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Autore: Tetide    25/06/2010    4 recensioni
Magda è una bella ragazza, che all'apparenza ha tutto; tutto, tranne ciò che più vorrebbe veramente. Così, trascina stancamente la sua vita tra il lavoro, che comunque la soddisfa molto, e gli amici, i quali la riempiono di attenzioni. Ma tutto questo non basta a placare il suo vuoto esistenziale; perlomeno, fino a che il destino...
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 CAPITOLO 2

L’estate era ormai arrivata; Berlino era un tripudio di colori, voci e… turisti!
Magda si era trattenuta più del solito in biblioteca, quel giorno. Aveva un gran mal di testa, ma non se la sentiva davvero di tornare a casa: non ora che sapeva vi avrebbe visto le valige sfuse ed aperte che facevano bella mostra di sé sul pavimento.
Sospirò, si sedette e si accese una sigaretta, mettendosi a pensare: perché mai aveva accettato? Sì, certo, andare in vacanza era una cosa naturale, e poi stare un po’ con i suoi amici le avrebbe fatto del bene… inoltre, a lei piaceva parecchio il mare… e per finire, non aveva potuto dir di no alle pressanti insistenze di Kurt!
Ancora una volta si ritrovò a pensare cosa provava verso quel ragazzo; ed ancora una volta, la risposta fu limpida e chiara, senza ombra alcuna di dubbi né di equivoci: amicizia. E nulla più.
In fondo, dall’amicizia possono scaturire un casino di altre cose, pensava; ed a lei era venuto fuori il senso di colpa. Sì, questa era la prima volta che aveva il coraggio di ammetterlo con sé stessa. Finalmente.
A be pensare, infatti, Kurt le aveva dato molto. Le aveva dato tutto. La sua amicizia, il suo affetto, la sua totale disponibilità, il suo aiuto sempre pronto ed incondizionato; con lei, non aveva mai sbagliato una volta; o, se lo aveva fatto, si era poi fatto ampiamente perdonare.
E lei?
Lo voleva bene, molto. Gli era grata, per averla sostenuta nel dolore, insieme agli altri suoi amici. Ma non lo amava. E questo rimaneva un dato di fatto.
Non si può scegliere chi amare, né tantomeno si può costringere il proprio cuore a farlo, e lei ne era più che consapevole. Spesso si domandava che coppia sarebbero stati insieme… sicuramente una bellissima coppia: belli, realizzati, apprezzati. Agli occhi del mondo, avevano tutto. Allora, perché non provare a stare insieme, anche solo per poco? Sorrise amaramente verso sé stessa, abbassando lo sguardo in un sorriso sardonico: semplicemente, perché lei non poteva. Non ancora. Non più. Non adesso.
Non poteva amare di nuovo, mentre aveva ancora i cocci taglienti del suo cuore in mano: sapeva che sarebbe stata una partita persa in partenza. E non voleva ingannare Kurt. L’avrebbe fatta sentire troppo in colpa nei suoi confronti.
Dall’altro canto, però, si sentiva ora in colpa per non averci almeno provato a far coppia con lui, quando tutto sarebbe invece stato così facile. E così dovuto, visti i rapporti che intercorrevano fra di loro ed il comportamento dolce di lui.
Imprecò mentalmente contro il suo animo spezzato in due, che da una parte le inculcava la colpa verso l’amico di sempre, ma dall’altra le aveva posto un paletto insormontabile all’amore, il quale le aveva chiuso il cuore in una morsa gelida quanto l’inverno, facendole intendere il provare a riinnamorarsi (di Kurt o di chiunque altro) come una colpa terribile verso di lui, quasi un sacrilegio.
Lui
Le sfuggì una lacrima, suo malgrado. Abbassò il viso.
Ted
Lui era speciale. Lui era il suo uomo. Lui avrebbe dovuto essere il suo futuro. Lui era Ted.
E l’aveva lasciata per sempre, quel maledetto giorno di un inverno lontano, quando le montagne della Baviera se lo erano portato via, per sempre.

“Avanti, muovetevi, pelandroni! Il sole è già alto!”,
“Accidenti, ma tu non puoi smettere la tua foga Yankee nemmeno in vacanza, amico? Non mi stupisce che siate arrivati sulla Luna!”.
Karl se ne era rimasto seduto a sorseggiare la sua cioccolata, con la sua solita calma serafica, con un misto di stupore ed irritazione dipinto in volto; lei e Beate, ad un angolo del tavolo, non potevano trattenersi dal ridere, osservando la scena.
Lui era Ted Robson, un giovane ingegnere Americano che aveva scelto di vivere e lavorare a Berlino: veniva dal Nebraska, e da quasi un anno stavano insieme.
Kurt era lontano, all’epoca, in un elegante college in Irlanda.
Magda aveva conosciuto Ted per caso, ad un convegno che si era tenuto una sera presso le sale della sua biblioteca, dove lui aveva illustrato un paio di testi di ingegneria che aveva scritti per le Università Tedesche. Era stato un amore a prima vista, per entrambi.
E adesso, lei lo guardava con sguardo complice e sognante.
Il suo Ted: vivevano assieme da poco tempo, ma a lei sembrava già di stare con lui da una vita; di lui amava tutto, il sorriso dolce, lo sguardo innocente e pulito, quella sua maniera unica di riuscire a sdrammatizzare tutto sempre e comunque. Non avrebbe potuto trovare un uomo più adatto a sé, diceva a tutti.
Quella era la loro prima vacanza assieme: quando Karl e Beate avevano proposto loro di accompagnarli sulle montagne della Baviera, loro, entusiasti, avevano subito accettato: Ted era uno sportivo anche lui, ed aveva già una discreta pratica di roccia sulle montagne rosse del suo immenso e bellissimo Paese.
“Dunque, scalatore? Ieri sera non vedevi l’ora di sfidarmi, ed ora sembra che tutta la grinta ti sia andata via…” rise l’Americano,
“Ah, è questo che pensi?”, l’altro si alzò dal tavolo, fingendosi offeso “Ora vedrai! Ti darò del filo da torcere, parola d’onore!”.
Le due ragazze avevano sorriso compiaciute davanti alla finta spavalderia dei loro compagni, pregustando invece una mattinata sulle piste da sci ed un paio d’ore sdraiate al sole di montagna.
“Ciao, ragazzi!” aveva gridato Magda, salutandoli “Ci rivediamo all’ora di pranzo!”,
“O.K.! Ciao, baby!” le aveva risposto il suo uomo alzando un braccio.
Nessuna di loro due avrebbe mai potuto prevedere quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
Trascorsero un paio d’ore. Magda e Beate, dopo aver bevuto una cioccolata calda, aver fatto un paio di giri in pista ed un salto dal trampolino, si erano sedute sulla terrazza del grande albergo, ad osservare la folla di turisti che andava e veniva in quella mattina di fine inverno.
Era una bella giornata di sole, non c’erano nuvole in cielo, né temporali o nevicate in arrivo.
Il sole era tiepido, nonostante la stagione; Magda si era seduta vicino alla balaustra, per poter osservare meglio le piste, e giocherellava con gli sci posati per terra accanto a lei.
“Chissà dove sono arrivati!” fece Beate, riferendosi a Karl e Ted,
“… Mmmh… in cima a qualche montagna?”, le rispose l’amica,
“Probabile!”.
Entrambe scoppiarono a ridere.
“Ordiniamo un’altra cioccolata?”,
“Sì! Questa volta con biscotti, però!”.
Il cameriere raccolse l’ordinazione, servendole quasi subito; avevano appena iniziato a sorseggiare le loro bevande, quando videro un’ambulanza fermarsi nel piazzale antistante l’albergo.
“C’è sempre qualcuno che sta male!” mormorò Beate,
“Probabilmente, qualche sciatore è uscito di pista” aggiunse Magda.
Due infermieri scesero dall’ambulanza, reggendo una barella sulla quale stava distesa una persona coperta fin sopra il viso; solo i capelli erano visibili, o meglio una ciocca di capelli biondi che sfuggiva da sotto il lenzuolo.
Non seppe dire il perché, ma alla vista di quella ciocca di capelli, Magda provò un tuffo al cuore.
Rimase a fissare la scena dei due che reggevano la barella fin quando non furono entrati nell’albergo.
“Ehi, Magda, tutto a posto?” Beate la scosse per un braccio,
“Beate, ascolta… quando tornano Karl e Ted?”,
“Mah, non so… non prima di un paio d’ore, penso… ma non tarderanno per il pranzo, vedrai!”.
Ma un velo scuro aveva avvolto il cuore di Magda, quasi un presentimento.
“Scusate…” irruppe una voce alle loro spalle, facendole sobbalzare. Il cameriere di prima.
“Sì?” fece Magda, voltandosi, la voce che tremava,
“E’ lei la signora Schmidt?”,
“Che è successo?”, Magda era balzata in piedi,
“Ecco, sembra ci sia stato un incidente, signora…” il ragazzo era in evidente stato di disagio,
“Che incidente?”,
“Dovrebbe accomodarsi nel salone, signora…”.
Senza farselo ripetere, la ragazza lo superò, spintonandolo, ed entrò nel salone, seguita da Beate; vi trovò Karl, accovacciato accanto a quella stessa barella che aveva visto arrivare dalla terrazza.
L’uomo alzò gli occhi colmi di lacrime, mentre con una mano carezzava lentamente la ciocca di capelli biondi che fuoriusciva da sotto il telo che copriva la barella.
E fu allora che Magda capì.
“No!”, esclamò, “No! Non è possibile, no!!”.
Beate abbassò gli occhi, che le si andavano riempiendo di lacrime.
“Karl! Come è potuto succedere?” Magda si era precipitata addosso all’amico,
“Io… non lo so, davvero! Perdonami, Magda… è stato un incidente… la fune della cordata si è rotta… lui ha cercato di aggrapparsi ad una roccia, ma non c’è stato nulla da fare… è finito su di uno sperone sottostante, dopo avere sbattuto con forza contro la parete… si è spezzato il collo… hanno detto… mi dispiace, Magda, perdonami… mi dispiace tanto…!”,
“Ted! Ted, perché, amore?”, Magda si era accasciata sul corpo dell’amato, scoppiando poi in singhiozzi disperati.
Beate, dal canto suo, si era avvicinata allo sconsolato Karl.
E da quel momento, la vita di Magda era sprofondata in un abisso.

Da quel giorno erano trascorsi cinque anni. Dopo il loro ritorno a Berlino, lei era stata molto male, al punto da abbandonare il lavoro per un po’; tutti avevano cercato d’aiutarla: Beate e Karl, innanzitutto, soprattutto lui che si era sentito in parte responsabile per quanto accaduto; poi, anche Kurt, informato del drammatico evento al suo ritorno in Patria, e la famiglia di lei, amici e colleghi; e tutti si erano mostrati premurosi e gentili, pieni di attenzioni verso quella che, da  mesi, appariva come un’inferma di mente, Magda.
Aveva passato due anni in quello stato a metà strada tra l’incosciente e l’allucinato; aveva anche iniziato a bere, non frequentava più gli amici di sempre; poi, quel viaggio in Kenya; e, al suo ritorno, una nuova lei; e la decisione di buttarsi il passato alle spalle, almeno apparentemente.
Aveva ripreso a lavorare, a veder gli amici, aveva smesso di bere; ma guizzi di vita ed entusiasmo, non ne avrebbe avuti mai più: della sua vita, da quel momento in avanti, sarebbe stata semplicemente spettatrice, e mai più protagonista.
D’altronde, non avrebbe più potuto riuscirvi.

La donna spense la sigaretta e sospirò; si domandò ancora una volta perché avesse accettato di partire con gli altri; lo aveva fatto per loro, o per sé stessa?
Bé, però almeno in una cosa aveva fatto chiarezza: era stata lei a chiedere di cambiare la destinazione, e loro l’avevano accontentata. Sarebbero andati a Palma de Maiorca, in Spagna. Una vacanza di sole e di mare, quindi, di quelle fatte per non pensare a niente.
Decise che era l’ora di rientrare. A casa doveva ancora finire di preparare la valigia, e poi avrebbe telefonato alla famiglia per avvertirli della sua assenza, che sarebbe durata un paio di settimane solamente.

                                                     **********

L’aeroporto era gremito di gente, come in ogni giorno d’inizio estate che si rispetti; dappertutto, passeggeri con valigie grandi e piccole, guardie al lavoro, portabagagli.
In mezzo a tutto quello, stavano quattro persone, Karl, Beate, Magda e Kurt.
“Come mai tutto il mondo ha scelto di partire oggi?” si chiedeva Kurt, spiritoso come sempre,
“Faremmo meglio a metterci in fila, credo” Beate guardava pensierosa una fila di turisti Giapponesi che si avvicinava ad uno dei banchi del check-in,
“Proviamo in quel banco là” indicò Karl con la mano agli altri “sembra non esserci troppa ressa”,
“Giusto, andiamo!”gli fece eco la fidanzata.
I quattro si avviarono.
Vestita con un semplice completo, camicia bianca e pantaloni alla pescatora rossi, occhiali scuri sul viso, Magda li seguì, tirandosi dietro la propria valigia; non stava dimostrando un grande entusiasmo, lo doveva ammettere, eppure non riusciva proprio a far di più: quella mattina si era svegliata con un’oppressione indicibile, e nemmeno l’idea del bel luogo dove si stavano recando era riuscita a risollevarla.
“Animo, Magda: stiamo andando in vacanza!” Kurt le diede una leggera pacca sulla spalla; lei lo guardò, e gli sorrise.
Lui era sempre gentile con lei, non perdeva mai l’occasione di farle sentire la sua vicinanza ed il suo sostegno; forse era per questo che aveva deciso di andare con loro: per non deluderlo, per ringraziarlo di tutto quello che aveva fatto ed ancora avrebbe fatto per lei.

Erano tornati a casa dopo i funerali; nel soggiorno, sparsi sul pavimento, giacevano ancora alcuni fiori sfuggiti alle corone.
Nell’aria aleggiava quell’odore persistente e penetrante di fiori pietosamente appassiti, che da sempre è connesso con l’idea della morte, mentre i mobili disordinatamente sgombrati per far posto al feretro, ora inquadravano uno spazio tristemente e desolatamente vuoto.
Magda se ne stava appoggiata al muro, quasi volesse sorreggerlo con il proprio corpo, come se anche le pareti della sua stessa casa stessero patendo lo stesso dolore che aveva di colpo schiantato il suo cuore e la sua vita.
Indossava un abito nero, con sopra una giacca dello stesso colore; i capelli erano raccolti in un semplice chignon, a mostrare totalmente i lineamenti di un viso devastato dalle lacrime.
Giorni e giorni di lacrime.
“Vieni, Magda, siediti!” Kurt la prese per un braccio, conducendola verso una poltroncina che aveva spostato in mezzo a tutto quel manicomio “Hai bisogno di riposare, hai avuto troppe emozioni oggi”.
L’uomo l’aveva trascinata letteralmente, data la scarsa collaborazione che lei gli aveva offerto, praticamente priva di volontà com’era da giorni.
Aveva esaurito le sue lacrime e con esse anche le sue energie: erano defluite via come un lento fiume che l’abbandonava, fuggendo via dal suo corpo come fa il sangue da una ferita troppo profonda.
Kurt l’aiutò a sedersi, poi facendole una carezza sul viso inespressivo, le disse “Vuoi che ti  porti qualcosa da bere? Ne hai bisogno, sei così debole! O preferisci mangiare qualcosa?”.
Lei non gli aveva risposto, gli occhi persi nel vuoto.
“Magda… so che è difficile, ma bisogna andare avanti; la vita deve continuare… credi che lui sarebbe stato felice di vederti così?”.
Ancora nessuna risposta.
Kurt scosse la testa; la sorella gli si avvicinò.
“Kurt, lasciala stare per ora… vedrai che quando avrà fame, sarà lei stessa a chiederlo…”,
“Storie!” aveva esclamato lui sollevandosi (fino a quel momento era stato chino su Magda) “Non vedi com’è ridotta? Se non la spingiamo un po’, non mangerà  mai niente!”.
Scansandolo leggermente ma senza mai guardarlo in viso direttamente, Magda si alzò dalla poltroncina.
“Cara… dove vai?” le chiese Beate, cercando di prenderla per un braccio.
“Lasciate… lasciate che metta ordine di là…”,
“No! Tu sei provata e stanca! Resta qui, ci pensiamo noi! Giusto, Kurt?”,
“Esatto, proprio così. Tu devi pensare solo a rimetterti in forze, ora”.
Lei lo guardò e gli sorrise, gli occhi attraversati da quel leggero bagliore molle che è la riconoscenza nel dolore.
“Kurt… caro Kurt…”.
Lui l’accarezzò di nuovo “Devi farti forza, Magda. Noi siamo qui per aiutarti. E questa notte resteremo qui, assieme a te; e così anche domani, finché tu lo vorrai: non ti lasceremo da sola: mai!”.
A quel punto, la donna aveva abbassato lo sguardo e mormorato un “grazie”, con un tono di voce così basso, che solo chi era in grado di udire perfino i suoi pensieri avrebbe potuto sentirlo. Soltanto una persona.
Kurt.
I due si scambiarono un lungo sguardo; un istante eterno.
“Magda, scusa…” Beate ruppe l’incanto “ non riesco a trovare lo zucchero; mi sai dire dove lo hai messo?”,
“Certamente” fece lei alzandosi per accompagnarla in cucina “Vieni, ti faccio vedere!”.
Kurt aveva osservato le due donne sospirando: da troppo era innamorato di Magda, praticamente da sempre; ma tra tutti i momenti, quello attuale era il meno adatto per confessarglielo.
In cucina assieme all’amica, la giovane si era un po’ distratta dal suo dolore; aveva cominciato a mettere ordine negli scaffali, mostrando all’altra dove trovare ogni cosa: voleva sembrare forte, più di quanto non fosse in realtà; poi, proseguendo nel suo “ruolo”, si indirizzò in camera da letto, seguita da Beate, per proseguire le sue spiegazioni.
Ma, non appena entrata in quella stanza, il dolore aveva di nuovo avuto partita vinta su di lei.
Si avvicinò ad una sedia, sulla cui spalliera stava ancora abbandonata malamente una delle giacche di Ted; entrando, Magda non vi aveva fatto caso; ma d’improvviso, gli occhi le caddero su quell’indumento, neglettamente dimenticato; ed il dolore, impetuoso ed improvviso come la piena di un fiume, invase di nuovo il suo animo.
Scoppiò a piangere sulla spalla di Beate, dando libero sfogo a quel dolore che ancora premeva, imprigionato, nel suo cuore.
“Magda, tesoro…” sussurrò Beate all’amica che singhiozzava con la testa affondata nella sua spalla; le accarezzò lievemente i capelli.
In quel momento, arrivò anche Kurt.
Ed insieme abbracciarono Magda, in silenzio.
Perché il dolore, molte volte, non ha parole.

Si diede mentalmente della stupida per aver permesso ai ricordi dolorosi di prendere possesso della sua mente, un’altra volta; si passò una mano tra i capelli, sollevando la testa.
Vide che Karl le stava facendo cenno con la mano dalla fila di un banco  check-in; d’istinto, ricambiò quel gesto, e li raggiunse.

Chiedo scusa per l'immane ritardo con cui aggiorno, ma questo che sto passando è un periodo incasinatissimo; ad ogni modo, ecco il nuovo capitolo.
Devo aggiungere che questa storia mi è stata ispirata da un sogno, quanto meno nei capitoli centrali; ho quindi cercato di metterla su carta, ma non so se ci sono riuscita, e fino a che punto. Aspetto, quindi, i vostri commenti.
Kikkisan: bentornata fra i miei lettori! Spero di aver soddisfatto la tua curiosità con questo capitolo; almeno in parte, perché la situazione è assai più complessa. In quanto alla Germania, anche io la adoro, tant'è che all'Università scelsi il Tedesco come seconda lingua (a proposito, dovrei rispolverarlo un pò...) e l'ho visitata praticamente tutta.
Ninfea Blu: ti devo ringraziare come sempre, lo so che non manchi mai.
Nemmeno io, a dire la verità, amo le storie troppo sdolcinate, mi sembrano poco realistiche; ma come vedi, le mie non lo sono mai (non riuscirei nemmeno a scriverne). Kurt, in verità, ha ben poco a che spartire con l'attore Kurt Russell (che pure è bellissimo), per come l'ho pensato io, almeno: ha più il "viso d'angelo", e se lo volessi paragonare a qualcuno, mi viene in mente Ralph Fiennes di "Il Paziente Inglese".
Dolcissima77: Benvenuta tra i miei lettori, e grazie dei tuoi complimenti! Spero che la storia continui a piacerti. In quanto a Magda e Kurt... sorpresa!!
Un bacione grande a tutti, Tetide.
  
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