Fanfic su artisti musicali > Josh Groban
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Autore: EffieSamadhi    06/08/2010    1 recensioni
Ha ventinove anni, un bel sorriso e una personalità dirompente. Ha una voce che incanta, adora gli animali di peluche e ogni minuto della sua vita è pianificato dal suo manager. Ma Josh ha voglia di scoprire che cosa c'è oltre l'orizzonte, ha voglia di uscire dallo schema. Gli basta prendere un aereo, e tutto cambia. ***I personaggi di questa ff non mi appartengono (se Josh Groban mi appartenesse sarei qui? XD) e la storia non è scritta a scopo di lucro.***
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.

“Ho confermato la tua presenza nella tappa di Los Angeles del Bublé USA Tour, tanto ti troverai a passare da lì in quel periodo… mi stai ascoltando, Josh?”
“No, Brian. Ho smesso di darti ascolto un anno fa. Tanto mi farai comunque fare ciò che vuoi… e allora che senso ha protestare?”
Brian mi guarda con sospetto, quasi avesse paura di me. “Significa che non vuoi partecipare al concerto di Bublé?”
“Certo che no! Michael e io siamo amici, gli ho promesso la mia presenza a Los Angeles. E poi mi fa piacere andarci. È la mia città.”

Mi manca la mia città. Da circa tre mesi Brian mi ha confinato in un posto sperduto sulle montagne del Colorado, convinto che questo potrebbe aiutare la mia concentrazione.

La verità è che anche la vista di una montagna deserta riesce a distrarmi. Devo essere un caso patologico. Forse inizio a capire perché mia madre mi diceva sempre che ero un bambino/ragazzino/giovanotto impossibile.

La verità è che ho ventinove anni, ho tutto ciò che potrei desiderare e non so cosa voglio davvero.

Il cellulare del mio agente squilla e mi riscuote dai miei pensieri. “Avnet. Ok. Ok. Ok. Sì. Va bene. Ok. Glielo dirò. Ok.”

Riattacca e mi guarda.

“Che cosa devi dirmi, Brian?”
“Oh, niente di importante. Dunque, parlavamo del tour di Bublé…”

“Brian, mi costringerai a rubarti il cellulare.”

“Josh, non è così importante, credimi. Al momento conviene che ti concentri sugli impegni che…”

“Brian!”

“Ok, hai vinto.” Appoggia la penna sui propri appunti e mi guarda. “Sembra che i tuoi genitori stiano litigando e abbiano deciso di divorziare.”

Mi alzo di scatto. “E questo, secondo il tuo punto di vista, sarebbe ‘cose da niente’?”

“Josh, se non sbaglio hai detto che è già successo in passato. Non credo ci sia da preoccuparsi…”
Infilo le mie cose in valigia, alla rinfusa. “Brian, il fatto che abbiano divorziato e si siano risposati tre volte negli ultimi quindici anni non implica che la cosa non debba interessarmi. Ora, visto che sei tanto bravo con le parole, chiama l’aeroporto di Denver e prenotami un posto sul primo volo per Los Angeles.”

“Ok, anche se dubito che riusciremo a trovare due…”
“Ho detto un posto, Brian. Tu resti qui.”
“Ma…”
“I miei genitori sono i miei genitori. Non rientrano in nessuna strategia di mercato.”

 

***

 

Un’ora più tardi, mi imbarco sul volo che Brian è riuscito a trovare per me. Devo riconoscerlo, è uno stacanovista e a volte anche piuttosto stronzo, ma sa fare il suo lavoro. Dovrò ringraziarlo.

Non siamo ancora decollati, e già sento il bisogno di stiracchiarmi: non sono più abituato a volare nella classe economica, e credo di essere cresciuto dall’ultima volta che ho volato così. Sì, sono decisamente cresciuto: avevo tredici anni e i miei genitori stavano portando me e mia sorella a Disneyland. L’anno seguente divorziarono per la prima volta.

Guardo dal finestrino e seguo il profilo delle montagne innevate: in fondo, Denver non è male.

“Ehm… chiedo scusa.”

Mi volto, e davanti a me c’è una ragazza. Mi preparo a firmare il pezzo di carta che mi porgerà: qualcosa di lei mi dice che è una mia fan.

“Prego.”

“Quello sarebbe il mio posto.”

Osservo il mio biglietto, e scopro che ha ragione. Il mio posto è il 37 A, non il 37 W. “Oh, mi scusi. Devo essermi confuso. Sa, ho la tendenza a distrarmi…”

Mentre mi alzo per cederle il posto, inciampo. E mi ritrovo a cinque centimetri dal suo naso.

“Mi perdoni, non… non era mia intenzione.”

Arrossisce, mentre aspetta che io riprenda l’equilibrio. Si sistema lì dove fino a pochi secondi prima c’ero io, allaccia la cintura, prende un libro e lo apre in corrispondenza di un segnalibro. Non riesco a staccare gli occhi da lei.

“Che fa, non si siede?”

“Come?” Guardo il mio biglietto. Il 37 A è a sinistra del 37 W. Quindi io starò alla sua sinistra.

Decolliamo.

Io odio i decolli. Sembra sempre che l’aereo stia per disintegrarsi. Mi aggrappo saldamente al bracciolo, che soltanto un minuto più tardi scopro essere il braccio della ragazza. Non appena si spegne il segnale, mi slaccio la cintura. Lei, con calma, imita il mio movimento.

“Ha paura di volare?”
“Soltanto dei decolli.”

“La capisco. Io ho paura degli atterraggi.”

“Può aggrapparsi al mio braccio, se vuole.”

“Grazie.”

“Cosa sta leggendo?”

Persuasione.”

“Bello.”

“Lo ha letto?”
“Non esattamente. Ma ho visto il film. Non era male.”
“Beh, leggerlo è un po’ diverso” mi risponde, piccata.

“A dire il vero, lo avevo iniziato, un po’ di tempo fa. Ma poi si sono messe di mezzo altre cose, e…”
“Certo. Immagino non sia semplice essere un cantante di fama mondiale.”

Sorrido. “In effetti, no. Credo sia più semplice essere…” Lascio la frase in sospeso, e le faccio un cenno per farle capire che desidero finisca la frase.

“…arredatrice di interni. O almeno, ci provo. E sì, credo sia più semplice essere me che essere Josh Groban.”

“Ci sono momenti in cui vorrei essere una persona normale, con un lavoro normale… come lei, signorina…”
“Thomas. Grace Thomas.”

“Grace. Mi piace il suo nome. Mia nonna si chiamava così.”

Sorride, e dopo avermi stretto la mano torna al suo libro.

“Mi scusi, la sto distraendo dalla lettura. Non era mia intenzione.”
Chiude delicatamente il volume e liscia la copertina con una mano. “L’ho letto così tante volte da saperlo a memoria.” Alza lo sguardo su di me. “Invece viaggiare in classe economica con una celebrità non capita tutti i giorni.”

Ridacchio. “Di solito Brian, il mio manager, mi fa riservare dei posti in prima o in business. Ma sono dovuto partire in fretta… e poi, io mi so accontentare.”

“Spero non sia nulla di grave.”
“I miei genitori si sono messi in testa di divorziare.”
“Oh. Mi…”
“E’ la quarta volta in quindici anni. Di solito divorziano e si risposano nel giro di sei mesi. Non riescono a stare lontani.”

Abbassa lo sguardo sui propri jeans e giocherella con una cucitura. “Ai miei è andata peggio.”
“Divorziati anche loro?”

Annuisce. “Avevo dieci anni ed ero figlia unica. Non è stato un bel periodo. Adesso sono entrambi risposati. Con persone diverse” sottolinea, con un sorriso. “Ho quattro fratellastri: uno da parte di papà e tre da parte di mamma.”

Mi lascio scappare un fischio. “Dev’essere un bel casino.”
“Non saprei. Sono scappata di casa a diciassette anni e cerco di tornarci il meno possibile.”

Mi ritrovo a fissare il suo profilo, chiedendomi che cosa nascondano quei grandi occhi neri che prima ho avuto così vicini.

“Ma cambiamo discorso” sbotta, dopo qualche istante di silenzio. “Siamo arrivati al punto in cui devo dire che sono una sua grande fan, ho tutti i suoi dischi e sono stata a tutti i suoi concerti?”

“Non esageriamo” rido. “Mi accontento di sentirmi dire che non faccio schifo.”

 

***

 

Scendiamo dall’aereo ridendo e scherzando come due amici di lunga data, eppure ci siamo conosciuti poco più di due ore fa. Ritiriamo i nostri bagagli e ci avviamo all’uscita dell’aeroporto, dove arriva il momento di dividersi.

“E’ stato… è stato davvero un piacere conoscerla, signor Groban.”

“So di sembrare piuttosto stupido, visto che ci stiamo salutando, ma… ‘signor Groban’ mi fa sentire vecchio. Preferisco Josh.”
“E’ stato un piacere conoscerti, Josh.”
“Meglio. È stato un piacere conoscere anche... te, Grace.”

Sorride. “Approvo. Beh, allora… addio.”
“Arrivederci. Suona meglio.”

“Beh, in questo caso…” Si fruga le tasche del cappotto e mi porge un bigliettino. “Se conoscessi qualcuno che ha bisogno di un’arredatrice di interni…”

“Mia madre stava giusto pensando di riarredare il salotto” dico, e non è una battuta. “Di solito ogni volta che divorzia cambia l’arredamento di un’intera stanza. Le dirò di chiamarti.”

Sorride, le guance arrossate dal freddo, e si allontana trascinando il proprio trolley.

Rimango a guardarla mentre se ne va a passo spedito con le sue scarpe da ginnastica consumate, il cappotto dal taglio semplice e i capelli arruffati.

Amazing Grace, how sweet that sound… canticchio, dimenticandomi, per un attimo, dove sono e che cosa devo fare. Chissà se qualcuno le ha mai dedicato quella canzone.

   
 
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