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Autore: Skylark91    17/10/2011    2 recensioni
Sevitus Post-GOF: l'estate immediatamente successiva al quarto anno di Harry porta con se nuovi problemi, sfide e... drastici cambiamenti. Un susseguirsi di vicende molto particolari indurranno il ragazzo ad avvicinarsi alla persona più improbabile nel ricoprire il ruolo di mentore e... qualcosa di più. (Non-Slash)
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Severus Piton, Sirius Black, Voldemort
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da V libro alternativo
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II.
Scar and Voices





«Potter potrebbe aver udito la nostra conversazione, Albus.» La voce di Piton era poco più di un sibilo quando parlò. «Sapevo che sarebbe stato poco saggio riferirti il mio rapporto qui e non ad Hogwarts…»


«Severus, sai benissimo che al momento Grimmauld Place è un luogo ben più sicuro rispetto ad Hogwarts» tagliò corto Silente, guardandolo con intensità. «Il Ministero potrebbe aver già messo sotto controllo le reti di comunicazione e alcune sale… senza contare, inoltre, che l’arrivo di Dolores Umbridge è previsto per la fine di luglio. Sono certo che – negli ultimi giorni del mese – il numero delle sue visite a scuola crescerà notevolmente.»


Piton sbuffò appena, distogliendo gli occhi da Silente e rimarcando: «Ciò non toglie che Potter dovrebbe imparare a non ficcare il naso nelle faccende più grandi di lui.» Si interruppe solo per un attimo, prima di proseguire, gli occhi neri di nuovo fissi sul Preside: «Se la tua teoria sulla connessione tra lui e Voldemort fosse corretta, sarebbe sempre più pericoloso lasciare che Potter venga a conoscenza dei dettagli riguardo ai piani dell’Ordine.»


«Domani avrò modo di parlare con Harry riguardo al collegamento che potrebbe essersi instaurato tra la sua mente e quella di Voldemort» disse lentamente il mago più anziano, soppesando accuratamente le proprie parole. «Tuttavia, non so perché, ma ho il presentimento che la nostra chiacchierata mi permetterà di rivedere le idee che abbiamo formulato sull’argomento.»

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Erano mesi che Harry non dormiva così bene.


Finalmente, per la prima volta dopo tanto tempo, non sognava di calici di fuoco, draghi, mostri marini e – più recentemente – di labirinti, cimiteri e… lampi di luce verde.


Erano passate tre settimane dalla morte di Cedric Diggory, ma il senso di colpa per l’ingiusta sorte di quel povero ragazzo affliggeva ancora pesantemente Harry. Rivedeva il suo volto – felice e soddisfatto per aver afferrato la coppa Tremaghi – tramutarsi rapidamente in quello pallido e privo di vita che il giovane Grifondoro non avrebbe mai dimenticato.


Anche per questo aveva reputato strano l’incubo fatto prima di prendere la Pozione Soporifera. Era la prima volta che sognava di Sirius – pur sapendolo vivo e vegeto – e non di Cedric o degli altri orrori che avevano popolato la sua vita fino a quel momento.


Ma era anche la prima volta che Voldemort si rivolgeva direttamente a lui in un sogno. Come aveva fatto a non pensarci prima? Possibile che la sua mente avesse rimosso quel ricordo la notte prima, quando aveva raccontato a Silente ciò che aveva sognato? Pur non avendogli descritto il sogno nei dettagli, gli aveva fatto capire a grandi linee di cosa si trattava, ma… come aveva potuto dimenticare un tassello così importante?


«Ehi, amico… dormito bene?»


Immerso com’era nei propri pensieri, Harry non si era accorto che Ron si era già svegliato e lo fissava con attenzione. Rispose al suo saluto con un lieve sorriso, nell’intento di non fare insospettire l’amico con l’espressione preoccupata che gli si era palesata in volto poco prima.


«Sì, quelle pozioni fanno miracoli» rispose il ragazzo, ma, vedendo lo sguardo perplesso di Ron, si ricordò che il suo migliore amico non era a conoscenza di tutti i fatti accaduti quella notte. «Oh… ti spiegherò tutto dopo colazione» aggiunse, pensando che sarebbe stato più giusto parlarne con anche Hermione presente.


Il moro e il rosso si alzarono dal letto per prepararsi e presentarsi giù in cucina, dove erano presenti quasi tutti gli attuali residenti del numero 12 di Grimmauld Place. Nell’entrare, salutarono il gruppo già riunito intorno al lungo tavolo e presero posto a sedere.


Harry vide Sirius rivolgergli un caloroso sorriso e avvertì ogni preoccupazione riguardo all’incubo svanire in quello stesso istante.


«Cosa preferisci con le uova, Harry caro, salsiccia o bacon?» Molly Weasley si era girata verso di lui con una padella in mano, distogliendo gli occhi dal piano cucina su cui si stava affaccendando, in attesa della risposta del giovane.


«Il bacon andrà bene, signora Weasley, grazie» disse Harry, riconoscente per l’affetto che la mamma del suo migliore amico gli dedicava quotidianamente. Per qualcun altro la scelta tra bacon e salsiccia avrebbe potuto sembrare una questione da poco, ma Harry apprezzava davvero le attenzioni di Molly, anche le più piccole, perché non le aveva mai ricevute da nessun altro in passato.


Un rumore proveniente dall’ingresso della sala cucina richiamò l’attenzione di tutti: senza preavviso, dalla sala adiacente fecero irruzione una serie di palloncini colorati che iniziarono a galleggiare in aria, sopra le teste dei presenti. Sembravano innocui, ma come Ron allungò una mano verso il più vicino, quello – scoppiando – gli ricoprì la faccia di una sostanza appiccicosa e verdognola.


Harry rise, seguito da Hermione, Ginny, Sirius e da altre due voci che giungevano proprio dalla sala accanto.


«Fred, George!» La Signora Weasley scambiò un’occhiata con il marito, attendendo – con i pugni premuti contro i fianchi – che i suoi figli più indisciplinati si palesassero in cucina.


«Hai chiamato, mamma?» Con un sonoro crac, i gemelli comparvero ai lati di Molly, facendola saltare per la sorpresa e parlando all’unisono.


«Si può sapere cosa vi passa per la testa?!» esclamò esasperata Molly, cercando l’appoggio di Arthur, che, però, era troppo occupato a sorridere tra se e se. «Ripulite vostro fratello da quella… robaccia» aggiunse poi, tornando a occuparsi della colazione.


«Credevamo avresti apprezzato…»


«… i festeggiamenti ideati apposta per voi!»


«Di che festeggiamenti parlate?» chiese Ginny, curiosa.


«Abbiamo pensato di organizzare una piccola festicciola di ringraziamento per mamma e papà» spiegò Fred, con aria soave.


«In onore della loro saggia decisione di farci assistere al prossimo incontro dell’Ordine» proseguì George, lanciando languidi sguardi in direzione dei due genitori.


«Ragazzi, sedetevi e dateci un taglio» disse Molly, lanciando loro un’occhiata obliqua. «Nessuno di noi ha mai detto che avreste potuto partecipare ai prossimi incontri.»


«Siamo maggiorenni, ne abbiamo tutto il diritto!» esclamò Fred. «E poi sappiamo benissimo che ieri tu e papà avete parlato e…»


«Non si origliano le discussioni!» li rimproverò Molly, troncando ogni protesta.


Ron lanciò uno sguardo a Harry. «Sì e io sto ancora aspettando che qualcuno mi ripulisca la faccia…» borbottò.


Arthur levò la bacchetta verso di lui e, in un attimo, la sporcizia scomparve. «Andiamo, Molly, i ragazzi hanno ragione, ne abbiamo parlato anche ieri» intervenne, cercando di ignorare l’occhiataccia scoccatagli dalla moglie. «Dovremmo dare loro la possibilità di assistere alle riunioni.»


«Arthur, Fred e George saranno anche maggiorenni, ma non fanno parte dell’Ordine della Fenice» insistè la donna, mentre serviva la colazione ai ragazzi. «Sai bene cosa comporterebbe la loro adesione alla società segreta di Silente…»


I due coniugi continuarono a discutere sull’argomento, davanti agli sguardi interessati di tutti i ragazzi. Harry, in particolare, trovava affascinante venire a conoscenza di qualche dettaglio in più sull’Ordine, dato che era colui che ne sapeva di meno al riguardo, visto che il suo arrivo a Grimmauld Place risaliva solo a due giorni prima.


Harry era stato ben felice di abbandonare il numero quattro di Privet Drive. Non era solo una questione di solitudine e di nostalgia verso i suoi amici, ma proprio di sopravvivenza psicologica, oltre che fisica. Dal suo ritorno a casa degli zii – dopo il quarto anno – la vita del ragazzo era diventata ancora più infernale e problematica; il senso di colpa verso la morte di Cedric e il ricordo di tutti gli orrori a cui aveva assistito l’anno passato, gli causavano terribili incubi e visioni notturne, che lo portavano a gridare nel cuore della notte e a farsi udire da Dudley e dagli zii.


Innumerevoli volte, Harry si era risvegliato con le lacrime che scendevano inconsciamente lungo le guance livide di paura; aveva cercato di evitare di farsi sentire dai parenti, ma non riusciva sempre a reprimere le urla di terrore e rimorso che emergevano durante il sonno. Di giorno, era quindi costretto a sopportare gli interrogatori e le risa di scherno di zio Vernon e di Dudley, che adoravano deriderlo e minacciarlo di venire alle mani nel caso in cui osasse rispondere o meno alle provocazioni. Al contrario del marito e del figlio, zia Petunia sembrava completamente indifferente verso il nipote, preferendo ignorare ogni sua manifestazione di dolore, tanto quanto i tormenti a cui egli era sottoposto.


Harry cercò di non pensare ai Dursley e a ciò che aveva comportato il fatto di crescere in una famiglia del genere. No, decisamente “famiglia” non era la parola giusta, poiché, pur non avendone mai avuta una, Harry si era fatto una certa idea di cosa volesse dire quella parola che rappresentava tutto ciò che avesse mai desiderato veramente.


Il ragazzo continuò a mangiare in silenzio, la mente affollata di pensieri, tra i quali, di nuovo, erano affiorati quelli riguardanti l’incubo della sera precedente, così diverso dagli altri per qualche aspetto che ancora non riusciva a decifrare del tutto. Mentre rimuginava, avvertì lo sguardo di Sirius su di se e sollevò la testa, distogliendo lo sguardo da ciò che rimaneva delle sue uova, per osservare il proprio padrino chinarsi verso di lui e parlargli.


«Quando hai finito la colazione, raggiungimi di là in soggiorno.»


Harry annuì e cercò di sorridergli, in risposta al suo sguardo incoraggiante; non voleva far preoccupare Sirius più del dovuto. Chissà cosa doveva aver pensato quando l’aveva visto piombare giù dalle scale semi-svenuto. Harry sentì un’improvvisa vampata d’imbarazzo al pensiero di essere caduto in quel modo davanti a Silente, ma soprattutto davanti a Piton. Era certo che alla prima occasione, l’odiato insegnante di Pozioni si sarebbe preso gioco di lui solo per il gusto di metterlo a disagio, proprio come aveva sempre fatto in passato.


Il Ragazzo Che E’ Sopravvissuto si congedò da tavola quando ormai erano rimasti solo Fred e George in compagnia del signore e della signora Weasley, ancora intenti a far valere le proprie ragioni riguardo alla maggiore età dei figli. Senza indugio, si diresse verso il piccolo salotto in cui Sirius l’aspettava e prese posto accanto a lui sul vecchio e consumato divanetto situato al centro della stanza.


«Harry, Silente ha detto che stamattina, sul tardi, sarebbe passato a vedere come stai» gli ricordò tranquillamente Sirius, fissando brevemente la moquette macchiata della stanza prima di guardare il proprio figlioccio. «Come ti senti, campione?»


Harry avrebbe voluto rispondergli con la verità, ovvero che si sentiva tutto all’infuori che un campione. «Mmh… direi ok, insomma… decisamente meglio rispetto a ieri» rispose, cercando di apparire il più sincero possibile, ma considerando seriamente di dover migliorare le proprie doti persuasive.


Sirius non disse nulla per qualche istante, capendo immediatamente che il ragazzo sembrava intenzionato a nascondere le proprie preoccupazioni. «Sai, non abbiamo avuto modo di parlare molto di quanto è successo durante la Terza Prova…» tentò, ma le sue parole furono presto troncate.


«Sirius, è vero quando dico che sto bene» disse istintivamente Harry, senza riuscire a trattenersi dall’interromperlo. «Non sento il bisogno di descrivere nei dettagli cosa è successo quella sera, per cui non sto male al riguardo» provò a suonare convincente, riuscendo un po’ meglio nel suo intento, a differenza di prima.


Sirius non sembrava molto contento della risposta, ma cercò di non darlo a vedere; avrebbe voluto pressare un po’ di più Harry per indurlo a liberarsi dei numerosi pesi che evidentemente portava ancora in petto, ma sembrava tutto più difficile del previsto. Probabilmente avrebbe potuto riprovarci più tardi, ora era il caso di distrarre il ragazzo.


«Va bene, campione, che ne dici di fare una visitina a Beccuccio e poi di dedicarci a un’avvincente partita a Spara Schiocco?» propose con energia, strizzando un occhio in sua direzione e posandogli una mano sulla spalla.


Harry gli sorrise, sapendo che l’intento di Sirius era quello di fargli dimenticare ogni preoccupazione; proprio per questo, il ragazzo non se la sentì di rivelargli che non era dell’umore giusto per giocare, ma accettò di seguirlo fino alla stanza di Fierobecco cercando di apparire il più sereno possibile.


In realtà, la mente di Harry continuava a lavorare senza sosta. Si era dimenticato che la notte scorsa Silente aveva espresso il desiderio di vederlo in mattinata: ciò voleva dire che il Preside reputava importante sapere esattamente cosa fosse successo al momento della caduta. O forse aveva capito che lui, Harry, era venuto a conoscenza di qualche dettaglio riguardo alla conversazione avuta con Piton?


Harry già si immaginava di dover rispondere a tutte le domande del vecchio mago senza avere la possibilità di omettere i dettagli che avrebbe voluto tenere per se. Ricordava bene la strana sensazione che provava quando lo sguardo profondo di Silente sembrava trapassarlo da parte a parte, mettendolo sotto esame.


Probabilmente, continuò a pensare il ragazzo, tetramente, se Silente tiene così tanto a vedermi stamattina è perché quello che è successo ieri notte è più preoccupante di quanto sembra.

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Albus Silente indossava una lunga veste blu cobalto ricoperta di piccole stelle dorate; gli occhialetti a mezzaluna, appollaiati sul naso adunco, scintillarono alla luce verde delle fiamme che precedettero il suo arrivo nel modesto camino del soggiorno di casa Black.


«Harry, mio caro ragazzo.» Il vecchio mago avanzò fino al centro della stanza, prima di prendere posto nella poltrona situata di fronte al divano dove Harry l’aveva atteso. «Come va il braccio?»


Per una frazione di secondo il giovane si chiese a cosa si stesse riferendo Silente, ma poi capì. «Oh, il braccio… Ha smesso di fare male dopo aver preso le pozioni, signore» si riscosse, tastandosi distrattamente l’arto. A dir la verità, si era completamente dimenticato della botta presa quella notte e la totale assenza di dolore o fastidio in mattinata non l’aveva di certo aiutato a ricordare.


«Mi fa piacere sentirlo» disse Silente, con un sorriso sincero, «le pozioni del professor Piton si dimostrano sempre all’altezza del suo nome, d’altronde.»


Harry si chiese in che cosa differissero le pozioni preparate da Piton da quelle di qualunque altro pozionista esperto, ma decise di non indagare. Non che fosse davvero interessato nel saperne di più.


«Ad ogni modo» continuò tranquillamente Silente, «siamo qui per discutere dell’incubo di ieri sera se non sbaglio.» All’espressione allarmata comparsa immediatamente sul viso del ragazzo, l’uomo proseguì, con un piccolo sorriso: «Harry, non devi sentirti in ansia perché pensi che voglia sapere tutti i particolari del tuo sogno; ciò che desidero che tu mi descriva sono le sensazioni che hai provato mentre lo vivevi.»


«Ma professore, credevo che avessimo già parlato ieri sera dell’incubo e che oggi avremmo discusso della cicatrice e di ciò che ho provato quando sono caduto…»


«Ah, la cicatrice, Harry.» Silente sospirò e alzò una mano a mezz’aria per frenare l’obiezione del ragazzo. «Parleremo anche di quello, ma a tempo debito.»


Harry attese in silenzio. C’era qualcosa che non gli tornava; la voce di Silente era calma e serena come sempre, ma i suoi occhi erano privi del solito brillio gioviale e allegro che li caratterizzava. Se quella fosse stata davvero una discussione normale, Harry era certo che Silente avrebbe fatto in modo di tranquillizzarlo con ben più convinzione di così.


«Ciò che mi preme sapere, Harry» proseguì il vecchio mago, come se non avesse mai smesso di parlare, «è se durante l’incubo hai mai sentito, come dire… una sorta di “intrusione” da parte di qualcuno.»


Harry quasi scattò in piedi a quelle parole. Come faceva Silente a sapere? Come aveva fatto a centrare perfettamente il motivo preciso per cui lui era così preoccupato riguardo a quel sogno, quando neppure Harry stesso era stato in grado di capirlo fino a quel momento?


Il ragazzo non riuscì a staccare gli occhi dal volto antico e segnato di Silente per parecchi istanti, con in viso un’espressione chiaramente scioccata. L’altro mago ricambiò, lasciando che il proprio sguardo azzurrino vagasse sui giovani tratti di Harry fino a concentrarsi esclusivamente sui suoi occhi verdi.


Il giovane si rese conto che il Preside attendeva una sua risposta, nonostante sospettasse che Silente – grazie al suo sguardo perforante – fosse in grado di ottenerla da solo.


«Io…» esordì, incerto, «… ho sentito una voce mentre parlavo con Sirius, nel sonno. Era Voldemort, lo so, ma se all’inizio era sembrata solo un sussurro, man mano si è trasformata in qualcosa di sempre più concreto e reale… esattamente come la risata che ho udito tramite la cicatrice prima di cadere dalle scale. Era… era nella mia testa, professore» proseguì Harry, concitato, realizzando solo in quel momento quanto disgusto provasse a quel pensiero.


Silente sospirò e fece completamente aderire la schiena alla poltrona su cui era seduto, rilassandosi contro di essa. «Come sospettavo» mormorò a bassa voce, senza staccare gli occhi da Harry.

Al giovane parve che, tuttavia, il vecchio mago non lo stesse vedendo veramente e provò un piccolo moto di irritazione. «Cosa sospettava, professore?» domandò, sempre più teso, mentre stringeva nervosamente le mani intorno alle ginocchia, spingendosi verso il bordo del divano.


Era ansioso di scoprire la verità. Silente sapeva. Sapeva qualcosa che Harry ancora ignorava, ma che era certo riguardasse lui. Lui… e Voldemort.


Dopo quella che parve un’eternità, Silente si decise a parlare. «Harry… come penso che anche tu avrai notato, questo sogno è ben diverso da tutti gli altri che hai avuto in passato e di cui abbiamo già discusso; da quello che ho capito, Voldemort sembrerebbe interessato a comunicarti attraverso la cicatrice, probabilmente per spaventarti. Temo che non abbia ancora capito che tu sei addirittura più “avanti” di lui col passo – come si dice tra voi ragazzi – visto che sei addirittura in grado di percepire i suoi stati d’animo e di vedere attraverso i suoi occhi.»


Harry sbatté le palpebre più volte, come se fosse certo di aver capito male. Voldemort vuole comunicare con me attraverso la cicatrice? Avvertì improvvisamente una morsa gelida asserragliargli il petto, mentre la paura minacciava di sopraffarlo. No… pensò, sforzandosi di suonare sicuro, … Silente avrà una soluzione, ha sempre una soluzione a tutto…


«Prima che Voldemort si accorga della reale potenzialità della cicatrice, Harry, dovremo fare in modo di bloccare la tua mente a ogni suo tentativo di intrusione e a qualsiasi visione che provi a manifestarsi a te» proseguì Silente, cauto nella scelta delle parole.


«Professore, ma come…?»


«E’ giunto il momento che tu apprenda la difficile e sfuggente arte dell’Occlumanzia.» Silente non disse nulla per qualche secondo, godendosi l’effetto sortito su Harry, il quale lo fissava ora a occhi sgranati e con in volto un’espressione a metà tra l’affascinato e lo sgomento. Trasse un profondo respiro prima di continuare: «E conosco una sola persona in grado di impartirti un simile insegnamento.»

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