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Autore: Sunnyfox    19/01/2024    4 recensioni
Rufy si era abbarbicato sulla polena non appena era stato annunciato l'avvistamento di una nave.
Non un'imbarcazione imponente. Se ne stava ferma, in mezzo al mare, le vele ammainate, le bandiere a mezz'asta. Non si avvertiva quella tipica, frenetica presenza di personale di bordo. Ma quel canto raccontava loro una storia diversa. Qualcuno c'era e stava intonando una nenia: lenta, malinconica; parole incomprensibili. [...]
«Affidatemi al freddo mare azzurro. Che lo strepitio delle onde sia il mio requiem solenne, dormirò un sonno sereno...» enunciò Sanji, affiancandoli.
Videro il gruppo di marinai trasportare sulle spalle un'asse, alla quale era assicurato quello che, da lontano, sembrava solo un sacco di iuta. Solo quando lo fecero scivolare sul parapetto e lo sporsero all'esterno, offrendolo al cielo, al mare e al vento, si resero conto che fasciato lì dentro doveva esserci un corpo. Probabilmente il compagno di viaggio che se ne era andato per sempre.
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mugiwara | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5

 

Occhi

''And there they lay,
And the soggy skies
Dripped all day long
In up-staring eyes
At murk sunset and at foul sunrise''

 

La donna si affacciò allo specchio rotto con aria contrita.

L'immagine riflessa era distorta e mostruosa. Un paio di occhi stanchi ma ancora vigili, che si moltiplicavano a ragnatela nel riflesso, la scrutavano dietro le iridi dorate.

Stentava a riconoscersi da giorni, ormai. Il volto scavato e stanco, le labbra ridotte a una linea sottile. Era stata bella, un tempo. O almeno così si erano sempre preoccupati di definirla.
Bella. Siete così bella, Madame Dust.

Ma non le importava più, se mai gliene fosse importato davvero qualcosa. Della bellezza, della gioventù ormai sfiorita non se ne faceva niente. Non l'avrebbe certo aiutata a recuperare ciò che aveva perduto.

Si aiutò a sistemarsi un turbante colorato sulla testa di capelli corvini, ormai spruzzati di ciocche d'argento. Di celare quella chioma con cura, in un rituale quotidiano che le impediva di lasciarsi andare.

Qualcuno bussò alla porta. Non aspettava ospiti.

Sebbene la sua abitazione, ormai ridotta a una stamberga, fosse stata meta di costante pellegrinaggio per anni, di persone che da lei non desideravano altro che un'udienza, un consiglio, un aiuto, ora non era rimasto che qualche tenace avventore che si presentava di tanto in tanto, senza preavviso alcuno.

Riusciva però sempre a capire la differenza fra una visita d'affari e qualcosa di diverso.

Aveva dovuto scacciare dei ragazzini, solo qualche settimana prima. Che le avevano imbrattato la porta di verdure marce e pesce in putrefazione. Per qualche motivo (non era tanto sciocca da non immaginarsi come si fosse meritata la nomea) era diventata meta di qualche assurda prova di coraggio fra i giovani dei villaggi limitrofi. Quelli che godevano della luce del sole di Especia, quelli che le tenebre non le capivano affatto.

Si levò in piedi, lasciandosi alle spalle il riflesso distorto del suo viso e alimentò il camino con un po' della sua polvere speciale, così che producesse più fumo.

In cuor suo sapeva cosa aspettarsi quando aprì la porta. E quando lo vide, si rese conto che quegli occhi li avrebbe riconosciuti ovunque.

«Ti ricordi di me?» chiese.

L'uomo, che la stava fissando dietro la cortina di fumo, si limitò ad annuire una sola volta e lei sorrise.

Il tempo era agli sgoccioli.

Ne mancava soltanto uno.

 

*

 

«Myra, sono a casa» il vecchio con il cappello a punta si era limitato ad aprire la porta di quella che affermava essere la sua abitazione.

Aveva guidato Nami e Zoro attraverso l'intricata foresta, fino a sbucare in un'ampia radura dove in effetti sì, sorgeva una piccola, ma deliziosa casupola che rispecchiava in pieno l'aspetto del suo proprietario.

Avevano attraversato una corte in cui scorrazzavano alcune galline e qualche animale da cortile tutt'altro che intimiditi dalla presenza di due estranei. Un anziano cane dall'aria pigra aveva alzato appena la testa, quando li aveva visti arrivare. Se aveva cercato di accennare un latrato all'intrusione lo aveva fatto sbuffando, prima di accogliere il padrone con un lieve movimento di coda e tornare a dirigere le sue attenzioni al riposo interrotto.

Nami aveva chiesto al pirata di posarla a terra. Doveva pur accertarsi di riuscire a camminare sulle proprie gambe, non era sua intenzione farsi scarrozzare in giro per sempre.

Zoro non aveva protestato, ma l'aria vigile non lo aveva abbandonato nemmeno un istante. La promessa dell'incontro con quell'Ishmael sembrava aver alimentato ogni sua azione, indirizzato il suo focus, da quando si erano messi in cammino.

Nami non ci aveva capito granché ma l'unica cosa certa era che, se si trovavano in quelle condizioni e lei aveva smarrito la memoria, era in parte colpa di questo tizio. Quindi forse un po' curiosa di conoscerlo lo era persino lei.

Si appoggiò alla parete fatta di pietra e legno, la mano del pirata a sostenerla ancora per qualche istante, ad accertarsi che le sue gambe non cedessero. Una premura che si preoccupò di appuntarsi nella memoria per il futuro. La gentilezza nascosta dietro i modi bruschi era un dettaglio che le parve improvvisamente molto importante, per riuscire ad inquadrarlo.

«Zamuel, sei tornato!» una donna sbucò improvvisamente dalla porta d'ingresso. Non molto più giovane del vecchio col cappello a punta, portava i capelli color argento legati in una crocchia scomposta, aveva la stessa aria gentile, nonostante il velo di turbamento nella sua voce e nel suo sguardo.

«Ci hai messo troppo, stavo cominciando a preoccuparmi!» protestò, prima di voltare la testa e rendersi conto che non erano soli. Sobbalzò appena, squadrando prima il colosso d'uomo che sovrastava il marito, armato di ben tre spade e poi la ragazza che gli stava accanto.

«C-che sta succedendo?»

«Niente di grave, Myra» tentò di tranquillizzarla il marito «Questi giovani stavano cercando il nostro naufrago, Ishmael. È ancora qui, vero?»

«A dire la verità...» rispose la donna, indecisa su come continuare quella conversazione «è proprio per questo che mi sono preoccupata: Ishmael se n'è andato e tu non tornavi, temevo...»

«Oddio, no, non di nuovo»

«Oddio sì, di nuovo»

Il dialogo fra i due avrebbe potuto negare l'evidenza all'infinito ma a Nami non sfuggì lo scatto del pirata che sembrava tutt'altro che incline a lasciar continuare i due su quella linea.

«Che significa che se n'è andato? Vecchio, mi avevi detto che era qui!»

Zamuel si volse, le mani alzate a mo' di scuse, o resa, a seconda di quanto l'aria del pirata gli risultasse minacciosa.

«Perché quando sono uscito a cercar legna era ancora qui! M-me ve l'ho detto che spariscono. Spariscono tutti!»

«E non potevate, che ne so, legarlo?» protestò il pirata. L'aria era quella di un uomo che avrebbe ribaltato l'intera isola, pur di trovarlo.

«Legare un naufrago in cerca di aiuto?» si intromise la donna che era emersa definitivamente sul porticato. L'aria turbata aveva lasciato spazio a una certa indignazione «Ti sembrano sciocchezze da dire, giovanotto

A quell'appellativo Nami lo vide arretrare, nemmeno fosse stato schiaffeggiato. Un soldo di cacio che il pirata avrebbe potuto sollevare con la facilità di un gigante con una foglia, era riuscita a farlo retrocedere con la forza di un secco ma severo rimprovero morale.

«Poco male, vado a cercarlo» borbottò indispettito, ormai deciso a portare a termine la sua missione dell'ultima ora.

«Tu non te ne vai proprio da nessuna parte...» Nami si decise finalmente a intervenire in prima persona. Su questo proprio non poteva tacere. Lo guardò voltarsi con un cipiglio confuso ma non gli diede la soddisfazione di rispondergli subito. Sperava capisse. Poi ricordò come, a volte, le sembrasse davvero poco sveglio.

«Io non ho la forza di proseguire oltre. Sono stanca e sudicia, e non ho alcuna intenzione di restare qui sola, sapendo che appena te ne sarai andato...» si assicurò di guardarlo dritto nell'unico occhio sano «non riuscirai mai più a ritrovare questo posto perché hai il senso dell'orientamento di un babbuino bendato»

«Che cosa hai detto?»

«Hai sentito perfettamente cosa ho detto» sospirò esausta «Ritrovare quel tizio non mi farà stare meglio e sicuro non ti aiuterà a ritrovare i tuoi compagni» non era sicura di quando potesse raccontare di fronte a due perfetti sconosciuti, perciò restò su vago ma non mancò di far capire al pirata quanto fosse idiota la sua decisione.

Si rivolse quindi alla coppia di bizzarri coniugi.

«Chiediamo solo ospitalità per questa notte» disse «non arrecheremo disturbo.»

I due si guardarono perplessi ma complici.

«A noi sta bene» parvero concordare «Ma in cambio chiediamo una spiegazione su ciò che sta succedendo» proseguì la donna, portandosi le mani ai fianchi, improvvisamente risoluta «Sono giorni che raccatiamo in giro naufraghi ma nessuno sembra in grado di rammentare che diavolo sia successo.»

Nami le rivolse uno sguardo confuso.

«Nessuno di loro?»

«Nessuno... tutti vittime di una specie di amnesia collettiva» agitò la mano nell'aria a mimar lo svolazzo di una memoria ballerina.

Si volse verso Zoro, riconoscendo in lui la medesima perplessità, la stessa tacita domanda negli occhi.

Forse quei due avrebbero potuto risolvere anche alcuni dei loro quesiti. Perché di amnesie, Nami ne sapeva ora tristemente abbastanza.

 

*

 

Rufy non aveva voluto straordinariamente toccare niente di ciò che Sanji aveva preparato per lui nello zaino. Il suo stoicismo sorprese molto persino Jimbe che, di quanto vorace fosse Rufy non aveva avuto che un accenno in quelle ultime, frenetiche settimane.

La verità era che non appena erano riusciti ad approdare al primo villaggio, segnato (male) dalle mappe, se ne era andato in giro annusando ogni tipo di odore al di fuori dell'ordinario.

La maggior parte delle botteghe erano già chiuse a quell'ora della sera, ma i profumi che caratterizzavano le loro spezie permeavano l'aria come una coltre morbida e suadente.

Fuori dagli edifici c'erano comunque delle lanterne ad illuminare le strade dove si attardavano sporadici abitanti della zona. Il chiacchiericcio di sottofondo arrivava dalle finestre socchiuse delle abitazioni, dove probabilmente la maggior parte di essi si erano ritirati per cenare.

«Possibile che sia già tutto chiuso?» si domandò il capitano, tenendo strette fra le mani le bretelle del suo zaino. L'idea sembrava quella di tener duro ancora un po', ma presto Sanji lo immaginò lanciare all'aria il suo contenuto per divorarlo con ferocia.

«È ora di cena» lo rabbonì, guardandosi attorno con curiosità. I profumi non erano sfuggiti nemmeno a lui, ma oltre alle spezie, riusciva a percepire l'odore pungente d'incenso. Non era sorpreso, dacché molte delle insegne delle botteghe circostanti, recavano nomi di dubbie attività commerciali: 'Pozioni Gregory', 'Madame Grimes tarocchi', 'Spezie & Incantesimi', solo per citarne alcuni.

«È proprio come ha detto Robin-chan: cialtroni che credono di occuparsi di arti occulte»

«Perché cialtroni?» indagò Rufy che l'attimo dopo aveva già perso interesse per la risposta, seguendo la scia di un altro profumo.

«Bè, perché l'occulto, la magia, non sono scienze... sono più...»

«CIBO!» si sentì gridare Rufy che aveva praticamente svoltato l'angolo in fondo alla via.

«Non proprio ma-»

«Credo che il nostro capitano abbia trovato una taverna» intervenne Jimbe divertito. Con un cenno del capo indicò il cartello con una segnaletica ben precisa.

Sanji scosse la testa senza riuscire a nascondere un sorriso: «Se c'è una cosa che non succederà mai in sua compagnia, è morir di fame»

A meno che non scelga di farlo. Gli rispose la sua coscienza, rammentando uno specifico episodio di diversi mesi addietro. La ritrosia del capitano nel consumare i manicaretti per il viaggio gli sembrarono attingere a piene mani dalla stessa apprensione che aveva provato per lui, quando aveva temporaneamente lasciato la ciurma. Forse, in questo caso, si preoccupava più di poter sfamare, a tempo debito, spadaccino e navigatrice. Volontariamente o meno, l'unica cosa a spingere Rufy a rinunciare al cibo, sembrava la preoccupazione per la sua ciurma. In un modo o nell'altro.

 

Il locale in cui entrarono non sembrava particolarmente ampio. I pochi avventori se ne stavano per lo più silenziosi e solitari, agli angoli della stanza. Le pareti erano tappezzate di poster ingialliti di vecchi spettacoli teatrali. E sulle varie mensole alcuni ammennicoli dalle forme strane e bottiglie di liquori.

«Venite pure avanti signori, abbiamo tavoli!» venne loro incontro un uomo dall'aria affabile. La mascella importante, una bandana sul capo a trattenere capelli biondi.

Rufy non si fece ripetere l'invito una seconda volta: abbandonò lo zaino che atterrò sul pavimento con un tonfo sordo e prese posto al primo tavolo libero accanto al bancone.

«Siamo affamati!» esclamò senza aggiungere altro. L'uomo li avvicinò per poter sistemare tovagliette e posate.

«Ed io sono qui per servirvi. Non vi ho mai visti da queste parti, siete arrivati da poco?» chiese con aria tranquilla ma a Sanji non sfuggì lo sguardo indagatore. Rammentò rapidamente i tre tizi impiccati ai faraglioni e proprio mentre Rufy apriva la bocca per parlare trascinò a sé la sedia, producendo un rumore fastidioso.

«Proprio questo pomeriggio, ma siamo solo di passaggio», intervenne sedendosi e guardandosi attorno per prender tempo «per essere ora di cena, non mi sembra ci sia molta gente» deviò abilmente il discorso, per non dover imbastire una scusa di qualsiasi tipo.

«Anche le botteghe là fuori hanno chiuso davvero presto» intervenne Jimbe, per dar man forte a Sanji.

L'uomo si strinse nelle spalle.

«Cosa volete. La situazione da queste parti si è fatta... complicata da qualche anno a questa parte»

«Complicata?»

«Sì, diciamo che Especia non è esattamente più l'isola che era una volta» mormorò, adocchiando i pochi avventori, con l'aria di chi non ha molta voglia di farsi sentire «per questo sono sempre sorpreso quando vedo arrivare persone nuove»

«Non è stato nemmeno semplice trovarvi, siamo capitati qui praticamente per caso»

L'uomo si rabbuiò un istante.

«Già, me l'immagino» sembrò sul punto di aggiungere altro all'argomento ma Rufy lo interruppe bruscamente.

«Non è che prima di noi vi è capitato di incrociare, per caso, un tizio grosso con tre spade e una ragazza con lunghi capelli rossi, dall'aria minacciosa?»

Il locandiere inarcò un sopracciglio, adesso attento.

«Non mi pare, no. Gli stranieri che passano da queste parti non sono difficili da individuare e non mi sembra di aver visto due persone che corrispondano alla descrizione. Amici vostri?»

«Sì, fanno parte della mia-» Sanji tappò la bocca a Rufy con un pezzo di pane che l'uomo aveva portato assieme alle posate.

«Ce li siamo persi per strada» intervenne Sanji «Quell'imbecille del nostro amico si perde di continuo. Ha voluto partire solo all'esplorazione dell'isola e la dolce ragazza che ci accompagnava è andata a cercarlo. Speravamo fossero arrivati da queste parti...» imbastì la prima storiella che gli venne in mente.

«Strano» disse il tizio «questo è l'unica vera cittadina di Especia. Difficile mancarla.»

«Perché non conosci il nostro amico...»

«Dov'è che avete attraccato la vostra nave, avete detto?»

«Non lo abbiamo... detto» sussurrò Sanji, lanciando un'occhiata allarmata a Jimbe.

«Bè... comunque sia, voi siete qui per mangiare, giusto?» disse perdendo immediatamente quell'aria indagatrice.

«Sì!» esclamò Rufy «Carne!» aggiunse.

L'uomo batté le mani una sull'altra, pronto a rimettersi al lavoro.

«E carne sia.»

Sanji lo seguì con lo sguardo fin quando non sparì in cucina.

«Non credo dovremmo restare qui» mormorò, sentendo su si sé gli sguardi dei pochi avventori della locanda.

«Non possiamo nemmeno andarcene, desteremmo troppi sospetti arrivati a questo punto.» rispose Jimbe.

«Ma di che state parlando?» sussurrò Rufy, infilandosi in bocca un altro pezzo di pane.

«Di niente» sospirò Sanji «ceniamo e cerchiamo di non dare nell'occhio. Se Nami-san non è passata da qui, inutile restare»

Lo sguardo dell'uomo non gli era piaciuto per niente, e in ogni caso l'atmosfera sembrava improvvisamente mutata. Avrebbero dovuto prepararsi una storia molto più convincente di così per risultare credibili a isolani che tanto ci tenevano a rimarcare di non volere ospiti indesiderati.

 

*

 

«Ecco fatto» Myra aveva appena finito di applicare un'erba curativa sulla ferita che Nami sfoggiava con una certa riluttanza. Si pulì le mani su una pezza di stoffa e cercò un cerotto per coprirla «con questo dovresti poter dormire senza paura di sporcarti, e magari farti un bagno»

A quella parola Nami sentì qualcosa scaldare il suo cuore. Un bagno: era da ore che non desiderava altro che quello.

«Cosa che il tuo amico invece non sembra intenzionato a fare. Ohi!» la donna richiamò Zoro che pareva essersi sopito, seduto a terra, poco distante. Se aveva ascoltato in silenzio la spiegazione che l'aveva obbligata a tenere in solitaria, non era dato saperlo. Certo non si era mosso di un millimetro.

Ma al richiamo della donna aprì un occhio con calma e rassegnazione. Non con l'espressione di chi è stato costretto a destarsi da un saporito sonnellino.

La donna e suo marito avevano ascoltato il racconto di Nami, in base a ciò che il pirata le aveva approssimativamente raccontato: del naufragio e di Ishmael, dei compagni perduti, dell'essere approdati su un'isola e della sua amnesia, ma il fatto che Zoro non fosse intervenuto una sola volta, sembrava decretare in maniera piuttosto ovvia che non avesse intenzione alcuna di aggiungere dettagli di una qualche rilevanza. A Nami venne il sospetto che non si fidasse abbastanza per farlo e che ai coniugi sarebbero dovute bastare le sommarie e confuse spiegazioni di una vittima di amnesia. Aveva omesso, per scrupolo, il fatto che Zoro fosse un pirata o che lo fossero i compagni che andavano cercando. Non desiderava affatto che per qualche ragione finissero nei guai.

«Dunque, se non ho capito male, amnesia e naufragio sono le uniche cose che vi accomunano ai ragazzi che sono approdati qui prima di voi...» constatò sbrigativamente Myra. Dalla pentola, sul fuoco del caminetto acceso, intanto si stava sollevando un buon profumo di zuppa.

«Io non soffro di alcuna amnesia» la corresse il pirata, portandosi entrambe le mani dietro alla testa.

«Era ovvio che mi riferissi a questa signorina qui. Dì, ma fa sempre così?»

Nami si strinse nelle spalle. Più che per giustificarlo, perché non lo ricordava affatto. Certo non sembrava la persona più accomodante della Terra. Ma la questione, per qualche motivo, sembrò divertirla.

«Piuttosto non ci avete detto cosa vi ha raccontato Ishmael» indagò Zoro stiracchiandosi, prima di rimettersi in piedi, come non aspettasse altro che il suo turno, per fare domande.

«Non ci ha raccontato niente, a dire il vero» Zamuel volle dar man forte alla moglie «Solo di essersi ritrovato sulla spiaggia, spogliato di tutti i suoi averi. Desiderava la conferma che questa fosse Especia»

«È chiaro che vi ha mentito» rispose Zoro, intransigente «Tua moglie ha detto che amnesia e naufragio sono le uniche cose che accomunano Nami alle persone che avete ospitato. Che altro hanno in comune queste persone?»

La domanda sorprese Nami: non era una considerazione sciocca. Aveva avuto il sospetto che fosse un attento osservatore, ascoltatore, ora ne aveva avuta la conferma. Cozzava un po' con quel suo lato di carattere che pareva non arrivare alle cose più elementari. Gli sembrava una personalità piuttosto complessa per essere inquadrata superficialmente.

Il vecchio direzionò lo sguardo alla moglie. A chiedere tacita conferma di poter parlare liberamente. Un cenno del capo gli diede l'assicurazione di poterlo fare.

«Gli occhi» rispose ambiguamente, richiudendo con un coperchio la zuppa e il suo sobbollire «non si somigliavano affatto l'un con l'altro, ma avevano tutti gli stessi, identici occhi: gialli come quelli di una tigre. E-»

«L'Ishmael che conosco io aveva gli occhi verdi» lo interruppe il pirata, avanzando di un passo. Nami era certa che non stesse dubitando delle parole del vecchio, ma sembrava molto interessato a capire cosa stesse succedendo. Come tutti, del resto.

«Non so che dirti, ragazzo. Magari non era lo stesso Ishmael che cerchi tu. Però è l'unico che abbiamo conosciuto»

Il pirata non commentò alcunché ma le rivolse uno sguardo che prometteva una disquisizione futura sulle informazioni che avevano raccolto.

«Io ricordo un paio di occhi gialli, a dire il vero...» mormorò Nami, prima che un'improvvisa fitta di mal di testa non la costringesse di nuovo al silenzio.

«Non sforzarti troppo» la riavvicinò la donna, posandole una mano sulla spalla «il fatto che la memoria torni a tratti è solo un buon segno, sai?»

Non era certa che quelle parole la rassicurassero, non si sentiva più tranquilla o sicura di quanto non avesse fatto sino a quel momento. Fidarsi di persone che non ricordava, che forse non conosceva affatto la metteva in una posizione scomoda. Eppure era così stanca, affamata e dolorante che quasi si convinse a lasciarsi vincere dal sentimento, dall'arrendevolezza. Quali alternative aveva, dopotutto?

E poi quel pirata non aveva dimostrato altro che premura nei suoi riguardi. Poteva anche aver il sospetto le avesse mentito, ma del parere opposto sembravano essere i suoi occhi. I suoi atteggiamenti. Dicevano molto più di lui di quanto non lo facessero le sue parole.

«La zuppa è pronta!» annunciò Zamuel posando la pentola fumante sul supporto di legno al centro del tavolo «direi che possiamo mettere da parte le chiacchiere e rifocillarci, immagino sarete affamati»

Lo stomaco di Nami rispose in maniera piuttosto rumorosa a quello stimolo.

«Una bella cena, un bagno caldo, una sana dormita... e domani potrete riprendere con la ricerca dei vostri amici. O di Ishmael...» suggerì adocchiando Zoro che si era avvicinato alla tavola, spinto dallo stesso istinto primario.

«Non avete per caso anche dell'alcool, vero?» chiese, sorprendendo tutti.

«Abbiamo un ottimo distillato digestivo» annuì Zamuel affrettandosi ad andare a ripescarlo dalla credenza.

«Me lo farò bastare...» commentò a mezza voce il pirata, prendendo finalmente posto.

 

Solo a stomaco pieno, Nami si convinse a tentare di camminare da sola. Le gambe erano traballanti ma il solo fatto di aver messo qualcosa sotto ai denti, sembrava averle dato forza a sufficienza per arrivare alla casupola esterna con il bagno.

Myra le aveva fatto compagnia durante il tragitto e le aveva accordato un po' di privacy dopo essersi assicurata che l'acqua nella vasca fosse adeguatamente calda.

«Qui trovi del sapone e dei sali da bagno» la istruì «ti lascio un panno per asciugarti e dei vestiti puliti. I tuoi puoi metterli in un angolo, mi assicurerò di lavarteli e farteli trovare pronti per domani»

Nami provò un moto di immensa gratitudine a quel gesto e quelle parole all'apparenza innocue.

«Non so come ringraziarti...» disse, poggiandosi al bordo della vasca. Già solo il tepore dei vapori dell'acqua le sembrò tremendamente attraente.

«Ah, non preoccuparti, ragazza mia» le sorrise la donna «prenditi tutto il tempo che ti serve. Io non sarò molto distante. Se hai bisogno di me, chiama, sarò qui fuori»

Nami le restituì un sorriso e un cenno d'assenso, finché non vide Myra richiudersi la porta alle spalle e lasciarla finalmente sola.

Rilasciò piano il fiato, sollevandosi appena per potersi liberare dei vestiti sudici e irrigiditi dal sale dell'acqua di mare. Fece un doloroso sforzo per sfilarsi la maglietta da sopra la testa, facendo attenzione a non sfregarla sull'enorme cerotto che aveva in fronte. Lasciò cadere a terra quella, facendo seguire i pantaloncini e infine la biancheria intima.

Provò un brivido di freddo non previsto, prima di rendersi conto che proprio di fronte a lei c'era uno specchio dall'aria malridotta ma decisamente più utile della pozza d'acqua in cui si era specchiata solo poche ore prima.

Si accostò alla parete per aiutarsi a restare in piedi, avvicinarlo e godere finalmente di una visione più chiara del suo riflesso.

La sensazione di riconoscersi le sembrò così vivida da rassicurarla. I capelli, gli occhi, le labbra le risultavano familiari. Persino il mezzo sorriso che andò a piegarle le labbra.

«Nami» mormorò a mezza bocca, ritrovando il gusto del proprio nome così come quando lo aveva sentito pronunciare dal pirata, la prima volta.

Si sfiorò con le dita il cerotto sulla fronte, passando per il viso, gli zigomi e il mento e poi sul collo, fino ad arrivare alle spalle, graffiate e coperte di lividi. Gli stessi graffi e gli stessi lividi che aveva intravisto persino sul viso e le braccia del pirata.

No, non del pirata. Di Zoro.

Avrebbe dovuto imparare e gestire il suo nome e tentare di trovarlo familiare tanto quanto gli sembrava ormai la sua presenza.

Si rese conto infine, solo in quel momento d'analisi, del tatuaggio che campeggiava su una delle sue braccia.

Si volse per esaminarlo per bene, riflesso allo specchio. La forma era armoniosa ma sembrava esser stato messo lì per celare una cicatrice che si percepiva appena, sotto le dita.

Si chiese cosa rappresentasse, ma la sensazione di calore che si propagò al centro del suo petto le suggerì, ancora una volta, che doveva essere qualcosa di importante.

L'immagine di una girandola e il ricordo del profumo intenso dei mandarini invasero la sua memoria, come un refolo di vento che l'accarezzò in modo tanto benevolo da inumidirle gli occhi di un'emozione nascosta.

«Ma che significa... ?» esalò, trattenendo una risata incredula, asciugandosi una lacrima sfuggita al suo controllo. Le parole della vecchia sui ricordi che probabilmente sarebbero tornati le fecero ben sperare che anche quello fosse un buon segno.

Poi, l'ennesima fitta di dolore alla testa la costrinse a serrare le palpebre e posarsi di nuovo con una mano alla parete accanto, per evitare una brusca caduta. L'unica sgradevole controindicazione.

Le ci volle qualche istante, prima che la sensazione passasse ma quando riaprì gli occhi e li trovò incastrati in quelli del suo riflesso nello specchio, trattenne il fiato per lo sconcerto: le iridi della donna che la stava osservando dall'altra parte erano gialli, dorati e brillanti, come quelli di una fiera. Arretrò di soprassalto, rischiando di cadere, il cuore in tumulto. Che stava succedendo?

Quando tornò ad osservarsi però, con titubanza e timore, aggrappandosi allo specchio come ne andasse della sua stessa vita, non trovò niente altro che il nocciola degli occhi della Nami che le sembrava di riconoscere.

Che fosse stata solo un'allucinazione? Probabilmente era così esausta che il sonno e la veglia si erano fuse con parole e fatti che si erano susseguiti in quella assurda, infinita giornata.

Una volta assicurata che gli occhi estranei, nel riflesso, non avessero intenzione di tornare, si costrinse a trascinarsi verso la vasca da bagno.

Esaminò per qualche istante i sali da bagno, annusandoli uno per uno con una certa delizia: erano tutti così squisiti che alla fine lasciò vincere l'ultimo che aveva preso fra le mani. Ne versò un po' nella vasca e attirò a sé del sapone.

Ci volle qualche istante, prima di convincere il suo corpo a collaborare, alzare una gamba e poi l'altra, spingersi oltre le pareti della vasca e lasciarsi infine ricadere con un singhiozzo arrendevole, al caldo abbraccio dell'acqua bollente.

«Mio Dio...» sussurrò, sprofondando con abbandono fino al mento, lasciando che finalmente il calore si prendesse cura delle sue membra esauste.

 

*

 

«Siete sicuri di non volere niente altro?» il tizio del locale in cui erano approdati Rufy e gli altri, aveva servito così tanta carne che Sanji fu certo avesse dovuto metter mani alle scorte dell'intera settimana. Certo era che, di speziate a quella maniera, non ne aveva assaggiate mai e sebbene riluttante, dato il contesto, doveva ammettere di essere piuttosto curioso sul modo di cucinarla e trattarla. Si astenne dal chiedere solo per non alimentare inutili conversazioni.

«Io direi che qui abbiamo finito» rispose al posto del Capitano che dondolava, sazio e soddisfatto, sulla propria sedia.

«Spero sia stato tutto di vostro gradimento» si assicurò l'uomo, cominciando a sparecchiare «È molto tardi, abbiamo delle camere proprio sopra la nostra taverna. Sono piccole e modeste, ma la biancheria è pulita e i materassi sono molto comodi» offrì infine con aria casuale.

«Non credo che ci fermeremo...» gli rispose Sanji con un sorriso che doveva risultare convincente ma che forse gli uscì meno credibile del solito. Certo, si fosse trovato al cospetto di una donna sarebbe stato tutto molto diverso. Ma quell'uomo aveva una mascella troppo prominente anche solo per immaginarselo, come una donna, e fingere con più convinzione.

«Perché no?» Rufy aveva straordinariamente trovato la forza di intervenire, nonostante il gorgoglio del suo stomaco colmo all'agonia.

«Perché dobbiamo tornare a cercare i nostri amici e salpare» suggerì, sperando che capisse la sua ritrosia nel prolungare la loro permanenza, nonostante ormai fossero rimasti gli ultimi avventori della serata e il locale fosse deserto e ben poco ostile.

«Tutta questa fretta» si intromise di nuovo il grosso cameriere che probabilmente altri non era che il proprietario dell'intera struttura. Non sembravano esserci che lui e un paio di cuochi nel retro bottega «con questo buio le ricerche saranno piuttosto difficili. E sono sicuro che i vostri amici avranno trovato un posto dove condividere una stanza. Le locande qui attorno non mancano di certo»

«In nessun universo quei due dormiranno mai assieme» gli uscì spontaneo dire, infastidito dall'illazione che tale probabilmente non era.

Jimbe gli scoccò un'occhiata perplessa, sospirando qualcosa.

«Forse il signore ha ragione. L'ora è tarda e siamo stanchi. Non approfittarne sarebbe sciocco.»

Sanji lo guardò sorpreso. Era certo che avrebbe concordato con lui sul fatto di svignarsela il più rapidamente possibile. Lo sguardo che lesse negli occhi del gigantesco uomo pesce però sembrava suggerirgli altro. E nel dubbio, decise di assecondarlo.

«Bè, d'accordo immagino. Approfitteremo della sua... generosa offerta»

«Evviva!» esalò Rufy, con la voce strascicata di chi sembra più nel mondo dei sogni che in quello reale.

Sanji frugò nelle sue tasche, cercando i berry che aveva portato con sé per scrupolo e pagò il conto della cena.

«Per le camere, quanto dobbiamo?» chiese, cercando di fare un calcolo mentale sulle spese che potevano permettersi. Era Nami a gestire l'economia della nave e della cassaforte. Ma ora che se n'era andata avevano tutti dovuto attingere dai risparmi che avevano nascosto in giro per la nave, per le piccole spese extra che di solito la loro parsimoniosa navigatrice gli negava. Si era sempre sentito un po' in colpa nel farlo, nonostante non facesse altro che mettere da parte, invece che restituire, le spese settimanali che non smaltiva. Certo più avveduto del capitano o di quello scialacquatore dello spadaccino. Provò una fitta di fastidio all'idea che oltre ad avvertire un profondo senso di angoscia per la sparizione di Nami, ne provasse altrettanta per quell'idiota di Zoro. Probabilmente stava invecchiando e diventando più sentimentale. Non c'era davvero altra spiegazione.

«Ah, niente» la voce del proprietario della taverna a destarlo dalle sue riflessioni «Aggiungiamo il servizio pagato nel conto della vostra cena»

Un'affermazione che invece di placare i sospetti di Sanji, non fece che accrescerli. L'idea che offrisse loro alloggio, quando già scarseggiava clientela occasionale, gli sembrò controproducente, oltre che piuttosto strano.

«Molto generoso da parte sua, signor...» rispose, serrando le labbra, di nuovo quel sorriso che faticava a uscirgli spontaneo.

«Guss. Chiamatemi solo Guss» replicò affabile «Datemi qualche momento e vado a preparare la stanza. Godetevi questo digestivo, nel frattempo» dichiarò, estraendo tre bicchierini da chissà dove per riempirli con un liquido ambrato, dall'odore pungente «anche questo offerto dalla casa»

Sanji lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava con i piatti vuoti, prima di posare il gomito sul tavolo e avvicinarsi a Jimbe.

«Mi spieghi perché gli hai risposto che saremmo rimasti?»

L'uomo pesce inspirò a fondo, liberando le braccia dal possente intreccio con cui era rimasto in posa, fino a quel momento: «Perché siamo molto stanchi. Sono quasi due giorni che non riposiamo e affrontare una notte all'addiaccio non ci aiuterà certo ad affrontare qualsiasi cosa questa città abbia in serbo per noi» gli rispose «inoltre quest'uomo non sembra così pericoloso. E in ogni caso, se cercherà di fregarci, hai davvero dubbi sul fatto di potercela cavare?»

Sanji si rese conto che forse potevano davvero concedersi qualche ora di riposto. Magari monitorare la situazione, per scrupolo. Non erano nuovi a certi tipi di situazioni; già il fatto che avessero dei sospetti, doveva dar loro almeno un vantaggio.

«E sia...» si arrese definitivamente.

Quando vide Jimbe raccogliere il bicchiere con il liquore ambrato decise di fare altrettanto. E dopo aver fatto cozzare il proprio con quello del compagno, in una sorta di brindisi e tacito accordo, lo trangugiò in un sol colpo.

«Delizioso» commentò stancamente e solo allora Rufy si destò da un sogno fatto di ciambelle, reclamandone altre.

 

*

 

Zoro aveva raccolto le sue katane ed era uscito dalla casa dei loro gentili ospiti, che l'alba sorgeva timidamente all'orizzonte.

Aveva riposato per qualche ora e il suo corpo doveva aver reagito positivamente dopo gli sforzi della giornata, perché dopo una cena, un (riluttante all'inizio ma benefico dopo) bagno e una dormita, si sentiva piuttosto in forma.

Aveva sbirciato solo un istante il giaciglio su cui Nami stava riposando, nella stanzetta in cui li avevano sistemati e dopo aver constatato che stava dormendo ancora saporitamente, aveva deciso di non disturbarla e cominciare la giornata con un paio di allenamenti, per tenere impegnata la testa e il cuore.

Non lo aveva dato realmente a vedere ma quella situazione lo aveva destabilizzato. Non gli quadravano le informazioni apprese dall'anziana coppia, men che meno aveva gradito la fuga di quel maledetto Ishmael e, più di tutto, non gli andava a genio l'amnesia di Nami. Anche se, non andargli a genio non era esattamente il termine che meglio descriveva la situazione. Era arrabbiato, quello soprattutto. E preoccupato, certo. Ma più di ogni altra cosa si sentiva, per la prima volta, assolutamente impotente. Incapace di trattenere per le briglie una situazione assolutamente fuori controllo.

Combattere con un nemico invisibile e sfuggente era qualcosa che andava ben oltre le sue capacità e la sua volontà. Detestava i misteri quanto detestava la frustrazione di non riuscire a venirne a capo.

Avrebbe certo affrontato di petto la situazione, perlustrando l'isola da cima a fondo, pur di ritrovare i compagni e il naufrago che aveva causato quella situazione, ma la verità era che non poteva farlo, non con Nami in quelle condizioni.

Aveva già valutato la possibilità di affidarla alle cure dei due anziani, che si erano rivelati attenti e sinceramente premurosi, per proseguire solo nella ricerca, ma aveva scartato l'idea quando aveva realizzato che non poteva rischiare di perdere un altro membro della sua ciurma.

Aveva già affrontato sulla spiaggia il terrore che l'aveva pervaso quando aveva temuto di averla persa. Non desiderava ripetere l'esperienza. E poi era sicuro che una volta recuperata la memoria (perché sì, era certo sarebbe successo), Nami gli avrebbe scatenato addosso l'intero inferno per punirlo di non averla coinvolta.

Giustificandosi in questo modo si sentì in pieno diritto di lasciarla riposare e dare persino a se stesso una tregua.

Si svestì della casacca che il vecchio si era preoccupato di fornirgli per la notte, restando solo con il paio di pantaloni neri un po' troppo corti per le sue lunghe gambe, legati stretti in vita da una fusciacca color cenere.

Recuperò la Wado, estraendola dal fodero con la stessa cura e delicatezza che avrebbe riservato a una persona cara. Afferrò l'elsa con entrambe le mani, sollevando la lama verso il cielo, lasciando che catturasse le prime luci del mattino, permetterle di scintillare nella placida, rosea atmosfera mattutina.

I piedi scalzi affondarono nell'erba alta, accarezzati l'umidità della rugiada. Socchiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sui suoni della natura, tutt'intorno a lui.

Compì dei movimenti lenti, morbidi, simulando affondi e attacchi al rallentatore. Il solo suono della lama a sferzare l'aria ad accompagnare il suono dei primi cinguettii appena desti.

La calma, fuori e dentro di sé.

Solo dopo qualche minuto di raccoglimento un scalpiccio scomposto e la melodia di un canto sommesso, catturò la sua concentrazione. Suoni che niente avevano a che fare con il contesto in cui si stava muovendo. Il buffo latrato dell'anziano cane della coppia lo mise definitivamente in allarme.

Abbassò preventivamente la lama e riaprì gli occhi, raccolse la sua posizione, improvvisamente concentrato e attento.

Scandagliò i dintorni, cercando la fonte della sua distrazione e fu allora che vide quello che sembrava il fantasma di Nami. Si era già allontanata di parecchio dall'abitazione, lasciando aperta la porta d'ingresso. Si muoveva con incertezza sulle gambe che ancora non erano in grado di sorreggerla a dovere. A renderla quasi eterea, estranea allo scenario, era la candida camicia da notte che Myra le aveva prestato, quasi trasparente in controluce con il sole nascente, a lasciar intravedere le gambe snelle e le sue generose forme. I lunghi capelli, sciolti sulle spalle che ondeggiavano drammaticamente ad ogni passo malfermo.

«Ma che diavolo... ?» esalò, rendendosi conto della vaga nuvoletta di condensa che gli uscì dalle labbra. Si affrettò a rinfoderare la spada e affondarla nella fusciacca, cominciando a rincorrere la ragazza per raggiungerla. Restio a richiamarla a gran voce, piuttosto certo di svegliare i due anziani coniugi all'interno dell'abitazione.

Non gli fu difficile avvicinarla, e infine raggiungerla. Le afferrò un braccio mentre le note di una canzone che aveva già sentito, si smorzavano sulle labbra pallide della ragazza.

«Quindici uomini. Quindici uomini... sulla cassa del...» la strattonò per costringerla a voltarsi e un paio di grandi occhi dalle iridi dorate si fissarono nei suoi, sgranandosi confusi «... morto!»

«Nami?» la richiamò allora, incredulo di ciò che stava osservando. Se prima pensava fosse solo sonnambula, ora la questione sembrava di tutt'altra natura. Ma prima che potesse afferrarne il senso la ragazza prese a dimenarsi come se avesse visto davvero un morto o un fantasma. Cacciò un grido tanto acuto che Zoro dovette mettere da parte lo sconcerto per tapparle la bocca, nel disperato tentativo di placarla.

«Ma che diavolo ti prende?» chiese, ben consapevole che non sarebbe certo stata la sua sciocca domanda a farla rinsavire. La sentì dimenarsi, nonostante l'avesse stretta in una morsa con una delle sue braccia e si costrinse a non lasciarla andare, nonostante avesse affondato i denti nella sua mano, mordendolo a sangue, nel tentativo di liberarsi.

La sentì perdere l'equilibrio e quasi sfuggirgli dalle braccia. La seguì a terra, crollando sulle sue stesse ginocchia, lasciando che si dimenasse ancora qualche istante, prima di sentirla abbandonarsi lentamente alla resa.

Le lasciò andare la bocca, ignorando il sordo dolore del suo morso e solo quando sentì il suo respiro tornare regolare, a liberarla definitivamente.

«Nami...» la richiamò di nuovo, conscio che forse non gli avrebbe risposto. Ma doveva sapere. Doveva di nuovo guardare i suoi occhi, accertarsi che fosse reale, ciò che aveva appena visto.

La costrinse a rimettersi dritta, trattenendola per le spalle, a raccogliere il suo mento per costringerla a sollevare il capo nella sua direzione.

Quando Nami inchiodò di nuovo gli occhi ai suoi, erano tornati del colore nocciola che le aveva sempre associato. Ci lesse tanto lo sconcerto, quanto la paura di ciò che era appena successo.

«Che mi sta succedendo?» la sentì sussurrare appena. La vide finalmente battere le palpebre consapevole di essere tornata in sé, di essere arrivata fin lì contro la sua volontà.

Zoro non poté fare a meno di associare quell'evento a ciò a cui aveva assistito, solo la sera prima, a bordo della Sunny: Ishmael affacciato al parapetto. Il sonnambulismo, il presagio di morte. E poi quella dannata canzone. E infine gli occhi gialli, presenti nel racconto del vecchio, associati a tutti i naufraghi che si erano ritrovati a ospitare. L'amnesia collettiva. Quella di Nami. Le coincidenze, per quanto straordinarie non potevano davvero essere tanto numerose. Doveva esserci un assurdo collegamento.

Si sentì improvvisamente inquieto, mentre il sotto strato di frustrazione e rabbia bolliva in profondità, tenace e potenzialmente esplosivo.

Nemmeno si era reso conto di averle posato la mano sul viso, nel tentativo di rassicurarla.

Lei assecondò quel gesto, serrando la presa alla sua mano, come ad aggrapparsi a qualcosa di concreto. Gli occhi che gli chiedevano di non lasciarla andare, di non permetterle di precipitare di nuovo nell'oblio.

Zoro la lasciò fare.

Perché aveva appena realizzato una cosa importante: Nami aveva finalmente deciso di fidarsi di lui.

 

Continua...

 

Note:

Capitolo un po' più prolisso del previsto, ma che non potevo interrompere prima di arrivare proprio a quella conclusione lì. Spero non sia risultato inutile il piccolo angolino fanservice di Zoro che fa cose nel pallido mattino rugiadoso. Sul resto, mi sono resa conto che volevo anche il punto di vista di Sanji, desideravo dargli una voce, sperimentare e tentare di giostrare pure lui e quindi... vabbè. Non mi sono dimenticata del resto della ciurma, comunque. Avranno il loro spazio. Spero la trasma non risulti troppo confusionaria, ma prometto che presto i nodi verranno al pettine e qualcosa verrà svelato. Per il momento grazie a tutti, come sempre, per avermi seguita fin qui. A presto.

   
 
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