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Autore: Lua93    18/03/2012    14 recensioni
Isabella Swan è una giovane Dottoressa, appena laureata in chirurgia e medicina. Per completare la sua formazione decide di partire per l'Asia sud-occidentale, durante la Seconda Guerra del Golfo.
Edward Cullen è un giovane Tenente, in missione di pace vicino Kuwait City, capitale dell'Emirato del Kuwait, arida regione Islamica. Tra le dune del deserto e il chiarore della luna i due protagonisti s'incontreranno incendiando il deserto con un'inarrestabile passione.
Genere: Guerra, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Dopo più diun mese, riesco a postare il nuovo capitolo. Prima di lasciarvelo leggere però, vorrei dirvi alcune cose.
Questo mese, è stato uno dei più difficili. Quando si perde una persona cara, tutto sembra non avere più alcun significato e ci si chiede che senso ha continuare. Non voglio assolutamente tediarvi con i miei problemi o con le mie preoccupazioni. Quindi abbandono qui il campo personale, lasciandolo tale. Solo avrete notato che non ho più il mio account facebook e che alcune storie sono state eliminate dal mio account Efp. Su questo punto non ho molto da dire, solo che attraversando una certa fase dove tutto mi sembrava sbagliato, ingiusto, dove qualsiasi cosa facessi mi sembrava vuota, ho pensato che liberarmi di Efp e delle mie storie mi avrebbe fatto sentire meglio. Non eliminerò assolutamente nè I colori del vento, nè Busker (che non so ancora quando riprenderò), nè The butterfly effect, su questo potete stare tranquille.
Per quanto riguarda I colori del vento, non ho alcun capitolo pronto, quindi dovrete avere un pò di pazienza, spero comunque di non farvi più aspettare così tanto. Detto questo vi lascio al capitolo, spero possiate perdonarmi. Grazie di cuore a tutte voi. Questo capitolo lo voglio dedicare a tutte le lettrici che non hanno mai smesso di sperare in un mio ritorno.
Nessun accompagnamento musicale, questa volta lascio scegliere a voi.
Lua93.


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8 Aprile 2003

Il respiro regolare di Edward s’infrangeva sui miei capelli, mentre un suo braccio intorno alla mia vita mi attirava più vicino al suo corpo. Le luci dell’alba scivolavano sul vetro della finestra, disegnando strane ombre sul pavimento grigio. Per tutta la notte, le braccia di Edward erano rimane arpionate sui miei fianchi, non permettendomi di allontanarmi dal suo corpo neppure per un secondo. Mi aveva stretta a sé, fin quanto la stanchezza non aveva preso il sopravvento, e assopendomi avevo avvertito il calore della sua labbra sul mio viso.
Jasper non era rientrato nel dormitorio, così Edward mi aveva obbligato a rimanere con lui, almeno, fino all’alba. E ora che, il suo profumo era diventato parte della mia pelle, il sole faceva la sua comparsa all’orizzonte. Non ero ancora pronta ad abbandonarlo, lasciare le sue forti braccia per ritornare nella vita reale, fuori da quelle quattro mura che avevano assistito alla nostra unione.
Sollevai la testa dal suo petto, osservando il suo volto rilassato. Le palpebre chiuse, come sipario di un sogno, le labbra leggermente socchiuse ancora gonfie per i troppi baci. Feci scivolare le sue braccia dal mio corpo, posandole sul materasso. Scattai una fotografia immaginaria di quel momento. L’immagine di Edward quella mattina sarebbe rimasta per sempre nei miei ricordi, così come le sensazioni provate durante la notte. Avevo toccato il paradiso tra le sue braccia, mentre intorno a noi il deserto ci separava dalle porte dell’inferno.
Mi rivestii velocemente, senza fare troppo rumore. I nostri abiti erano sparsi un po’ ovunque, e ridacchiai nel ritrovare la mia maglietta sul letto intatto del Sergente. Stavo per infilare le scarpe quando mi sentii osservata. Sollevai la testa, incontrando gli occhi chiari di Edward che mi scrutavano assonnati.
«Dove stai andando?» Mi domandò sussurrando, la voce ancora impastata dal sonno.
Mi avvicinai, accarezzando con la mano la sua guancia, «è l’alba», risposi con un sorriso.
Prima che potessi allontanare la mano dal suo viso, Edward l’afferro e attirandomi verso il suo corpo mi fece cadere nuovamente sul letto.
«Non mi sembrava di averti dato il permesso», disse mettendosi seduto. Le sue braccia mi avvolsero i fianchi e sollevandomi mi fece sedere sulle sue gambe. Data la scomoda posizione, allungai le mie intorno al suo bacino.
Sospirai incrociando le braccia dietro il suo collo, «lo sai meglio di me che devo andare».
Sorrise avvicinando le sue labbra alle mie, «stavi andando via senza neppure avvisarmi». Borbottò contrariato, accarezzando con la mano il mio viso.
«Non volevo svegliarti», mi giustificai accorciando la breve distanza che ci separava, facendo congiungere le nostre labbra. Edward approfondì il bacio, chiedendo accesso alla mia bocca con la sua lingua. Portai le mani su i suoi capelli scompigliati, sfiorando la sua intimità con la mia. Edward ringhiò e per punizione mi morse il labbro inferiore.
«Ahi» mi lamentai accarezzando con la lingua il punto dolente.
Lui sorrise compiaciuto, «così impari a provocarmi».
«Non ti stavo provocando», dissi tracciando con l’indice della mano i tratti del suo viso.
Edward inarcò un sopracciglio, «davvero?»
«Se avessi voluto provocarti, avrei fatto questo», dissi maliziosamente facendolo sdraiare sul letto. Rimasi seduta sul suo bacino, dondolandomi leggermente, chinandomi poi per baciargli il patto.
«Non male dottoressa», gemette assecondando i mie movimenti, «ma non sei ancora ai miei livelli». Aggiunse con un sorriso sghembo capace di mandarmi in tilt il cervello. In pochi secondi capovolse le posizioni, schiacciandomi con il suo corpo al materasso, con i gomiti si reggeva per non pesarmi troppo.
L’osservai ammaliata, seguendo il percorso intrapreso dalle sue labbra lungo tutto il mio collo. Infilò una mano sotto la maglietta, accarezzandomi il ventre piatto.
«Edward», gemetti stringendo i suoi capelli.
Rise e senza darmi il tempo di controbattere mi sfilò la maglia, cercando i gancetti del reggiseno sulla schiena.
«Secondo me sei troppo vestita», disse sfilandomi il reggiseno. Mi accarezzò lentamente il petto fino a raggiungere i miei seni. Mi morsi il labbro per non lasciarmi sfuggire un nuovo sospiro di piacere.
«Non abbiamo tempo», farfugliai aiutando le sue mani a sfilarmi il jeans.
Edward sollevò la testa, guardandomi con desiderio, «ieri sera è stato tutto così affrettato che non mi sono reso conto di non aver usato la protezione».
Mi allungai per baciarlo e lui mi lasciò fare, godendosi il calore del mio corpo nudo sotto il suo.
«Prendo la pillola», gli risposi prendendo fiato.
Sembrò sollevato e senza aggiungere altre parole, entrò nuovamente in me, per la seconda volta. E per la seconda volta mi sentii persa. Le sue spinte erano lunghe e lente, mi avvolgevano completamente, inondandomi di illustre piacere. Con le mani accarezzava tutto il mio corpo, stringendomi. Le sue spinte si fecero sempre più veloci, sempre più profonde. Pensai di stare impazzendo, mi manteneva in bilico senza permettermi di scoppiare.
«Per favore», gemetti mordendogli la spalla.
Sentii Edward ridacchiare, «per favore cosa?» si stava prendendo gioco di me, la sua voce divertita rimbombò nella mia testa.
Spinsi il bacio contro il suo, e lo sentii ringhiare, imprecando sotto voce. Lo feci un'altra volta e continuai a farlo fin quando al limite mi portò al culmine del piacere, seguita immediatamente da lui.
Sconvolta rimasi senza fiato, il corpo che ancora tremava.
Edward mi baciò a lungo, riempiendomi il viso, il collo e i seni di baci.
«Adesso puoi andare», disse con un sorriso soddisfatto.
Gli diedi un pugno sulla spalla, «idiota». Borbottai alzandomi.
Abbracciandomi mi strinse nuovamente avvolgendomi questa volta completamente, «deve rimanere un segreto».
«Lo so», dissi rassicurandolo, baciandolo dolcemente. Poi entrambi iniziammo a vestirci sotto lo sguardo divertito dell’altro.
«Dimmi una cosa, finirà?» Gli chiesi sedendomi sul letto una volta vestita. Lui stava ancora abbottonando la camicia, quando mi rispose.
«Io non voglio che finisca, e tu?» Domandò leggermente imbarazzato. Mi chiesi che fine avesse fatto il tenente Cullen e chi fosse quell’uomo che mi fissava spaventato.
Scossi la testa, «neppure io». Ammisi e lui sorrise.
Sarebbe stato sempre così tra di noi, mi avrebbe mostrato il suo vero sorriso solo quando saremmo rimasti soli. Mi avrebbe potut0 amare completamente solo dentro quella stanza?


Quando uscii dal suo dormitorio, stando attenta a non farmi vedere da nessuno, raggiunsi direttamente la mensa, ritrovandola quasi piena.
Angela dietro il bancone stava servendo il caffè ai soldati di turno, ridendo e scherzando con loro. La raggiunsi, facendomi riempire una tazza.
«Ti trovo particolarmente bella questa mattina». Sorrise Angela, versandomi il caffè.
Feci spallucce prendendo una brioche, «ho dormito bene».
«Si vede», concordò, «sembri felice, è forse successo qualcosa?» mi domandò con aria indagatrice.
Scossi la testa, bevendo un sorso di caffè, «sai dopo tutto quello che è successo con Jacob, questa notte mi è sembrato di riprendere a respirare, se capisci quello che voglio dire».
«Sicura di aver solo respirato?» mi chiese con un sorrisetto malizioso, intimorita da quel suo tono di voce mi ritrovai ad annuire cercando di capire.
Ridacchiò, «carina quella macchia rossa sul collo».
Provai a nascondere la prova incriminante con i capelli, sotto il suo sguardo divertito, sperai con tutto il cuore che non mi chiedesse nulla e per mia fortuna fu quello che fece. Mi sorrise semplicemente dicendomi che l’amore mi stava bene.
«L’amore fa bene a tutti».
«Si, ma a te dona particolarmente».
Mi voltai cercando un tavolino libero per poter fare colazione in tranquillità. I ragazzi quella mattina erano piuttosto silenziosi, meno ansiosi rispetto ai giorni precedenti.
Non avevo chiesto ancora informazioni su Baghdad, temendo in una risposta negativa. Con Peter avevo legato particolarmente, dal giorno in cui aveva portato in ospedale la piccola Nadira. Era cambiate così tante cose nel frattempo. Il tempo pareva essersi cristallizzato, non esisteva più alcun orologio capace di gestire le ore che scorrevano all’interno della base. Tutto intorno a noi sembrava eterno, e i giorni che trascorrevamo in compagnia della paura, sembravano non avere fine. Non esisteva più alcun tempo esteriore, la teoria di Bergson in quelle terra non aveva alcun significato. Un giorno composto di sole ventiquattro ore poteva durare il doppio, così come tutto poteva durare un solo secondo.
Un tocco leggero sulla spalla, mi fece sobbalzare, distraendomi dai miei pensieri.
«Buongiorno,» mi sorrise Alice, sedendosi, «a cosa stavi pensando così intensamente?» mi domandò dando un morso al suo cornetto riscaldato.
«Al tempo».
«Al tempo?»
Annuii giocherellando con la tazza ormai vuota, «hai presente la teoria di Bergson?»
«La distinzione tra il tempo interiore e quello esteriore?» Chiese confusa, passandosi una mano tra i corti capelli.
«Esattamente, pensavo semplicemente che in queste terre questa teoria non vale poi molto, giusto?»
«Concordo, pensa, sono incinta da soli due mesi e già mi sento come se dovessi partorire da un giorno all’altro». Rispose facendomi ridere.
Aveva questo modo di fare Alice che, riusciva sempre a farti stare bene, in un modo o nell’altro.
«Ti sentirai molto meglio quando tornerai a casa», le dissi per tranquillizzarla, ma qualcosa nelle mie parole sembrarono ferirla, perché il suo bel sorriso si spense. «Alice, è tutto okay?»
«Vorrei rimanere qui, è possibile?» mi chiese ignorando la mia domanda. I suoi grandi occhi chiari erano fissi nei miei, un velo trasparente le copriva la naturale luminosità.
Scossi la testa, «tesoro lo sai che non si può», cercai di spiegarle i motivi di quella difficile decisione, ma lei sembrava non volermi ascoltare.
«Guarda che se rimani qui, diventa tutto più complicato, e io non sto parlando solo della guerra. Sai cosa significherebbe per Jasper veder nascere il proprio bambino in questa terra desolata?» Allungai la mano per stringere forte la sua, «lo so che sei terrorizzata. Lo so che non vorresti lasciarlo solo, che lo ami come non credevi possibile e che lasciarlo significherebbe lasciare anche un pezzo di te qui con lui. Ma tu devi essere forte, per entrambi. Devi essere coraggiosa per la splendida creatura che porti in grembo», sospirai, sperando che le mie parole potessero calmarla in qualche modo.
«E se lui non dovesse tornare, se lui suo figlio non potesse vederlo mai più?» la sua voce era un sussurro lontano, qualcuno si voltò incuriosito nella nostra direzione.
La costrinsi ad alzarsi e a seguirmi fuori dalla mensa. All’esterno le temperature erano notevolmente cresciute, il sole era già alto in cielo e i suoi raggi caldi bruciavano sulla pelle.
Ritornammo nel nostro dormitorio, dove trovai entrambi i nostri letti disfatti. Alice mi spiegò che Jasper non aveva voluto dormire con lei, perché temeva di darle fastidio dato le dimensioni dei materassi. Voleva che il suo bambino riposasse bene. Sorrisi stringendola in un abbraccio.
«E secondo te, un uomo così, non farebbe di tutto per tornare a casa?» Le domandai in un sussurro.
Alice mi fissava disorientata, poi finalmente riuscii a convincerla, e aiutandola con il borsone, iniziammo a rimettere dentro tutti i suoi vestiti.
«Tu mi prometti che starai attenta?»
Annuii, «certamente».
«Va bene, mi hai convinta. Però c’è una cosa che devi assolutamente dirmi», disse e questa volta sulle sue labbra nacque un pericolosissimo sorrisetto malizioso.
Ridacchiai sedendomi sul letto, «sai che non ti dirò neppure una parola, vero?»
Mise il broncio, cercando con i suoi occhi di intenerirmi, ma io ero irremovibile.
«Okay non chiederò nulla, però qual cosina me la devi dire», mi fissò con aria indagatrice avvicinandosi, «quante volte?»
Sbuffai sollevando gli occhi verso il soffitto bianco, «due».
«Ce ne saranno altre?» Mi chiese inarcando un sopracciglio.
«Spero proprio di si».

Quel giorni rimasi in ospedale più del previsto, cercando di terminare alcune pratiche che avrei dovuto consegnare a Edward il giorno dopo. Il brutto dell’ospedale da campo stava proprio nelle scartoffie. Mentre negli ospedali in America dei documenti se ne occupava l’amministrazione, qui ero costretta a fare anche il loro lavoro. Le cartelle erano rimaste incomplete a causa di Jacob. Mi ero perse più di un giorni di lavoro e ora dovevo recuperare. Kristen e Jessica erano tornate nei loro dormitori, con me era rimasta solo Alice, che contro la mia volontà mi aveva chiesto di poter lasciare il lavoro solo qualche ora prima di partire.
Il suo aereo sarebbe partito tra soli due giorni e lei non voleva assolutamente rimanere con le mani in mano durante quelle quarantotto ore. Non avevo ancora visto Edward, non sapevo come si sarebbe comportato in pubblico, probabilmente mi avrebbe ignorato come al solito, per non destare sospetti.
Alice passò dal mio ufficio trascinandosi dietro un carrello pieno di lenzuola sporche, mi sollevai dalla sedia con l’intento di aiutarla, ma un enorme boato bloccò entrambe.
Raggiunsi Alice lungo il corridoio, cercando di capire l’origine di quel rumore.
«Che cos’è stato?» Mi domandò voltandosi dall’altra parte del corridoio.
Scossi la testa, «sembrava provenire dall’esterno».
«Un attacco alla base?» la sua voce si spezzò mentre pronunciava quelle parole.
«Non credo».
Lasciammo il carrello dentro il mio ufficio e chiudendo la porta a chiave, uscimmo dall’ospedale da campo, cercando di capire cosa fosse successo.
Nell’aria fresca della sera, vicino all’ingresso della base vi era un carro armato, due uomini stavano parlando con Edward, Jasper era dietro di loro.
Ordinai a Alice di rientrare dentro l’ospedale, per non lasciare i pazienti da soli, promettendole che l’avrei raggiunta immediatamente.
I soldati si radunarono intorno al carro armato, alcuni spaventati, altri incuriositi. Garrett mi raggiunse con due grandi falcate mentre raggiungevo il Tenente.
«Che cosa è successo?» Chiesi spaventata.
Garrett aumentò il passo, «si tratta di Baghdad».
«Di cosa stai parlando?»
Il soldato si fermò in mezzo al campo, si guardò intorno preoccupato, poi avvicinandosi al mio viso abbassò la voce, «lei non sa nulla dottoressa, okay?»
Annuii, non riuscendo a muovere neppure un muscolo. La sensazione che qualcosa di brutto fosse accaduto aveva avvolto il mio corpo in una bolla.
«Oggi alcune truppe inglesi hanno occupato Bassora, contemporaneamente a Baghdad un carro armato ha colpito l’hotel Palestine, dove alloggiavano alcuni giornalisti», mi spiegò cercando di non farsi vedere dagli altri soldati.
Lo bloccai per un braccio prima che potesse allontanarsi, «cosa c’entra tutto questo con la nostra base?» La mia voce uscì più isterica di quanto volessi.
Garrett sbuffò, liberandosi gentilmente dalla mia misera stretta, «significa che la situazione in città sta peggiorando, gli inglesi hanno bisogno di un aiuto americano più massiccio. Si deve fermare la rivolta prima che la situazione peggiori».
Sapevo che non mi avrebbe detto nient’altro, così decisi di raggiungere direttamente Edward, per chiedere informazioni più dettagliate, ma quando mi ritrovai a pochi metri da lui, i suoi occhi verdi riflettevano solo rabbia. Stava parlando con i suoi soldati e riuscii a capire solo qualche parola. Il carro armato era ripartito, innalzando un enorme nube di sabbia. Jasper ordinò ai soldati di prepararsi, nel giro di ventiquattrore avrebbero dovuto smantellare tutto. Il sangue mi si gelò nelle vene, e l’agitazione iniziò a prendere il sopravvento.
Tenni lo sguardo fisso sul volto di Edward, non si era ancora accorto di me. Le sue mani si torturavano i capelli, la sua voce però era ferma. Il suo abituale autocontrollo riuscì a calmare i ragazzi che, obbedirono ai suoi ordini senza controbattere. Quando rimase solo, sollevò la testa e fu in quel momento che i nostri occhi s’incontrarono. Lo raggiunsi cercando di ignorare il tremolio delle mie gambe.
Edward mi afferrò poco gentilmente costringendomi a seguirlo, lontano da occhi indiscreti.
«Che sta succedendo?» Gli chiesi cercando di mantenere la sua stessa velocità, «perché dovete smantellare il campo? Intendi tutto l’accampamento, anche l’ospedale?»
Mi trascinò dietro un dormitorio, guardandosi intorno, poi, senza darmi il tempo di controbattere, mi ritrovai le sue labbra umide sulle mie. Fu un bacio violento, i suoi denti torturarono le mie labbra, la sua bocca mi riempiva completamente. Le sue mani si strinsero intorno ai miei fianchi, stringendomi in un abbraccio soffocante. Mi permise di riprendere fiato solo per qualche secondi, prima di ritornare prepotentemente sulle mie labbra. Strinsi le mani intorno alle sue spalle, cercando un appiglio per non cadere. Le sue mani, invece, salirono sui miei capelli, trattenendomi la testa ben salda contro la sua. Fu uno di quei baci che non avrei mai pensato di provare, totalizzante, completo. Le sue labbra si muovevano decise sulle mie. Lo capii solo dopo che si fu allontanano che, quel bacio, era stato la sua valvola di sfogo.
Entrambi cercammo di riprendere fiato, i nostri sguardi si cercavano, intimoriti.
«Hanno bisogno di me e dei miei ragazzi a Baghdad, questo accampamento verrà smantellato» mi spiegò ancora ansante, accarezzandomi il viso, «tu e il resto della tua equipe tornerete in America, insieme agli altri volontari».
Mi pietrificai, cercando di rielaborare le sue parole, strinsi convulsamente le mie mani sulle sue.
«Questo significa che ti devo lasciare?»
Lui annuì, voltando la testa per controllare che nessuno ci avesse visto.
«Partirete domani all’ora di pranzo, la situazione in città è più grave di quanto pensassimo».
«Edward, cosa accadrà?» Gli domandai appoggiando il capo al suo petto, ascoltando il battito del suo cuore. Una nuova consapevolezza si era fatta strada in me. Ora potevo capire il sentimento che provava Alice nel dover lasciare il proprio uomo nel bel mezzo dell’inferno. Non sarei riuscita a sopportarlo. Non ne sarei stata in grado.
«Non lo so», disse stringendo la presa sul mio corpo, «non lo so».

Non rimase a lungo insieme a me, nel giro di qualche minuto mi aveva di nuovo abbandonato, dovendo occuparsi di tutta la trasferta, mi disse comunque, di raggiungerlo nel suo dormitorio quella sera. Prima di andarsene mi baciò nuovamente, dolcemente, senza foga. I suoi occhi potevano nascondere al mondo intero le sue paure, ma non ai miei, non dopo quello che avevamo condiviso. Non dopo aver capito di amarci.


   
 
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