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Autore: Glance    21/06/2010    6 recensioni
Sei mesi, la conoscevo da soli sei mesi. Eppure potevo dire di esistere veramente solo da quando il battito del suo cuore scandiva ogni momento che passavo con lei. Sei mesi e oggi sarebbe stata la ricorrenza della sua nascita, il suo compleanno. Il fatto che fosse nata era qualcosa per cui festeggiare, qualcosa che bastava a giustificare la creazione dell’intero mondo.(Quello che di Edward non é stato scritto in NEW MOON)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
Capitoli:
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“Aspettate che faccia buio.”
Disse Demetri e scappò via. Restammo soli nell’opulenta sala d’aspetto in cui ritrovammo Gianna che non sembrava per nulla intimidita seduta alla sua scrivania lucida. Lo sguardo scaltro e curioso alla mia mantella. Nella mente pensieri futili. Organizzare il lavoro per il giorno dopo. Una musica leggera a dare a tutto un’apparenza di normalità.
Tra le braccia lei che tremava come non era mai successo.
Lei, che sentivo più mia che mai. La mia piccola coraggiosa donna.
-Stai bene?- Le sussurrai in modo da non far cogliere quella domanda alla segretaria umana dei Volturi, con l’angoscia impigliata nella voce e ancora tutta la tensione a pesarmi addosso.
Il suo tremare non mi aiutava a rilassarmi. Era sconvolta e l’attesa in quel posto certamente non l’aiutava.
- Falla sedere prima che crolli- disse Alice. – E’ a pezzi.- Ma Bella era più che a pezzi, era sotto shock, batteva i denti e singhiozzava in maniera convulsa e mi stava spaventando. Non l’avevo mai vista in quello stato. Provai a stringerla di più e a calmarla.
- Sssh, Bella, sssh.- Dissi cercando di farla sedere sul divano che rimaneva più distante da dove era Gianna.
- Penso sia una crisi isterica. Prova con uno schiaffo.- Suggerì Alice.
Le lanciai un occhiata irrequieta. Come se fossi stato capace anche solo di fare il gesto di colpirla, di pensarlo soltanto.
Per me Bella era cristallo, fragilissimo e prezioso.
Sapevo che uno dei metodi sicuri per far cessare una crisi del genere poteva essere quell’eventualità, ma non avrei mai potuto neanche per un motivo del genere alzare un solo dito su di lei.
Cominciai ad accarezzarle il viso ed i capelli nella speranza che mi sentisse, che sentisse tutto l’amore che provavo e che non mi aveva mai abbandonato.
Solo l’idea di lei sapeva scaldarmi.
- Va tutto bene, sei al sicuro.- Le ripetevo piano e per rassicurarla la presi in braccio avvolgendola nella pesante mantella di lana, per tenerla al riparo del mio corpo ghiacciato.
Ed eccolo lì tra le mie braccia il calore che conoscevo, che avevo inseguito, mai dimenticato e ritrovato.
Il calore della vita che tornava in me. Ero vivo adesso, lì in quel momento accanto a lei. Tutto il resto non contava più, era lontano, come svanito nell’interminabile esistenza che mi condannava ad essere ciò che ero.
Era mia, la sentivo mia. Tra la poesia di quei respiri nel silenzio della mia anima. Era accanto a me che tremava, ma avrebbe camminato al mio fianco fuori da lì, verso la luce di un nuovo giorno.
Tutti i miei dubbi che avevo lasciati impigliati tra i suoi capelli si erano sciolti.
Era bella senza neanche saperlo, senza che se ne rendesse conto, si era affidata a me senza domandare dove l’avrei portata, dove avrebbe condotto tutto quello. Quel nostro amore immenso e disperato, cercato e da cui avrei voluto fuggisse, ma non era più il tempo delle recriminazioni, della paura per ciò che ero. Volevo solo che i suoi occhi tornassero ad illuminarsi, volevo solo affogare in quello sguardo.
Ero tornato ad essere un uomo grazie a lei e mi ero sentito spezzato a metà durante la sua assenza.
Ci eravamo trovati e stretti l’uno nelle braccia dell’altra come due angeli sbagliati e per noi doveva poter esserci un cielo.
Il mio domani era in quegli occhi, dove le nebbie del mio passato non mi avrebbero raggiunto, inquinato. C’era solo questo momento. Attimi da condividere giorno per giorno se lei ancora mi avesse voluto al suo fianco. Era lì, accanto a me, timida e fragile come sempre, che mi stringeva, ma sentivo che c’era qualcosa, come se non fosse spontanea, come se un dubbio la trattenesse. I suoi occhi mi guardavano come sempre, ma vi leggevo un’incertezza.
Il timore che per lei qualcosa fosse cambiato, che le prove a cui l’avevo sottoposta fossero state troppe, mi strinse la gola.
Se lei non mi avesse più voluto…
Il solo pensiero mi restituì al niente di tutti quei mesi. Ma a quel punto cosa mi sarebbe rimasto da fare se non accettare qualsiasi sua decisione? In fondo era quello che mi ero sempre augurato.
Che lei fosse in grado di vedere chiaramente, capire cosa era meglio.
Allontanarmi dalla sua vita, dal suo mondo sarebbe stata la scelta migliore e più saggia e io non avrei potuto biasimarla per questo, né condannarla o sentirmi rinnegato e tradito.
Avrei accettato con la disperazione di un condannato a morte qualsiasi decisione, senza recriminare, senza insistere.
Semplicemente sarei sparito se lei me lo avesse chiesto. “Come se non fossi mai esistito.” Quella promessa che le avevo fatto ancora riecheggiava in me con tutto lo strazio che aveva portato. La sua assenza.
Ma glielo dovevo anche se il solo pensiero mi devastava e non potevo impedirmi di non provare il medesimo dolore e di rimanerle aggrappato anche se l’avrei dovuta strappare da ogni singola parte di me.
La ragione avrebbe guidato le mie azioni, ma non avrebbe trovato ragioni per consolare il mio cuore.
Se non fosse tornata con me, se non mi avesse più voluto, amato, non ci sarebbe più stata vita nei miei giorni.
- Tutta quella gente.- Singhiozzò ad un tratto.
- Lo so.- Le sussurrai tra i capelli.
- E’ orribile.- Continuava a tremare e per ognuno di quei sussulti mi maledivo e non potevo fare a meno di pensare che adesso si sarebbe realmente resa conto di chi fossi, di cosa fosse il mio mondo e mi avrebbe guardato con occhi diversi. Non importava che la mia famiglia ed io avessimo fatto scelte diverse, non importava che ci muovessimo nel suo mondo, non eravamo altro che quello che lei aveva visto e sentito. Tutto quell’orrore lo portavamo incollato addosso.
- Certo che lo è.- Le risposi.- Speravo non ti toccasse assistere.- Non avevo fatto altro che quello da quando la conoscevo: sperare.
Sperare di non ucciderla, che mi amasse, che per noi potesse esserci una strada da percorrere, che la mia assenza la restituisse alla serenità della sua vita.
Sperare…sperare. Senza capire che nel mio mondo, per quanto facessi, la speranza non poteva esistere, era morta come tutto il resto e io invece mi ostinavo ad invocarla. La speranza era per i vivi e non per chi era rimasto impigliato in una semi vita.
La sentii respirare a fondo nel tentativo di calmarsi mentre asciugava le lacrime con un lembo della mantella e poggiava la testa sul mio petto.
- Posso esservi utile?- La voce di Gianna dietro le mie spalle, cortese, con la giusta dose di preoccupazione. Ma professionale e distaccata. Per nulla intimorita di trovarsi a pochi centimetri da me. Sapeva che le ero ostile, ma questo non la impensieriva.
- No.- Le risposi freddo. Annuì sorridendo e andò via.
Nella sua mente il desiderio di poter diventare un giorno parte di tutto quello.
- Sa cosa succede qui?- Domandò Bella appena si fu allontanata. La sua voce era bassa e roca, ma andava riprendendo il controllo di se stessa. Il ritmo del suo cuore era più regolare.
- Si, sa tutto.- Le risposi. - Sa anche che un giorno la uccideranno?- La strinsi a me, e tornai a sfiorarle i capelli con le labbra.
- Sa che è una possibilità.- La sorpresa si dipinse sul suo volto.
Il mio invece divenne indecifrabile mentre cercavo di contenere la desolazione.
- Spera che decidano di tenerla con loro.- Come si poteva essere così ingenui da pensare di poter barattare la propria vita per quell’inferno?
Vidi Bella impallidire.
- Vuole diventare come loro?- Feci cenno di sì rimproverandola con lo sguardo per tutte le volte che anche lei aveva accampato quella richiesta, desiderando di seguirmi in quel mondo di orrore e morte. La sentii trasalire.
- Come è possibile?- Sussurrò.- Trascinano intere comitive in quella stanza terribile e lei vuole unirsi a loro?- Non risposi e feci appena una smorfia. Si meravigliava che qualcuno volesse quello per se stesso. Non capiva che tra me e quel mondo non c’era nessuna differenza. Che quello che ero non era sempre stato ciò che vedeva e che anche lei, in fondo, stava facendo lo stesso errore per il quale adesso inorridiva.
- Oh, Edward.- Esclamò come se si fosse resa conto solo in quel momento di trovarsi tra le mie braccia. Mi guardò come se si fosse appena svegliata da un sogno e cominciò nuovamente a piangere. Non riuscivo a capire come facesse ad avere paura e orrore di tutto quello e non di me.
Quell’esclamazione voleva essere il preludio di qualcosa. Forse di una presa di coscienza e ora non sapeva come fare per dirmi che si era pentita di avermi dato retta, di aver contraccambiato quel sentimento e che forse voleva essere lasciata libera da quell’orrore che mi portavo dietro.
Continuava a piangere senza parlare e io dovevo sapere se aveva cambiato idea e se voleva mettere la parola fine sulla nostra storia.
- Cosa c’è?- Dissi ansioso di sapere senza riuscire a non toccarla. Magari quelli erano gli ultimi istanti che mi concedeva. Iniziai ad accarezzarle la schiena con delicatezza per tranquillizzarla.
La sentii aggrapparsi alle mie spalle.
- E’ davvero così assurdo che mi senta felice in questo momento?- Mentre per due volte la voce le mancava.
La strinsi ancora di più. “Assurdo” diceva.
Che fosse felice! Cosa c’era di così assurdo nell’essere felice di essere ancora viva? Non c’era niente di assurdo. Doveva essere felice per questo.
La strinsi maggiormente. In quel momento sentivo di amarla ancora di più se questo fosse stato possibile.
Avevamo tanti motivi per essere felici.
- Capisco esattamente cosa intendi.- Le sussurrai.- Abbiamo tanti motivi per essere felici. Prima di tutto siamo vivi.- Si accoccolò maggiormente tra le mie braccia.
- Si. E’ già qualcosa.- Disse piano.
- E siamo insieme.- Tornai a sussurrare sui suoi capelli aspettando una reazione che mi facesse capire che anche per lei non era cambiato nulla, che mi amava come sempre. Ma si limitò soltanto ad annuire. Senza aggiungere altro. - E con un po’ di fortuna , saremo vivi anche domani.- Dissi cercando di nasconderle l’ansia che mi divorava.
- Speriamo.- Aggiunse incerta. Chissà cosa pensava. Avrei dato qualsiasi cosa adesso per poter sapere quale fosse il suo pensiero su di noi, la nostra storia.
- Le prospettive sono piuttosto rosee.- Intervenne Alice ad interrompere l’inquietudine delle mie domande che avrebbero dovuto attendere per avere una risposta.
- Tra meno di ventiquattro ore rivedrò Jasper.- Aggiunse soddisfatta. Potevo sentire dai suoi pensieri quanto le fosse mancato. Potevo capirla. Allontanarsi da chi si ama era una delle esperienze più dure che avessi mai dovuto affrontare. Capivo mia sorella adesso, capivo Emmett e Rosalie, Carlisle ed Esme. Ora anche io sapevo cosa significava, ora con Bella al mio fianco potevo capire tutti loro. In quel momento invidiai Alice e le sue certezze sul futuro. Poteva sapere in qualsiasi momento cosa l’attendeva. Io per sapere se avrei ancora fatto parte del mondo e della vita di Bella avrei dovuto attendere di poterle parlare con tranquillità e quest’attesa mi rendeva nervoso ed insicuro come all’inizio della nostra storia.
Notavo che continuava a fissarmi, ma non riuscivo a capire le sue intenzioni e i suoi sentimenti.
Le restituii uno sguardo che potesse contenere tutta la tenerezza che provavo in quel momento e con le dita le accarezzai le occhiaie che le cerchiavano gli occhi.
Supposi evidenti come le mie. Il mio sguardo doveva essere ormai scuro come la notte e i segni attorno ai mie occhi chissà quanto marcati.
- Sembri davvero stanca.- Le dissi accennando un sorriso. - E tu esausto.- Rispose in un sussurro appena udibile, osservando il mio viso e fermando la sua attenzione sulle chiazze violacee che sicuramente contornavano i miei occhi. Sembrava si preoccupasse per me come sempre.
- Non è niente.- Risposi.
- Sei sicuro? Se vuoi mi siedo accanto ad Alice.- Era quello allora che la preoccupava. La mia capacità a contenere la voglia che l’aroma del suo sangue mi provocava. Era solo quello? Ma del resto avevo impostato tutta la nostra storia sulla preoccupazione di non sapermi controllare davanti a lei. Ogni gesto, ogni parola, anche la mia fuga era stata una conseguenza della mia voglia del suo sangue, della mia paura di farle del male. E sicuramente gliene avevo fatto, ma non nel modo che mi ero aspettato. L’avevo ferita, sì, ma nell’anima. Le avevo arrecato comunque sofferenza e sembrava che qualsiasi cosa facessi o decidessi in nome della sua salvezza non servisse che a metterla in pericolo o farla soffrire. I ricordi di Alice mi erano arrivati chiari e l’avevo vista come lei l’aveva vista. Adesso lì davanti a me era più magra, più pallida di come la ricordavo e sicuramente le costava vedermi. Ma non volevo si preoccupasse più di quello che la sua natura poteva scatenare in me, quel lato ormai per me era passato in secondo piano, non mi spaventava più e non lo avrebbe più fatto. Avevo domato il mio mostro e doveva saperlo, capirlo. Tutto da quel momento in poi sarebbe stato diverso tra noi. Tutte le mie paure passate, alla luce di quei nuovi eventi, sembravano ridicole.
- Non essere ridicola.- Le sussurrai sul viso.- Non sono mai stato così padrone di quel lato della mia personalità come in questo momento.
Sentii il suo bisogno di risposte, di dare voce alle sue domande morirle sulle labbra. Ma non disse nulla e non mi importava. Rimase in silenzio tra le mie braccia, la vidi percorrermi il volto con gli occhi e senza staccare lo sguardo da lei mi riappropriai del suo viso, mentre pianificavo il ritorno a casa con Alice.
Parlavo in modo veloce per non fare capire a Gianna come avremmo organizzato il rientro. Alice sarebbe stata costretta a rubare un’altra macchina.
- Cos’era quel discorso sulle cantanti?- Chiese ad un tratto mia sorella.
- La tua cantante- Le feci eco. - Esatto.- Ribadii Alice. Mi strinsi nelle spalle e cercai di rispondere.
- E’ il nome che danno a chi scatena l’effetto che fa a me il profumo di Bella. L’Hanno chiamata la mia “cantante” perché il suo sangue canta per me.- Alice rise. Continuai a conversare con mia sorella mentre avvertivo lo sfinimento di Bella, il suo combattere contro la stanchezza che tutte quelle emozioni avevano sicuramente provocato in lei e più di una volta mi ero chinato a baciarla. In modo spontaneo. Come se fosse del tutto naturale e un mio diritto poterlo ancora fare. E ogni volta il suo cuore aveva risposto impazzito lo sentivo rimbombare per tutta la stanza.
Il suo cuore ancora rispondeva al mio tocco, emozionandosi. Si era domandata una volta se avrebbe mai smesso di farlo. Quella volta le risposi che mi auguravo di no.
Sembrava che il suo cuore non mi avesse dimenticato, ma speravo che lei gli desse ascolto.
Ad un tratto i pensieri di Alec mi raggiunsero e istintivamente la strinsi a me ancora di più mentre rivolgevo lo sguardo verso il punto della stanza da dove sarebbe apparso. Sentii il panico percorrere il suo corpo.
Alec portava buone notizie.
- Ora siete liberi di andarvene.- Disse in tono amichevole. – Vi chiediamo soltanto di non trattenervi in città.- Mi irrigidii e non mi mostrai cortese.
- Non sarà un problema.- Alec sorrise annuendo e andò via.
Gianna ci indicò l’uscita mentre vedevo mia sorella rivolgerle uno sguardo torvo.
Quando giungemmo in strada la città stava ancora festeggiando e il mio abbigliamento non avrebbe dato nell’occhio. Notai che tra le labbra di quelle persone spiccavano dei canini di plastica.
- Ridicolo.- Mormorai, come se quella fosse stata la verità. Non avevano idea che ciò che pensavano ci distinguesse non era riconoscibile se non quando decidevamo che lo fosse.
- Dov’è Alice?- Sentii Bella sussurrare confusa.
- E’ andata a riprendere le tue cose dove le ha nascoste stamattina.- La guardai e le sorrisi.
- Ruberà anche una macchina, vero?- Annuii.
- Non finché non saremo usciti.- Capii che era sfinita e le cinsi i fianchi mentre l’aiutavo a passare sotto l’arco di pietra della porta della città e la sentivo tremare nuovamente.
Alice era arrivata e ci aspettava in un auto scura appena fuori la porta semi nascosta da un cespuglio.
Feci salire Bella e mi sistemai al suo fianco sul sedile posteriore.
- Mi dispiace.- Si scusò Alice.- Non avevo molta scelta.- Disse.
- Va bene lo stesso Alice.- Le risposi sorridendole.- Non si può sempre avere una 911 turbo.- Mia sorella mi sorrise a sua volta.
- Penso che me ne procurerò una legalmente. Era favolosa.- Rispose sospirando.
- Te la regalerò per Natale.- Le promisi.
- Gialla.- Assentì voltandosi.
- Gialla.- Ribadii come a suggellare il patto. Nel frattempo continuavo a tenere stretta a me Bella avvolta nella mantella per farla stare al caldo.
- Ora puoi dormire. Bella.- Mormorai.- E’ finita.- Non era tranquilla lo avvertivo chiaramente.
- Non voglio dormire. Non sono stanca.- La seconda frase era una bugia. Lo sapevo. Del resto non era mai stata brava a mentire.
- Provaci.- Le dissi premendo le labbra sul lobo del suo orecchio. Ma fece cenno di no scuotendo la testa.
- Sei sempre la solita testarda.- Sospirai. Lo era. Lo era sempre stata e almeno questo non era cambiato.
Durante il tragitto la vidi cedere al sonno per brevi momenti, ma continuare a resistere caparbia come sempre.
Non capivo perché non volesse dormire, forse per paura di rivedere le immagini che l’avevano sconvolta.
Non insistetti e la lasciai fare mentre percorrevamo la strada che ci avrebbe condotti all’aeroporto di Firenze.
Arrivati, Bella ne approfittò per cambiarsi e rinfrescarsi mentre Alice provvedeva a comprare dei vestiti per me e disfarsi della pesante e ingombrante mantella.
Il volo per Roma fu breve e speravo che potesse finalmente riposare in quello per Atlanta. Alice aveva prenotato dei posti in prima classe e di sicuro la comodità dei sedili e la lunga tratta avrebbe facilitato il suo riposo. Ma appena saliti e preso posto la sentii chiedere alla hostess di portarle una Coca. Sapevo l’effetto che aveva su di lei la caffeina.
-Bella.- La rimproverai. Alice dietro di noi parlava a bassa voce con Jasper.
- Non voglio dormire.- Ribadì Bella.- Se chiudo gli occhi vedrò cose che non vorrei vedere. Avrò gli incubi.- Come ragione era più che credibile e non potevo darle torto.
Non sarebbe stato facile per nessuno superare quello che a cui aveva assistito. Decisi di non insistere oltre. Avrebbe dormito quando se la sarebbe sentita.
Aspettai, non mi rimaneva da fare che quello. Aspettare che parlasse, che mi domandasse qualcosa. Non volevo forzarla, volevo che fosse lei ad iniziare con le domande. Volevo darle tempo per riordinare le idee. Per abituarsi nuovamente a me. Non smettevo nel frattempo di tenerla vicino e di accarezzarle il viso di tanto in tanto. Anche lei contraccambiava quelle carezze. E non mi importava per quale motivo. Era lì con me e quello già era il regalo più grande. Non potevo fare ameno di baciarle i capelli, i polsi. Ma non le labbra, per quello volevo aspettare di sentire pronunciare dalla sua voce che potevo farlo, che mi amava e che mi aveva perdonato. Se lo avessi fatto, se avesse contraccambiato e poi mi avesse lasciato, sarebbe stato ancora più difficile dopo, dover rinunciare a lei. Non parlavo sforzandomi di contenere in me tutte le parole che avrei voluto regalarle, ma doveva essere lei a farlo per prima. Aveva il diritto di dire qualunque cosa senza che potessi influenzarla.
Ad Atlanta era ancora sveglia, il sole dietro le nubi di Seattle ci accolse, il nuovo giorno illuminò di riflessi mogano i suoi capelli e a quel punto sbarrai l’oblò.
Non aveva ceduto al sonno neanche per un momento.
Atterrati trovammo ad accoglierci tutta la mia famiglia.
Non ne fui sorpreso. Non li vedevo da tanto e, sapevo, conoscendoli che sarebbero venuti a prenderci, sfidando la luce e la presenza di tante persone.
Nascosti da una colonna scorsi mio padre e mia madre che ci venne incontro abbracciando Bella che continuavo a tenere stretta a me.
- Grazie, davvero.- Le sussurrò all’orecchio. Era felice ed emozionata e la sentivo versare lacrime invisibili di gioia. Mi abbracciò.
- Non osare mai più infliggermi una pena simile.- Mi disse rimproverandomi con nella voce una severità che non le avevo mai sentito prima di quel momento avere nei miei confronti.
- Scusa mamma.- Le sorrisi con l’espressione del mio sincero pentimento per averle procurato quel dolore.
-Grazie Bella.- Disse mio padre.- Ti siamo debitori.- Il suo sguardo era sollevato, ma nella sua mente lessi tutta l’angoscia che quel mio gesto aveva causato a tutti loro. “Sei qui, siete tutti qui, figlio e il resto, i rimproveri e le prediche ruberebbero solo spazio a questa felicità. Ringrazio il cielo di avervi ricondotti sani e salvi a casa.” Lo guardai, annuì egli sorrisi di rimando.
Bella era esausta e quasi non si reggeva in piedi.
- Dorme in piedi.- Mi disse mia madre con un tono di accusa.- Riportiamola a casa.- La vidi scivolare al suo fianco e sorreggerla insieme a me.
Mentre percorrevamo il parcheggio per raggiungere la macchina con Bella che ormai era quasi completamente addormentata scorsi Emmett e Rosalie e mi irrigidii.
I pensieri di mia sorella mi arrivarono pieni di scuse e pentimento, ma non ero disposto a fargliela passare liscia questa volta, non avrebbe ricevuto facilmente il mio perdono.
Ma mia madre intuendo la mia reazione e le mie reali intenzioni nei suoi confronti mi pregò di essere indulgente.
- Per favore, no.- Sussurrò.- E’ distrutta.- Ma non mi importava. Si meritava ogni cosa sarebbe venuta, ogni singola parola di biasimo e rimprovero.
- Ben le sta.- Risposi senza curarmi di non farmi sentire, sapevo quanto fosse dispiaciuta di avermi messo in pericolo, di avere costretto Alice ad esporsi in quel modo e di contro di avere fatto si che i Volturi venissero a conoscenza della mia storia con Bella, ma questo ai miei occhi non la rendeva meno colpevole. Aveva sempre avversato Bella per la sua stupida gelosia e quello che era successo ne era la conseguenza. Una sua responsabilità. Ma quella che mi sorprese fu la reazione di Bella.
- Non è colpa sua .- Disse ridestandosi dal suo stato di torpore. Ancora una volta cercava di scagionare i nostri comportamenti.
Anche mia madre intervenne per cercare di mitigare la tensione.- Concedile la possibilità di scusarsi.- Mi disse con nella voce il tono della preghiera di chi non vuole che esista rancore trai suoi figli.
Rivolsi a mia sorella uno sguardo gelido che non lasciava presagire alcuna possibilità di poter recuperare a ciò che aveva fatto.
Ma ancora una volta Bella intervenne per farmi ragionare ed abbassare i toni della mia reazione.
- Per favore, Edward.- Sussurrò con la voce arruffata dalla stanchezza e dal sonno. Non ero entusiasta di quel viaggio da fare in compagnia di Rosalie, ma ingoiando la rabbia che sentivo feci salire Bella in macchina. Appoggiò la testa sul mio petto e cedette al sonno esausta.
I pensieri di Rosalie mesti risuonarono nella mia testa nel silenzio spezzato dal battito del cuore e dal respiro di Bella.
Avrebbe parlato di lì a poco per dare voce a tutto quel fluire di sensazioni che l’avevano stretta nella morsa dell’angoscia e del rimorso per ciò che quel gesto sconsiderato aveva rischiato di provocare.
- Edward.- Disse piano mia sorella.
- Lo so.- Risposi in tono brusco. Senza risparmiarle il mio risentimento. Non avrebbe avuto sconti da me se era questo che cercava e che leggevo nei suoi pensieri. Lo sapeva Rosalie che non sarebbe stato facile per me perdonarla, ma sapeva anche che passare per Bella avrebbe facilitato le cose.
- Bella?.- Chiese con delicatezza ed era la prima volta che nella sua voce non c’era astio nel pronunciare quel nome. Cercava il modo per scusarsi e sapevo che per lei non era facile. Era sinceramente pentita e sentirle pronunciare il nome di Bella in quel modo mi ammorbidì.
Bella dovette sentirla tra la nebbia del suo torpore e le rispose.
- Si, Rosalie?- Fece esitante.
- Mi dispiace tanto. Tutto questo mi ha fatto sentire malissimo, ti ringrazio per il coraggio con cui hai salvato mio fratello dopo ciò che ho combinato. Ti prego di perdonarmi, se puoi.- Era sincera e potevo facilmente leggerlo tra i suoi pensieri, agitati e disordinati che cercavano di dare a parole l’entità della sua mortificazione e frustrazione. “Ti ama davvero Bella e ora so che anche tu lo ami. Dopo quello che hai rischiato per lui. Non avevo capito, non volevo capire. Il tuo essere umana, il fatto che tu eri ciò che io non sarei più potuta essere mi aveva offuscato la ragione. Invidiavo a te il fatto di essere ancora viva e a lui, la possibilità di interagire con il tuo mondo come un qualsiasi essere umano. Condividere con te esperienze di tutti i giorni che io potevo solo guardare da lontano.” Era quello il motivo della sua ostilità per Bella e finalmente lo ammetteva con se stessa.
- Ma certo, Rosalie.- Mormorò Bella.- In fondo non è colpa tua. Sono stata io a tuffarmi da quel maledetto scoglio. Certo che ti perdono.- E la risposta di Bella non poteva essere che quella. Se avessi scommesso anche senza leggere la sua mente avrei sicuramente vinto. Era da lei in fondo addossarsi ogni responsabilità. Lo aveva sempre fatto da che l’avevo incontrata. Aveva un senso del sacrificio spiccato e innato. E ogni volta se pur certo della sua reazione, ne rimanevo sempre sorpreso.
- Finché non torna lucida, non vale, Rose.- Fece eco la voce di Emmett e il suo trattenersi a stento dal ridere.
Mi era mancato e gli fui grato di quel momento di leggerezza che lo caratterizzava. Sapeva sempre trovare il lato ironico nei momenti di tensione. Ero a casa finalmente e con Bella tra le mie braccia. Fino a qualche ora prima pensavo che il mio mondo fosse andato in frantumi e invece tutto era tornato al suo posto.
Continuavo a non capire perché quel destino benevolo continuava a volermi fare dei regali.
- Sono lucida.- Mormorò Bella, e la sua risposta somigliava più ad un sospiro confuso che a delle parole di senso compiuto.
- Lasciala dormire.- Pronunciai con la ritrovata calma nella voce. Era sempre stato affascinante per me guardarla dormire, ma ora il cuore mi scoppiava di tenerezza. Era esausta, bellissima, ma dormiva finalmente serena tra le mie braccia.
Dormì tranquilla per tutto il tragitto fino a casa sua.
Non aveva mai urlato, né si era mai agitata e speravo che di quello che aveva visto, non fosse rimasta traccia. Che i suoi sogni non fossero popolati da incubi per ciò a cui era stata costretta ad assistere.
Emmett fermò la macchina davanti al vialetto di casa Swan e delicatamente l’aiutai ascendere.
Non riusciva a svegliarsi.
Fummo accolti dalla voce alterata dello sceriffo.
- Bella.- Urlò da lontano. L’ ostilità dei suoi pensieri nei mie confronti urlava ancora di più.
Bella, riprese per un attimo, il tempo sufficiente per riconoscere suo padre e capire dove fosse, contatto con la realtà.
- Charlie.- Farfugliò cercando di vincere il torpore.
- Sssh.- Le sussurrai.- Va tutto bene. Sei a casa, al sicuro. Ora dormi.- Lo sceriffo era furente, e a ragione.
Potevo ben capirlo. Ero stato la causa della sofferenza di sua figlia per tutti quei mesi. Le immagini di lei annientata nei suoi ricordi mi colpì come uno schiaffo. Se mi avesse colpito davvero neanche me ne sarei accorto, la sua mente mi rimandava lo stesso dolore di quando mi ero costretto a starle lontano, di quando l’avevo creduta morta. Era lei quel corpo inerme che giaceva senza forze nella sua stanza. Era Bella che rifiutava di mangiare e urlava in preda agli incubi. Era lei che sentivo invocare il mio nome durante le notti in cui lo sceriffo l’aveva vegliata non visto rimanendo in ascolto dietro la porta della stanza di sua figlia.
Ero stato uno stupido e il re degli imbecilli.
Mi meritavo ognuno di quei pensieri ostili, ogni suo risentimento e ogni parola che avesse voluto pronunciare per inveire contro di me.
Era atroce vedere Bella in quelle visioni e capivo lo strazio di quel padre, nell’impotenza di poter tirare fuori sua figlia dal baratro dove io l’avevo fatta precipitare.
- Non riesco a credere che tu abbia il coraggio di mettere piede qui.- Mi urlava contro lo sceriffo avvicinandosi a grandi passi. Mi avrebbe preso volentieri a schiaffi, ma la sua integrità glielo impediva. In fondo ero pur sempre un ragazzino. Uno stupido liceale, ai suoi occhi.
- Smettila, papà.- Intervenne Bella. La sua voce appena un mormorio che non giunse a Charlie. Che continuò a guardarmi con risentimento.
- Cosa le è successo?- Chiese.
- E’ soltanto stanchissima. Risposi calmo.- La lasci riposare.- Ma la mia risposta e il mio atteggiamento invece che a rabbonirlo servirono ad innervosirlo ancora di più. Senza volerlo ero stato arrogante. Come sempre.
- Non osare darmi ordini.- Urlò lo sceriffo.- Ridammela. Toglile le mani di dosso!- Ordinò. Ceraci di assecondarlo e di consegnargli Bella. Ma le dita di lei rimanevano ostinatamente aggrappate a me. Lo sceriffo continuava a strattonarla per un braccio e ad imprecare mentalmente.
- Smettila, papà.- Riuscì a dire Bella alzando la voce e aprendo gli occhi assonnati per guardarlo.- Prenditela con me.- Il cielo di Forks coperto dalle solite nuvole sembrava osservare indolente quell’insolita contesa.
- Puoi starne certa.- Tuonò la voce del capo Swan. Come se fosse una promessa.- Entra subito.- Ordinò autoritario.
Non volevo che per colpa mia Bella fosse costretta a subire una punizione, ma la mente dello sceriffo ne stava valutando una lunga lista.
-Va bene. Lasciami andare.- Sussurrò Bella. La tenevo per permetterle di rimanere in piedi, ma quando la lasciai la vidi precipitare a faccia in giù verso il suolo e fui costretto a prenderla al volo appena un attimo prima dell’impatto.
- Lasci almeno che l’accompagni di sopra.- Dissi.- Poi me ne vado.- E lo avrei fatto se lei non mi avesse trattenuto.
- No.- Urlò nel panico. Era quello che avevo aspettato di sentire. Lei che mi voleva al suo fianco, e non voleva che la lasciassi. Era stupido da parte mia, infantile, ma avevo sperato che dicesse qualcosa per farmi capire che per me c’era ancora una speranza. Non le avrei mai più imposto nulla senza che lo avesse voluto. Avevo sperato per l’intero viaggio che mi avesse chiesto di rimanerle accanto mentre dormiva come facevo un tempo. Non avrei mai trovato il coraggio di chiederglielo. Non avrei osato.
- Non sarò lontano.- Le promisi sussurrandole nell’orecchio per non farmi sentire da suo padre mentre scoppiavo di felicità.
Charlie continuava a gridare il suo disappunto, ma non gli diedi ascolto ed entrai in casa portandola fino alle scale.
Dormiva, ma lo sceriffo non riusciva a liberarmi dalla sua presa. Le sue mani si erano arpionate sul tessuto della mia camicia e dovetti delicatamente scioglierle per potermi liberare.








Come sempre ringrazio dell’attenzione che chi legge, preferisce o segue la mia storia.
Il mio grazie speciale va a chi lascia con costanza un suo commento.
Non sapete quanto è bello aprire la propria pagina e trovarvi lì con i vostri pareri.
Grazie ancora a:
bale86


Ninfea Blu


arte


Cicciolgeiri


ANNALISACULLEN


Scusate se non rispondo, ma ho in questo periodo problemi di tempo, ma mi rifarò alla prossima. Promesso. Vi aspetto. Baci, Galnce.
  
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