Salve a tutti! Ehm,
so benissimo che è un’eternità che non aggiorno. Mi scuso tantissimo. Alla fine
spiegherò il perché.
Ora vi lascio alla
lettura.
See you later.
Guido fino
a casa. Non penso. Non guardo neanche dove sto andando. Non credo ce ne sia bisogno.
È impossibile che io faccia un incidente.
Come
sempre mi sono dimenticata di chiudere il portone di casa: prima ci pensava mia madre, che era l’ultima ad uscire di casa. Non
è affatto valida come giustificazione, ma ho solo questa. Mi sembra assurdo
fare qualcosa che prima svolgeva lei quotidianamente. Come sbucciare la frutta
toccava a papà, come prendere il giornale nel vialetto di casa a Buttercup.
Vado in
cucina e prendo una bottiglietta di Coca-Cola. Il frigo sembra un piccolo
reparto del supermercato: non manca mai niente, tutto è sempre nella solita
posizione, tutto è in ordine. Ogni mattina una donna di colore di piccola
statura viene a mettere a posto la casa. Immagino che due o tre ore le bastino,
anche se la casa è molto molto grande.
Nella mia
camera è sempre tutto a posto e pulito: non tocco molti oggetti e, quando lo
faccio, risistemo tutto. Questa casa non è ancora mia. Questa non è la mia
famiglia. La mia famiglia non c’è più.
Chi è
Edward Cullen? Come diavolo fa a non avere un’aura e a fare tutte quelle altre
cose strane? Perché non sento i suoi pensieri? Perché non ho visto la sua
storia quando mi ha toccata?
E
soprattutto, come fa ad attrarmi a lui come un’orbita irresistibile?
Chi è
Edward Cullen? Cosa vuole da me? Perché è venuto qui?
La
tranquillità delle mie giornate, seppur vuote e dolorose, era
rassicurante. È tanto tempo ormai che non mi chiedo “e domani cosa
succederà?”.
Tutto era
sicuro, programmato. Ora mi sento persa, esposta, in pericolo.
Quel
ragazzo, talmente bello da far male, cosi inquietante
da costringermi a stagli lontano, ha sicuramente qualcosa di diverso, qualcosa
che non è normale.
Tutti
hanno un’anima, tutti hanno un’aura.
Rossa,
arancione, gialla, verde, azzurra, viola, indaco, rosa, grigia, marrone, nera,
bianca…
Non ho mai
visto un’aura bianca. Vuol dire
equilibrio perfetto dei sentimenti, della ragione, del cuore.
Forse non
esiste nessuno su questa terra con un’aura bianca. Perché, se ne avesse una
cosa, probabilmente non potrebbe essere qui.
Qui c’è
troppa sofferenza, troppo odio, per un’aura bianca.
La maggior
parte del mio tempo lo passo in camera mia. O nel mio
appartamento, come lo definiscono Angela e Mike.
Sabine non
è mai a casa o, quando raramente c’è, lei sta da una parte, io da un’altra. Non
è una scelta sua e sicuramente non è una di quelle matrigne cattive che ti
fanno lavare casa tutto il giorno, impedendoti di andare al ballo della scuola.
Sabine mi
manderebbe anche tutti i giorni ai balli. Sono io che non voglio.
Probabilmente
ho rovinato la vita a mia zia. Prima era una bella donna in carriera, tutto
ufficio e cene di lavoro, uomini sposati che le facevano la corte e le regalavano
fiori e cioccolatini. Uomini falliti per notti infuocate, come diversivo.
Poteva avere tutto ciò che voleva. È bella, piena di soldi e con un lavoro che
le da soddisfazioni a valanghe.
Sabine non
ha avuto scelta. Quando tutta la mia famiglia è morta, ha dovuto prendermi con sé.
Cioè, in
realtà una possibilità l’aveva. Ogni giorno ci pensa per almeno un minuto.
Forse la sto distruggendo io. Forse
era meglio se…
Mi chiedo
se non avessi con me neanche Sabine le cose potessero andare ancora peggio. Mi
sembra praticamente impossibile. Non riesco neanche ad immaginare qualcosa
peggiore di questa vita… a parte ora che c’è Edward Cullen e tutte le sue
stupide stranezze.
Quando c’è
stato l’incidente, Sabine è stata la prima persona informata. I miei nonni sono
tutti morti, l’ultimo qualche anno fa. Mia madre era figlia unica e Sabine,
invece, è la sorella gemella di Charlie. Ogni volta che guardo mia zia in
volto, è come se prendessi un pugno nello stomaco.
Ha lo
stesso naso dritto e perfetto, gli occhi tremendamente uguali ai miei e a
quelli di mio padre.
È
difficile convivere con la gemella del mio defunto padre.
Sabine è
stata coraggiosa: ha scelto di non darmi in custodia a un gruppo di estranei e
tenermi con sé, rinunciando alla sua libertà.
Appena ha
ricevuto la telefonata della polizia, ha venduto il suo loft di lusso e ha
comprato questa grande casa in un quartiere di Laguna Beach pieno di belle
famigliole felici.
La mia
camera è arredata come quella delle ragazze di OC. Però più bella, più grande e
più rosa.
Rosa. Non
mi piace il rosa. Cioè, prima mi piaceva, ma adesso lo trovo un po’ troppo
frivolo. Inappropriato, ecco.
Al centro
della mia stanza si erge un favoloso letto a baldacchino a una piazza e mezzo,
con delle tende di tulle tutte intorno, per la calura estiva. Davanti a questo
vi è un grande televisore al plasma attaccato alla parete, con una Play Station
e qualsiasi tipo di gioco. Non l’ho mai usata.
Alla
sinistra, c’è un grande bagno in stile vittoriano dai colori lievi, con vasca
idromassaggio.
Nella
porta accanto vi è una gigantesca cabina armadio, piena di vestiti di seta
leggeri e colorati, scarpe col tacco e borse firmate.
Ci sono
altre due porte: una porta da a un fantastico balcone
con vista sul mare, dove c’è anche una piscina. L’altro verso una specie di
salottino personale, con un’altra televisione a schermo piatto, un po’ più
grande dell’altra e un frigo bar.
Un piccolo
piano cottura, un microonde, un forno, un frigo
stracolmo di schifezze che tanto mi piacciono, sedie a sacco, divani colorati,
un flipper e un baila.
È normale
che io non esca mai da qui: non c’è niente che mi manca.
In passato
avrei dato qualsiasi cosa per avere una stanza cosi.
Ora darei
qualsiasi cosa pur di tornare al passato.
Mi chiedo
spesso che cosa sarebbe successo se Sabine avesse già un figlio o una figlia:
forse sarebbe nato una specie di conflitto a senso unico. Non deve essere
piacevole per un’adolescente vedere i propri spazi violati da una ragazza
depressa e orfana.
Ma mia zia
non ha mai pensato ad avere figli. Forse è troppo occupata con le cene di
lavoro e le sue notti infuocate con uomini falliti, oppure non ha ancora incontrato
quello giusto. Forse non ha la più pallida idea di come inserire un figlio nella sua ruotine. Me inclusa.
Oppure è
un connubio di tutte e tre le cose. Probabilmente basto io come scocciatura. Un
altro figlio per lei, in questo momento, sarebbe più una maledizione che una
gioia. Che brutti pensieri.
Presumibilmente,
visto che sono sensitiva, queste cose dovrei saperle. Beh, non è affatto cosi.
Io non
vedo le motivazioni che spinge la gente a prendere determinate scelte.
Sono più
una sequenza di immagini che si succedono velocemente, come una serie di
diapositive.
Spesso
riesco a coglierne facilmente il senso. Certe volte sbaglio completamente.
Una volta
ho incontrato una vecchia signora con la casa piena di gatti: quando su
un’immagine ho visto un piccolo gattino nero dagli occhi gialli, avevo pensato
che si sarebbe semplicemente aggiunto alla già folta schiera di mici. Invece,
la donna aveva avuto un incidente con la macchina, perché era andata a finire
contro un albero per non investire il gattino.
Avevo
interpretato male il messaggio, ma la colpa era mia. Le immagini, in sé per sé,
non sbagliano mai.
Comunque,
non ci vuole né un genio, né una sensitiva, per capire che quando una donna
immagina un figlio, vede un fagottino rosa pieno di felicità e gemiti.
Non una
ragazza piena di dolore e tristezza, che dice poche parole e quando lo fa ha
tutta l’aria di volersi buttare dalla finestra del suo bellissimo balcone.
Per questo
motivo, cerco di starmene il più lontana e tranquilla
dal mondo verde dei soldi di Sabine. Io nel mio appartamento, lei nel resto
della casa.
È
necessario. Non piacevole, ma necessario.
Di certo
non aiuta il fatto che ogni giorno faccio due chiacchiere con la mia sorellina
morta.
La prima
volta che ho visto Riley da dopo l’incidente, è stato all’ospedale.
Mi ero
appena svegliata e avevo già fatto la scena da pazza con l’infermiera e la sua
aura rosa.
Lei mi
guardava dai piedi del letto, con sguardo divertito e leggermente, ma solo leggermente, impietosito. Mia sorella
non si è mai dimostrata molto comprensiva. Beh, è normale che non lo sia.
È lei
quella ad essere morta, non io. Almeno fisicamente. Forse dentro è più viva lei
di me.
Riconobbi
subito che non era umana, perché la
sua figura era lievemente opaca, irreale. Come se la
stessi vedendo da chilometri da distanza, invece che da mezzo metro.
Non mi
venne in mente di urlare, chiamare aiuto o cose del genere. Sapevo che non mi
avrebbe fatto del male. Come sapevo che Riley era morta e che quella era solo
una specie di visione, o qualcosa del genere. Ne sentivo la presenza nella
stanza. Come avevo sentito quella dell’infermiera dall’aura rosa.
Era più
leggera, la sua presenza. Per questa sapevo che non era veramente viva come
sembrava.
Aveva in
mano un girasole, lo stesso che c’era nel prato dove mi ero trattenuta dopo
l’incidente, e con l’altra mi salutava. Stava sorridendo. Un sorrisino
divertito, impertinente.
Da una
parte ero irritata, perché non capivo che cosa ci fosse di divertente in tutto
quello che mi era successo.
Dall’altra,
ero talmente felice di vederla, che non riuscivo a dire una parola.
Anzi,
qualcosa la dissi. “Dove sono mamma, papà e Buttercup?”.
Lei ha
fatto spallucce, una linguaccia, ed è svanita. Per un bel pezzo.
Per tutto
il mese in cui sono rimasta in ospedale non si è fatta più vedere. Ora, a mesi
di distanza, so che è stata una punizione. Con Riley è vietato parlare dei miei
genitori, dell’aldilà e di qualsiasi cosa mistica io voglia, o debba, per non
impazzire, sapere.
Lo stesso
giorno in cui venni dimessa dall’ospedale e potei tornare a casa, Riley era li.
Era li quando Sabine mi faceva fare il giro delle mie stanze. Si
avvicinava a ogni oggetto e faceva l’occhiolino, o alzava il pollice in segno
di assenso, o tutte e due le cose. Ma non parlava. Non diceva una parola.
Quella cosa mi irritava. Finché non avesse parlato,
tutto mi sarebbe sembrato irreale. Cioè, era impossibile che lei fosse reale
davvero. Ma mi avrebbe fatto sentire un po’ più sicura che potevo interagire
con lei e che non era tutto frutto del mio subconscio.
Quando
Sabine vide che il mio interesse per tutti quegli oggetti, i quali avrebbero
fatto impazzire qualsiasi teenager, non avevano attirato la mia attenzione,
uscì velocemente dalla stanza.
Quella
sera fu l’unica in cui sentii Sabine piangere.
Guardai
Riley arrabbiata.
“Che diavolo vuoi? Vieni all’ospedali, non parli,
mi guardi come se fossi un pagliaccio, e, appena ti chiedo dove diavolo sono
mamma e papà, sparisci per un mese?”, sbottai, arrabbiata.
Fece
spallucce, proprio come prima di andarsene dalla stanza d’ospedale.
Mi
avvicinai. Volevo prenderle quelle cavolo di spalle e
scuoterla fin quando non mi avesse detto dove erano mamma e papà.
Ma dopo
due passi mi fermai. E se non fossi riuscita ad afferrarle? Avrei dovuto
definitivamente convincere me stessa che Riley era solo una figura immaginaria,
che la mia sorellina era morta. Come mia madre e mio padre.
Feci un
respiro profondo. “Dove sei quando sei con me? Dove
sei stata in questo mese? Sei insieme a mamma e papà…
in una specie di paradiso?”. Mi sentivo una sciocca.
Lei alzò
le mani, come se stesse pregando. Riley non era mai stata religiosa. Come non
lo ero mai stata io, né Charlie.
Ma non
stava invocando nessun dio. Tra le sue mani apparve un grande quadro.
Aveva
colori vivaci e rappresentava un bellissimo paesaggio.
Il
paradiso.
Riley
sorrise e poi risparì.
Presi il
quadro e l’abbracciai, come se potessi entrare e farne parte.
Aprii la
seconda porta, quella che mia sorella aveva guardato prima di svanire.
E li, mi
resi conto che Riley mi stava proprio prendendo per il culo.
Perché,
davanti a me, avevo lo stesso paesaggio del quadro.
“Dannazione”.
“Ti sei
divertita, eh?”, le avevo detto.
Il giorno
dopo, Riley era tornata. Non aveva in mano nessun fiore, nessun quadro o niente
del genere.
Vestiva i
miei jeans preferiti e una mia maglia di lana. Tutto le stava grande di almeno
due taglie, quindi era stata costretta a fare di risvolti.
“Perché
diavolo ti sei messa la mia roba?”, continuai. Lei non rispondeva.
Eravamo
state qualche minuto a fissarci in cagnesco. Lei gli oggetti superflui della
mia stanza, che guardava con aria invidiosa, io i miei vestiti della vecchia
casa, addosso a lei.
Non potei
impedirmi di piangere. Non un pianto vero e proprio. Solo qualche lacrima
sfuggita al mio controllo.
“Oh, ma per favore. Hai visto per caso questo computer? È favoloso. E l’ipod? Cercherò assolutamente di
procurarmene uno e…”.
“Come? Tu puoi parlare?”. Ero sbigottita. Mi alzai dal letto e feci
qualche passo verso di lei, timorosa.
“Certo che
posso parlare, idiota. Sono morta,
mica tonta”, mi rispose, ridacchiando. Non mi guardava negli occhi.
Continuava a girare, toccando oggetti che non erano di nessuno, tastando il
materiale dei materiale dei mobili e lodandone la
bellezza.
“E perché
non mi hai mai parlato prima?”, le chiedi, singhiozzando.
“Uhm,
volevo solo divertirmi un po’. Però dovevi vedere la tua faccia. Davvero esilarante… Sai, mi sto annoiando parecchio”, si
giustificò, scrollando le spalle.
“Annoiando?
Mi hai preso in giro per un mese intero! E perché non ti sei
fatta più vedere?”, sbraitai.
“Ti
passerà presto”. Continuava a muoversi. Avrei voluto urlarle di stare ferma,
guardarmi negli occhi. Volevo che si scusasse con me.
Che si
scusasse per essere morta?
Che si
scusasse per non avermi portato con loro, per avermi abbandonata in questo
mondo pieno di sofferenze, mentre lei si annoiava?
Che si
scusasse per avermi presa in giro, per avermi trattata come un passatempo?
Ma quando
mi ero girata verso di lei, Riley era già scomparsa.
Probabilmente questo
capitolo è una noia. È stato abbastanza noioso anche scriverlo. Si, perché vorrei passare subito a Edward, ai suoi segreti e
a tutto il resto. Ma tutto questo era necessario. E datemi retta, o tagliato
anche un sacco di cose per non farlo venire troppo papiro egiziano.
Allora, spero che non
mi rifiuterete in massa e che magari mi direte comunque cosa ne pensate,
lasciandomi una recensione.
Beh, vi prometto che
nel prossimo capitolo ci sarà tanto tanto Eddy.
Ps: tutti in msn (il mio contatto
è fridagr93@hotmail.it aggiungetemi!)
sono rimasti sconvolti dal fatto che Mike è gay. Tutti: Ma Gre,
ma quello è gaaaaay? *.* IO: beh, si! Lo è! Vi
dispiace? Siete scioccate? hahaha
Ora… ringraziamenti.
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Ringrazio chi ha
messo la mia storia tra le preferite: 31
Ringrazio chi ha
messo la mia storia tra le seguite: 15
Le mie Fic:
In
corso:
Fuga dal
successo (cap. 12, raiting
arancione)
Amore e odio
( cap. 5, raiting
arancione)
Evermore
( cap 2. raiting verde)
Attimi
d’amore (3 drabble. Raiting
verde)
Conculuse:
Ombre (One Shot, raiting
giallo)
Amore e
Passione ( cap. 25, raiting arancione)
Alla prossima,
carissimi!