma e conquistò l’eternità” di, ripetiamolo assieme, Albertino.

                  Detto questo, ho finito, addio!

 

 

 

  
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