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Autore: cabol    07/05/2010    2 recensioni
Dietro una porta ermeticamente chiusa può celarsi un pericolo misterioso, un favoloso tesoro, un terribile segreto. Aprirla può voler dire trovare tutto questo o chissà cos'altro. Ma certamente ci troveremo sempre l'avventura.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo 1: la porta chiusa


Con il suo sguardo esperto, il giovane elfo esplorò per l’ennesima volta con estrema cura l’intera superficie della porta bronzea elegantemente decorata, esaminando attentamente ogni rilievo e ogni incisione per poi soffermarsi corrucciato sulla toppa e sul grimaldello che vi era inserito. Nonostante tutti i suoi sforzi e la sua notevole abilità di scassinatore, quella serratura non voleva assolutamente saperne di aprirsi.
Era alto, per essere un elfo, come un uomo di statura media, tanto che avrebbe benissimo potuto essere confuso con un umano di circa vent’anni. Snello, quasi esile, con muscoli affusolati come quelli dei danzatori, aveva movenze feline, eleganti. Un cappello a larghe tese, decorato da una magnifica piuma nera, copriva i suoi capelli corvini lunghi fin quasi sulle spalle, mantenendo in ombra il suo volto dai lineamenti delicatamente aristocratici. I suoi abiti, pur completamente neri, erano eleganti e ricercati, più simili a quelli di un ricco gentiluomo che a quelli di un ladro. Un agile stocco pendeva dal suo fianco sinistro. Gli occhi grandi, di un verde profondo, fissavano accigliati la serratura.
Aveva aperto dozzine di porte blindate e quella sembrava in tutto e per tutto simile alle altre.
Sembrava.
Perché Blackwind sapeva perfettamente che nessuna porta normale era in grado di resistergli a lungo. Anche in quella, in effetti, il grimaldello girava normalmente e il lucchetto scattava come qualsiasi altro. Però quella porta restava chiusa, sbarrata, senza alcuna spiegazione. Ormai era certo che non ci fossero altri meccanismi nascosti.

A questo punto è evidente che questa porta è serrata con la magia e potrei passare la mia vita a tentare di aprirla senza speranza di riuscirci.

Un maledetto, sleale incantesimo. Non poteva esserci altra spiegazione. A meno di non riconoscere di aver perso improvvisamente tutto il suo talento.
La clessidra, accanto a lui, stava esaurendo gli ultimi granelli di sabbia. Blackwind la girò: al termine, secondo i suoi calcoli, sarebbe passata una guardia a controllare. La stanza detta “del tesoro” si trovava in fondo a un corridoio privo di finestre che si dipartiva dal salone adibito a museo che occupava quasi tutto il secondo piano dell’edificio. Se una guardia fosse comparsa all’imboccatura di quel corridoio, non ci sarebbe stato modo di evitare di finirle in bocca. Lanciò un ultimo sguardo irritato verso la toppa e ritirò il grimaldello. Inutile perderci altro tempo. Ormai restava poco tempo per andarsene. Infilò il grimaldello sotto l’ampia fascia viola che teneva stretta in vita e fece per allontanarsi. Esitò. Proprio non riusciva ad accettare di essere stato sconfitto così.
Blackwind, era abituato a curare anche i minimi dettagli delle sue “operazioni”. Così, aveva impiegato una decina di giorni a pianificare con estrema precisione quel colpo, entrando e uscendo da quella casa sotto svariati travestimenti, mescolandosi fra i fornitori, operai e fattorini.
Aveva esplorato praticamente tutta la costruzione con attenzione e discrezione. Sapeva esattamente quanti passi occorrevano per raggiungere la stanza detta “del tesoro” partendo da diversi punti dell’edificio. Sapeva esattamente quanti gradini c’erano in ogni scalinata. Conosceva a memoria tutti gli spostamenti che i guardiani compivano ogni sera per sorvegliare il palazzo. Sapeva l’esatta posizione di ogni porta e ogni finestra. Era in grado di entrare e uscire da quella casa senza fare il minimo rumore, sia passando dalla strada, sia raggiungendola dai tetti degli edifici vicini. Era anche entrato in quella stanza una sera, mescolato fra gli ospiti del padrone di casa, ammirando quel meraviglioso gioiello e memorizzando dove era custodito.
E ora doveva fermarsi davanti a una porta. Una sconfitta cocente, inaccettabile. Soprattutto inaccettabile perché da parte di James Brook.
Era, il padrone di casa, un famoso commerciante d’arte, ricco, giovane, brillante e affascinante, introdotto nella migliore società di Elosbrand[1]. Un personaggio influente e rispettato. Un personaggio che, si diceva, ben presto sarebbe stato investito di qualche importante carica cittadina, forse addirittura avrebbe avuto la possibilità di accedere al Senato.
Ma quello che i buoni cittadini e i governanti di Elosbrand ignoravano era che buona parte delle sue ricchezze, anziché dal commercio di opere d’arte, proveniva da traffici d’armi clandestini.
Il giovane elfo era certo che quell'uomo senza scrupoli aveva rifornito con armi di pregevole fattura numerose bande di briganti che avevano causato molti problemi nelle foreste a occidente della città. Egli stesso aveva visto con i suoi occhi quelle armi quando, quasi un anno prima, si era trovato ad affrontare insieme con un insolito gruppo di avventurieri proprio una di quelle bande. Quelle armi provenivano certamente dai magazzini di Brook. Purtroppo i documenti che lo avrebbero provato erano poi finiti in cenere insieme al resto del covo di quei briganti.
Chissà quanti altri delinquenti avevano acquistato armi dall'eccellente signor James Brook. Chissà quanto sangue era stato sparso da quelle armi. E quanto oro aveva portato nelle tasche del rispettabile signor Brook tutto quel sangue?
Perciò aveva messo gli occhi su quella casa.
Perché se in realtà Blackwind non avrebbe mai nemmeno ipotizzato di sottrarre uno spillo alla gente onesta, non aveva assolutamente alcun rimorso a derubare i veri delinquenti. Specie quelli che mascherano la loro disonestà sotto una facciata rispettabile. Anzi, proprio per quella specie di furfanti provava un’avversione particolarmente profonda.
Proprio per quelli come il rispettabile signor James Brook. Quel trafficante meritava una sonora lezione e il giovane elfo sapeva benissimo come il modo migliore di punire la gente di quel genere fosse colpirli nella borsa.
Sarebbe bastato mettere le mani sull’Occhio della Regina, un favoloso rubino grande come una noce, di spettacolare purezza, scomparso un secolo prima dalla corte reale di Ariakas [2] e riapparso qua e là in diverse regioni di Ainamar, per fermarsi finalmente nelle mani del mercante d’arte più conosciuto di Elosbrand. Brook era orgoglioso di possedere quel gioiello unico che, da solo, valeva metà delle sue ricchezze. Blackwind era convinto che se fosse riuscito a rubare quel rubino, Brook avrebbe subito un colpo formidabile nelle ricchezze e nell’orgoglio.
Aveva pianificato tutto con estrema attenzione, aveva superato ogni ostacolo. Restava solo quella porta. Non si sarebbe mai immaginato di doversi fermare a quel punto.

Eppure non riesco ad accettare di essere arrivato così vicino e dover rinunciare!

Ma chi diavolo poteva aver messo a disposizione la propria magia per chiudere quella porta? Brook, a quanto se ne sapeva, non aveva alcuna conoscenza nelle arti arcane. Possibile che avesse assoldato un mago? Comunque fosse, quella serratura continuava a restare ostinatamente chiusa.
La magia era piuttosto comune su Ainamar, anche se erano in pochi quelli che la sapevano controllare e adoperare correttamente. Blackwind stesso portava mantello e stivali infusi della magia della sua razza, che gli consentivano di nascondersi perfettamente nell’ombra e muoversi con la silenziosità di un gatto. Però, per eliminare quella chiusura magica, avrebbe dovuto procurarsi una pergamena contenente l’incantesimo adatto e augurarsi di riuscire a leggerla correttamente davanti a quella porta sbarrata. Ma per procurarsi la pergamena giusta gli sarebbero occorsi alcuni giorni. Quindi, tutto da rifare.
L’unico modo, a quel punto, era di farsi aprire la porta da chi era in possesso della chiave magica. Dunque solo il padrone di casa o, forse, il maggiordomo, l’anziano Algernon. Però sarebbe stato necessario ricorrere alla forza e trasformare quel furto tanto abilmente congegnato in una volgare rapina. Col rischio che qualcuno potesse farsi seriamente male.
Quello, però non era lo stile di Blackwind. Quello stile che era diventato quasi un marchio di fabbrica. Uno stile fatto di abilità, intelligenza, astuzia, eleganza. Mai volgare violenza. Mai la forza bruta. Mai una vittima innocente.

Se, per vincere, devo uccidere, preferisco perdere.

Questo era sempre stato il suo motto. Questo lo rendeva un individuo veramente insolito in un mondo in cui uccidere gli avversari pareva il modo naturale di conseguire una vittoria.
D’altra parte, la clessidra stava ormai per finire. Avrebbe dovuto ammettere la sconfitta. Il bello era che aveva addirittura già preparato un biglietto beffardo da far trovare al padrone di casa. Lo osservò accigliato. Era stato troppo sicuro di sé.

A meno che…

Un sorriso comparve sulle labbra di Blackwind. Forse un modo esisteva. Probabilmente era un tentativo disperato. Però poteva funzionare.
E sarebbe stato veramente nel suo stile.

[1] La capitale della Repubblica di Elos, dove si svolge questa storia
[2] Impero confinante ad occidente con la Repubblica di Elos


  
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