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Autore: _Jena_    13/12/2009    5 recensioni
Shindou è l'unico sopravvissuto dell'ultima grande famiglia di maghi del suo mondo, da 16 anni è alla ricerca degli assassini dei suoi genitori. Durante il suo viaggio incontra Taki, un giovane schiavo dal passato oscuro...
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Shindou


 

primo capitolo


Un pianto squarciò la notte. La luce della luna filtrava attraverso le grandi finestre illuminando l’immenso salone dove solitamente regnava l’allegria. Ora non c’erano più né musica, né risate, si sentivano solo i singhiozzi di una donna accasciata sul corpo immobile del marito.
Una figuretta tremante, uscita da una porticina, richiamata dal lamento, si avvicinò alla figura prostrata…

-Madre?...

 La donna alzò il volto rigato di lacrime, le labbra le tremavano, erano sporche di sangue, sangue che apparteneva al corpo che stava stringendo. Nel vedere chi l’aveva chiamata, il suo volto si contrasse per la paura:

-Shindou, perché sei qui? Devi andartene subito!

Le porte al capo opposto della sala vennero spalancate, figure incappucciate entrarono. Erano in cerca di qualcosa …

-Va’ Shindou! Non devono prenderti, figlio mio …

Il bambino restò immobile:

-Chi sono quelli madre? Cos'è successo a mio padre?

-SONO QUI! VENITE!

Al suono di quelle urla, la donna parve scacciare il terrore che l’aveva assalita vedendo apparire suo figlio. Sfilò un pugnale dal fodero che pendeva dal fianco del marito e, dopo un attimo di esitazione, lo avvicinò al volto senza vita. Il bambino vide la lama calare sull’occhio sinistro dell’uomo. Quando venne ritratta dalla cavità oculare, non vi erano ferite o segni visibili del passaggio dell’arma, la lama però riluceva di una luce blu. Sua madre si alzò in piedi, gli si avvicinò e, chinatasi su di lui, lo baciò sulla fronte. Con la mano libera lo strinse a sé e lo tenne fermo, mentre sollevava quella che teneva stretto il pugnale.

-Madre … cosa state facendo?

La lama scese sul volto terrorizzato di Shindou e gli trafisse l’occhio destro. Non sentì alcun dolore.
Il bambino urlò per il calore improvviso che senti penetrare dentro il cranio… un attimo dopo era sparito. Sua madre ritrasse la lama e la lasciò cadere a terra: non brillava più. Ella si inginocchiò di fronte al figlio, nuove lacrime seguivano le scie lasciate da quelle che aveva versato in precedenza. Solo in quel momento, il bambino si accorse che una sfera di luce li stava avvolgendo, le grida degli uomini incappucciati li raggiungevano ovattate, come se provenissero da molto lontano.

-Addio, piccolo mio, ricorda che io e tuo padre continueremo sempre a proteggerti.

Diede un bacio sulla palpebra dell’occhio che ancora sembrava pulsare nel suo cranio, poi la luce che li circondava si ritrasse dalla donna, continuando a circondare con la propria energia il bambino che si sentì trasportare verso l’alto.
Il volto di sua madre, cosi vicino fino a quel momento, si allontanò dal suo, finché non la vide parecchi metri sotto di sé, a terra, circondata da quegli uomini che le furono addosso in pochi attimi … L’ultima cosa che vide prima che quell’energia lo portasse fuori nella notte, fu il corpo di sua madre trafitto da una spada e il sangue che le sgorgava dal petto e dalle labbra semichiuse. il sangue di suo padre e di sua madre si mischiarono sul pavimento di pietra...


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Due occhi di colore diverso si spalancarono, la fronte del viso al quale appartenevano era imperlata di sudore, le labbra sottili e tremanti erano dischiuse in un grido muto. I capelli lunghi e corvini erano sparpagliati sul cuscino, la luce del tramonto li faceva rilucere di riflessi violacei. Il petto nudo si alzava e si abbassava velocemente, una mano si sollevò per coprire gli occhi umidi di lacrime: era un gesto che ormai si era abituato a compiere ad ogni risveglio, dopo sedici anni di incubi su quella notte …
Shindou si mise a sedere, le lenzuola erano scivolate a terra, ma non si curò di raccoglierle, ci avrebbe pensato qualche cameriera dopo che lui avesse lasciato la locanda. Si alzò dal letto e, senza preoccuparsi di indossare qualcosa, si affacciò alla finestra: la città di Olinda stava andando a dormire, i mercanti e gli artigiani si muovevano per le strade trascinandosi dietro i carretti, qualche uomo a cavallo rientrava dalla porta d’accesso dopo aver terminato il proprio lavoro nelle campagne. In lontananza, poteva scorgere chiaramente i merli del castello del governatore del paese, il castello dove quella sera si sarebbe tenuto un banchetto al quale lui avrebbe partecipato.

Non era stato difficile trovare il modo di farsi invitare, era bastato spargere un po’ la voce dell’arrivo in città di uno Stregone Errante e subito un araldo era venuto a cercarlo di locanda in locanda.  Queste figure tanto misteriose quanto false erano sparse per le Quattro Terre e andavano in giro predicando, predicendo il futuro, curando malati … Era diventato cosi raro incontrarne, che tutti i potenti si prodigavano per cercarne uno da tenersi accanto come consigliere o stregone personale, cosi da farsi predire ogni bene possibile e accarezzare il proprio ego. Un’altra caratteristica attribuita a questi imbroglioni erranti era che non avevano nome: si raccontava che l’avessero abbandonato per disfarsi di ogni colpa passata e per poter condurre una vita dedicata completamente al bene e alla rinuncia … Naturalmente erano tutte menzogne, lui lo sapeva più di chiunque altro essendo un mago, il discendente dell’ultima famiglia di veri e potenti maghi del loro mondo: i Kagami, sterminati fino all’ultimo membro sedici anni prima. O almeno, questo era la falsa verità che era stata divulgata, di sicuro non avrebbe fatto comodo a nessuno sapere che il discendente di quella famiglia fosse ancora vivo e che non se ne conoscesse né il volto né l’ubicazione. Essere un discendente diretto di una famiglia di maghi significava aver il potere di piegare ogni uomo, re o contadino che fosse. In molti temevano il ritorno della magia nel mondo.
Shindou si allontanò dalla finestra, si girò a osservare la stanza della locanda che occupava dalla sera precedente, era quasi completamente spoglia: c’era un letto, un armadio ad un’anta e un comò. Il fatto che non fosse molto accogliente, per lui non significava niente: i piani erano di andarsene prima che calasse la notte.
L’aria fredda di inizio primavera entrò dalla finestra aperta colpendo la sua pelle nuda e facendolo rabbrividire. Era ora di iniziare a prepararsi per il banchetto. Si diresse verso la sua borsa da viaggio che aveva lasciato cadere a terra accanto al letto la sera prima.

Il giorno precedente aveva acquistato degli abiti trasandati in un villaggio vicino e si era preoccupato di stracciarli in più punti per rendere credibile il personaggio che avrebbe interpretato entro breve al castello. Li indossò e si avvicinò allo specchio scheggiato appeso in un angolo della stanza, ricambiò lo sguardo di un occhio blu e di un occhio grigio con viso impassibile, si concentrò un attimo e assistette al mutamento del suo giovane viso mentre si riempiva di rughe. Raccolse dal comò la sua benda e la fissò sull’occhio destro legandosela dietro la testa poi, con un nastro nero, raccolse i lunghi capelli che dopo la trasformazione avevano perso la loro lucentezza e il colore corvino. Si diede un’ultima occhiata: sì, poteva andare.
Raccolse il resto delle sue cose nella borsa da viaggio e lasciò la stanza, arrivato nell’atrio pagò in fretta sotto lo sguardo allibito della proprietaria che non molte ore prima aveva visto entrare un bel giovane e ora si trovava di fronte un vecchio. Shindou non le badò e usci in strada, il sole era quasi scomparso dietro i tetti delle case: era quasi ora.
Per strada non c’era quasi nessuno, i pochi che ancora non avevano fatto ritorno alle loro abitazioni si sbrigavano a concludere le loro faccende senza guardarsi intorno, entro pochi minuti sarebbe suonata la campana a indicare il coprifuoco e nessuno avrebbe voluto farsi trovare dalle guardie, senza autorizzazione, in giro per la città. La punizione sarebbe stata assai severa…
Arrivò in breve all’entrata del castello, molti uomini e molte donne vestiti elegantemente stavano già attraversando l’ingresso presentando il loro invito. Avvicinatosi all’uomo che controllava che tutto fosse in regola, non fu necessaria nessuna parola: l’uomo si limitò a chinare il capo e a fargli cenno di passare.
Troppo facile.
   
 
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