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Autore: KikiWhiteFly    21/09/2010    2 recensioni
[Terza classificata al contest "Wicked and... lovely, incantevole e pericoloso" indetto da the forgotten dreamer e valutato da ro-chan] «Non chiamarmi principessa, ti prego.» Lo supplicò con lo sguardo. Shikamaru parve un per un momento sovrappensiero; solo un attimo dopo, accettò di buon grado quella richiesta. Ino sorrise, considerando che la vera felicità – tanto ricercata e altrettanto ambita – stava sulle labbra di Shikamaru. In quel momento, dimenticò di essere una principessa e cominciò a pensare di essere una persona. E come negare la felicità ad una persona? [Shikamaru/Ino]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Shikamaru/Ino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Fan fiction classificatasi terza al contest "Wicked and... lovely, incantevole e pericoloso", indetto da the forgotten dreamer e valutato, in seguito, da ro-chan.
Alcune note: questa storia inizialmente avrebbe dovuto partecipare al contest "E tutti vissero felici e contenti" di Mayumi_san poi, però, per carenza di partecipanti è stato
annullato. La storia doveva essere ispirata ad un classico Disney, io mi ispirai ad Aladdin. Però, visto che è stato annullato ho "utilizzato" l'idea per questo contest. Ecco perché, noterete,
la storia si collega a quella di Aladdin o, perlomeno, alcuni elementi.
In ogni caso, potete trovare i risultati qui. Saranno tre capitoli e l'epilogo, aggiornati quotidianamente :).
Ultissima cosa: il titolo della storia è ispirato ad una famosa canzone degli Aerosmith, che potete trovare qui.





Fly away from here












I Capitolo









Da un mese a quella parte, compiuti da poco gli agognati diciotto anni, suo padre aveva iniziato ad incalzarla con un discorso che non si era stupita troppo di udire.

Era stato in un ristoratore pomeriggio di aprile che aveva deciso di farle una certa ramanzina: “Un giorno, figlia mia, non ci sarò più...” .

Ino aveva tossito un paio di volte, poi aveva reagito istintivamente: “Padre, non credo sia il momento migliore per affrontare questi discorsi, né per conoscere pomposi e vanitosi rompiscatole”.

In un primo momento sembrava aver avuto la meglio.

Qualche giorno più tardi, all'imbrunire di un sole corallo, suo padre aveva insistito nuovamente ed Ino, a quel punto, era stata costretta ad accettare.

Così, contro la sua volontà, aveva preso parte ad assurdi festini e sciocche inaugurazioni che non avevano nulla in comune con i suoi doveri regali. Fu proprio ad una di quelle feste, in un luogo non ben precisato dell'Oriente, che aveva incontrato l'uomo della sua vita.



Il sol vedere quelle che si sarebbero potute definire sue colleghe, la irritava. In verità erano solamente uno stuolo di snob, che si accaparravano la ricchezza altrui. Obbiettivamente erano delle belle ragazze, avevano un viso delicato ed un portamento davvero fine ma all'interno erano vuote, superficiali, nient'altro che la copia ingiallita di quella che si sarebbe potuta definire una vera principessa. Questo era il motivo principale per il quale Ino non riusciva a colloquiare con loro, ad instaurare un rapporto quantomeno civile.

D'altro canto aveva notato più volte lo sguardo di suo padre cercare il suo: allora si implorava tra sé e sé di farsi forza, dopotutto ne valeva la sua vita in un certo senso.

Però, anche quei principi erano terribilmente irritanti; non riusciva nemmeno a parlare con loro, poiché puntavano immediatamente a discorsi tutt'altro che inerenti alla conversazione.

L'unica via di scampo era la fuga... E, infatti, fuggì.

Ino abbandonò il buffet, defilandosi tra la folla. Si gettò letteralmente fuori, respirando aria salubre. Si aggrappò con le mani alla lastra di marmo del balcone, dopodiché – quasi fosse stata comandata dall'istinto – si denudò di tutti gli ornamenti che adornavano il suo corpo.

Così, con le lacrime che le scendevano copiosamente sul viso, i capelli arruffati, il vestito sgualcito. Così, l'avrebbero mai amata?

«Prenderà freddo.»


Tutto d'un tratto, Ino tacque.

Voltò il capo indietro, incontrando un paio di occhi ossidiana nascosti nell'ombra: a giudicare da quella prospettiva, v'era un baldo cavaliere. Riuscì ad imprimere pochi tratti fondamentali nella sua mente, capì in quel momento che l'individuo non voleva rivelarsi.


«E' meglio per lei che non mi veda così», rispose Ino, dandogli volutamente le spalle, «Non sono un gran bello spettacolo.»


«Come vuole.»


Sentì un sospiro sonoro, dopodiché udì alcuni passi leggeri e cadenzati venire in sua direzione. Non seppe per quale motivo ma il cuore cominciò a tamburellare, le lacrime d'un tratto parvero solo un amaro ricordo e al loro posto sembrava essersi accesa una certa curiosità. Il principe le dava le spalle, nascosto dal tetro mantello della notte; ora respirava sul suo collo, inconsapevolmente sensuale.


«Chiuda gli occhi.»


Per qualche astruso motivo, si fidò; d'un tratto lasciò cadere le palpebre in uno stato d'estasi temporaneo, rilassandosi completamente.

Ad occhi chiusi la realtà le appariva in tutt'altra maniera: era pacifico silenzio, sovrumana quiete, libertà assoluta. Si sentì levitare in aria quando le dita dello sconosciuto s'intrecciarono alle sue, alzando di poco le sue braccia. Eppure, giurò di aver appena volato.


«Sentite.»


Non capì inizialmente, ma le bastò qualche secondo per afferrare il senso di quella parola: ora, sentiva la rapida folata di vento che lasciava volare liberamente i suoi capelli ed una foglia non troppo rumorosa che si era inaspettatamente posata sopra la sua gonna. Non sapeva spiegarne bene il motivo, ma sorrise.

Insieme a quell'uomo si sentiva leggera come l'aria, forte e indomabilmente orgogliosa, piena di energia vitale; ogni suo desiderio era esaudito se stringeva le sue mani, ogni tormento magicamente svanito se il suo respiro carezzava ancora una volta la sua pelle.


«E se li volessi riaprire?»


Domandò, tornando con gran fatica a quella violenta realtà.


«Potrà sempre chiuderli.»


Poi, poco a poco, la stretta venne meno e d'un tratto le sue dita lasciarono quel prezioso salvagente. Si sentiva già affannata, quando sentì due morbide labbra venir contro le sue con grande audacia. Non fece nemmeno in tempo a riaprire gli occhi che lo sconosciuto si era già defilato, lasciandole solo una sensazione agrodolce sulle labbra.

Ino si voltò indietro, ma non c'era nessuno; eppure, era sicura che quello che aveva vissuto pochi attimi prima fosse stato reale.

Raccolse le sue cose dando una vaga parvenza d'ordine ai suoi capelli, ormai malmessi. Rimise i gioielli al proprio posto, s'infilò i guanti di pizzo, sistemò il vestito e, nel farlo, s'accorse di quella foglia aguzza, rossa, dalle venature vagamente giallastre, che l'individuo qualche minuto prima le aveva menzionato.

Osservò qualche secondo la foglia poi la infilò all'interno della scollatura, custodendola come un segreto: forse sarebbe stata l'unica cosa che l'avrebbe convinta che quello non era stato un sogno, ogni qual volta se lo fosse domandato.





Entrando nella sala un vaghissimo odore di fragole s'insinuò prepotentemente nelle sue narici. Non era un frutto tipicamente orientale, anzi: dall'occidente arrivavano nuovi sapori ogni giorno, nuovi frutti da assaggiare, forse si stavano aprendo al nuovo mondo. Un cameriere le passò accanto, servendola gentilmente; Ino sorrise, prendendo un piattino di media proporzione. In quel momento le passò accanto suo padre, la stava ammonendo con lo sguardo.


«Mi auguro che qualcuno abbia attirato la tua attenzione.»


Disse, guardandosi intorno e distribuendo finti sorrisi.

Non poteva certo dirgli di aver conosciuto un volto senza nome, che adesso le stava facendo battere il cuore e che, molto probabilmente, non avrebbe più rivisto tale individuo. Suo padre le sarebbe scoppiato a ridere in faccia complimentandosi per l'ardita fantasia e, in seguito, l'avrebbe rimproverata.

Annuì in segno di resa ed il genitore parve capire perfettamente.


«E la spilla?»


«La spilla?»


Fin da piccola, aveva posseduto la suddetta spilla – precedentemente appartenuta a sua madre – una semplice farfalla d'argento con un rubino all'interno. Non era l'oggetto in sé ad essere prezioso, quanto il significato che vi era all'interno ed il fatto che generazioni prima di lei avevano custodito tale ornamento.

Perderlo significava cancellare parte della sua vita: all'interno della spilla non vi erano rubini ma ricordi.

Guardò da una parte all'altra, non vedendo alcun oggetto; poi gli occhi si appannarono quando prese seriamente in considerazione il fatto di averla perduta.

Non osò voltarsi dalla parte del genitore, era certa che l'avrebbe fulminata con lo sguardo. Lasciò cadere il piattino dalle mani, correndo a gran lena agli scalini di marmo della megalomane struttura.

Le scale a chiocciola sembravano interminabili, i suoi piedi però correvano senza troppi problemi – malgrado i tacchi vertiginosi – il suo cuore gridava e le sue labbra ruggivano come mai prima d'allora. Andava bene soffrire, se si trattava di se stessa, ma aver perso la sola cosa che le rimaneva di sua madre, il sol contatto con colei che le aveva dato vita, la faceva sentire una fallita. Se non era nemmeno capace di tenere un ricordo, come sarebbe stata capace di tenere in piedi una relazione, un vincolo d'amore?

Poi, quando finalmente le scale terminarono, un pensiero le balenò in testa: e se lo sconosciuto non fosse stato così galante, come lei pensava?

***

   
 
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