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Autore: samskeyti    01/07/2011    9 recensioni
Soteriologico, verosimile e disperatissimo sogno nato dall'analisi del rapporto che lega Matthew e Dominic verso un solo destino: amarsi,
e farlo nel modo meno sereno e più silenzioso possibile, abnegando una vita normale in nome di un unico, risucchiante ed ineluttabile bisogno speciale.
Tra vergogna, sbagli e paura, l'infinita lotta di due uomini invincibili.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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•SPECIAL NEEDS•
 
"Questo amore,
così violento, così fragile, così tenero,
così disperato! Questo amore,
bello come il giorno,
e cattivo..." 
[Jacques Prevert]
 
 
 
 
 
 
Capitolo Ventesimo: Falling with grace, for you.
 
 
 
 
(2005)
Per ritrovare l'ispirazione artistica, a volte, è necessario ritrovare prima se stessi. Girando il mondo, incontrando numerose persone, conoscendo le cospicue sfaccettature in cui si 
suddivide la molteplicità del tutto, può capitare di smarrire la propria identità; ci si sente come troppo complessi per rimanere gli stessi di prima, e la necessità di una svolta giunge 
inaspettata quando indispensabile. Così, superata l'iniziale fase più confusionaria, in cui ovviamente anche ogni tipo di produzione artistica subisce una battuta d'arresto, si va in certa di 
una nuova forma, di un nuovo abito che ricopra la nostra personalità, per certi versi, mutata. Non c'è né luogo né tempo prestabilisto affinché la ricerca abbia termine. In effetti, essa 
protrebbe durare in eterno; ciò che conta è che venga portata avanti con dedizione, perché, durante l'inevitabile sperimentazione verso la scoperta dei "nuovi noi", l'occasione di una preziosa crescita intellettuale è servita su un piatto d'argento.
 
Imbattutosi esattamente nel periodo di vita sopradescritto, Matthew decise di rintracciare un posto isolato dal mondo, dove fosse possibile pensare e creare in libertà, per registrare se non 
tutto, almeno un buon terzo dell'album che intendeva pubblicare l'anno venturo. Grandi idee gli frullavano per la mente; voleva scrivere canzoni che enucleassero concetti a suo avviso 
fondamentali, come l'amore e le cospirazioni politiche, la guerra e le perversioni dell'animo umano, per esporli sostenuti da musica graffiante, artificiale e melodica allo stesso momento. I 
suoi progetti avevano bisogno d'infiniti cieli azzurri in cui adagiarsi e completarsi, campi verdi da cui attingere linfa, aria incontaminata tramite cui distendere il polmoni. Qualcosa di puro e 
profondo quanto i pensieri che la sua mente, impetuosamente, carezzava di continuo.
In un posto suo e di nessun altro sentiva che, sì, le fondamenta della sua anima sarebbero state forgiate a nuovo.
Per questo la scelta ricadde sullo Château.
 
Proporlo agli altri non fu una passeggiata; la prospettiva di una sessantina abbondante di giorni, perché si trattava minimo di luglio e agosto interi, trascorsi in campagna senza né telefoni, né internet, né svaghi da metropoli sembrava poco incoraggiante -ricordandosi anche di famiglia e mogli o fidanzate, poi, diventava quasi insopportabile.
Tuttavia, il front-man si mostrò convincente. Illustrò con metodo i risvolti positivi di una condotta come quella, quindi intederminato tempo per dedicarsi a composizione e registrazione di pezzi, 
indipendenza totale da orari o norme, spazi piacevoli in cui intrattenersi... era certo che sarebbe stato un autentico ristoro. Inoltre non negò a nessuno la possibilità di, magari durante il 
fine settimana, prendere un aereo per dove volesse; fu così che anche l'irremovibile padre di famiglia, Chris, acconsentì.
E il magnifico castello del diciassettesimo secolo, infestato a detta dei proprietari da leggente e fantasmi, non deluse le loro aspettative.
 
Quando arrivarono, s'impiegò più di una settimana per sistemare strumentazione ed oggetti personali. L'affitto, pur considerata l'ampiezza della resistenza, non era particolarmente costoso, quanto meno per le loro felici finanze. Ciascuno adibì la camera riservatagli nel modo più congeniale; gli spazi comuni vennero colmati di strumenti e derivati, oltre che di cianfrusaglie pescate qui e là per passare il tempo in caso di pioggia e mancanza d'ispirazione. Fu un trasloco fatto e finito, infatti solo al suo compimento cominciò la vera e propria "vacanza".
Presto s'accorsero che la caratteristica di maggior pregio era il clima. Essendo piena estate, ci si sarebbe aspettati afa e umidità, invece in quel prospero ritaglio di eden si respirava vento fresco e profumo di fiori. Tutti sono un po' meteoropatici, per questa ragione un'estate fresca e profumata rese i loro umori cristallini, allegri, sereni, non meno delle distese verdi e azzurre che li attorniavano.
Un lago agibile giaceva placido alle spalle del castello e divenne uso comune farci il bagno quotidianamente per tutti e tre, specialmente per Dominic, al quale per poco non spuntarono pinne e branchie.
Chris prediligeva la pesca, passatempo per altro scacciapensieri e donatore di cene squisite; Matthew trovò a neanche un km di distanza un maneggio disponibile al noleggio. E' scontato dire che lunghe cavalcate su e giù per i campi o attraverso radi boschetti divennero l'ordine del giorno per i tre ragazzi rifugiati in quel nido per uccelli selvatici? 
 
 
"cattivo come il tempo 
quando il tempo è cattivo, 
questo amore..."
 
 
La campagna era particolarmente amabile quando su di lei calava delicatamente la sera. 
I colori, solitamente molto vivaci, sembravano sbiadire ed assumere tinte pastello; il cielo, di giorno carico d'azzurro, si scuriva quieto, come assorto nell'ammirare la bellezza dei nascenti
astri. Il profumo delle frugali cene preparate dalla gente semplice che abitava nei dintorni prendeva il volo e, trasportato da una leggera e tiepida brezza estiva, faceva il giro dei campi.  L'occhio di un poeta avrebbe detto che sembrava ripristinata l'armonia persa durante lo svolgimento della giornata. Così, tra un cinguettio morente e un timido fruscio di spighe di grano, la luna s'affacciava luminosa ed inespressiva sul Sud della Francia, lasciando che la terra sempre più scura s'inabissasse verso una muta contemplazione della sua fredda bellezza.
In questo placido e rigoglioso microcosmo, un ragazzo biondo camminava spensierato tra i filari di una vigna. Le estremità della sua bianca e sottile camicetta svolazzavano indisciplinate; tradivano il sottostante petto abbronzato e naturalmente glabro. Il suo volto, incorniciato dagli ultimi raggi di sole che, filtrando attraverso i suoi capelli, s'impreziosivano d'oro, era diretto verso Nord, verso la bassa collinetta sopra cui s'innalzava la sua attuale residenza, chiamata Château Miraval; non c'era traccia, nella purezza degli occhi, di alcuna preoccupazione... affiorava solo una lieve venatura di profonda nostalgia, radicata fin nell'anima, insapore, incolore, anonima come l'apatia che sembravano trasmettere i suoi lenti passi sull'erba piegata dal vento.
Se non avesse avuto uno sguardo così sfuggente, si sarebbe detto in cerca di qualcuno -qualcuno il cui affetto gli scaldava le pupille d'amorosa preoccupazione.
 
Fermatosi improvvisamente davanti ad un grappolo maturo, allungò una mano in direzione dell'uva gonfia e presto pronta per essere raccolta. Carezzando un acino, lo raccolse facendo estrema attenzione a non disturbare i suoi gemelli. La buccia rossa dell'acino che Dominic prese tra il pollice e il medio si piegò gentilmente sotto i suoi polpastrelli. Gli occhi del giovane sorrisero davanti al semplice splendore racchiuso in quella sfera purpurea; il colore gli ricordava il vino, il cielo al tramonto e le rose. Gli ricordava anche la tinta che, nelle sere più fresche, prendevano le labbra screpolate di Matthew. Con meditata accortezza, ritrasse la mano dalle foglie del vigneto e, prima che potesse decidere se mangiare o lasciar lì l'acino strappato, un rumore lo disturbò. Bastò qualche secondo perché, alle sue spalle, una voce familiare, limpida come l'azzurro degli occhi della persona a cui entrambi appartenevano, lo chiamasse.
Dominic si voltò e, ritrovandosi faccia a faccia con il suo migliore amico, si rassenerò. Non era una novità che lo raggiungesse, durante le sue passeggiate serali per i campi -ma, non si può ometterlo, era sempre fonte di piacevole sorpresa la sua comparsa. Quella volta Matthew aveva un'aria decisamente pacifica, rilassata, disponibile. Il biondo notò che indossava una sua maglietta, però non pensò niente di male a riguardo; gli avrebbe prestato volentieri ogni vestito del suo armadio.
Quando Matthew indossava i vestiti di Dom, accadeva che fino al primo lavaggio essi conservavano l'odore della sua pelle e sarebbe come mentire affermare che Dominic non avesse mai provato un gusto estremo nell'annusarli, nel riempirsi le narici, il cuore e la mente di quell'odore che, in fondo all'anima sapeva, avrebbe cercato anche nell'ultimo dei suoi giorni. Era solo un bisogno speciale che non sentiva di negarsi; uno dei tanti.
 
«Hai qualcosa da dirmi?» domandò il ragazzo in bianco, facendo roteare piano l'acino d'uva tra le punta delle dita, come se si trattasse delle due estremità del suo asse di rotazione.
«Sì. La cena è pronta» rispose Matt, pensando che Chris era probabilmente già seduto a tavola con la faccia di chi è impaziente di cominciare.
L'acino precipitò e scomparve nell'erba alta. Matthew se ne accorse e si domandò il motivo per il quale l'amico avesse derubato un grappolo, per altro non di sua proprietà.
«Avete fatto presto, questa sera» commentò Dominic, pronto ad incamminarsi verso casa.
«Già, abbiamo fatto presto» ripeté meccanico il moro, muovendo i piedi in direzione della collina.
Dom, che in effetti aveva lo stomaco vuoto da parecchie ore e desiderava riempirlo, annuì e lo seguì in silenzio.
Non se lo erano mai detto, ma piaceva molto ad entrambi camminare al tramonto per i campi perché, mentre loro procedevano senza sprecare una parola, osservare di nascosto l'uno all'altro le loro ombre, vicine e simili, proiettate sul terreno era un po' come osservare l'essenza della loro amicizia; due spiriti affini ed evanescenti, prossimi al contatto ma mai veramente destinati ad esso.
Il sole, sanguinando solitario nel cielo violaceo, sembrò dare loro il suo addio, mentre con un ultimo raggio batteva caldo le loro schiene; era ormai prossimo a scivolare sotto la linea dell'orizzonte.
 
La cucina, rischiarata da qualche faretto sparso nell'ampio spazio di cui la stanza disponeva, odorava di carne arrosto e verdure cotte. Le grandi vetrate di cui era dotata lasciavano osservare, a chi volesse, il paesaggio bruno che la notte s'impegnava a scurire senza fretta. La campagna, docile di giorno quanto un agnello, assumeva i tratti di un lupo scabbioso, col calare delle tenebre.
Chris sedeva con la forchetta impugnata e il telefono vicino al bicchiere semi-pieno di vino; attendeva una chiamata da parte della moglie, oltre che l'arrivo dei suoi colleghi e migliori amici. Quando sentì il rumore della porta, prima aperta e poi chiusa, capì che la sua per-niente-dolce attesa fosse finita: sospirò sfinito e si augurò che i due non impiegassero molto a percorrere la scalinata che conduceva dal pianterreno alla cucina. Le risate che percepirono le sue orecchie lo tranquillizzarono; -saranno pure due ritardatari, ma se si stanno divertendo, posso passarci sopra.
«Ehi, buon uomo!» esclamò Dominic, entrando nella stanza permeata di profumo di cibo.
Il cosiddetto "buon uomo" sorrise di malavoglia e, allungando una mano, scostò la sedia affianco alla sua per invitare il compagno a sedersi.
«Forza fratelli, i miei 80kg reclamano quanto è dovuto loro per mantenersi tali.»
«80kg? Forse cinque anni fa, Chris!» sghignazzò Matthew, dopo aver preso posto a capotavola e aver ficcanasato tra le pietanze fumanti.
«Signorino "metto su pancia appena finiamo il tour", la prego di essere più sensibile nei confronti delle rotondità altrui» rispose Christopher, senza perdere la calma.
Dominic, da sempre poco incline alle chiacchiere, tralasciò il borbottio dei compagni e si concentrò su una bistecca arrosto. Gli piaceva il modo di cucinare di Chris, era sostanzioso e gradevole al palato -al contrario di quello di Matthew, notoriamente ipercalorico e nauseabondo. 
«E lo sarei, se qualcuno non si levasse 10kg solo per giustificare la sua ingordigia» ribatté il front-man, versandosi nel piatto una cascata di carote bollite.
Chris scosse la testa in segno di saturazione e infilzò un pezzo di vitello per poi farlo sparire nella bocca circondata da una barbetta incolta.
«Avete mai pensato che è una settimana che siamo chiusi qui dentro e abbiamo già concluso due canzoni senza litigare?» domandò Dom, masticando a bocca aperta.
Matt gli rispose con una smorfia e gli suggerì vivamente di chiudere quel buco dentato pieno di carne sminuzzata.
«Comunque sì, siamo stati bravi e ritengo che l'idea di Chris di partire per il week-end non nuoccia all'equilibrio della nostra amicizia» disse infine il moro, tentando di trovare un modo veloce per affrontare la piramide di carote gocciolanti d'olio che aveva davanti.
«Sono d'accordo! Almeno tu che puoi, esci di qui e vedi di scop-» prima che potesse finire di articolare la frase, Dominic si strozzò con un boccone di carne mal masticato e gli toccò piegarsi in due e tossire fuori ai polmoni quella roba. -Ben ti sta, infoiato che non sei altro, pensò Matthew, nascondendo il ghigno che fece capolino sulle sua labbra leggermente unte. -Poi sai bene che nulla ti proibisce di sfogare i tuoi bisogni su qualcuno che non siano le donne, in fin dei conti...
«Dom, mio caro, cosa ti fa pensare che uno dei primi pensieri che mi assillano sia quello di approfittare della mia bella mogliettina?» ridacchiò Chris, leggermente arrossito dopo un sorso di vino e l'immagine della sua Kelly pronta ad accoglierlo.
Dominic, passato il rischio di morte per soffocamento, fece spallucce con aria angelica.
«Niente, amico mio! Però tu sì che la sai lunga, mica come questi due fessi segregati in convento» disse, riprendendo a mangiare con ancora più foga.
«Dom, poche bugie: cosa ti frena dall'andartene pure tu a cercare qualcuno/a a cui donare il tuo cu-, perdono, il tuo cuore nel week-end? Io ho litigato con Gaia e me ne sto bene qui da solo come un cane, non mi mancheresti neanche un po'» borbottò Matt, infastidito per vedersi addossare la responsabilità di quella castità forzata che tanto sembrava pesare sullo spirito bollente dell'amico.
Dominic, capendo di aver urtato il precario equilibrio dell'umore di Matthew, pensò fosse meglio rimediare. Dopo aver deglutito, si tamponò le labbra col tovagliolo e, posando la forchetta nel piatto come chi è sazio, s'aggiustò il ciuffo di capelli calatogli sulla fronte; poi, facendosi vicino al cantante e rasentandogli la caviglia con un piede, gli rispose a bassa voce:
«Mi piaci quando fai il geloso, sai?»
Una pioggia acida avrebbe provocato meno danni della sfrontatezza del biondo. Chris, piombato in un universo che non avvertiva come suo, sentì sparire l'appetito; Matt, avvampando per l'imbarazzo, distolse lo sguardo per puntarlo in basso di lato, mentre un lieve rossore gli tingeva le gote; la piramide di carote, come risentendo della catastrofe incombente, si sbilanciò e si sfracellò sulle gambe del chitarrista. 
«Merda, Dominic!» strillò Matthew, alzandosi di scatto e sparpagliando ancora di più olio e verdura per il pavimento lucido della cucina. -Il tuo tocco è una scossa elettrica per me, cazzo.
«Che ho fatto?» si difese il batterista, un po' risentito per aver "osato" tanto.
«Disastri, sparite di qua ché l'unico che sa pulire questa quantità spropositata d'olio è il sottoscritto» concluse amaramente Chris, già diretto verso il cassetto delle spugne e dei detersivi.
-Quando, quando imparerai a non essere allergico al mio affetto, Matthew? si chiese Dom, guardandolo andare via con uno strofinaccio sulle gambe per impedire che l'olio gocciolasse in giro. In cuor suo il biondo sapeva esattamente come sarebbe andata: Matt si sarebbe fatto una doccia e poi avrebbe passato dalle tre alle cinque ore solo col suo pianoforte, facendosi infine trovare addormentato sulla tastiera, ma gli andava bene -da addormentato diventava incredibilmente più arrendevole, per questo lasciava che Dom lo trasportasse, tenendolo per la vita, fino alla camera da letto dove, il più delle volte, non voleva rimanere abbandonato ai suoi incubi...ma neanche permetteva che il suo migliore amico si spingesse più in là di qualche innocua carezza sul volto o poco più in basso.
Non si erano più incontrati in quel modo sin dal compleanno del cantante e una certa voglia, strisciante e sfregiante più che mai, cominciava a muoversi nelle profondità.
Ecco il vero motivo di tutta quella tensione.
 
 
"Questo amore,
così vero, questo amore così bello,
così felice, così gaio, così beffardo..."
 
       
 
«Fai buon viaggio» sussurrò Dominic nell'orecchio di Chris, abbracciandolo sulla porta del castello.
Il taxi che lo avrebbe condotto fino all'aeroporto era arrivato e per il bassista era ora di spiccare il volo verso casa. I suoi occhi color nocciola e lisci come una distesa di cioccolato diedero un veloce sguardo alla campagna nera, scurendosi inquieti; poi, per grazia celeste, le stelle sopra la loro testa li confortarono con la loro luce lattea.
«Grazie e tu prenditi cura di quell'anima indomita.»
«Certo. A lunedì!» esclamò Dom, sciogliendo la stretta.
Chris annuì e, non volendo far perdere la pazienza all'autista, si affrettò a raggiungere la macchina. L'ultima occhiata la rivolse all'amico e l'amico capì cosa significasse -qualcosa che fra donne si esplicita con la frase "ti voglio bene", ma che fra uomini rimane taciuto.
Dom, leggermente infreddolito da un alito di frescura notturna, rientrò; poi, assicuratosi che la porta fosse ben chiusa a chiave, decise che si sarebbe andato a fumare una sigaretta in camera sua. Una "sigaretta del pensiero", come usava chiamarla quando Matthew gli dava occasione di pensare -pensare a loro, sia chiaro, non a quanto bello sarebbe stato avere una moglie o dei figli, per esempio.
D'altronde, cosa v'importerebbe di una cosiddetta vita normale, quando potreste averne una da rock star con tanto di magnifico migliore amico (il più deficiente, geniale e paranoico del mondo) sempre pronto a farvi dannare l'animo? 
 
La mancanza d'inquinamento luminoso rendeva il cielo notturno limpido come le acque di un lago di montagna. Senza sbavi di bruma ad ostacolarne la lucentezza, miriadi incalcolabili di stelle brillavano perfettamente inserite con matematica precisione nel manto corvino della notte; aveva tutta l'aria di essere la tela di un pittore, quello spettacolo per la vista.
Dominic, sdraiato sul suo letto matrimoniale, con lo sguardo rivolto verso il soffitto bucato da una vetrata centrale, guardava imperterrito una stella straordinariamente rilucente inserita in una zona leggermente più scura. Solo il fumo della sua sigaretta confondeva ogni tanto la soave visione, interponendosi fra gli occhi semichiusi del ragazzo e la stella.
Con un'unghia grattava via la copertina di plastica del pacchetto vuoto di Lucky Strike; "il fumo uccide" c'era scritto, ma Dominic pensava che sarebbe stato più facile morire di pazzia che di cancro ai polmoni. -La pazzia, sì, quella che prende il sopravvento quanto ti ritrovi a guardare le stelle come se fossi un astronomo, mentre in realtà non ne capisci un cazzo e vorresti solo che quel cocciuto del tuo migliore amico la smettesse di strimpellare e venisse lì a fumare con te.
Un altro tiro, un'altra boccata di fumo nella stanza la cui aria si faceva sempre più pesante. Un'altra stella cadente da guardare spegnersi inerte, bruciando e sfumando in una breve scia biancastra.
Dom sentì i primi sintomi del sonno. Anche solo tenere gli occhi aperti e fissi su quell'infinità disorientante diventava uno sforzo troppo oneroso. Decise di alzarsi, darsi una rinfrescata e mettersi a dormire. -Questa volta ti lascerò dormire sulla tastiera, non ti meriti nessun aiuto.
Sarebbe bello riuscire a portare a termine i propri propositi, una volta nella vita. Quelli di Dominic evaporarono in fumo di sigaretta non appena uno scalpiccio veloce e goffo si fece udire; il suo corpo, rigido come un tronco, s'inchiodò al materasso. E così rimase solo da attendere.
Se non avesse tenuto gli occhi impressi nel cielo, avrebbe visto un'ombra accostarsi alla soglia. Infatti, sull'immagine del corridoio, illuminato da luce soffusa, si stagliò una sagoma nera, probabilmente intenzionata a farsi avanti. 
«Dormi?» bisbigliò la sagoma, spegnendo lentamente le lampade del corridoio, così che tutto sprofondasse nell'oscurità. Ora non era più visibile niente, niente all'infuori del corpo sdraiato di Dominic rischiarato dalla pallida luce proveniente dalla finestra.
«No e sì, Matthew, puoi entrare.»
Matthew non se lo fece ripetere due volte. Giustapponendo la porta allo stipite, quasi avesse paura che qualcuno entrasse con lui, mosse tre passi in direzione del matrimoniale.
«Prima...non è stata colpa tua. Cioè, ver-»
Dominic non lo lasciò finire. Lanciando la sigaretta verso un bicchiere sul comodino opposto a quello più vicino a lui, attese di fare canestro e poi alzò il palmo aperto, suggerendo all'amico di fermarsi.
«Non essere caparbio; credo che avere scazzi fra amici, a maggior ragione quando si sta a stretto contatto quasi 24h su 24, sia normale.»
Matthew, rilassando i nervi e ben felice di aver evitato di scusarsi, sentì l'indicatore dell'ostilità fra lui e Dominic calare, calare meravigliosamente.
«Sarebbe strano il contrario!» proruppe, visibilmente disteso. -Bravo Dom, è un ottimo modo per dare inizio a quella che vorrei essere una nostra serata dopo tanto tempo, così difficile da far passare...
Dom, mettendosi a sedere, si passò una mano sul volto; puzzava di fumo da far schifo. -Una doccia non guasterebbe. Guardò in direzione del bagno con aria desiderosa di andarci.
«Oh, se disturbo, io me ne posso andare a dormire» incalzò Matt, già pronto a girare sui tacchi.
«No, resta!» esclamò con voce troppo alta Dominic, tradendo così la sua immensa voglia di passare del tempo in sua compagnia. «Volevo dire, se ti va...» si corresse subito dopo.
Matt, particolarmente colpito, optò per adempiere la volontà dell'amico, rimanendo.
«D'accordo, allora tu magari vai in bagno a fare quello che devi fare, io ti aspetto...» e cercò con gli occhi un posto dove sedersi che non fosse il letto.
«Qui» ordinò il biondo, posando una mano sul materasso. I capelli gli fecero ombra sull'espressione del volto, in modo da celarla alla vista di Matthew. -Qui! risuonò nella mente di entrambi, stentoreo. 
«Qui» ripeté il pianista, avvicinandosi all'obiettivo con passo determinato.
In sincronia, l'uno si sedette l'altro s'alzò. Sembravano scottati dalla vicinanza dei loro corpi, talmente scottati da volersene disfare in gran furia.
Dominic si diresse in bagno e socchiuse la porta, augurandosi mentalmente che il suo compagno non si mettesse a curiosare per la sua stanza; non aveva segreti da nascondere, però non voleva che con le sue manacce creasse disordine. 
Matthew, rimasto solo, per prima cosa saltò in piedi e aprì uno spiraglio in modo da cambiare l'aria; l'atmosfera ne avrebbe solo giovato. Successivamente, si distese sulla sua porzione di letto e, debole al profumo che Dominic aveva lasciato sulle lenzuola, passò il tempo ad occhi chiusi, assorto in chissà quali pensieri. Subodorava leggerezza e calma, un confortante senso di sicurezza e protezione, e poi dal nulla ritrovava il suo posto nel cosmo -ovvero da nessun'altra parte che lì, affianco alla forma eterea che Dom aveva lasciato sul letto.
 
Quando il batterista spense la luce del bagno e ne uscì fresco e pulitissimo, si compiacque di non percepire più lo sgradevole puzzo di fumo. Allacciandosi l'elastico che gli teneva stretti alla vita i pantaloni della tuta con cui usava dormire, si appropinquò al letto. L'acqua tiepida aveva lavato via dal suo corpo tracce di stanchezza e agitazione dovute alla cena problematica; in lui rimaneva solo brama di dare a quella notte un taglio diverso dalle altre, piuttosto simile a quelle uniche due che in precedenza c'erano state.
Per sua sfortuna, però, trovò il front-man assopito. Girato su un fianco, con una mano sopra e l'altra sotto il cuscino, le gambe piegate, dormiva beato. A guardarlo, sembrava quasi un altro. Quasi felice.
-Matthew... si disse fra sé e sé l'uomo, sdraiandosi al fianco del bell'addormentato. 
Per un indecifrabile motivo voluto da chissà chi, si formava sempre un divario prima che loro riuscissero ad incontrarsi.
«Cosa?» scattò su il moro, per stimolo incondizionato, insospettendo Dom che gli avesse letto nel pensiero.
«Niente, niente, dormi, Mattie» ebbe la premura di dire subito Dom, abbassando con una mano il corpo irrigidito di Matt.
«Ho trovato il titolo a quella canzone, Dom, l'ho trovato, io l'ho trovato, Dom» farfugliò confuso il sonnambulo, riadagiandosi sul cuscino ancora in preda a strani discorsi.
«Buono, buono» sussurrò Dominic, carezzandogli una guancia per calmarlo.
«Già, sì, sto buono, Dom, Starlight, con te però, Dom, io, Dom, Dom...» finì di borbottare il ragazzo, sedato dalle carezze dell'amico.
-Quanto caos in questa tua mente brillante, Matt... constatò il biondo, non appena riuscì a placare del tutto l'ansia pulsante sotto le palpebre corrucciate dell'amico.
Si concesse ancora qualche secondo per accarezzare quella testa matta, con la mano affondata nei capelli ruvidi, e poi, smorfia ad imbruttire il volto, si girò bruscamente dal lato opposto. Così facendo non avrebbe visto il corpo di Matthew neanche per sbaglio e magari la fastidiosa pulsione di farglisi più vicino si sarebbe spenta. Con un po' di coraggio, sarebbe riuscito a dormire. -E non privarmi anche del sonno, pensò prima di crollare, stringendosi con una mano il pettorale sinistro.       
 
 
 
"Tremante di paura come un bambino al buio
e così sicuro di sé,
come un uomo tranquillo nel cuore della notte..."
 
 
 
La mattina seguente, il primo a svegliarsi fu Matthew. Sorpreso da se stesso per essersi addormentato con tanta facilità e successivamente non essersi imbattuto nei soliti incubi, lanciò un'occhiata di ricognizione alla stanza in cui si trovava; quella di Dominic e quest'ultimo era proprio lì al suo fianco ancora con gli occhi chiusi e lo sguardo sognante. I suoi occhi azzurri seguirono le curve del corpo di Dominic per poi alzarsi verso la finestra, ancora socchiusa, dietro la quale l'alba sembrava esplodere di luce. Feriti dal repentino aumento di luminosità, si spostarono in fretta dalla vetrata. Non aveva nessuna intenzione di preparare la colazione; quel compito spettava al batterista e Matt, anche se fosse stato in punto di morte per denutrizione, non avrebbe mosso il suo posteriore dal materasso.
Rimessosi in posizione supina, si rovesciò dal lato dell'amico e con un ginocchio gli fece pressione sul fondo schiena. 
«Sveglia, ho fame!» disse, senza ottenere alcun risultato. «Dom?» 
Spinto dal dolore che lo stomaco vuoto dalla sera prima gli causava, passò a maniere più persuasive. Agganciandosi con una mano al fianco morbido dell'amico, si tirò avanti, finendo col far aderire completamente il lato anteriore del suo corpo a quello posteriore di Dominic. Proprio come un cucciolo di koala, gli passò le braccia attorno al collo e si mise a mordere il lobo dell'orecchio che sfortunatamente si trovò davanti alla sua bocca. 
«Ah!» gridò Dom, infastidito dalla fitta di male che la carne del suo orecchio sinistro trasmise al suo cervello. 
Cercò di proteggersi con una mano, ma i denti famelici del chitarrista si attaccarono a quella, mentre dalla gola del cannibale provenivano versi animaleschi.
«Matt, che cazzo ti ho fatto per subirmi questa tortura?» lo supplicò il batterista, cominciando a dimenarsi con più forza per farlo smettere.
«Se mi vai subito a preparare la colazione, ti lascio andare» minacciò il cantante, stretto ancora al corpo dell'amico come un polipo ad una roccia.
«Agli ordini, agli ordini!» obbedì Dom, felice di sentire la morsa indebolirsi. 
Messosi a sedere, in un batter d'occhio fu in piedi. Impiegò qualche secondo per ritrovare il senso dello spazio e del tempo, poi si girò in direzione di Matt, ancora chiaramente spaparanzato sul letto stropicciato. Lo guardò con occhi neri di rabbia e infine, indicando il cavallo della sua tuta, esclamò:
«Ottimo lavoro!»
Matt ridacchiò soddisfatto e lasciò che il povero eccitato inutilmente corresse a sbrigare il suo dovere. Appena rimase solo, si accorse che anche i suoi jeans mostravano una certa anomalia. Sbuffò e, apparentemente più affamato di prima, si voltò con l'addome verso il materasso, addentando per il nervoso un lembo del lenzuolo; -masochismo, questo si chiama purissimo masochismo!
 
In cucina, Dominic frullava frutta e latte come se stesse frullando la marea di odiose sensazioni che quel risveglio aveva destato in lui. Ci avrebbe messo la testa, in quella centrifuga; anzi, avrebbe messo quella di Matthew nella speranza che magari, una volta aperta, si sarebbe scoperto il diavolo che conteneva. -Be', è un'ingiustizia. Io ti trovo addormentato e mi tengo le mie idee malsane per me; tu mi trovi addormentato e, ma sì, dài libero sfogo alla fantasia. Capisci che non c'è simmetria, in tutto questo?
Il suo interlocutore, al momento un bicchiere nel quale versava il frullato, si avvalse del diritto di rimanere in silenzio. -Lo vedi? E' sempre così che va a finire. Stiamo buoni per un tot e poi bam!, per una balla o per l'altra cadiamo nel solito circolo vizioso. Pescando dal contenitore una decina di biscotti ai cereali, riempì con quelli un piatto e poi mise il tutto su un vassoio. -Tu sei uno stronzo, un animaletto lussurioso che però, bello mio, oh, perché bello lo sei... e per un attimo il flusso di pensieri illogici e decisamente irrazionali si arrestò, dando modo allo sguardo del biondo di vagare nel nulla, -che però non sa quanto io possa essere migliore di te in tutto. Afferrando il vassoio per due lati opposti, sentì balenare nella mente una serie di possibili vendette. -Profondamente addolorato, ma adesso ti supero in astuzia ed egoismo: vuoi mangiare? Bene, tutto il cibo che vuoi, ma guardò perfido il cibo sul vassoio, che, pur essendone inconsapevole, costituiva la chiave di volta della sua vendetta, dovrai contraccambiare in natura! Ridacchiando, acciuffò un grembiule e salì le scale a due a due. 
 
«Ce ne hai messo di tempo!» esordì Matt, assunte ormai le sembianze di un maiale a dieta, mettendosi seduto pronto ad ingurgitare qualsiasi cosa l'amico gli avesse portato.
Quando però Dominic ricomparve nella stanza, capì che di mangiare non se ne sarebbe parlato o forse, forse dopo... e si vide lanciare in piena faccia qualcosa che gli tinse la vista di rosa.
 
 
 
 
Chris accese il computer che teneva nella sala. Kelly gli aveva appena preparato la più squisita delle colazioni di bentornato e ora, mentre lei faceva il bagnetto ai piccoli, gli aveva dato il permesso di perdere un po' di tempo dietro il pc; nel pomeriggio avevano in programma un picnic nel parco, perciò doveva sbrigarsi per poi andare a preparare qualche sandwich.   
Ascoltando distrattamente i gridolini felici dei suoi cuccioli, caricò la pagina del suo blog e vide un aggiornamento da parte dell'utente "Jessica". Incuriosito, cliccò sul suo nome e si trovò davanti agli occhi un pezzo scritto dalla ragazza in cui, in modo confuso e frettoloso, si cercava di comunicare quanto la follia di una sera potesse influenzare un'intera esistenza, scombussolandola.
"Sarebbe bello poter trascorrere una serata piacevole in compagnia di un vecchio amante senza poi doversene pentire a poco più che un mese di distanza.
Ma è stato un errore, una mia imprudenza dettata dalla troppa passione che quell'uomo risvegliava e risveglia tutt'oggi nel mio corpo vittima delle tentazioni...
porrò rimedio, vincerò la paura e forse crescerò, sì, crescerò anche io eterna ragazzina; quello che mi tormenta non sono le mie reazioni, ma le tue. Dove sei, adesso?"
Chris, leggendo queste ultime due righe si sentì ancora più incuriosito; terminò la lettura finché, alla fine, si diceva che sarebbe andata a chieder consiglio all'amica più saggia che possedeva, ovvero la psicologa del lago di Como. L'intervento che seguiva era infatti firmato da quest'ultima, la quale si dichiarava disponibile ad accogliere ed aiutare una vecchia amica, "di qualsiasi cosa si trattasse".
«Kelly, mi sa che è successo un casino!» urlò in direzione della moglie, con mano ancora tremante sul mouse. Gli serviva una pipa, oltre che la sua donna!
 
 
 
 
Appena il materasso smise di muoversi, scosso da spinte burbere e ripetitive, il grembiule cadde per terra senza fare rumore, così come la pioggia che cominciava a precipitare dal cielo. Stoffa rosa e bianca distesa sul marmo freddo, gocce fresche e storte asperse sulla terra arsa. Poi, un sussurro.
«Lo senti?»
«Cosa?»
«Lo stillicidio della pioggia.»
Abbracciandolo forte sul suo petto, respirò a pieni polmoni. -Sì, Matt, sento lo stillicidio della pioggia. Ma voglio fartelo sentire più forte e sentirlo di più, sulla tua pelle...
Premendo un tasto affianco alla testiera del letto, si azionò il meccanismo che apriva la finestra sopra il letto. Matthew guardò il cielo entrare nella stanza e si strinse di più al corpo del compagno.
La pioggia fluì sui loro corpi, bagnando presto sia loro e che le lenzuola scomposte. 
Ad occhi chiusi, immaginarono che fossero lacrime di creature siderali dispiaciute per la tristezza capitata agli umani -di essere così carnali ed imperfetti, s'intende.
Infine aspettarono sorretti dalla speranza che forse, tra le alte nuvole, si sarebbe spiegato un arcobaleno.
 
 
 
 
"Questo amore che impauriva gli altri,
che li faceva parlare,
che li faceva impallidire..."
 
 
 
Non pensava di fare una cosa giusta; alla fine non erano fatti suoi e a lui mai era importato. Tuttavia... tuttavia sentiva che un favore ai suoi migliori amici fosse una cosa moralmente corretta, se portata avanti appunto con questa nobile intenzione. O almeno così gli aveva ripetuto Kelly, pochi attimi prima, lasciandogli in mano un telefono e in cuore tanta voglia di indagare fino a fondo.
Scorrendo la rubrica, il numero di GP gli comparì davanti agli occhi sotto le vesti di un crudele tentatore; era lì solo per pregarlo di comporlo sulla tastiera. I tasti, premuti uno per volta e a lungo, quasi per scaricare nella loro molle gomma l'intera ansia che solleticava i polpastrelli dell'uomo che s'accingeva ad eseguire la telefonata, si piegavano dolcemente sotto l'urgenza.
«Pronto, Gaia?» chiese sottovoce Chris, temendo che i suoi bambini, attorno a lui nel salotto, potessero capire qualcosa.
«Sì? Ciao Chris, scusa, ma al momento so-»
«Se riguarda Dom, ti prego di rivelarmelo...» l'anticipò lui, quasi tenendo gli occhi chiusi per sperare di ricevere una risposta negativa.
«Come, come lo hai scoperto? Ah, il blog?» s'informò lei, con la solita voce disinteressata e moderata.
«Esatto. Non che mi voglia addossare i problemi altrui, però se riguarda Dom, io, capisci, devo...»
«Non c'è problema, Chris. Jessica ha appena deciso di dichiarare le cose come stanno al diretto interessato, perciò non vedo impedimento. E' incinta. Di Dom, a quanto pare.»
Chris dovette sorreggere la testa con l'ausilio di una mano. -Bravo coglione. Hai sempre sbagliato a scegliere giocattolo e ora, se lei è realmente incinta, sai che coi bambini non si può giocare?
«Cosa intendete fare?» domandò ormai in un sussurro.
«Dirlo a Dom. Magari fuori a cena, chi lo sa, questo è ancora da pianificare.»
«D'accordo. Posso...»
«No, è una cosa tra Jess e Dom, noialtri dobbiamo starne fuori. Ci siamo già immischiati abbastanza.»
«Buona fortuna. Torno da Kelly.»
«Salutamela!»
Quando Kelly però si sedette sul divano dov'era seduto il marito, da lui non ricevette i saluti di Gaia, ma un abbraccioUn abbraccio che stava solo a significare qualcosa come dimmi che tutto andrà bene.E non per caricare di drammaticità la realtà più di quanto già non fosse, tuttavia Chris sentiva che l'arrivo di un bambino, nella vita attuale di Dom, in quel marasma di vita, diciamocelo pure, sarebbe stato simile alla caduta di una goccia di rugiada nel deserto: dopo un breve momento di gioia, si sarebbe dissolta in niente, lasciando ancora più sete ed aridità che prima del suo arrivo.
Il parossismo dell'incerta disperazione del bassista si verificò quando immaginò il contraccolpo che un tale avvenimento, se si fosse realmente realizzato, avrebbe scaricato su Matthew.
«Amore, i test di gravidanza sbagliano ogni tanto, vero?» chiese con voce fioca alla moglie.
 
 
 
 
I cavalli, gioiosi per essere usciti dalle scuderie e trovarsi, finalmente, all'aria aperta, scalpitarono sul selciato. Erano due bellissimi esemplari appartenenti alla razza anglo-araba francese e l'unico desiderio che i loro muscoli supplicavano di ottenere era quello di una scorrazzata per i campi, con tanto di sosta in qualche zona ombrosa, se possibile. Dominic montò sul proprio e strinse in un pugno le redini di pelle; si raddrizzò il cappello western bianco che teneva sul capo e alzò lo sguardo fiero verso il cielo. Notò che la tempesta aveva pulito il cielo dalle pecche delle nuvole e il turchese del primo pomeriggio scintillava come un diamantino lucidato. Il vento che spirava da Nord-Est gli scompigliò la frangia bionda e gli portò alle narici un profumo affabile. 
«Matthew, che meraviglia!» commentò, appena fu fiancheggiato dal compagno anch'egli su un cavallo.
«Puoi dirlo forte! Anzi, voglio che tu lo urli!» gridò Matt, lanciato al galoppo giù per una discesa erbosa. 
«Che meraviglia!» urlò allora Dom, permettendo al suo cavallo di sfogarsi alla rincorsa dell'amico. 
A tutta velocità, cavalli e cavalieri si scagliarono contro il vento contrario, giù per campi verdi e verso orizzonti celesti; mancava il fiato per l'emozione, ma per godersi appieno quello spettacolo bastavano gli occhi. I cappelli western, quello bianco di Dominic e quello nero di Matthew, scivolarono giù dalle loro teste e rimasero appesi ai loro colli grazie ai laccetti a cui erano legati, svolazzando sulle loro schiene. In quel frangente, sembrò che niente più di quella semplicità fatta di natura e amicizia servisse per essere felici. Forse con due ali sulla schiena sarebbe stato davvero perfetto.
Attraversarono un immenso campo di girasoli simile ad un mare di petali gialli; guadarono un fiumiciattolo rinsecchito per la canicola estiva, attenti a non far inciampare gli zoccoli dei cavalli fra i massi umidi e coperti di muschio; superarono qualche territorio lasciato a maggese e per tutto il tragitto non si scambiarono una parola, lasciando che gli unici rumori ad arrivare alle loro orecchie fossero quello del cinguettio degli uccelli e dello stormire della brezza tra colline e pianura.
 
«Ci vorrebbe una chitarra» sospirò Matthew, testa appoggiata sulle cosce del suo migliore amico.
Sostavano sotto l'ombra proiettata dalla chioma di albero, mentre i cavalli brucavano pacifici, liberi dai finimenti almeno per un po'. Dominic li osservava con una sigaretta in bocca e il cappello calato sugli occhi; aveva la schiena appoggiata al tronco dell'albero e se con una mano giocherellava con i capelli di Matt, con l'altra strappava qui e là fili d'erba.
«Mi suoneresti qualcosa?» domandò, attento a non far cadere la sigaretta dalle labbra strette.
«Suonerei qualcosa per questo paradiso terrestre.»
«Che non sarebbe lo stesso, se qui non ci fossi anch'io» lo stuzzicò Dom, tirandogli una ciocca alla nuca. 
«Hai ragione, in quel caso non puzzerebbe di fumo» ribatté Matt, colpendogli con un piccolo schiaffo la tibia.
«La gente che ti crede romantico quando ascolta le tue canzoni dovrebbe conoscerti di persona» e soffiò del fumo sul naso arricciato del cantante.
«Bleah!» si schifò Matt, stufo di subire quella tortura. 
Con un gesto veloce strappò la sigaretta dalle labbra di Dom e la lanciò lontana nel prato di fronte a loro, cercando di evitare la zona dove pascolavano i cavalli.
«Uff» sbuffò Dom, accasciandosi di lato sull'erba che l'accolse fresca.
Matt, ritrovatosi senza cuscino, tirò un pugno a caso sul corpo del suo migliore amico, colpendone la rotula.
«Vuoi fare a botte?» scherzò Dom, incitandolo con un calcetto in piena pancia.
«Come osi, smidollato! Io t'ammazzo.»
E i cavalli dovettero spostarsi perché, dove loro mangiavano quieti la loro porzione d'erba, rotolarono due bambini di sei anni stretti l'uno all'altro per suonarsele di santa ragione. 
Un po' di sana lotta fra maschi non nuoce mai, eludendo labbri rotti od occhi pesti.
 
 
 
 
"Questo amore spiato perché noi lo spiavamo,
perseguitato, ferito, calpestato, ucciso, negato, dimenticato
perché noi l'abbiamo perseguitato, ferito, calpestato, ucciso, negato, dimenticato..."
 
 
 
 
Jessica maledì il giorno in cui aveva incontrato quel malandrino di un inglese per l'ennesima volta. Aveva provato a chiamarlo al cellulare e a casa, a mandargli un'email o a scrivergli in chat, ma nessuno di questi tentativi era andato a buon fine. Sembrava sparito dalla faccia della terra; le ultime tracce che aveva lasciato di sé sul web risalivano a più di una settimana prima, e, lei, di prendere un aereo Milano-Londra (supposto che si trovasse a Londra), non ne aveva proprio la voglia, oltre che l'umore e la forza fisica. Ora che si era decisa a compiere il gran passo, il mondo intero l'ostacolava, impedendo la comunicazione con il forse padre del bambino che in un caso molto sfortunato le si stava formando nella pancia... non riusciva ad immaginare niente di peggiore.
Svigorita, chiamò Gaia che si trovava nella stanza adiacente per prepararle un tè. Desiderava solo che quel biondo traditore le comparisse davanti e si assumesse le sue responsabilità.
«Gaia, non riesco a rintracciarlo... cosa devo fare?» domandò all'amica, lasciandosi cadere sul sofà.
«Tesoro, e io cosa ne so! Potrei chiedere a Chris un aiuto, ma già non mi è piaciuto che venisse a scoprirlo attraverso un blog, non mi pare il caso di perseverare. Quante volte ti ho detto di non scrivere i fatti personali su internet!» la rimproverò, scuotendo la testa con aria rassegnata.
«Lo so, è che io lo uso come un diario segreto. Fatto sta che sgridarmi non aiuta, dobbiamo andare dal ginecologo per la prova del nove, e poi voglio avere tra le mani quel...quel puttaniere!» strillò, facendo a pugni con il vuoto.
Gaia intervenne prendendole le mani furiose e appoggiandogliele in grembo, con dolcezza. Si sedette affianco a lei sul divano e rifletté su quale potesse essere la mossa più intelligente. -Dobbiamo scoprire almeno dove si trovano e, escludendo la possibilità di ingaggiare un investigatore privato, l'unica via rimane rivolgersi a Chris.
«Chiamo Chris, ma tu pazienta mia cara, c'è sempre una soluzione.»
Neanche cinque minuti dopo, fu di ritorno con una tazzina di tè in una mano e il telefono nell'altra.
 
 
Quando il cellulare del bassista suonò, lui stava insegnando al più grande dei figli a giocare a calcio. Aveva costruito una piccola porta, fra due tronchi d'albero, e gli mostrava come centrarla, come ingannare il portiere affinché il goal fosse assicurato. Kelly, distesa invece su una tovaglia aperta per terra con la figlioletta e il minore dei tre, muoveva delle bambole inscenando un simpatico teatrino; appena udì la suoneria del marito squillare dentro lo zainetto dei panini, raccolse il cellulare e lo porse all'uomo, venutoselo a prendere. -Speriamo che non sia per lavoro.
«Sì?»
«Chris, perdonami, sono ancora io, Gaia. Occorre che tu mi dica dove si trovano quei due.»
Christopher, rimasto un attimo zitto per realizzare la gravità della situazione, rispose con voce avvilita, scurendosi in volto.
«Non posso dirti dove si trovano, perché non c'è modo di avvisarli del vostro arrivo e io non voglio che piombate lì dal nulla» e calciò la palla lontana, senz'accorgersi del fatto che suo figlio pensò facesse parte del gioco e si gettò all'inseguimento di questa.
Gaia, dall'altra parte del telefono, tamburellò nervosa con le unghie sul tavolino di vetro che si trovava davanti alle sue ginocchia e pensò a qualcosa per convincere l'uomo: psicologia inversa.
«D'accordo, non darmelo, non darmelo mica! Ma mettiamola così: se andiamo dal ginecologo e accertiamo la gravidanza, ci lascerai andare ad avvisarli o dobbiamo lasciare che si trastullino allegramente all'oscuro di come gira il mondo fuori dal loro universo di musica e divertimento?»
«Ferma! Io credo che dal ginecologo debba venire anche il padre di un bambino...ehi, giovanotto, torna qui!» gridò in direzione del figlio scomparso dietro una linea di cespugli.
«Bravissimo, ti sei risposto da solo. Dimmi dove sono e noi faremo in modo di non arrivare lì alle due di notte, così evitiamo di rovinare loro una qualche seratina speciale.»
Chris guardò la moglie con sguardo teso; lei scosse la testa, come per chiedergli di cosa avesse bisogno, e poi gli bisbigliò di andare a recuperare il bambino. Lui fece finta di niente e, prendendo la prima decisione che gli passasse per la testa, ovvero preferire suo figlio ai guai dei suoi amici, proseguì:
«Château Miraval.»
 
 
 
"Questo amore tutto intero,
ancora così vivo e tutto soleggiato,
è mio, è tuo, è stato quel che è stato..."
 
 
 
Correndo a stento verso il maneggio, coi cavalli spaventati e riottosi, Matthew gridò aiuto al padrone della scuderia che s'accingeva ad abbeverare il suo purosangue.
L'uomo, dal volto scarno e bruciato dal sole, legò il puledro al primo palo che trovò e si precipitò verso i due in difficoltà. Cosa ci faceva uno dei suoi clienti col volto pieno di sangue? Che i cavalli avessero dato di matto, disarcionandolo?
«Signori, cos'è successo?» domandò, prendendo in mano la situazione. Calmò gli animali con una carezza sul muso e controllò in fretta la gravità della ferita che spaccava il labbro inferiore del ragazzo biondo e mezzo zoppicante. «Come è accaduto?» continuò, conducendoli a passo spedito verso l'infermeria.
«E' inciampato in un sasso» mentì Matthew, non potendo sicuramente ammettere che quello era il risultato di un suo pugno mal calibrato.
«Dovete stare più attenti, la campagna non è dolce quanto appare.»
I due inglesi annuirono all'unisono, percorrendo l'interno dell'abitazione senza guardarsi molto attorno. L'unico pensiero di Dom era quello di fermare quella fontanella di sangue che zampillava dalla sua bocca e ottenere le scuse di Matthew -le quali, prevedibilmente, non erano ancora arrivate.
«Sedetevi qui» disse il padrone, indicando loro due sedie. 
Per prima cosa, bagnò una garza e la usò per lavar via il sangue colato lungo il mento e il collo del ferito; poi prese da un mobiletto bianco del cotone e umettò col disinfettante, passandolo di conseguenza a Dom. Infine gli ordinò di tamponare e disse che andava a prendere del ghiaccio per far sì che il gonfiore, già visibile, non aumentasse a dismisura.
«I-io, io non pensavo di avere tutta quella forza, è che quando da giovani ci pestavamo non finiva mai così male, anzi, se ben ricordi ero io quello a riempirmi di lividi...» disse Matthew remissivo, con tono di chi si vuole scusare.
«M-non p-preocuparti» mugugnò Dominic, intralciato per colpa del cotone sconfinante anche fra i denti.
Il padrone rientrò con in mano un sacchettino di ghiaccio. Lo consegnò al ferito e sostò in piedi, squadrando i suoi clienti sporchi d'erba e spettinati con atteggiamento diffidente.
«Avete almeno beneficiato d'una gradevole cavalcata?» 
«Oh, questo sì» rispose Matthew, con un mezzo sorriso di riconoscenza. 
«Bene. Allora io torno al lavoro, andatevene quando vi sentite meglio. Se avete bisogno, mia moglie è nei dintorni. Arrivederci» e, mentre il cipiglio che caratterizzava il suo viso sbiadì, lasciò la stanza.
Dom tirò un sospiro di sollievo e schiacciò il labbro ardente contro il gelido sacchetto. Osservò Matthew che ripensava alle risse affrontate da giovani con un sorriso malinconico; quante botte, quante parolacce, quante frasi pregne di rabbia e risentimento. Perché quell'animosità s'inseriva nella loro incrollabile amicizia? Come spiegarsi quegl'affronti improvvisi e di una violenza inaudita? Una volta Dom ipotizzò che si trattasse d'incapacità a determinare una parità nella loro relazione. Finché entrambi si ponevano come obiettivo quello di dominare sull'altro, il conflitto prima o poi sarebbe giunto come spontanea risoluzione dei conti. Eppure non c'era vera cattiveria in quei pugni, in quei calci, in quegli insulti -non ci ne sarebbe mai potuta essere, quando gli occhi gridavano tristezza e desolazione. C'era una piangente ed infinitamente infantile voglia di farla finita, una sorta di egoistico desiderio di porre conclusione a tanta deleteria frustrazione e tensione.
«Andiamo a casa?»
«Sì, andiamo.»
 
Sulla via del ritorno, la luna schiarì il loro cammino. Matthew confondeva lucciole con UFO, Dominic fruscii sospetti con agguati di bestiacce feroci; erano stanchi, silenziosi e traboccava in loro la necessità di dormire, di diluire nel sangue le controverse sensazioni accumulate durante la giornata. 
«Domani registro la batteria dell'ultimo pezzo che abbiamo provato» pensò ad alta voce Dom, sperando che il piede leggermente zoppo si riprendesse, così come stava facendo il labbro pulsante sotto il ghiaccio.
«Come vuoi, domani la giornata è libera» disse Matt, completamente intento a fissare un gruppetto di lucciole lontane con sguardo terrorizzato. «Oggi il pomeriggio è andato com'è andato.» -E credimi se penso che dovremmo più spesso andare a letto e poi darci ad una cavalcata nei campi, mi sono sentito rinato.
«Ehi Dom, come si chiama quella costellazione?»
Dom, fermatosi, guardò nella direzione indicata dal dito dell'amico. L'insieme di puntini bianchi che vide gli sembrò identico a tutti gli altri, anzi, forse ancora più anonimo.
«Vaffanculo, sai che non lo so!» rispose brusco e alterato, affrettando il passo e sorpassandolo, benché questo causò una fitta alla sua gamba svantaggiata.
«Eh, perché te la prendi tanto, animale ignorante che non sei altro!» cinguettò il cantante, trotterellandogli dietro. -Diventi quasi tenero quando ti offendi per una scemenza.
«Animale ignorante lo sarai tu, prendi due bacchette in mano e vediamo cosa ci sai fare oltre che mettertele nel c-» prima che potesse finire la frase, venne raggiunto dall'esperto di astronomia e imbavagliato dalle sue mani.
«Non dire assurdità!» urlò quest'ultimo, rosso fino alla punta delle orecchie.
Un gruppo di pipistrelli, disturbato dal loro frastuono, s'alzò in volo da una piccola tana nel buco di una roccia e li ammutolì in un colpo solo.
Non sapevano che la cosa più allarmante dovesse ancora arrivare e, per l'esattezza, sfrecciava in treno nella loro direzione.
 
 
"Questa cosa sempre nuova, e che non è mai cambiata, 
vera come una pianta, tremante come un uccello, calda e viva come l'estate, 
noi possiamo tutti e due andare e ritornare..."
 
 
 
Più i km tra le due donne agguerrite calavano, più i sensi di colpa di Chris crescevano.
Dire a Gaia il posto nel quale avrebbe trovato Matt e Dom era stata l'unica scappatoia, oppure non aveva preso in considerazione qualcosa? 
Con una tisana calda davanti e il sedere sprofondato nel divano di casa sua, il bassista si dannava l'animo in cerca di una risposta. Ovviamente Kelly sarebbe stata l'angelo a dargliela, ma nel frattempo, mentre lei finiva di raccontare le favole della buonanotte ai piccoli, a lui non rimaneva che stare in bilico sul sottile filo del dubbio, ai lati del quale si trovavano o la colpevolezza o l'innocenza.
Alla luce della sua esperienza di padre, sapeva che quella vita non faceva per Dominic; cambiare pannolini, preparare pappine, alzarsi alle quattro di notte solo per canticchiare (e canticchiare era di sicuro la cosa che avrebbe messo più in difficoltà il batterista, notoriamente stonato come una campana) sciocche canzoncine... no, anche con tutto l'impegno del mondo, quel ragazzo appassionato solo ai festini e ai concerti non avrebbe mai accettato una simile schiavitù. Figuriamoci poi se come pacco allegato c'era quella strega americana di Jess, mutevole quanto una banderuola. 
Sorseggiando la bevanda rilassante, abbandonò la testa all'indietro e si auto-impose di smettere di pensare a quella storia, tanto qualsiasi suo comportamento sarebbe stato giustificabile in nome dell'amicizia che lo legava ai due. -E quasi quasi chiamo Tom, pensò, spostando incerto lo sguardo sul telefono.
 
 
«Se vuoi dormo ancora qui, magari ti senti male e io posso soccorrerti...» disse Matthew, non appena entrarono nella camera di Dom.
In verità, Dom era andato lì solo per recuperare il suo pigiama; non si era scordato, a differenza di Matt, che il letto era grondante di pioggia.
«Sarà difficile, dato che il letto è fradicio» gli rispose, frugando tra i vestiti disposti più o meno ordinatamente su una sedia.
«Ah...allora vieni tu nel mio. Certo, le lenzuola sono vecchie di una settimana e io vado a letto coi piedi sporchi, però-»
Dom lo interruppe massaggiandosi la tempia con fare sfinito. 
«Shhh. Tra una cosa e l'altra, ho un forte mal di testa che m'impedisce di pensare troppo, quindi... vada per la tua cuccia pulciosa. Domani mi cospargerò di napalm e passerò a miglior vita.»
Matthew ridacchiò sotto voce. Senza accendere le luci, si diressero verso la stanza del moro.
I loro passi, appesantiti dalla stanchezza, strisciarono su per le scale e attraverso i corridoi; nessuno dei due aveva una chiara idea di come sarebbe andata a finire, ma di certo la confusione ottenebrava ogni barlume di lucidità. -Sai Dom, ogni tanto mi domando se io e te non siamo destinati a stare insieme fino alla fine dei nostri giorni... sei l'unica persona rimasta costante, nella mia vita, capisci cosa significhi per me?
«Ecco, questo è il letto» sussurrò, timidamente, indicando un materasso non troppo bianco su cui erano stati lanciati sopra a casaccio cuscini e lenzuola. Palle, di lenzuola.
Dom tentò di prenderla con superiorità e sorvolare sulle pessime condizioni del suo giaciglio. 
«Ma sì, va bene così» bisbigliò, staccandosi il ghiaccio dal labbro e posandolo sul comodino.
Si sfilò i jeans, s'infilò i pantaloni della tuta e, con la testa pesante per il sonno, si abbandonò privo di forze sul "letto". -Abbiamo dormito in posti peggiori, mio old room-mate, pensò, guardando con l'unico occhio che gli rimaneva aperto, prima di sprofondare nel sonno, Matt che spingeva via le palle di lenzuola per ricavarsi uno spazietto in cui raggomitolarsi.
«Matt?» dopo qualche minuto, nel silenzio e nell'oscurità più totale.
«Mmm?» a qualche centimetro di distanza.
«Anche se sei un roditore puzzolente...violento e bastardo... e sapresti, sapresti rovinare anche il più romantico dei tramonti... dicendo che mentre noi passeggiamo i leader politici com...com'è che è quel verbo? Ah, complottano con gli alieni...» bisbigliò Dom, leggermente farnetico. 
Matt drizzò le orecchie e si fece di un millimetro più vicino, invadendo di poco la metà del letto non sua. Non udendo più il continuo della frase, sussurrò: 
«Quindi?»
Dom, uscito dal momentaneo dormi-veglia in cui era scivolato, si destò e terminò il discorso:
«Be', anche se tu sei tutto questo... io... ti... cioè, tu sei il mio migliore amico e io ti...»
Matt si pizzicò un braccio per capire se quello fosse un sogno o solo le due di notte e Dom straparlante nel suo letto. 
«Tu mi?» domandò, incapace di attendere ulteriormente.
 
 
"Noi possiamo dimenticare,
e quindi riaddormentarci, risvegliarci, soffrire, invecchiare,
addormentarci ancora, sognare la morte..."
 
 
Il telefono squillò e sfregiò le loro orecchie abituate ai sussurri come una scheggia.
«Cosa?» domandò Dom col cuore in gola.
«E' il telefono!»
«Ma non avevi detto che qui non prendeva?»
«Era una bugia per non farvi distrarre dalla musica!»
«Dio mio, fermami prima che lo attacchi al muro!» implorò Dom, a cui per lo spavento si era riaperta la ferita sul labbro.
«Pronto?» domandò Matt, con un tono isterico.
Dom si rimise il ghiaccio sul labbro e si domandò chi diamine potesse essere a quell'ora, in quel posto.
«Ragazzi, sono Chris. Stanno arrivando!»
Matt mancò per un secondo. -Come fa Chris ad avere scoperto il numero? E chi sta arrivando? I marziani? Ora dò di matto!
«Cosa stai...»
«Le vostre ex o attuali fidanzate. E portano col loro una sorpresa!»
A Matt cadde il telefono sul cuscino. 
Dom lo guardò senza capire, distinguendo a mala pena il suo profilo nel buio. Prima che potesse allungare una mano per prendere il telefono o accertarsi se i battiti cardiaci di Matt avessero già raggiunto la tachicardia aggravata, sentì il letto alleggerirsi da un peso.
Era rimasto solo.
 
 
 
"Svegliarci, sorridere e ridere, e ringiovanire, 
il nostro amore è là, testardo come un asino, vivo come il desiderio,
crudele come la memoria..."
 
 
 
 
NDA: *esce dall'oblio coperta di vergogna e avanza a passi incerti verso i lettori neri di rabbia* ... buongiorno. Sì, sono viva e sto "bene". Voi, piuttosto? *si ripara dalle pietre che la furia omicida dei lettori che aspettano da cinque mesi un benedetto aggiornamento scaglia* Oh, grazie, me lo meritavo. Quello che ho fatto io NON si fa. E' come uccidere una ff e tutto il relativo entusiasmo che può far nascere nella gente senza pietà (tra poco, tra l'altro, la vostra Special compie un anno. Mioddio!). Tuttavia... *cerca le parole, mentre la pioggia di pietre diventa di fuoco*, quest'anno non è stato facile. Questo capitolo l'ho scritto tutto in una volta sola e potrebbe far schifo!
Pronta ad accettare qualsiasi critica, v'invito ad essere spietati e ad evitarmi i complimenti strappalacrime che siete soliti a farmi ricevere. *si scava una fossa e, incapace di dire altro, s'inabissa*
Grazie di cuore,
l'incorreggibile Broken.
 
Annotazioni:
-No, non credo che i Muse sappiano cavalcare o_O in ogni caso, le scene coi cavalli sono libera ispirazione ad uno dei miei film preferiti, "I segreti di Brokeback Mountain". 
-No, Jessica non si dichiarò mai incinta di Dom. E' un'invenzione mia di cui capirete l'utilità nei prossimi capitoli *la folla domanda: ci saranno prossimi capitoli? Wow, tra quanti anni?*
-Sì, Matt puzza e Dom è una bicci vendicativa. :D ma fra i due c'è tanto l'ov, ossì.
 
Cheers! <3
PS: la poesia che compare sulla destra è di Jacques Prevert. Perfetta!
  
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