La prima cosa che pensò, quando lo vide, fu che la notte doveva essersi originata dalle sue iridi, più cupe e intense di qualunque altro nero avesse mai ritrovato in natura. La seconda che l’espressione severa e implacabile del suo volto, tipica di chi è abituato al comando, sopperiva alla scarsa imponenza di un guerriero alto forse un paio di centimetri più di lei. La terza, tanto nitida e improvvisa da sopraffare per un istante il terrore da cui era avvolta, fu che il saiyan che aveva di fronte era incredibilmente bello.
“Complimenti, Bulma.” si disse ironicamente “Invece di fuggire a gambe levate, o almeno provarci, resta a fare apprezzamenti sul tuo futuro assassino.”
Ha avuto un attimo per decidere: un battito di ciglia per comportarsi come l’eroina della situazione o ritirarsi in seconda linea, limitandosi ad assistere impotente alla lotta. Per una volta ha scelto la prima opzione, e forse quell’atto di eroismo sarà la sua condanna.

Erano compatibili solo da un piano prettamente fisico, in virtù di un anatomia che non lo rendeva diverso da un terrestre qualunque e che nascondeva egregiamente la sua intima alterità.
E, come ogni presa di coscienza dell’altro, anche quella era stata seguita repentinamente, se non era stato in vero simultaneo, da un giudizio troppo frettoloso e ovviamente discriminante: Vegeta era cattivo.
Ma da quella costatazione non aveva saputo allontanarsi, semplicemente non aveva voluto, e, per la prima volta in vita sua, si era data per sconfitta, sapendo inutile provare a cambiarlo, a farlo diventare come lei.
Sembrava ad un occhio distratto, forse troppo idealista, che era lei che pian piano aveva ceduto a certi comportamenti biasimevoli, non solo accettandoli, ma anche condividendoli e praticandoli.

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Successe tutto in una manciata di millesimi di secondi. Si ritrovò a terra forzata da una mano in gola non ebbe neanche il tempo di urlare che venne soffocato dal terrore vedendo e realizzando chi fosse a minacciarla.