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Autore: Claa    25/09/2010    3 recensioni
L'amore molte volte rifiuta se stesso, perché ha bisogno di bruciare e riprender vita come fa la fenice leggendaria. E come la fenice è leggenda, similmente l'amore è spessissimo illusione d'animo. [Cit.]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3^ Capitolo


Sono le nove. La festa prosegue da una buona mezz’ora.  
Quella che sente è una conversazione ordinaria, una delle tante che Riza finge di ascoltare. In realtà sta pensando a Frerich, che è arrivato in orario, che non si è smentito. Ora è lì, a dialogare amabilmente con gente  mai vista, con una scioltezza degna di nota. Lei non può raggiungerlo. No, no, potrebbe, ma non sa se vuole. Da sopra la spalla di Mustang lo osserva, muta. Sente il proprio petto gonfiarsi sotto l’influsso di un disprezzo che non le appartiene. La brezza della sera le sfiora le guance e l’accarezza, nel misero tentativo di placare quell’impulso di rabbia inaspettato.
Roy sta ridendo. Ride forte, e a Riza è di nuovo chiaro il motivo della sua presenza. Riporta la sua attenzione in quel breve tratto di vita che appare limpido, e fresco. E’ lei ad essere fuori posto, malgrado sappia non ci sia luogo più adatto di quello. Fissa l’erba da poco annaffiata, poi le scarpe eleganti. Prova a muovere le dita con scarsi risultati, allora inclina i piedi verso l’esterno, prima uno e poi l’altro.
L’uomo al suo fianco non manca di girare il viso verso di lei, volendola rendere partecipe dell’ilarità che l’ha contagiato, ma, quando lo fa, quando la vede davvero, le labbra s’increspano e la mascella s’irrigidisce. Ha smesso di ridere. Riza solleva gli occhi scuri ed incontra i suoi. Sono tristi. Gli occhi di entrambi sono tristi – di una tristezza infinita –, e si fissano, con un’intensità sconcertante, scaraventando lontano il resto del mondo.  
Lui sembra sul punto di dire qualcosa.
“Vado in bagno”, Riza gli porge il bicchiere di champagne e si allontana.

La porta si chiude lentamente alle sue spalle, senza far rumore. Ci sono residui di fango, per terra, sulle mattonelle bianche. Davanti a lei un grande specchio. Poggia le mani sul lavandino che perde, ed è umido: forse qualcuno l’ha utilizzato di recente. Rimane con il capo basso perché non ha proprio la forza di guardarsi, adesso, consapevole di ciò che le sta accadendo. Cercava una crepa, ecco cosa, le sarebbe bastata anche la più modesta incrinatura e ci si sarebbe avventata sopra, come fanno gli avvoltoi con le carcasse degli animali. Aspettava un errore, anche il più piccolo, per poter giustificare i suoi, di sentimenti. Mi trascura, non rispetta gli impegni, è altrove, non c’è fiducia, mi tradisce. Brava, Riza, che ottime intenzioni avevi. Arrivare ad alterarsi, poi, e per cosa? Per un uomo puntuale?
La verità è che non hai scusanti. Prende un respiro profondo. Solleva lo sguardo ed incrocia le iridi marroni di una donna bionda, leggermente truccata, con dei pendenti azzurri alle orecchie nude ed un abito di seta del medesimo colore. “Chi sei, tu?”.
“Roy Mustang”.
Colta di sorpresa, spalanca le palpebre e le sbatte, ripetutamente, ma non si volta: vede il riflesso dell’uomo nello specchio. Tira un sospiro. “Questo lo so”.
“Ehi, sei tu che fai domande scontate”, scherza. Ha un’aria estremamente rilassata. Riza non sa spiegarsi come faccia. Dal vetro vede Roy scostarsi, entrare e accompagnare la porta, anche se non ce n’è bisogno. “Stia attento a non scivolare”.
“Lo stesso vale per te”.
Ma lei c’è già scivolata, dentro a quel buco nero. Non sa se dirlo. Lo dico? Non lo dico? Poi lo dice: “E solo che…”, è un attimo, la voce le trema, si spezza. “E’ così…”. Non continua. Sta per piangere, sì, riesce ad avvertire quel bruciore tipico che infiamma gli occhi pronti a sputare via lacrime ricolme di una sofferenza tenuta oltremodo segreta. La vista si appanna. Li chiude. Non può piangere, non può. Non lì, né da nessun’altra parte, non con lui.
Li riapre soltanto, non si spaventa, non si ritrae, quando le mani di Roy le corrono dai fianchi lungo la vita ed il ventre, fino ad arrivare a stringerla in un abbraccio caldo e autentico. Le forti braccia l’avvolgono e la cullano, dolcemente.
“Ti ho ripetuto mille volte di non-”.
“Lo so, lo so”, mormora in un sospiro e, nel farlo, abbassa il capo. Le bacia la spalla scoperta, proprio sulla bretella. Inspira il suo odore a fondo. L’abito le copre la schiena per proteggere i residui dell’esperienza che li ha uniti e calpestati, senza riguardi.
Riza respira lentamente. Vorrebbe restare così, per sempre. Le mani sono ancora sul bordo del lavandino. Vorrebbe spostarle su quelle di lui, accarezzarle, volgersi e baciarlo. Ma non lo fa. Non lo fa mai, e mai lo farà. Inspira però la forte fragranza emanata dal suo collo, la riconosce e gli spigoli delle labbra si incurvano in un sorriso nostalgico. Era una sera d’inverno, la città emanava luce da ogni angolo. I bambini correvano, giocavano lungo le vie. Musiche come Jingle bells risuonavano nei negozi e si riversavano nelle strade, accompagnate da persone, risate, dallo sbattere di buste di plastica e chiacchiere anonime. Era stata lei a consigliarlo quando erano andati assieme a fare compere; i doni di Natale le trasmettevano una tale gioia! Si erano ridotti all’ultimo, visti i numerosi impegni cui avevano dovuto far fronte, ma era stata un’esperienza piacevole e, per certi versi, esilarante. Vedere Roy provare cappelli da donna, reggiseni ed infilarsi mutande in testa non poteva lasciar indifferenti. Era particolarmente allegro, quei giorni. Lo era per lei, per essere in sua compagnia al di fuori del lavoro, eppure, dicendoglielo, aveva il terrore di spezzare quell’irreale e leggero senso di felicità che contornava i momenti passati l’uno accanto all’altra, distanti dagli obblighi, dalle difficoltà e dal passato. Loro due, e nient’altro. Con un futuro tutto da disegnare, ed abbellire, con colori vivaci, ghirlande e polverine dalle mille sfumature. No. Era solo una mera illusione, un miraggio creato dall’eccessivo calore sprigionato dal cuore. Sono il Comandante Supremo, aveva ripetuto, e non posso permettermi di raggirare le leggi dell’esercito a mio piacimento per, era seguito un ‘noi’, poi Riza aveva smesso di starlo a sentire, intercettando qualche altra parola sfuggente, come ‘etica’ e ‘valori’. Non c’era più un futuro simile, era morto anni addietro, non si sa bene quando, né come, ma era morto, definitivamente. In balia degli eventi, era stato sbattuto qua e là, fino a perdersi nei meandri del tempo e non poter fare ritorno.
“Torniamo dagli ospiti?”, dice Roy, strappandola dai suoi pensieri. Le sta toccando le spalle, le stringe. La donna espira, si guarda nello specchio. Guarda anche lui. Va tutto bene. Può farcela. Fa cenno di sì. Lui sembra sollevato; schiocca un bacio fugace sulla guancia destra della donna, lascia la presa, si allontana ed esce.
Va tutto bene. Prende un respiro profondo, pronta – o forse no – a seguirlo.

Succede che un giorno ci si sveglia e si pensa alle opportunità lasciate da parte, alle scelte non fatte, all’uomo che non si ha al proprio fianco. E scatta qualcosa, un ingranaggio arrugginito e rumoroso, che ti ricorda puntualmente della mattina in cui ti è venuto in mente, in cui hai peccato.
Quando è un altro ciò che si desidera ardentemente, e non il proprio, di uomo, quando lo si vorrebbe vicino, ad ogni ora e in ogni momento, costantemente, per esultare con lui delle vittorie e dispiacersi delle sconfitte, per poter ridere benevolmente della gente buffa e degli errori commessi, per potersi confrontare, litigare, amare, imparando a memoria i difetti reciproci, sorreggendosi a vicenda dopo una caduta, disinfettandosi le ferite e curando le piaghe e le ustioni dell’anima…  quando è questo, ciò che si vuole, allora è inutile mentire: non va più tutto bene.

Riza viene accolta da una folata di vento, fresca, rigenerante. Si ferma, i tacchi smettono di far rumore e si arrestano sull’asfalto. Mustang e Frerich sono ancora su lati opposti del cortile, a parlare.  
Lei posa gli occhi sull’uomo dai capelli scuri e lo osserva, finché non la nota ed i loro sguardi si intrecciano, si aggrovigliano, si uniscono. Sorride. Lui ricambia. Ed è tutto lì: la perfezione, in quell’unico istante.
Riza si volta verso Frerich e riprende a camminare nella sua direzione.

La consapevolezza che ci sarà, presto o tardi, un’altra mattina come quella, c’è, e si cerca di tenerla viva per non dimenticare cos’è che si prova quando una persona ti brucia dentro, letteralmente. Non si ha la possibilità di cacciarla, sfrattarla dal proprio interno, e quindi si tace, e si ignora. E’ così che funziona. E’ questo che si deve fare.
Però, alle volte, anche nel caldo inferno, basta un sorriso per stare davvero bene, se è il suo, di sorriso.

Ora sì, può farcela.


All I know is
I love you too much to walk away though.

  
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