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Autore: Lucy Farinelli    21/02/2010    8 recensioni
Una scommessa di Naruto, un gioco tra amici. Chi riesce a reggere quindici bicchieri di sakè? Forse gli altri, ma lui, Shikamaru, no di certo. Sua madre lo spellerebbe vivo. E allora, che si fa quando ti ritrovi un po' troppo alticcio e non puoi assolutamente tornare a casa in quelle condizioni?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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200
QI
+
15 bicchieri di sakè



1.
Una serata tra amici

Shikamaru Nara incrociò le braccia dietro la nuca e cercò di fare un calcolo approssimativo delle volte in cui si era recato in quel prato per stendersi e osservare placidamente le nuvole. Cento? Centocinquanta? In diciassette anni e mezzo di vita, quante volte era scappato dai suoi doveri e si era rifugiato in quel piccolo paradiso privato?
Bah, che seccatura.
Shikamaru lasciò perdere i conti e cercò una posizione più comoda sull’erba, indeciso se un particolare sbuffo bianco potesse assomigliare o meno ad un grosso rospo ciccione.
Era un tardo pomeriggio di metà aprile, un periodo relativamente tranquillo per il villaggio di Konoha, e Shikamaru aveva intenzione di approfittarne il più possibile, prima che i suoi impegni di chuunin e richieste di missioni tornassero a bussare prepotentemente alla sua porta.
Il cielo stava diventando sempre meno azzurro per sfumare su un blu più scuro e Shikamaru calcolò che di lì a mezz’ora al massimo sarebbe dovuto rientrare a casa. Chiuse gli occhi e sospirò, lasciando che l’aria frizzantina gli pizzicasse la gola.
“Shikamaru.”
Il ragazzo inarcò un sopracciglio e socchiuse un occhio.
“Choji.”
Il suo migliore amico gli sorrideva a testa in giù, la lunga matassa di capelli castani che incombeva su di lui.
“Ti cercavo,” disse Choji. “Volevo dirti che stasera andiamo al pub per una bevuta. Inoltre, tua madre, non sapendo dove venire a pescarti – sue testuali parole, mi manda a dirti che devi tornare a casa all’istante.”
Shikamaru aprì anche l’altro occhio. “Sì, sì. Grazie, ora vado.”
“Io mi sbrigherei se fossi in te,” commentò Choji, grattandosi pensieroso una guancia. “Era in cucina a inveire contro la nullafacenza dei Nara e non sembrava di buon umore.”
Shikamaru si alzò con un gemito: conosceva fin troppo bene le abitudini di sua madre.
“Dice che se non ti presenti subito alla sua porta, conoscerai il vero dolore.”
“Grazie, Choji. Ho capito.”
Shikamaru si spazzolò i vestiti scuri e si incamminò con l’amico verso casa, camminando accanto a lui con le mani in tasca e un filo d’erba tra le labbra, lanciando vaghe occhiate alle nuvole sopra le loro teste. Percorsero le scorciatoie di cui erano a conoscenza da una vita tra i viottoli di Konoha e, ben presto, raggiunsero la tenuta dei Nara.
“Ti fermi a cena?” chiese Shikamaru a Choji prima di entrare.
L’amico scosse la testa. “Anche mia madre mi aspetta. Ci vediamo dopo, d’accordo? Solito posto, solita ora.”
Shikamaru sorrise. “Alle nove da te.”
Mentre Choji si allontanava, Shikamaru gettò via il filo d’erba e, dopo aver guardato con nostalgia l’ultima nuvola per quel giorno, si rassegnò ad entrare in casa.
Shikamaru Nara.
Un sibilo lo placcò appena mise piede nell’ingresso.
“Mamma.”
Shikamaru alzò cauto lo sguardo per vedere sua madre che lo fulminava con le mani piazzate sui fianchi e un mestolo nella destra.
“Ti pare questa l’ora di tornare?” lo aggredì. “Dove sei stato? È da stamattina che sei in giro, si può sapere dove te ne vai tutto il giorno?”
“Fuori,” rispose Shikamaru a bassa voce.
L’espressione di Yoshino divenne omicida.
Fuori. Sei sempre fuori, tu! Per una volta che tu e tuo padre non siete impegnati in missioni suicide, non potreste passare un po’ più di tempo a casa? Sono fiera che mio marito e mio figlio siano due ninja della Foglia, ma ciò non toglie che io mi preoccupi costantemente per voi!”
Shikamaru sapeva che, quando sua madre era di quell’umore, era consigliabile non replicare e rimanere in assoluto silenzio, perciò abbandonò le braccia lungo i fianchi e chinò la testa, ascoltando senza fiatare la tirata inferocita di Yoshino, finchè la sua voce si spense e l’ingresso piombò in un silenzio innaturale. Solo allora, Shikamaru si azzardò a rialzare il capo, giusto in tempo per cogliere lo sguardo arcigno di sua madre.
“E adesso, levati le scarpe e vai a tavola con tuo padre, prima che la cena si freddi.”
Anche se dubitava fortemente della precisazione finale, Shikamaru si guardò bene dal dare voce ai suoi pensieri e obbedì senza fiatare.

“Vuoi una mano, Yoshino?” chiese Shikaku con espressione incerta, al termine della cena.
Sua moglie lo guardò malissimo, raccolse i piatti sporchi e li portò in cucina con un secco “No, grazie”.
Padre e figlio si scambiarono uno sguardo di intesa e si defilarono in salotto.
“Ma che diavolo le prende?” sbottò Shikamaru, socchiudendo i fusuma. “È più isterica del solito.”
“Nah, non è isterica,” borbottò Shikaku, sprofondando nel divano e accendendo la televisione. “Solo preoccupata. In più, credo sia in quel periodo del mese.”
“Per lei è sempre quel periodo del mese,” ribattè Shikamaru, appollaiandosi sul bracciolo della poltrona.
Suo padre ridacchiò. “Ti ha dato una bella strigliata, eh?”
“Di certo non può essere peggiore di quella che avrà dato anche a te,” replicò Shikamaru, incrociando le braccia sul petto e affilando lo sguardo.
Suo padre cambiava canale senza prestare molta attenzione allo schermo. “No, infatti.”
Sospirarono all’unisono, poi Shikamaru guardò l’orologio.
“Ci sarebbe un problema.”
“Hai un QI pari a 200.”
“Papà…”
“D’accordo, d’accordo. Cosa c’è?”
“Alle nove devo essere da Choji. Usciamo con gli altri.”
Shikaku girò finalmente la testa verso suo figlio e sgranò gli occhi.
“È stato bello conoscerti, figliolo. Pregherò davanti al tuo altare ogni giorno, te lo prometto.”
Papà!
“Ascolta, Shikamaru,” disse allora suo padre, mettendosi a sedere e posando gli avambracci coperti di rete sulle ginocchia. “Ormai sei grande, sei un uomo. Inoltre, sei un ninja della Foglia e appartieni al clan dei Nara e noi Nara non siamo dei codardi.”
Shikamaru attese il resto del discorso, inarcando sempre più il sopracciglio sinistro.
“Perciò vai di là e affronta tua madre da vero uomo.”
“Mentre tu te ne stai qui beato, ben al riparo dalla linea di fuoco.”
“Ovviamente.” Shikaku tornò a stendersi sul divano. “Sono io a dividere il letto con quella donna e domani mattina vorrei risvegliarmi ancora tutto intero – senza alcun pezzo mancante, non so se ci intendiamo.”
“Che seccatura.”
Shikamaru si alzò e camminò in silenzio fino all’ingresso, dove si rimise le scarpe e una maglia nera a collo alto sopra quella a rete che indossava già. Solo allora, già pronto alla fuga, osò chiamare Yoshino.
“Mamma! Vado da Choji, ci vediamo dopo!”
Yoshino comparve alla velocità della luce di fronte a lui.
“Esci? Di nuovo?” sibilò.
“Sì, ma – torno presto,” balbettò Shikamaru. “Davvero.”
Shikaku comparve inaspettatamente alle spalle di Yoshino, proprio mentre la donna apriva la bocca per rispondere.
“Yoshino, lascia stare Shikamaru,” intervenne a sorpresa suo padre con fare conciliante. “Non fa niente di male, dopotutto.”
Lo sguardo della donna vagò tra suo marito e suo figlio, il primo con un’espressione incoraggiante dipinta sul viso, il secondo in preda al terrore di un attacco improvviso.
“Bah!” sbottò, girando loro le spalle. “Uomini.”
“Muoviti, figliolo,” bisbigliò Shikaku a Shikamaru, facendogli l’occhiolino. “Prima che le sue maledizioni facciano effetto.”

“Certo che tua madre è proprio un tipo strano,” borbottò Choji.
Lui e Shikamaru stavano camminando con calma per le vie semideserte di Konoha, sotto le luci delle insegne dei negozi e dei lampioni.
“È la seccatura più seccante di tutte,” precisò Shikamaru. “Come lo possono essere solo le donne.”
“Eccolo che ricomincia,” rise Choji. “Il solito maschilista misogino. Ti consiglio di andarci piano con le generalizzazioni, non sai mai cosa potrebbe capitarti nella vita.”
“Lo sai che scherzo, Choji,” sorrise Shikamaru con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni. “Ma su mia madre sono serissimo. Di certo, non sposerò mai una donna come lei.”
Choji lo ignorò. “Guarda, sono già arrivati tutti!”
Shikamaru seguì lo sguardo dell’amico fino al pub dove si erano già radunati Naruto, Lee, Neji, Kiba e Shino, in attesa del loro arrivo.
“Bene, ci siamo tutti,” li accolse Naruto con impazienza. “Cominciamo.”
“Cominciamo cosa?” chiese sospettoso Shikamaru.
Neji si voltò verso Choji e i suoi occhi bianchi parvero infilzarlo da parte a parte. “Non gliel’hai detto! Mi sembrava strano che fosse venuto così tranquillamente!”
“Di che state parlando, tutti quanti?” domandò piccato Shikamaru mentre Choji sorrideva sornione e Neji scuoteva il capo.
“Andiamo, andiamo!”
Naruto li pungolò fin dentro il locale e scelse un posto nell’angolino più appartato che riuscì a trovare.
“Neji?” soffiò Shikamaru al compagno mentre sedevano fianco a fianco.
“Naruto ha appena avuto un’idea geniale per movimentare le nostre serate,” rispose atono Neji.
“E sarebbe?” Shikamaru stava già valutando le possibili vie di fuga.
“Ubriacarsi.”
Ok, era morto.
Shikamaru era un uomo morto. Se c’era una cosa che Yoshino non tollerava era vedere la gente completamente ubriaca.
“Non se ne parla.”
“A chi lo dici.” Neji si voltò verso di lui a labbra serrate.
“E allora perché sei qui?” gli chiese Shikamaru.
“Qualcuno dovrà pur tenerli d’occhio.”
“Allora!” esclamò Naruto, facendo sobbalzare mezzo locale. “Per chi si fosse appena sintonizzato, le regole sono molto semplici: dobbiamo bere quindici bicchieri di sakè a testa. Chi è più ubriaco, perde, e chi perde deve pagare il conto e fare penitenza. Lee è il nostro arbitro, dal momento che non può toccare una goccia di alcool.”
Rock Lee si esibì nella migliore delle sue Nice Guy Pose.
“Che idea stupida,” disse subito Neji. “Io non partecipo.”
“Concordo,” disse Shikamaru.
Si levò un coro di lamentele generali.
“Oh, andiamo,” disse Naruto, sporgendosi sul tavolo, affiancato da Kiba e Lee. “Non ditemi che avete paura. Che uomini siete, se non sapete reggere un po’ di sakè?”
“Uomini sani di mente,” puntualizzò Neji, posando la punta delle dita sul legno del piano.
“Senza una madre come la mia,” gli diede man forte Shikamaru.
A quelle parole, ridacchiarono tutti. Konoha intera conosceva la moglie di Shikaku Nara.
Dopo l’ammutinamento di Neji e Shikamaru, Lee diede inizio alla sfida e ordinò il primo giro per quattro sotto gli sguardi disgustati dei due reietti.
A favore dei partecipanti, bisogna dire che i primi tre o quattro bicchieri li ressero alla grande. Dopo il quinto, però, cominciarono a manifestarsi i primi segni di cedimento, come risatine e scoppi di violenza improvvisi, sedati in fretta da chi era ancora lucido.
Al settimo, Kiba improvvisò un valzer con Akamaru.
Al nono, Shino partì per inscenare uno strip-tease, ma venne prontamente bloccato da Neji e Lee.
Al dodicesimo, Choji cominciò a battere il ritmo sul tavolo e a cantare quella che, a suo modesto parere, era una serenata alla “bella e dolce Ino Yamanaka”.
Al quindicesimo bicchiere, Lee dichiarò chiusa la partita e stabilì che il perdente era Naruto: il ninja era steso supino sul tavolo e biascicava di rospi giganti appesi ad un carillon che ballavano seguendo la musica delle stelle.
Come penitenza, Choji, Shino, Kiba e Lee decisero che Naruto si sarebbe dovuto intrufolare nella stanza del maestro Kakashi e rubargli la serie completa de Il paradiso della pomiciata e lasciare al posto dei libri i suoi vestiti, poi sarebbe dovuto andare in mutande da Sakura per portarle il bottino.
Neji e Shikamaru, disgustati, li guardarono partire in pompa magna, senza avere il coraggio di seguirli. Dopo un’occhiata di intesa, se ne tornarono ognuno a casa propria.

“Gaara.”
L’onorevole Kazekage alzò la testa dal mucchio di documenti che aveva sparsi sul tavolo e fece cenno alla sorella di entrare nell’ufficio.
“È appena arrivata una comunicazione da Konoha da parte dell’Hokage,” disse Temari, tendendo il foglio al fratello. “Quegli ingredienti per i medicinali che avevamo richiesto tre settimane fa sono arrivati.”
“Molto bene,” rispose Gaara, restituendole il foglio. “Parti quando vuoi.”
Temari annuì e uscì fuori. Kankuro la aspettava dietro la porta.
“Cos’è quel sorrisetto da ebete che hai stampato sulla faccia, Temari?”
La ragazza gli sventolò il foglio di Tsunade davanti al viso. “Parto per il villaggio della Foglia.”
“Quando?” Kankuro afferrò il pezzo di carta e lo scorse velocemente.
“Adesso. I medicinali mi aspettano.”
Kankuro sollevò le sopracciglia e assunse un’aria scettica.
“Hai qualcosa da dire, fratellino?” gli chiese Temari, piazzandosi le mani sui fianchi e divaricando le gambe.
“Porta i miei saluti ai tuoi amici,” ridacchiò Kankuro, restituendole il foglio e allontanandosi nell’oscurità del corridoio. 


SPAZIO DELL'AUTRICE
Eccomi di ritorno con la mia prima Shikatema! Nata come one shot, è poi diventata una long (not-so-long) fic.
Che dire? Intanto, grazie a tutti coloro che hanno recensito Orochimaru's birthday, poi vi auguro buona lettura anche per questa storia. Spero abbiate voglia e pazienza di seguirmi in tanti.
Shikatema di tutto il mondo, uniamoci! ^^
Lucy Farinelli    
 
      
  
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