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Autore: Looney    18/08/2011    1 recensioni
La sorpresa di Michael finalmente si è mostrata agli occhi increduli di Fiordaliso: è sua nipote, la piccola Michael, che dovrà proteggere ed istruire come un angelo. Perché proprio di questo si tratta.
Attraverso le sue parole ed i suoi occhi noi riusciremo a cogliere la sua difficile esistenza, segnata da avvenimenti dolorosi (ma anche felici), accompagnata dal suo fedele amico, un certo Michael Jackson ridotto a riflesso di un'epoca di splendore.
E' lui che la guiderà verso il ricongiungimento con i suoi simili, e le farà comprendere quanto sia importante la sua presenza sulla Terra, devastata dall'odio e dalla miseria.
Ma non sempre il destino scritto per noi si realizza...
E rieccomi qui con la mia seconda parte!XD Spero davvero che vi piaccia! L'ho pubblicata solo ora perché non volevo fare lo stesso errore di un anno fa, e perciò mi sono portata avanti col lavoro. Allora, aspetto solo vostre recensioni, di qualunque tipologia siano!XD Buona lettura, cara Jacksoniane!
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Will You Be There '
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                               Solutidine isn’t your destiny

 

 

 

“Accidenti, quanto picchia oggi!”

Fernando aveva ragione: oggi era davvero una giornata caldissima, e neanche eravamo a giugno!

Sentivo l’urlo straziante della vegetazione intorno a me ed il suo insaziabile desiderio di acqua, che però non poteva essere mai soddisfatto appieno: in fondo l’innaffiatoio era quel che era!

Io stavo aiutando il nostro “giardiniere” a prendersi cura delle piante e mi dispiaceva moltissimo che la natura si piegasse all’afa in modo così spaventoso.

Di solito ci sono delle piante che vivono bene al sole ed altre che invece necessitano di molta acqua: il nostro giardino era uno strano miscuglio di piante desertiche e delicati fiori occidentali, che si tenevano appena nei loro esili steli, come bambini malati, stremati dalla sofferenza.

Ma bastava un po’ d’acqua perché il loro splendore potesse tornare.

Stavo giusto innaffiando delle rose fuori stagione quando sentii qualcuno che mi chiamava. Non era Fernando, e neanche la nonna.

Alzai il volto e intravidi, nascosta dalle guglie appuntite del cancello di ferro, una figura famigliare.

Lasciai l’innaffiatoio vicino ai fiori per andare ad aprire alla misteriosa presenza ed avvicinandomi ancora di più scoprii la sua identità: era Sandy, la migliore amica della mamma.

“Ciao Sandy! Da quanto tempo che non ci vediamo!” le dissi mentre aprivo il cancello e la lasciavo entrare.

“Oh ciao Mike! Cavolo, come sei cresciuta! L’ultima volta che ti ho visto eri una bambina”

“Ma non sono passati neanche due mesi…”

“Lo so, ma voi ragazzette di oggi crescete molto velocemente. Guarda un po’, hai già le tette!”

“Ehm, veramente…” Ciò che in realtà Sandy chiamava “tette” non esisteva: al suo posto vi era un rigonfiamento appena accennato sotto la maglietta che neanche poteva chiamarsi seno!

Feci per nascondere le rotondità minuscole, e lei scoppiò in una sonora risata.

“Ma dai, scherzo! Io alla tua età le avevo anche più piccole!”

Mi rivolse uno dei suoi splendidi sorrisi e mi sentii più sollevata; anche se stava scherzando, avevo dei seri problemi di autostima.

Mi vedevo talmente brutta da non guardarmi neanche allo specchio, e gli altri insistevano che ero bellissima e priva di imperfezioni.

Si vedeva che non stavano passando ciò che in realtà stavo passando io. Trattavano l’adolescenza come un periodo di crescita qualsiasi, e questo mi irritava davvero tanto.

Giusto Sandy sembrava provare quel che provavo io, forse perché era stata anche lei una ragazzina emarginata e sin troppo viziata per i suoi gusti.

Alcune volte avrei voluto avere la sua stessa età per lavorare con lei ed essere sua amica. Mi sarebbe piaciuto davvero tanto.

“Comunque, cara…Come sta la mamma?”

Oh giusto, la mamma! Mi ero completamente dimenticata!

E’ impossibile che la sua migliore amica venga a trovarla senza un motivo, no?

“Oh sta meglio adesso, anche se non vuole ancora uscire di casa. E’ un bel problema…”

“Se non se la sente è inutile forzarla; quando sarà un po’ più forte sono sicura che ce la farà!”

Sandy, mia cara, è da cinque mesi che continui a sperare!

“Io non ne sarei tanto sicura..Comunque se vuoi salutarla, ti accompagno in camera sua. Tanto non la disturbi!”

“Va bene, ma rimarrò per poco tempo: non voglio stancarla”

“Prego, allora, seguimi. Sarà molto contenta di vederti!”

Desiderosa di rientrare in casa e vederla senza quell’enorme cappello che la proteggeva dal sole, la condussi lungo il selciato, tra il prato arso dal sole e le foglie ingiallite: quello spettacolo, pensai, accentuava ancora di più la malinconia di fine estate.

Il mio compleanno era passato da circa due mesi ed ancora mi sentivo una bambina, senza tette e con la disinvoltura di un elefante.

Eppure avevo dodici anni.

Dodici anni passati in solitudine, spesso in quel giardino ora in decadenza. E quando pensai che fosse arrivato un po’ di refrigerio nella mia vita, una goccia di felicità…Quella è scivolata imprudentemente via per poi non fare più ritorno.

Ogni estate speravo di essere bagnata ancora da quella goccia, sentire il suo potere rigenerativo in me e ridere felice insieme a lei, ma ormai era inutile aspettare.

Sapevo che non sarebbe tornata prima dell’inizio dell’autunno.

Anche la mamma aveva la sua goccia di felicità personale: si stava togliendo il cappello-parabola proprio ora.

“Oh in casa si sta proprio bene! Oggi è una giornata particolarmente afosa, non trovi?”

“Già, ma ormai sono abituata. E poi a me il sole non brucia, per fortuna”

“Certo, tu hai la carnagione molto più scura della mia! Come Katie…Mi ricordo che mi prendeva sempre in giro perché al mare non mi spogliavo mai, mentre lei poteva rimanere un giorno intero sotto il sole e non si scottava neanche il collo! Che pessimi ricordi…”

La vidi arricciare il labbro e risi anch’io pensando alla situazione: ascoltare da altre persone episodi di vita quotidiana riguardanti mia madre era sempre esilarante! Lei mi aveva ormai raccontato tutto quello che c’era da sapere sulla sua gioventù, e spesso falsava le vicende per farle sembrare più eroiche possibili.

I suoi amici, invece, non avevano alcun gusto nel mentirmi, ed esponevano i fatti nudi e crudi, non solo per sottolineare l’umanità della mamma ma anche per dimostrare che tenevano a lei; riconoscevano i suoi sbagli, le sue paure, cose che lei non avrebbe mai ammesso in pubblico.

Preferiva apparire forte e coraggiosa piuttosto che mostrare le sue debolezze e farsi aiutare da qualcuno.

È proprio quel che capita quando si ammala e tutti cerchiamo di accudirla, ma lei rifiuta qualsiasi aiuto e si rimette in sesto da sola.

Quella volta, però, non ebbe neanche il coraggio di alzare la mano e protestare.

Non riusciva neanche ad alzarsi dal letto, le era faticoso addirittura respirare…

Non guardava neanche fuori dalla finestra, aperta solo per lei; esisteva solo il soffitto.

Io non entravo spesso nella sua stanza, nonostante sapessi quanto le avrebbe fatto piacere, ma quella volta non potei evitarlo: dovevo accompagnare Sandy e sicuramente la sua debolezza non le avrebbe permesso di stare da sola assieme alla mamma.

Una volta aperta la porta, feci molta attenzione a non disturbare la mamma: agitata come era si sarebbe spaventata con tutto quel rumore.

Ultimamente i suoi sensi si erano acuiti, trasformando il fruscio delle lenzuola in un rombo infernale, ed il lieve peso di una piuma in cento incudini. In quanto alla vista, non la usava più: per lei la realtà era un ammasso di impercettibili e frenetiche ombre grigie.

Nel chiamarla per sottolineare la mia presenza, perciò, non dovetti avvicinarmi al suo letto, poiché riconosceva la mia voce perfettamente.

Dal tono con il quale mi rispose era molto felice di vedere me e Sandy, e ne fui particolarmente sollevata: era da tanto tempo che non la vedevo così contenta!

Nonostante ormai il suo viso non esprimesse più sentimenti, si voltò verso di noi e si alzò a sedere sul letto: anche muoversi le era diventato difficile.

Trascinò tutto il peso sui morbidi cuscini e si appoggiò esausta allo schienale del letto, per poi ansimare e chiudere ancora gli occhi.

Quei semplici movimenti le erano costati una fatica immane; avrebbe anche potuto evitarli, ma lei non si riposava mai del tutto, e cercava di apparire molto sollevata.

“Come va, mamma?” le chiesi mentre mi mettevo seduta sul letto assieme a Sandy.

“E me lo chiedi pure? Sono nelle esatte condizioni in cui ero ieri, anche se mi fanno meno male le ossa. E poi ho sete…”

Come al solito, la mamma non si smentiva mai: non era mai abbastanza debole per sdrammatizzare.

“Se vuoi ti porto subito un bicchiere d’acqua, mentre parli con Sandy. Cavolo, da quanto tempo dovete vedervi? Avrete un sacco di cose da raccontarvi!”

“Sì. Tantissime”

E dopo aver sentito l’ennesima battutina ne ebbi davvero abbastanza: un malato non doveva comportarsi così!

Chiesi a Sandy di attendere per qualche minuto e scesi in cucina non solo per prendere l’acqua alla mamma ma anche per lasciare sole le due amiche.

Magari parlando con Sandy la mamma avrebbe smesso di sputare battutine tristemente ironiche sulla sua condizione e si sarebbe un po’ calmata. Quella ragazza dagli occhi vivaci come fronde mosse dal vento aveva un potere così grande che neanche si accorgeva di possedere, e questo mi preoccupava parecchio, ma allo stesso tempo mi confortava.

La mamma era davvero fortunata ad avere una persona come lei al suo fianco.

 

Dopo che Mike uscì dalla stanza, se ne stettero in silenzio per un bel po’: sinceramente, non sapevano di cosa parlare.

Era da molto che non si vedevano, e nessuna delle due aveva subito dei cambiamenti visibili: Katie possedeva ancora quell’aria scomposta che si addiceva ai malati, i capelli appiccicati sulla fronte che formavano piccole onde e si andavano ad incontrare con il sudore, gli occhi socchiusi, le labbra secche come il deserto. Nell’insieme, uno spettacolo abbastanza deprimente.

Sandy invece trasudava salute da tutti i pori: era sempre la stessa ragazza timida e intelligente, con le sopracciglia sottili e le mani sempre curate. L’unico cambiamento radicale verificatosi nel suo aspetto riguardava i capelli, che un tempo ricadevano lunghi e morbidi fino alla vita, ed ora le coprivano appena le orecchie.

Nonostante il dispiacere causato da questa follia, il nuovo taglio le dava un’aria più malinconica, che non le dispiaceva.

Sandy, nonostante le varie fortune che aveva ricevuto dalla vita, era una persona molto pessimista, ma ciò non le pesava affatto: aveva sempre desiderato che nella sua vita ci fosse un po’ di ansia a guastarle i piani.

Odiava le cose facili e ricche di suggerimenti; non aveva mai chiesto aiuto a nessuno e più andava avanti con le sue stesse forze, più si sentiva felice.

Ora come ora, aveva studiato per cinque anni lontana da casa ed era ritornata solo per stare vicina a quella sciagurata della sua migliore amica, che come al solito riempiva di insulti anche il cuscino e non la riconosceva più.

Tuttavia, le voleva ancora più bene di prima. E sapeva che per Katie era lo stesso.

Quella ragazza che stava pian piano sprofondando nel buio più assoluto le voleva ancora bene.

Non poté fermare un sorriso al sol pensiero: allungò la mano verso la fronte della sua amica e le scostò delicatamente i capelli umidi fin dietro le orecchie.

Si fermò un attimo a guardarla: era ancora la stessa Katie, la stessa ragazzina che aveva conosciuto quell’autunno di quattordici anni fa.

La stessa ragazzina che l’aveva conquistata sin dal primo istante in cui il suo viso imbronciato si era voltato verso di lei, rossa come un peperone, per pura curiosità ma anche per lo stupore di aver vicino una figura tanto strana, mentre le foglie vorticavano sulle loro teste, intrise di malinconia, e si andavano a posare sulle piastrelle venate di nero.

Ricordava ancora la loro danza nel cielo prima di accasciarsi al suolo, tra i loro piedi.

Ricordava ogni singola piega della sua gonna che le ricadeva delicatamente sulle gambe magre, scomponendosi fino a formare un piccolo sole blu.

Ricordava anche le sue mani bianche tinte di rosso dall’autunno, e la cartella appoggiata alla panchina di legno scorticato, vicino a quella di Katie.

Ora non erano più sedute una di fianco all’altra.

Non si stavano più riposando sotto gli alberi dopo una dura giornata di scuola.

Non avevano più quei visi rotondi da bambina, gli occhi sin troppo grandi.

Ma Sandy sentiva che quel grande sentimento non era cambiato.

Improvvisamente le sue labbra iniziarono a tremare, desiderose per qualcosa di irraggiungibile. Eppure così vicino.

Come aveva potuto nascondere ciò per tutto questo tempo?

Era stata brava, ma non poteva resistere oltre.

Ormai non era più tempo di fingere.

Si chinò lentamente verso l’angosciante figura sdraiata sul letto, non curandosi minimamente di poter essere scoperta, ma proseguendo semplicemente per il cammino che le indicava l’istinto.

Si fermò a pochi centimetri dal naso di Katie: poteva sentirne il respiro affannoso inondarle le orecchie ed il cuore.

Si ritrasse improvvisamente e scosse la testa: la sua amica stava soffrendo terribilmente, non poteva approfittarsi di lei.

Osservò per poco il suo volto sconvolto ed alla fine, vinta dal desiderio, le diede un innocente bacio sulla fronte. Sembrava stare meglio dopo quel piccolo gesto, e Sandy se ne compiacque.

Sorrise dolcemente all’amica, e si sarebbe chinata ancora su di lei se Mike non fosse entrata improvvisamente nella stanza, portando in mano una caraffa piena d’acqua e dei bicchieri.

“Scusate se vi ho fatto attendere, ma…Ho avuto da fare! Ecco l’acqua, mamma”

Posò un bicchiere sul comodino e versò l’acqua, per poi riempirne uno anche a Sandy, che però rifiutò educatamente l’offerta.

“Non c’è problema, allora, la bevo io” le rispose Mike, un pochino offesa.

Tuttavia sorrise a Sandy, ed aiutò la madre a mettersi seduta sul letto per bere più comodamente.

Trascorse un po’ di tempo con le due donne, prima di scappare di sopra, con la scusa che doveva aiutare Fernando a stendere il bucato; purtroppo per lei Fernando ora era in cucina a chiacchierare amabilmente con Fiordaliso mentre stava sistemando le stoviglie nei cassetti.

Katie non ci fece minimamente caso, troppo occupata a guardare il soffitto. Sandy, invece, seguì Mike con lo sguardo, fin quando la porta della camera non si chiuse dietro di lei.

E proprio in quel momento Fiordaliso scoppiò a ridere al piano inferiore, e Fernando la seguì.

 

Per la fretta stavo quasi per inciampare sulle piastrelle del pavimento, nonostante portassi ai piedi delle solidissime ciabatte antiscivolo, e non mi resi neanche conto di essere arrivata davanti alla porta della mia stanza, per quanta foga ci misi nel rialzarmi e nel ripartire, manco fossi Carl Lewis!

Perciò, la mia seconda caduta fu inevitabile. Il caldo mi dava veramente alla testa!

Mi appoggiai alla maniglia della porta e la aprii, per poi strisciare cautamente dentro la mia stanza.

Mi richiusi la porta dietro, e lanciai un sospiro di sollievo: finalmente ero al sicuro!

Né occhi né orecchie indiscrete avrebbero spiato le mie azioni.

Mi alzai ed andai verso il letto, sul quale avevo lasciato la preziosa reliquia, il motivo per cui mi ero praticamente rotta una gamba ed un piede, e la presi trepidante in mano.

Ero davvero emozionata, nonostante si trattasse di un banalissimo pezzo di carta. Okay, non esageriamo…Quel banalissimo pezzo di carta era una lettera dalla mia cara e preziosa (nonché unica) amica Isabel.

Da molto tempo ormai non mi scriveva più, e soprattutto non avevo ricevuto nuove notizie sull’angelo caduto.

Chissà se la mia geniale amica aveva scoperto qualcosa di interessante!

Presi la lettera in mano, e prima di aprirla notai se ci fossero gli strani disegni che comparivano sempre sulle altre buste: motivi geometrici, spirali, volteggianti cerchi magici, che invadevano la carta da cima a fondo.

Avvertii una fitta al cuore: Isabel era così premurosa che spendeva il suo tempo già scarso per decorare l’intera busta con i suoi disegni, il tutto per far sentire la sua presenza accanto a me.

Sapeva quanto amavo la sua arte, quanto avrei voluto celebrarla…

Strinsi gli occhi nel tentativo di non perdermi in stupidi pianti, e tastai la carta fin quando non trovai l’apertura.

Iniziai a strappare saggiamente la carta ai bordi, facendo attenzione a non rompere il foglio all’interno.

Arrivata nel mezzo, però, mi aiutai con una forcina per capelli, poiché le mie mani erano troppo goffe per continuare quel lavoro di assoluta precisione.

La mia fida compagna riuscì nel suo intento: sfilai la lettera dalla busta martoriata, e la aprii.

Ero così eccitata che per un attimo ebbi la sensazione di non riuscire a leggere la grafia minuta e chiara di Isabel, ma dopo un po’ i miei occhi si abituarono allo spiccato contrasto tra carta e inchiostro, ed iniziai a leggere speditamente.

 

 

“Cara Mike,

 

come stai? So della tua infelicità per la mia mancanza, ma non dovrai soffrire ancora per molto: infatti ritornerò a Los Angeles tra qualche settimana, il tempo per riordinare le mie ricerche e dare un’ultima occhiata ai miei scarsi risultati.

Non sono riuscita a scoprire nulla di nuovo riguardo l’angelo ribelle.

Neanche il mio protettore, Michael, e gli altri angeli non sanno dove si trovi, né cosa stia facendo in questo momento.

È come se fosse lontano dal nostro mondo.

Spero che, quando ritornerò, in tua compagnia riusciremo a trovare nuovi indizi; ormai sei grande, sono sicura che i tuoi famigliari ti lasceranno venire con me!

Inoltre devo parlarti assolutamente di un avvenimento molto importante: devi fidarti, ho scrutato nel futuro attraverso le lingue di fuoco sprigionate da una piuma di avvoltoio rovente.

È sconveniente anticipare ciò che ti dirò, quindi armati di pazienza e stai calma.

Questa lettera arriverà sicuramente prima di me, ma le distanze che ci separano non sono enormi: ritornerò tra qualche settimana, te lo prometto.

Adesso ti lascio, devo continuare i preparativi per la partenza.

Ci vedremo non appena ritornerò.

 

                                                                                                 Isabel”

 

 

Rilessi le ultime righe per almeno cinque volte prima di alzare gli occhi dal foglio e rimanere accecata dal celeste intenso delle pareti, che si mescolava al bianco del pavimento di marmo.

Per un momento mi girò la testa: non riuscivo a capire, però, se era per ciò che avevo appena letto o semplicemente per aver alzato la testa troppo velocemente.

Il mio cervello insisteva per la seconda, ma sapevo che la prima opzione era la più plausibile.

Non osavo credere a ciò che avevo appena letto.

Isabel, la mia amica, la mia migliore amica, era riuscita… A predire il futuro?

Da sempre mi ribadiva che i suoi poteri le permettevano di leggere nella mente di chiunque, di manipolarne i pensieri e di condurre la realtà a proprio piacimento, ma non poteva predire il futuro.

Aveva conosciuto chi era in grado di farlo, ma non era mai riuscita ad imitare le loro azioni, né tantomeno a scorgere qualche frammento di futuro.

Sicuramente la sua scoperta era sensazionale!

Rimasi per qualche minuto a rimuginare sulle misteriose parole della mia amica, fin quando non decisi di ritornare dalla mamma e Sandy per assicurarmi che fosse tutto a posto.

Pensarci mi avrebbe fatto soltanto male, mi avrebbe bruciato le energie e non mi avrebbe permesso di vivere.

Ma nonostante i miei continui lavaggi del cervello, una spiacevole sensazione si riproponeva alla sommità del cuore, costringendomi a fermarmi e a pensare: davvero sarei dovuta essere felice di ciò che aveva scoperto Isabel?

E se fosse stato un avvenimento doloroso?

 

Quel giorno non era poi così bello come lo erano stati gli altri: avevo visto la prima foglia gialla della stagione.

L’estate iniziava a fare le valigie per andarsi a riposare, e ritornare fresca e profumata l’anno successivo.

Io me ne stavo seduta sugli scalini della veranda, con niente di meglio da fare che guardare il cielo.

Nubi bianche come cotone si rincorrevano, scivolavano sul vento, inciampavano e poi continuavano il loro cammino, su uno sfondo azzurro come il mare.

Apparivano così felicemente imperturbabili che mi facevano quasi rabbia!

Sicuramente non sapevano quanto gli abitanti della Terra desiderassero ardentemente la loro felicità; anzi, non gliene importava praticamente nulla.

Erano passate diverse settimane dall’apertura delle scuole: ormai eravamo ai primi di ottobre.

Erano diverse settimane che aspettavo il ritorno della mia amica. Ma non avevo più ricevuto sue notizie, e cominciavo seriamente a preoccuparmi.

Dove era finita? Perché ritardava così tanto? E la sua scoperta sensazionale? Che quella sia stata così sconvolgente da non permetterle di tornare in tempo?

Mi ponevo mille domande, ma non riuscivo a trovare una risposta ad alcuna.

Tutto quel che potevo fare era osservare il cielo, ed aspettare: la mia amica non era una stupida, sicuramente se la sarebbe cavata.

Stavo pensando a quanto fossero dure le assi di legno sotto il mio sedere quando la buffa testa della nonna si affacciò alla finestra del soggiorno e per poco non mi perforò i timpani con una richiesta che poteva tranquillamente dirmi senza alzare la voce.

Voleva che badassi un pochino alla mamma, visto che lei doveva uscire insieme a Fernando per alcune commissioni, e lasciarla sola le sembrava poco umano.

Dopotutto, era mia madre, anche se da molto tempo non la riconoscevo più; dopo la misteriosa malattia, durata sì e no due anni e mezzo, si era un pochino ripresa: si era alzata dal letto, aveva iniziato a vagare per la stanza senza motivo, non la disturbava più alcun dolore e non trovava fastidioso parlare o sorridere.

Tutti quegli improvvisi cambiamenti mi resero molto felice, ma sicuramente la salute ritrovata mutò mia madre in una persona completamente diversa da quella che ero abituata a frequentare: innanzitutto, non voleva uscire di casa, perché aveva paura ad attraversare la strada ed i rombi provocati dai motori la infastidivano; poi, esigeva la compagnia mia e della nonna, in qualsiasi momento della giornata, anche quando doveva andare in bagno; aveva il terrore del buio, e di notte dormiva con la lampada del comodino accesa; le pupille degli occhi, un tempo grandi, erano diventate piccolissime, tanto che non riuscivo più a scorgerle nel marrone profondo dell’iride.

Il suo viso solare e dai tratti morbidi si indurì fino ad incupirsi.

Spesso aveva un’espressione inquieta che addirittura mi intimoriva.

Sembra brutto a dirsi, ma iniziavo ad aver paura di mia madre.

Ogni volta che andavo a farle visita ed i suoi occhi vuoti si posavano su di me, avvertivo un tremendo disagio, che si attenuava soltanto quando chiudevo la porta della sua stanza e la lasciavo sola.

È quel che successe quando quel giorno andai a farle compagnia: stava seduta sul letto a sorseggiare lentamente il the che la nonna le aveva portato poco prima, in pigiama e con i capelli arruffati.

Sicuramente non si era accorta della mia presenza, perché non alzò neanche lo sguardo, continuando a bere meccanicamente la bevanda calda, gli occhi fissi sul pavimento.

Mi avvicinai un po’ preoccupata, e le stampai goffamente un bacio sulla fronte sudata.

“Buongiorno mamma” le dissi.

Lei si mosse intimorita, e le sue pupille mi investirono con tutto il loro gelido calore: aveva gli occhi gonfi di ansia.

Abbassai velocemente lo sguardo, per non far capire quanto in realtà fossi tesa, e buttai lì qualche domandina premurosa.

“Allora, mamma, come stai? Hai freddo? Stai tremando. O forse sei troppo stanca? Cos’è, perché non mi rispondi?”

In effetti, era come parlare ad una statua. Mia mamma era di nuovo scivolata nelle sue ignote riflessioni, ed ogni tanto si ricordava di avere una tazza di the in mano.

Si muoveva così silenziosamente da sembrare un fantasma.

Insistei ancora un po’, fin quando non venni alla conclusione che aveva bisogno di riposarsi e stare da sola.

La nonna mi avrebbe di certo perdonato.

“Ora vado via, mamma. Ci vediamo stasera a cena, va bene?”

La mia domanda si perse nel vuoto, mentre mi alzavo dal letto e raggiungevo la porta.

Stavo per chiuderla quando lanciai un ultimo sguardo alla spettrale figura di fronte a me che un tempo era stata mia madre.

 

Stavo iniziando seriamente a preoccuparmi.

Mia madre non poteva continuare a vivere in quelle condizioni, né rifiutarsi di andare dal medico.

In tutti gli anni che le sono stata accanto come figlia, non l’avevo mai vista con una medicina in mano, anche se aveva l’influenza o il mal di testa, e non l’avevo mai sentita parlare dei dottori e degli ospedali.

Lei odiava gli ospedali sin da quando era piccola, per un motivo altamente sconosciuto sia a me che alla nonna.

Era triste, però, non poterla aiutare a superare il suo malessere, qualunque esso sia stato.

Tutto quel che potevamo fare era aspettare che lei guarisse, da sola; ma non sempre il tempo portava via con sé la malattia.

Me ne iniziavo a rendere conto in quei giorni: ormai la mamma sopravviveva grazie a noi, alle nostre cure, ed i suoi movimenti erano più simili a quelli di un robot che di un essere umano.

Ero davvero inquieta.

Ma non potevo sfogare la mia ansia con niente o nessuno, non serviva a niente.

A niente.

Anche piangere mi sembrava inutile: più inondavo la casa di lacrime più le onde del malessere si infrangevano sul mio cuore, e lentamente lo corrodevano.

Non avevo più punti di riferimento.

Mi sentivo sola, ancora una volta.

 

 

 

Ola gente! Eheh stavolta vi ho fregato: sono riuscita ad aggiornare prima dei sei mesi u.u  spero che siate contenti della mia ricomparsa!

Allora, come procedono le vostre vacanze? Le mie male ç__ç non ho praticamente smesso di studiare dal 30 di giugno! Cioè, ma è possibile? Io, che ero così brava a scuola..ç^ç

Vabbè, lasciamo perdere e parliamo della mia storia.

Ultimamente ho scritto soltanto capitoli di passaggio, saltando nel tempo a più non posso, ma sappiate che dal prossimo capitolo la narrazione diverrà più rapida e non vi annoierò più con Michael, Fiordaliso e Fernando che bisticciano e giocano a chiapparella; le indiscusse protagoniste saranno Mike e le sue amiche, ovvero Isabel e gli altri due angeli che non ancora conoscono.

Cercherò in tutti i modi di rendere avvincente la narrazione, trattandosi di argomenti che riguardano bene o male delle ragazzine adolescenti, ma non vi prometto nulla di buono xD

Bene, ed ora passiamo ai ringraziamenti!

Ringrazio con tutto il cuore , ovvero GioTanner, per il titolo ^^; e poi ringrazio natalia, per essere una lettrice così fedele della mia storia: non immaginavo che potessero essercene ancora!xD

Con questo vi saluto, signori, alla prossima!

 

                                                                                           Looney*

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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