Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: insiemete    13/03/2024    0 recensioni
Scappare è solo il preambolo di chi vuole vivere una vita che non vale la pena d'esser vissuta.
Per tutto l'arco della sua vita Meadow era stata assolta dalle sue malefatte, qualcuno pagava al posto suo e lei poteva continuare a vivere come se niente fosse. A vent'anni si trovava a gestire così tante situazioni che nemmeno suo padre, uno dei miliardari più importanti del paese, l'avrebbe aiutata.
Costretta a cambiare per non perdere il secondo anno di università, Meadow si ritrovò a fare conoscenza con un ragazzo che l'avrebbe ben presto conquistata ma che nascondeva dentro di sé un grande segreto che, rivelato, l'avrebbe spezzata.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A Dartmouth eravamo effettivamente in pochi. Forse includendo il personale scolastico, arrivavamo a cinquemila persone, la quale non era una cifra molto alta, soprattutto per le università americane. Ed era uno dei motivi per cui avevo scelto quel posto e non un altro ateneo. Sì, qui avevo mia zia, ma non era l'unico motivo a tenermi ancorata.

Mio padre lavorava nel campo della sicurezza privata. Aveva inventato un sistema di sorveglianza ineccepibile tanto da divenire il maggior produttore mondiale, così affidabile da essere utilizzato nel caveau della Regina d'Inghilterra. Era stato addirittura decorato con qualche onorificenza da quest'ultima. Proprio per questo, gli sarebbe bastata una telefonata e avrebbe mandato a casa tutti qui dentro. Dopotutto io ero la sua unica figlia, la sua stella del mattino, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenere viva quella luce.

Nonostante avessi tanto voluto chiamarlo, decisi che avrei fatto tutto da sola. Avevo vent'anni e avevo combinato un disastro dietro l'altro, non potevo semplicemente correre via a gambe levate e far compiere il lavoro sporco a qualcun altro.

Così, la mattina successiva alla nostra riunione, mi svegliai alle sei e mezza, mi feci una doccia veloce e decisi di vestirmi più elegantemente del solito: pantaloni neri a sigaretta e camicia color panna. Legai i capelli in una coda alta e mi guardai allo specchio. Potevo andare, poteva funzionare.

Uscii di camera in punta di piedi, cercando di non svegliare Becca che dormiva ancora profondamente. Scesi l'ultimo gradino quando mi ritrovai la chioma mora di Carly sotto il naso.

«Buongiorno, mattiniera oggi?»

Tracciai un piccolo sorriso. «Come noti.»

Feci per sorpassarla ma lei mi fermò premendo contro il braccio.

«Facciamo colazione?»

«In realtà avrei un paio di cose da fare» dissi, cercando di farla demordere.

«Alle sette? E che cos'hai da fare di così importante a quest'ora?»

Deglutii. Avrebbe rallentato la mia tabella di marcia ma era sempre meglio che raccontarle quant'era successo ieri.

«Va bene, vengo» aggiunsi infine e lei mi mostrò uno dei suoi tanti sorrisi sornioni.

Decise di non fare colazione a casa, così mi portò in caffetteria. «Sveglieremo le altre» disse e non feci altro che assecondarla; dopotutto, come aveva detto ieri, questa era una dittatura, non una democrazia.

Presi un cappuccino e lei un latte macchiato al caramello, feci per pagare la mia parte ma lei insistette e strisciò la carta per entrambe. Ci accomodammo su un divanetto all'aperto e guardai come il cortile si riempiva man mano di teste colorate.

«Forse ieri ti ho dato un'impressione sbagliata,» aggiunse in mezzo al chiacchiericcio generale, «non posso mentire e dire che è stata pura casualità.» Posò la tazza fumante sul tavolino che avevamo di fronte e una mano sulla mia spalla. «Io ti ho scelta.»

Tossii, un po' di schiuma mi andò di traverso e inghiottii velocemente il caffè che avevo in bocca. Presi un tovagliolino e pulii gli angoli delle labbra.

«Come?»

«Vorrei organizzassi tu.»

«E perché?»

Fece spallucce. Prese un cioccolatino dalla borsa e se lo mise in bocca, la carta appallottolata lanciata a terra. Con un gesto veloce della mano la presi e centrai il cestino che avevamo alle nostre spalle.

«Facciamo sempre le solite cose e mi sono stufata. A tutte piacciono, eppure tu non ci sei mai. Così, vorrei renderti più coinvolta.»

Aggrottai la fronte. Vivevo con le sorelle da più di un anno e non mi era mai interessato di cosa piacesse a loro e quindi non mi importava che loro sapessero cosa piaceva a me.

«Te non condividi nulla con noi.» Lo disse quasi titubante, come se stesse leggendo per la prima volta una lingua sconosciuta. «Lo sai che dovremmo avere tutte interessi simili, se no che senso avrebbe chiamarla confraternita?»

Dovetti dissentire: non era vero quello che diceva. Anche a me piacevano le stesse cose, solo che non mi andava di condividerle con loro.

«Praticamente stai infrangendo il primo articolo del Libro Mastro. Sai che dovresti essere sbattuta fuori?»

Posai gli occhi nuovamente sul cortile e cercai qualche volto familiare. Non vidi nessuno. Sfortunatamente una delle poche persone su cui potessi fare affidamento era qui affianco. E si stava lamentando di me.

«Va bene, ho capito. Cercherò d'esser più coinvolta.»

Carly lanciò lo stesso cioccolatino sul mio grembo. «Bravissima, vedo che impari in fretta.»

Trascinai la mia carcassa fino alla segreteria. La conversazione avvicendata con Carly mi portò via una parte delle energie e se quella mattina mi ero svegliata con un obiettivo ben preciso, ora stavo rincorrendo una strana sensazione. Mi diedi uno schiaffo in viso, come per risvegliare i pensieri intorpiditi.

Premetti la cartella contro il petto e aprii la porta dell'ufficio. L'odore di muschio bianco inebriava l'intera sala. Mi sedei su una sedia di legno e aspettai nervosamente il mio turno, la gamba sinistra prese a tremare e fece scricchiolare le viti che tenevano insieme la mia seduta. Davanti allo specchio avevo provato più e più volte il discorso, quindi doveva andare bene. Cercai di darmi la giusta carica e ripetei più e più volte in testa discorsi motivazionali.

Se non avesse funzionato questo piano, sicuramente avrei dovuto chiamare mio padre e sentire il suo tono aspro. Con molta probabilità, non mi avrebbe trattata con affetto.

«Potresti stare ferma?»

Qualcuno disse qualcosa ma io ero talmente assopita dai miei pensieri che continuai a fare quello che stavo facendo.

«Sì tu, mi hai sentito? Smetti di fare rumore.»

Nemmeno quella volta prestai attenzione e presi a rigirare l'elastico della cartellina che avevo nella sacca. Lo feci roteare tra le dita e lo liberai lasciandolo sbattere rumorosamente contro la superficie plastificata.

«Ehi!»

La voce si alzò di qualche ottava e con quella si issò in piedi anche una figura. Si avvicinò e strinse con forza il mio polso con una mano. Lì mi accorsi finalmente. Quella voce indistinta era rivolta a me. Alzai gli occhi e incontrai una massa scompigliata color castano. Mi guardava con le sopracciglia aggrottate e gli occhi ridotti a due minuscole fessure, la mandibola posta in avanti e le labbra premute con forza tra di esse. Aveva un cerotto rettangolare sul sopracciglio destro.

Mi misi composta.

«Finalmente» disse, tornando dritto con la schiena. «Mi stavi facendo saltare i nervi.»

Abbassai lo sguardo e osservai la camicia nera che aveva indosso, era tutta spiegazzata. «Non ti avevo sentito.»

Tornò al suo posto e poi il suono di una risata fragorosa riempì e la stanza e chiunque vi fosse dentro portò l'attenzione su di noi. Ebbi il coraggio di guardarlo dritto negli occhi e gli dissi tutto quello che stavo pensando solo con uno sguardo. Ricambiò penetrandomi nelle viscere con la stessa attenzione e non saprei dire per quanto tempo rimanemmo così.

E siccome ero una persona che portava rancore, feci trascinare in avanti la sedia così da farla cigolare.

Strinse i denti e mi puntò un dito contro. «Ma si può sapere che problemi hai!»

Stavo per rispondergli quando una porta si aprì e fece sbucare mia zia stretta in un tubino blu scuro. «Cole? Elvis Cole?»

Posò la sua attenzione su noi due, che continuavamo a guardarci intensamente e ripeté il nome. «Elvis Cole.»

Il ragazzo di fronte a me abbassò lo sguardo, stirò con i palmi il tessuto sgualcito e camminò verso la rettrice. Elvis Cole, perché quel nome mi diceva tutto e niente allo stesso tempo. Cole, quel cognome l'avevo già sentito. Cercai di concentrarmi ma arrivò finalmente il mio turno. Feci un respiro profondo e mi convinsi che il mio piano avrebbe funzionato.

«Signorina Poulter!» mi salutò a gran voce la segretaria Holt, mi fece segno di sedermi e ci rinchiudemmo nel suo minuscolo ufficio al primo piano. «Che cosa la porta qui? La rettrice è di là se ha bisogno.»

«Non voglio parlare con mia zia.»

La donna mi guardò sorpresa, solitamente quando avevo il benché minimo problema andavo da lei. E lei lo seppelliva o sollevava o qualsiasi cosa volessi. Dio, era tutto così marcio là dentro e io ero una delle cause principali.

«Vorrei cambiare corso.»

La segretaria prese una biro tra le dita, la fece rigirare più e più volte tanto da macchiarsi in qualche punto la pelle. «Non è più in tempo utile.»

«Lo so, ma io ne ho davvero bisogno.»

Accavallò le gambe. «Mi sta chiedendo di infrangere le regole?»

Sapevo di alimentare il fuoco, ma ormai avevo sbagliato così tante volte che il mio falò più grande di così non sarebbe diventato. Stavo facendo una cosa sbagliata, sì, ma per darmi la possibilità di rimediare e avere un futuro migliore.

«So di metterla in una posizione molto scomoda, ma la mia vita in questo momento non sta andando per il meglio e so che continuando a frequentare il corso del professor Dell andrà sempre peggio.»

Si alzò, prese due fascicoli dalla libreria a muro che aveva dietro di lei. Sfogliò per qualche minuto e scrisse qualche parola su un foglio bianco. Lo rigirò verso di me e lessi. «Questo è quanto disponile.»

«È più di quanto immaginassi» dissi con un sorriso negli occhi.

Sentii il suo sguardo percorrere la mia figura da capo a piedi, infine si issò in piedi e mi venne incontro. «Lei mi piace, signorina Poulter. Ma ha dei modi per correggere i suoi errori discutibili.»

La guardai accigliata. «Cosa?»

«So della sua situazione con il signor Dell e mi chiedo perché non abbia chiesto aiuto prima.»

«Semplice, non pensavo di ritrovarmi in questa situazione.»

Si appoggiò alla cattedra e mi guardò dall'alto. «Lo sappiamo tutti qui dentro quanta influenza lei abbia. A volte mi chiedo solo se questo potere sia nelle mani giuste.»

Morsi il labbro, lo stritolai tra gli incisivi e fui abbastanza sicura di essermi procurata un piccolo taglio. Un punta di ferro macchiò il palato e fui veloce a spingerla giù per la gola. Non sapevo cosa rispondere. Era vero, dopotutto.

Facevo qualsiasi cosa volessi e non serviva che seguissi le regole perché c'era sempre qualcuno da incolpare o qualche stratagemma da perseguire. Copiai così tanti esami da non ricordarmi nemmeno una singola materia. Mi vendicai di chi mi stava tra i piedi e li fece espellere. Non sarebbero più entrati a Dartmouth e sapevo benissimo che con una telefonata, non avrebbero visto nessun college dell'Ivy League se non della nazione.

I ricchi possono tutto, ed era così. Io potevo fare tutto, ero quasi invincibile.

«Scelga pure quello che preferisce, da domani sarà iscritta lì.»

«No,» tirai la zip della mia cartella, «rimarrò dove sono.»

«Cosa?»

«Cercherò di far capire al professor Dell che merito questo posto, che merito il suo corso. E se fallirò, non importa. Passerò un altro anno qui dentro.»

La segretaria Holt mi guardò con occhi spalancati. «È sicura?»

«Sì,» affermai decisa, mi alzai e spostai la sedia senza fare il benché minimo rumore, «non è mai troppo tardi per essere una versione migliore di se stessi.»

Mi congedai e uscii dall'edificio, un dolce tepore mi accarezzò il viso e il sole mi baciò la pelle. Quel giorno sarebbe stato il primo della mia rinascita.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: insiemete