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Autore: Alkimia    20/12/2011    0 recensioni
E se Christine si innamorasse di Erik fin dall'inizio? E se i direttori del teatro assoldassero qualcuno per indagare sul Fantasma dell'Opera e stanarlo? E se, per tutti, le cose si rivelassero ancora più complicate di quanto sembrano?... Non sono una grande fan della coppia Erik/Christine, ma mi sono sempre chiesta se le cose potevano andare diversamente, questa è la risposta che mi sono data.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ringrazio Dance per avermi segnalato che questo capitolo era mancante. Lo avevo postato all'epoca, ma non so come si era cancellato (forse un mio errore, forse un errore del server...). In ogni caso lo reinserisco oggi (20\12\2011) riveduto e corretto. 

CAPITOLO VENTESIMO
Nuvole basse

Erano trascorse due settimane di quella che sembrava essere calma piatta. La calma apparente di sabbie mobili pronte a risucchiare il suo mondo.
Erik aveva sentito le ore, i giorni scivolargli via dalle mani come acqua mentre disponeva tutto per la sua ribalta e spiava cautamente i preparativi per la messa in scena della sua opera che i direttori avevano cominciato ad allestire, seguendo con estrema precisione le sue indicazioni. I sarti stavano realizzando i costumi secondo i modelli che aveva fatto recapitare ad Andrè e Firmin, gli scenografi stavano costruendo le scenografie che lui aveva personalmente disegnato: un inferno di cartapesta, specchi e legno.
Lo spettacolo sarebbe stato pronto entro un mese ma i direttori non avevano ancora deciso quando proporlo al pubblico. L'ombra scura che i tragici avvenimenti di Capodanno avevano gettato sul teatro sembrava ancora avvolgere l'Opera Populaire quasi sbiadendo la luminosità dei suo stucchi, rovinando la seta dei suoi tendaggi e lo splendore dei suoi marmi.
Il Fantasma dell'Opera aveva deciso e organizzato ogni cosa nei minimi dettagli, ma non sapeva ancora cosa avrebbe fatto dopo. Non si era mai dato troppa ansia per il suo futuro, ma quella mattina, osservando Christine che riposava tranquilla, avvolta tra le lenzuola, si ritrovò a pensare che doveva cominciare a costruire tutte le certezze che non aveva mai avuto. Avrebbe voluto vederla sempre così, serena, placida e meravigliosamente sua...
La fanciulla si mosse senza svegliarsi, girandosi su un fianco e cercando nel sonno l'uomo che non era più steso accanto a lei.
Erik scrisse rapidamente un biglietto per i due impresari, ordinando perentoriamente che uno dei violinisti dell'orchestra venisse sostituito perché troppo vecchio.
Nel frattempo Christine si svegliò, rimase qualche minuto a letto crogiolandosi nelle sensazione piacevole del caldo sotto le coperte e del profumo delle erbe aromatiche lasciate a bruciare nel braciere sul pavimento di pietra, poi si alzò avvolgendosi in una vestaglia.
Erano bastati pochi giorni perché l'intesa tra lei e Erik divenisse perfetta, tanto da non provare più alcun imbarazzo, alcuna ritrosia, alcuna incertezza: la perfezione che hanno tutti gli amori appena nati, destinata a consolidarsi o a sfumare con il tempo. Ma per loro quell'amore sembrava essere l'unico destino possibile da vivere, anche se il loro orizzonte era denso di nuvole basse e di miraggi che avrebbero richiesto enormi sforzi per essere tramutati in realtà.
La ragazza raggiunse Erik chino sul suo scrittoio. Lui non l'aveva messa a parte dei suoi piani, non di ogni cosa almeno, perché se lei avesse saputo cosa davvero stava tramando non lo avrebbe assecondato in quella che certamente le sarebbe sembrata una pazzia troppo rischiosa.
L'uomo le cinse la vita esile con un braccio e la strinse a sé appoggiando il capo sul suo petto, la ragazza gli accarezzò i capelli e sospirò,
«Devo andare...» disse in tono triste. Lui non rispose, lo sapeva già.
Ci sono sogni contemplati con così tanto ardore, con così tanta insistenza da sembrare delle vere e proprie premonizioni. Ogni volta che lei lo lasciava per tornare ai piani superiori, Erik immaginava un futuro in cui avrebbero avuto una casa, una famiglia, una vita propria da costruire. E ci pensava così intensamente da credere che il sogno si sarebbe avverato già il mattino seguente. Ma ogni giorno rotolava pigro verso un domani sempre uguale, spingendo la felicità completa sempre un po' più lontano della sua portata.
«Domani andrà meglio...» pensò l'uomo, anche quella mattina.

*

La corda tirata troppo a lungo si era spezzata.

No, non adesso, maledizione!

Madame Giry prese un grande respiro e si impose di continuare a camminare. Si tastò il petto tracciando con la punta del dito la forma del crocifisso del rosario di perle che portava all'interno del corsetto: Dio non poteva abbandonarla proprio ora.
Si appoggiò al muro e continuò a mandare faticosamente un piede avanti all'altro.

Devo solo stendermi. Devo solo riposare.

Mancavano pochi metri per raggiungere la porta della sua stanza eppure il corridoio sembrò dilatarsi davanti ai suoi occhi mentre la vista le si appannava. Fece ancora qualche passo sempre più traballante su gambe sempre più malferme.
Un'improvvisa vampata di calore le salì dal petto al volto con una scia di rossore che si stendeva dalla scollatura del corsetto fin sopra alle gote che un attimo dopo sbiancarono di colpo.
Le ginocchia le cedettero come cardini troppo usurati e lei non sentì altro che il ronzio del suo respiro affannato nelle orecchie mentre cadeva sul pavimento. Poi fu solo il buio, lampi strani che fluttuavano dietro le sue palpebre serrate e poco dopo la voce lontana, lontanissima, di una ballerina che la chiamava in tono agitato. La sua mente rispose, i suoi pensieri dissero che andava tutto bene, ma le parole non presero forma sulle sue labbra smunte, il suo corpo non si mosse, rigido e inerme sul pavimento.

*

Christine cercava di scacciare la preoccupazione del futuro beandosi della gioia del presente, del profumo di Erik sulla sua pelle, del ricordo della notte appena trascorsa tra le sue braccia. Ogni mattina, molto presto, sgusciava via dalla Dimora sul Lago e tornava nei suoi alloggi. Nessuno se ne era mai accorto, persino Bertrand ormai aveva smesso di darle il tormento visto che con quell'ultima recita nell'ufficio dei direttori si era guadagnata l'approvazione di quell'uomo tanto detestabile che aveva smesso di sospettare di lei.
Alexandre invece le era parso inquieto e ansioso. In quelle due settimane le aveva chiesto più volte di fargli incontrare Erik ma lei si era sempre rifiutata. Temeva che lui avrebbe potuto considerarlo un tradimento, un azzardo troppo grande e troppo rischioso per la sua sicurezza, e allo stesso tempo temeva che vedendoli insieme non sarebbe più stata in grado di mantenere il segreto che ancora non poteva essere rivelato. Quel segreto al quale cercava di non pensare perché per il suo giovane cuore diventava più pesante e spinoso giorno dopo giorno.
La fanciulla raggiunse la sua stanza e sgattaiolò prudentemente dentro, fece una rapida toiletta e pensò che avrebbe potuto riposare ancora un paio d'ore.
Si era appena sistemata i capelli quando qualcuno bussò violentemente alla sua porta,
«Christine! Apri, Christine!» esclamò la voce sottile e agitata che la fanciulla riconobbe essere quella di Cloudine, una sua compagna del collegio. Le aprì la porta e la scrutò perplessa,
«Cosa c'è?» le chiese preoccupata notando che il viso lentigginoso della sua coetanea era arrossato per l'agitazione e gli occhi erano lucidi di pianto.
«Meg mi ha chiesto di chiamarti...» spiegò la ballerina concitata. «Madame Giry... ha avuto un malore, poco fa... non si è ancora ripresa».
Christine sussultò. La notizia fu come uno schiaffo in pieno viso per lei. Si precipitò fuori dalla stanza insieme alla sua compagna e corse agitata verso la stanza di Eloise.
Aprì la porta con una spinta sgraziata e vide la donna esanime stesa nel suo letto, con Meg seduta al suo capezzale che tentava disperatamente di trattenere le lacrime mentre era circondata dalle altre ballerine che cercavano di rincuorarla con frasi di circostanza mormorate a mezza voce.
La fanciulla bionda teneva il capo sollevato, le spalle ritte contro lo schienale della sedia, nella stessa posa dignitosa e sicura propria di sua madre. Anche in quel momento era chiaro quanto si somigliassero, quanto fossero entrambe forti e decise, pronte ad affrontare il mondo a testa alta anche nei momenti più difficili.
Eloise era sempre stata una specie di roccia a cui tutti si erano aggrappati nei nei loro momenti peggiori, e adesso vederla in quel letto fu per Christine un vero colpo al cuore. Una certezza che credeva essere dura come il diamante si era infranta come un cristallo che aveva rivelato tutta la sua fragilità e il mondo della giovane sembrò vacillare davanti a quella scoperta: nessuno è invincibile.
La fanciulla abbracciò Meg e le fece posare la testa sulla sua spalla. Anche se non erano consanguinee, le due giovani erano come sorelle, entrambe legate a quella donna dallo stesso immenso e incondizionato affetto filiale.
«Abbiamo già mandato a chiamare il dottore,» disse la ragazza bionda con la voce incerta per il pianto che minacciava di tracimare oltre i suoi begli occhi nocciola, «ma tu... dov'eri? È un bel po' che non riuscivano a trovarti»,
Christine si morse il labbro sentendosi colpevole ed egoista. Così presa dal suo mondo e dalle sue nuove esperienze sembrava essersi dimenticata degli altri. Si rimproverò di non essere stata abbastanza attenta da notare quanto la stanchezza e le preoccupazioni avevano provato l'anima forte di Eloise che infine era giunta al limite e aveva ceduto.
Il dottore giunse dopo una decina di minuti, fece annusare alla donna il contenuto di un fiala e lei sollevò debolmente le palpebre, riacquistando con lentezza coscienza del mondo attorno a sé, della sua stanza, del volto di Christine chino su di lei, della mano tremante di sua figlia stretta attorno alla sua.
«È stato un collasso» concluse il dottore. «Niente di cui preoccuparsi, ma deve stare a riposo per i prossimi giorni. Cercate di tenerla lontana da affanni e preoccupazioni, un altro colpo del genere potrebbe non essere così innocuo»
«Toccherà legarla al letto!» borbottò Meg pensando al carattere ostinato di sua madre, alla stessa testardaggine che faceva parte anche del suo modo di essere.
«Staremo molto attente» rispose Christine ringraziando il medico e accompagnandolo verso l'uscita.
Per quel giorno Eloise rimase a letto. Mangiò poco e non disse nulla, ma dietro ai suoi occhi stanchi si celavano un'infinità di pensieri che avrebbero continuato a strapazzarle il cuore finché tutti i problemi che circondavano lei e le persone che le stavano care non si sarebbero appianate.

*

Quella notte Christine non andò a far visita a Erik. Si incontrarono furtivamente nel pomeriggio, mentre lei tornava dalla sartoria dove era stata a farsi prendere le misure per il costume che avrebbe dovuto indossare per il Don Juan Trionfante. Lei gli aveva raccontato cosa era accaduto quella mattina ad Eloise e gli aveva detto che quella notte sarebbe rimasta a vegliare su di lei per permettere a Meg di riposare e di riprendersi dallo spavento.
Durante il pomeriggio Alexandre e Raoul erano stati a far visita a Madame Giry per informarsi della sua salute, poi erano tornati ad occuparsi ognuno dei loro affari.
Con il Fantasma dell'Opera che pareva essersi rabbonito e con Eloise allettata, il teatro sembrava essere una grossa carcassa di marmo e velluto priva di anima, anche se nessuno sembrava disposto ad ammetterlo.

La mattina seguente Christine lasciò la stanza di Eloise che aveva riposato tranquillamente tutta la notte e che aveva riacquistato colorito.
La fanciulla si recò nella sua camera e si vestì per uscire. Indossò un pesante mantello di seta scura e prese un mazzo di fiori che qualcuno aveva lasciato in un vaso, dopodiché scese nelle stalle.
In mezzo a tutto quel trambusto si erano tutti dimenticati che quello era il giorno del suo compleanno.
La giovane pagò un cocchiere con una manciata di monete mentre il sole non ancora del tutto sorto colorava il cielo di Parigi di riflessi rosati nascosti da una fitta foschia.
«Alla tomba di mio padre, per favore» disse la ragazza salendo sul calesse e stringendosi un po' più forte nel mantello per proteggersi dal freddo pungente.
La strada di campagna che portava al cimitero poco fuori il centro cittadino era piena di pozzanghere e sterpaglie ricoperte di brina. La foschia serpeggiava sulla ghiaia dando l'impressione che che ogni cosa fosse sospesa da terra, persino il calesse di legno lucido e nero sembrava fluttuare percorrendo sentieri immaginari nell'aria.
Il cocchiere si fermò davanti a un grande cancello di ferro arrugginito.
«Vi aspetto sotto a quegli alberi, mademoiselle» disse mentre la ragazza scendeva, poi si allontanò   con le ruote che cigolavano sulla ciottolato.
Christine percorse le vie delimitate da lapidi e monumenti funebri pensando che al mondo esistevano anime troppo luminose e colorate per riposare in un posto tanto tetro. Suo padre era una di queste.
Il mausoleo dove riposava Gustave Daae era una costruzione squadrata di mattoni con il tetto a spiovente, chiusa da una grata di ferro battuto e preceduta da una scalinata di pietra. Era privo di statue e ornamenti, solo una scritta con il cognome del musicista in lettere in bassorilievo campeggiava sulla facciata spoglia.    
Christine mise i fiori in un vaso che appoggiò davanti al cancello e si inginocchiò a terra a pregare.
Pregò così intensamente da non sentire il tempo trascorrere e il freddo quasi la stordì avvolgendola in un bozzolo che sembrava tenerla separata dal mondo.
Fu solo quando sentì il suono di un violino che la giovane si scosse. Non riuscì a individuare il punto da cui proveniva la musica, per un attimo pensò persino di essersi suggestionata. Chi poteva mai essere lì nascosto a suonare per lei?

Erik...

«Erik...» mormorò la giovane mentre sulle sue labbra affiorava un sorriso intenerito.
Il suo Angelo della Musica, il suo più caro amico e il suo unico amore era lì a suonare per lei la musica di suo padre: non avrebbe potuto ricevere regalo di compleanno più bello.
Non voleva nemmeno che lui si mostrasse, voleva che le lasciasse l'illusione che quella musica fosse una magia scesa dal cielo solo per lei.
La fanciulla chiuse gli occhi rapita da quella melodia, dalle sensazioni dolci che le suscitava, ma all'improvviso una voce tuonò tra la nebbia strappandola a quella magia,
«Christine!» qualcuno gridò il suo nome e la musica cessò di colpo.
La ragazza sobbalzò e si voltò per vedere Alexandre che avanzava rapido verso di lei. Quasi non fece in tempo a riconoscerlo che una figura ammantata di nero si calò giù dal tetto della cappella e le piombò davanti nascondendole la sagoma del giornalista che stava per raggiungerla.
Christine riconobbe il profilo di Erik in piedi, di spalle davanti a lei che sguainava una spada con un ruggito rabbioso.
«No...» mormorò la ragazza talmente colta di sorpresa da non riuscire a muoversi.
«Maledetto ficcanaso» sibilò Erik mentre il vento freddo gli gonfiava il mantello.
La giovane si sporse appena oltre la sua spalla per vedere che Alexandre si era fermato ai piedi della scalinata,
«Aspettate» disse guardando il Fantasma con aria ferma ma conciliante. «Voglio solo parlarvi. Non siete così crudele da combattere contro un uomo disarmato, vero Erik?».
Il Fantasma vacillò. Gli faceva sempre uno strano effetto sentir pronunciare il suo nome da qualcuno tanto era disabituato ad ascoltarlo. Sentirsi chiamare per nome da qualcuno gli dava l'illusione di essere parte del mondo come qualsiasi uomo normale, tuttavia si chiese come faceva quel ragazzo a sapere come si chiama e si voltò verso Christine guardandola stupito e leggermente contrariato.
«Erik, ti prego...» sussurrò lei.
«Cosa vuoi?» borbottò verso il ragazzo senza che la sua espressione minacciosa si addolcisse e senza abbassare la spada.
Alexandre si tenne cautamente a distanza, tuttavia lo guardò diritto negli occhi.
«Voglio sapere cosa state architettando» disse.
«Ero convinto che tu fossi coraggioso ragazzo, ma adesso devo dedurre che sei completamente pazzo» rispose l'altro.
«Forse, ma non sono l'unico» replicò il giornalista con una nota di velata ironia nella voce.
Erik restò a guardarlo incredulo. Era davvero coraggioso e sprezzante. Ed era stato onesto, in un certo senso: avrebbe potuto portarsi dietro Bertrand o dei gendarmi ma non lo aveva fatto. Era stato onesto o forse incauto perché, se non fosse stato per Christine, Erik lo avrebbe ucciso senza pensarci nemmeno un attimo. Quel ragazzo lo metteva a disagio, il disagio di un cuore che ha vissuto la sua intera esistenza nella paura e si ritrova davanti a uno spirito capace di non lasciarsi intimorire. Perché Alexandre aveva avuto paura, ma non aveva mai permesso che la paura lo allontanasse dai suoi scopi.
«Quali che siano le mie intenzioni, non ti riguardano» concluse il Fantasma abbassando la guardia mentre Christine tratteneva il respiro.
«Perché siete così convinto che al mondo non c'è nessuno che possa comprendervi?» insistette Alexandre.
«Proprio tu me lo chiedi? Tu che mi stai braccando come un cane in casa mia!» esclamò Erik.
«Io sto solo cercando la verità»
«La verità? Ah, per voi altri la verità è solo ciò che volete vedere. È facile gridare al mostro quando  qualcuno non vede le stesse cose che vede la gente»
«Voi non siete un mostro». Il ragazzo scandì la frase lentamente, contro il vento gelido e contro lo sguardo del suo interlocutore fermo nel suo.
«Se lo credi davvero, Alexandre, lasciami in pace. Lo dico per il tuo bene» concluse il Fantasma con la voce incrinata dallo stupore che cercava di non far trapelare.
I due rimasero a fissarsi per lunghi secondi, come a tentare di scandagliare l'uno i pensieri dell'altro per tentare di capire quale strana alchimia li faceva sentire così vicini nonostante fossero nemici, poi Christine avanzò timidamente accanto a Erik e gli posò la mano sul braccio.
«Forse dovresti ascoltarlo» gli mormorò. «Provare a fidarti di lui. Lui è...»
«Che cosa?»
«È una brava persona».
Erik sospirò e scese le scale rinfoderando la spada. Si fermò accanto al ragazzo e si voltò a guardarlo,
«L'unica verità è che voglio vivere la mia vita, Alexandre» dichiarò con voce ferma. «E sono disposto a tutto per riuscirci».
Ciò detto il Fantasma si allontanò a grandi passi, il suo mantello continuò a frusciare tra il nevischio e la nebbia mentre la sua imponente figura veniva avvolta dalla foschia per poi sparire come se la sua presenza fosse stata solo l'illusione di pochi minuti.  
   
 
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