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Autore: Ireland s sky    09/04/2004    3 recensioni
Trivia é stata sconfitta, questo é vero, ma qualcosa sembra agitarsi nelle membra di Gaya. Una forza incredibile, che solo degli eletti scelti prima della loro nascita possono contrastare. Ma chi sono? Esistono realmente? Un sequel dedicato al capitolo più magico di FF.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO II

ovvero

LA DONNA D’ACQUA

 

Midi: Bittersweet_romance

L’idrovolante atterrò lentamente sui prati che circondavano la vicina città di Alexandria, di cui si vedeva già da lontano la spada di cristallo spezzata, cicatrice dell’attacco di Bahamurth di qualche mese fa.

Daga continuava a provare un senso di colpa guardandola, anche se sapeva di aver fatto il possibile per proteggere il suo regno. Non aveva più rimpianti di quando aveva invocato assieme ad Eiko Alexander, lo spirito supremo. Dopotutto la sua stessa reggia l’aveva guidata sulla sommità della torre più alta, per proteggere Alexandria. E si vede che il monile di sua madre aveva risposto al desiderio di difendere la città ed i suoi abitanti dal drago. Istintivamente portò la mano al collo. Poi si ricordò che il ciondolo non esisteva più. Ci rimase male. Insieme alla melodia che cantava sempre, il gioiello ancestrale era uno dei suoi pochi ricordi di quando era piccola. Lo teneva sempre con sé…

Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dalla voce di Cid:

- Bene, cara - disse dirigendosi verso di lei. - non possiamo avvicinarci di più. Credo che ora possiate scendere.

- Grazie mille per il passaggio Cid - disse Garnet sorridendogli. - E per tutto quello che hai fatto per noi.

- Di niente figurati. E’ stato un vero piacere. - Si avvicinò a lei, le mise una mano sulla spalla e sussurrò piano, in modo che potesse sentirlo solo Garnet. - Non demoralizzarti mai. Sono sicuro che quel ragazzo tornerà molto, molto presto. E mi raccomando - disse con aria complice. - tieni d’occhio quel terremoto di una bambina.

- Chi? Eiko? - disse Daga cominciando a ridere. - Tranquillo. Me ne occupo io.

- Va bene. Allora abbia cura di te.

I due si abbracciarono. Poi Garnet scese le scalette e si diresse con tutti gli altri verso le mura. Dopo quello che era successo, aveva deciso di ospitarli tutti da lei per un po’ di tempo. Del resto nessuno se l’era sentita di tornare alle proprie case. Per chi ne avesse ancora una naturalmente. Vivi aveva espresso il desiderio di tornare nella caverna di suo nonno Quan, ma anche lui, come Eiko, erano stati sconvolti sia dall’addio di Gidan che dal terremoto di Madain Sari. Per questo Daga aveva deciso che avrebbero passato almeno qualche giorno da lei, giusto il tempo per riprendersi. Nessuno dei due si era opposto. Amarant non aveva nessun posto dove tornare. Se mai ne avesse avuto uno. Freija non aveva parlato per tutto il viaggio dopo che era saltato fuori quell’argomento. E Quina doveva ancora gustare le specialità di Alexandria. L’unico veramente felice di essere ritornato ad Alexandria, oltre a lei, pareva Steiner. E già si immaginava perché.

Una volta entrati in città, Garnet fu acclamata da tutta la popolazione, che aspettava con ansia il suo ritorno. C’era chi lanciava fiori, chi esultava, chi cantava in onore della regina salvatrice e dei coraggiosi eroi che avevano sconfitto la minaccia su Gaya. Tutti battevano le mani, con negli occhi una insperata gioia. Daga trattenne a stento le lacrime. Non era lei che dovevano applaudire. Ma il ragazzo di Linblum, no anzi, di Tera, che aveva dato tutto sé stesso per proteggere quello che era diventato il *suo* mondo, i *suoi* amici, la *sua* patria. Un giorno di questi l’avrebbe annunciato al suo popolo. Ma ora vedeva che anche gli altri erano nella sua stessa situazione. Si fece scortare con loro nel palazzo dalle guardie che cercavano di trattenere la folla in festa. Una volta al sicuro dalle acclamazioni della gente, Garnet portò tutti negli appartamenti reali. Entrarono nella sua camera. Presero posto nella grande stanza. E rimasero lì, in silenzio, senza parlare. Ognuno stava pensando a tutto quello che era successo in quelle ultime ore. L’orrore delle grida sul Colle della Disperazione, la gioia di aver sconfitto Trivia, la decisione del loro amico più caro ed la distruzione della città sacra agli sciamani. Troppe cose tutte in una sola volta. Poi, Quina ruppe il silenzio:

- Allora! Ce facemo ‘sta magnata che v’avevo promesso?

- Cos’è, cucini tu? Ma se sei brava solo a mangiare.

- Sempre cortese con gli altri, eh Amarant?- disse Eiko.

Quei due non riuscivano ad andare mai d’accordo.

Ma fortunatamente il silenzio non tornò più sulla combriccola. Dopo questo piccolo battibecco, Quina portò tutti in cucina. E, non si sa come, riuscì perfino a far cucinare qualcosa ad ognuno, pure a Steiner, che aveva ancora indosso l’armatura. Il pomeriggio volò via in un attimo. E dopo aver mangiato quello che avevano preparato insieme, Daga indicò loro le stanze in cui avrebbero passato la notte. Si salutarono e poi ognuno se ne andò nella propria camera. Forse tutto poteva ritornare alla normalità? Forse sì.

Midi: One_Winged_Angel (fate partire il midi quando vedete il carattere in simboli)

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Io non sono nato a Gaya!

E forse sono stato io stesso a distruggere Alexandria!

Come posso continuare a stare con voi?>>

Daga cercava di prendere sonno. Impresa quanto mai impossibile. Era molto tardi, almeno per lei. Di solito si addormentava come un sasso appena metteva la testa sul cuscino. Invece stasera non riusciva a chiudere occhio. Non era stanca. Solo che…ogni volta che chiudeva gli occhi *lo* rivedeva…riascoltava le *sue* parole…rivedeva i *suoi* sorrisi…e…non se la sentiva di sognare. Fu l’unica spiegazione che riuscì a dare, anche se era piuttosto stupida. Scese dal soffice letto a baldacchino e si avvicinò alla finestra. La aprì, come aveva fatto il giorno del suo sedicesimo compleanno. Le leggere tende di seta si mossero quando la brezza passò loro accanto. Era l’ultimo giorno d’estate. Da domani sarebbe cominciato a soffiare il gelido vento dell’autunno. Tutto sarebbe morto. Gli alberi si stavano già spogliando delle loro chiome di smeraldo, i fiori stavano appassendo…Che triste paesaggio. L’unica cosa che pareva ancora viva era il lago. Là, proprio al centro, si poteva distinguere la piattaforma dove c’era la tomba di sua madre. Era illuminata dai raggi pallidi della Luna, che creava delle sfumature argentee sulla fredda lapide di marmo. Daga tenne lo sguardo fisso per qualche altro secondo. Poi, senza pensarci, si mise la tuta arancione che usava in battaglia, gli stivali rossi, ed uscì. Voleva andare a visitarla. Prese con sé anche l’asta. Così poteva fare visita ad un po’ di mostri vicino alle mura. Scese le scale con cautela, evitando di svegliare le guardie Plutò addormentate all’ingresso. Una volta fuori, si diresse verso la barchetta ormeggiata vicino alla riva. La soldatessa che la guidava era già andata a dormire. Così Daga salì sull’imbarcazione, prese il lungo remo, e pilotò il mezzo fino ad arrivare nei pressi della tomba. Fortunatamente si era fatta insegnare come navigare una barchetta come quella, altrimenti si sarebbe trovata nei guai. Finalmente arrivò a destinazione. Scese e salì i pochi scalini che la separavano dalla lastra di marmo bianco. I piccoli fiori che erano piantati ai lati della stradina si erano chiusi in sé stessi, per dormire l’ultimo sonno della loro breve vita. Presto il gelo li avrebbe uccisi, lasciando al loro posto solo uno stelo bianco e grigio, che presto la neve avrebbe coperto. Una foglia cadde dal ramo di un albero. Si posò lieve sul pavimento biancastro della tomba. Garnet teneva gli occhi bassi. Una volta superato l’ultimo gradino si fermò e alzò lo sguardo. Ma davanti a lei non c’era la lapide. Ma una strana figura, che le dava di spalle. Era una donna, si vedeva dai lunghi capelli azzurri che le arrivavano fino a terra. Erano raccolti verso la fine da un nastro, azzurro anch’esso. Indossava uno strano copricapo, blu scuro, con delle striature argentate. Anche il suo abito lungo era dello stesso colore. La donna osservava ferma la lastra, e sembrava che non si fosse accorta della presenza di Daga. Garnet stava quasi per rivolgerle la parola, quando questa cominciò a sussurrare delle parole, in una lingua che lei non conosceva.

 

Passa la vita,

leggera tra le ali del vento,

morte e vita,

capi di una sola stirpe,

aprite la mia vista al futuro.

(Cosa?)

Daga cominciava a sentire un freddo improvviso che le faceva venire i brividi in tutto il corpo.

- Ehi, che stai facendo? - chiese con un po’ di paura. Non sapeva perché, ma qualcosa in quella figura non era normale.

La donna smise di parlare. Si girò verso la principessa. Sembrava una semplice donna di circa 20 anni, solo che…i suoi occhi…erano…bianchi.

Daga indietreggiò, tenendo stretta l’asta.

- Chi, chi sei tu? Che sei venuta a fare alla tomba di mia madre?!

La voce le tremava. La misteriosa figura continuò a fissarla, poi si volse di nuovo verso la tomba.

<< Non sei tu la prescelta.>>

- Eh?! C-che stai dicendo?

<>

E così dicendo, una sfera luminosa e azzurra le nacque dalla mano. La puntò verso Daga.

- Come?!

La sfera si staccò. E colpì Daga in pieno. L’urto provocato la fece cadere all’indietro. Cadde sugli scalini, rimanendo poi esamine a terra. L’asta le scivolò lontano.

La donna scese con calma gli scalini e superò il corpo di Daga.

(Che…che cosa vuole fare?)

Daga alzò lentamente lo sguardo dalla piattaforma di marmo. Vide che la donna si stava dirigendo verso il castello…solo che non con la barca!

(Sta…sta camminando…sull’acqua!)

Avanzava sicura, come se al posto del lago ci fosse la terra ferma.

Era già arrivata al molo.

(Non dirmi che…!)

- FERMATI!- gridò Garnet prendendo in mano l’asta- Leviathan, vieni in mio soccorso, conducimi più veloce che puoi al castello.

Il drago comparve dalle profondità del lago, tra gli spruzzi freddi dell’acqua. Fece salire sul proprio corpo la sua padrona e si diresse al molo. Quella donna non si vedeva già più. Daga scese dalla groppa dell’Eidolon.

- Grazie Leviathan. Torna pure nel tuo mondo.

Detto questo il serpente sparì così com’era venuto. La principessa entrò nel castello. Le guardie Plutò erano a terra, esamini, ma fortunatamente erano ancora tutte vive.

(E adesso dov’è andata?)
La reggia era troppo grande. Poteva essere ovunque. Ma poi Daga guardò il pavimento. C’erano pozze d’acqua sugli scalini, che conducevano verso la parte est del castello.

- DANNAZIONE!

Garnet salì più veloce che poteva le scale, e seguì le orme d’acqua, anche se sapeva dove portavano.

Una volta arrivata nelle vicinanze delle camere degli ospiti, la potè vedere.

Camminava lentamente per il corridoio, osservando attentamente le porte che portavano alle tante camere. Il suo sguardo si posava con cura su ognuna. Sembrava che cercasse qualcosa. E a quanto pareva non sia era accorta ancora una volta della presenza di Daga. O forse sì. In ogni caso non la prendeva in considerazione.

All’improvviso la donna di fermò. Guardò la porta scarlatta alla sua sinistra. E la sua bocca si aprì in un sorriso. Avvicinò tremante la mano alla maniglia. Ma prima che lei potesse sfiorarla, Daga impugnò l’asta con tutte e due le mani ed urlò:

- Tu! Che cosa stai cercando?!

La donna si fermò. Si voltò verso la principessa. Il sorriso era sparito. La squadrò per un secondo.

<>

Ancora una volta la palla d’acqua prese forma sulla sua mano, e la scagliò contro Daga. Ma questa fu più veloce, e la schivò.

- Le tue magie funzionano una sola volta! SILENCE!

L’attacco magico non partì, la donna aveva fermato la magia con un solo dito.

- Come?!

Daga rimase senza parole.

Ma prima che se ne rendesse conto, fu colpita allo stomaco: un’altra sfera aveva fatto centro. E pensare che non aveva fatto in tempo neanche a vederla. Poi cadde svenuta.

<>- disse la donna guardando la porta chiusa vicino a lei -<>.

Senza che la porta venisse toccata da lei, questa si aprì.

Midi: Interruped_by_fireworks

Neanche Eiko riusciva a prendere sonno quella sera. E dopo essersi rigirata più e più volte nel letto, era uscita sul balcone della sua cameretta e si era messa a guardare in silenzio il cielo notturno, cercando di comporre delle immagini con le stelle scintillanti, che brillavano come diamanti in quella ultima sera d’estate. Si ricordava ancora delle storie che suo nonno le raccontava quando era piccolina sulle stelle e la loro nascita.

(Come si divertiva a narrarmele…Diceva che…)

“All’inizio dei tempi gli sciamani vivevano in piccoli gruppi sparsi per tutto il mondo. Erano tribù nomadi di circa una ventina di persone l’una e raramente queste si incontravano durante i loro vagabondaggi per la Terra. Non si vedevano con i membri delle altre tribù che una volta massimo nella vita. Gli antichi sciamani passavano la notte in caverne buie, ed antri oscuri, dove la debole luce della Luna non poteva entrare. Avevano paura del nero delle tenebre, e non uscivano mai dai loro rifugi fino allo spuntare dell’alba. Di giorno pensavano solo a sopravvivere e ad parlare con gli spiriti e per certi versi questa vita a loro piaceva. Ma quando scendeva la sera, tutti sentivano il bisogno di stare vicini gli uni agli altri, per non avere paura dei mostri e dell’oscurità che li avvolgeva. Nonostante questo, gli sciamani si sentivano sempre soli, e pregavano gli spiriti che proteggessero sempre i membri delle altre tribù. La Luna vedeva la loro sofferenza, e anche lei si mise a pregare, ed una sera dal suo volto argentato cominciarono a cadere delle gocce splendenti, che si posarono sulla Terra. Cadevano dappertutto, ed erano tante, tante quante le tribù degli sciamani. Quelle lacrime brillavano a miglia e miglia di distanza. Allora gli sciamani decisero di raccogliere quelle gemme scintillanti, in ricordo del pianto lunare. E cosa successe quando quella notte le lacrime di Luna furono portate fuori dalle caverne? Tutta la Terra si illuminò a giorno, ovunque vi erano luci argentate! Era uno spettacolo meraviglioso. E finalmente tutti i gruppi di sciamani si sentirono vicini, l’uno all’altro, anche gente che dall’altro capo del mondo, vedendo quella luci sfavillanti si sentiva più sicuro. Quando gli sciamani si riunirono tutti nella grande comunità che fondò Madain Sari, le lacrime si alzarono al cielo e ritornarono dalla Luna, che le accolse nel suo cielo. Vennero chiamate stelle, che nella lingua antica significa “Fuoco Bianco”. Sono i bivacchi del cielo, Eiko!”

(Lo so nonno. Anche tu sei vicino ad una stella ora? E mi vedi nonno?)

Eiko continuava a scrutare il manto stellato, ma la testa cominciava a girarle. Smise di guardare le stelle. Ormai era tardi. Domani avrebbe iniziato le ricerche. Adesso aveva proprio bisogno di riposare. Si alzò dal pavimento e si incamminò verso il letto di piume. Ci si sedette sopra, e si tirò su le coperte fin al mento, stava quasi per chiudere gli occhi quando sentì la maniglia della porta cigolare. Si girò verso l’entrata della stanza.

- Chi c’è, sei tu Daga?

Ma la frase le morì in gola quando vide al posto di Garnet quella donna senza iride.

Midi: Pray

Eiko guardò la figura femminile incuriosita.

Non si alzò. Non impugnò il suo flauto che aveva sul comodino di faggio.

Non aveva paura. Non sapeva perché. E questo non la preoccupò.

La donna la guardò, senza dire una parola. Poi, dai suoi occhi cominciarono a cadere delle luci cristalline (le lacrime della Luna…pensò Eiko), che si infrangevano nel duro pavimento di marmo della stanza, dividendosi in tante piccole sfere trasparenti.

Stava piangendo.

<>- si asciugò le lacrime con la mano sinistra, anche se continuava a piangere -<>.

- La reincarnazione?

- EIKO!

La voce di Daga riportò la piccola sciamana alla realtà.

Si era alzata da terra malgrado il colpo ricevuto, e aveva corso verso la stanza, ma era stata subito respinta da una barriera lucente. Tramortita dall’urto, Garnet guardò verso la porta, ma la dama azzurra era già entrata da Eiko, con quel suo passo regale. Daga batté impotente sull’invisibile barriera che le impediva il passaggio.

- EIKO!!!!

Eiko distolse lo sguardo da Daga. Ed osservò quella donna vestita d’azzurro. Stava ancora piangendo. Non riusciva a fermarsi. Poi, poco distante da lei, quella donna si inginocchiò a terra, tese entrambe le mani verso Eiko. Sembrava una madre che stesse per prendere in braccio il suo bambino, stringendolo a sé. Lei non si mosse.

- Che vuoi da me?

La giovane donna la guardò, senza muoversi. Poi, in un sussurro, parlò, con una voce diversa da quella con cui aveva minacciato Daga, nuova. Era dolce, gentile.

<< Ti prego. Solo per un attimo…>>

Eiko sentì qualcosa dentro di sé che la portava verso quella figura singhiozzante, che attendeva il suo arrivo. Cos’era? Forse compassione? No. No, era qualcos’altro. Ma lei non volle approfondire l’argomento. Lasciò andare le sue emozioni, fece decidere al suo istinto. E si mise a camminare verso quella donna. Con passi lenti e insicuri, Eiko si avvicinò sempre di più verso di lei. Quando ormai fu vicinissima a quella strana donna, si fermò. Scrutava tra quegli occhi bianchi, cercando un segno che le avrebbe fatto capire le sue intenzioni reali. Ma non ci riuscì.

- Tu…chi sei?

La donna sorrise, il volto rigato dalle lacrime. Allungò tremante le mani verso di lei e strinse a sé il suo corpicino. Eiko non oppose resistenza. I singhiozzi della donna si fecero più insistenti. Passò una mano tra i corti capelli viola della bambina, con delicatezza. La sua chioma celeste aveva un buon profumo. Sapeva di rose fresche.

<>

Il silenzio calò nella stanza, rotto solo dai continui singhiozzi della donna.

- Non riesco a capire.

Finalmente le lacrime cristalline si fermarono. La giovane donna sciolse l’abbraccio, e prese le mani rosee di Eiko tra le sue. La guardò in viso.

<< Io…io sono la tua guardiana. E allo stesso tempo, sono ciò che rimane dell’anima perduta di una delle quattro sacerdotesse.>>

Il cuore della sciamana parve fermarsi.

- Allora. Tu…sei una delle persone che sto cercando! Voi! Le altre! I-io! Siamo tutte in pericolo. C’era uno spirito a Madain Sari, che vuole ucciderci e…

<< So già tutto.>>

Eiko smise di parlare.

(Se sapeva già tutto, perché è venuta qui da me? Che cosa vuole fare?)

<< Dopo anni, Gaya sta per andar incontro ad una infinita agonia. Io…>>

All’improvviso la donna si zittì. Guardò tremante verso la finestra. Anche Eiko guardò incuriosita verso la stessa direzione, curiosa di sapere che cosa preoccupasse quella figura azzurra.

Il disco solare si stava lentamente alzando, illuminando con il suo splendore il balcone che dava sul cielo azzurro, macchiato qua e là da piccole nuvole striate di rosa.

- L’alba. - sussurrò piano Eiko, senza togliere lo sguardo dal cielo.

La donna chiuse gli occhi e si alzò. La bambina rimase a vederla mentre si dirigeva verso il davanzale.

- Dove vai?

La donna si fermò.

<< Ora devo tornare alla mia casa. Il mio tempo è finito.>>

(Cosa? Mi lasci sola?)

Eiko guardò la donna con negli occhi un’ombra di paura.

Questa si girò verso la piccola, sorridendole per la seconda volta.

<< Vieni al tempio dell’acqua, quello in cui hai combattuto tempo fa. Là ti dirò tutto. Tutto ti sarà svelato. Non avrai più dubbi. Non avrai più paura. Non avrai più esitazione. E ti racconterò tutto. Non tardare.>>

La sua immagine cominciò a dissolversi.

- A-aspetta! N-non….non so niente di te!

La donna sorrise ancora.

<< Il mio nome…è Shila.>>

Un lampo di luce bluastra illuminò la stanza. Poi scomparve e con lei anche Shila. Eiko rimase a guardare ancora dove un minuto prima c’era la sua guardiana. Poi si ricordò di Daga. La barriera era scomparsa, e Garnet era lì, con l’asta ancora in pugno, osservando Eiko con stupore.

- Eiko…mi devi delle spiegazioni.

- Sì, - disse con voce flebile - và…và a chiamare anche gli altri. Ci sono alcune cose, che dovete sapere.

FINE SECONDO CAPITOLO

  
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