Recensioni per
Morti che camminano
di pattydcm

Questa storia ha ottenuto 58 recensioni.
Positive : 58
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
28/03/20, ore 23:57
Cap. 22:

Sarò sincera: sì, il capitolo è piuttosto lungo, ma l’ho letto tutto d’un fiato perché mi ha coinvolto davvero tanto, in quanto focalizzi l’attenzione su un John che sta vivendo in prima persona un dramma terribile. E questo passaggio l’hai trasmesso in modo, secondo me, veramente efficace anche con degli accorgimenti tecnici che hanno dato al testo una vitalità ed un adeguato risalto al contenuto.
Innanzitutto, è perfettamente coerente, con quanto descrivi, l’inizio, in cui ci fai entrare, direttamente ed inaspettatamente, nelle emozioni di John. Infatti ci accogli con frasi brevissime, in rapida successione; tecnica narrativa, questa, che dà, in modo immediato, il senso di angoscia e di progressivo ed inarrestabile ottundimento dell’umanità, mostruoso processo che sta trasformando Watson in una belva assetata di sangue. Ciò lo rendi evidente nel mettere in risalto la parola “sangue” ed i termini che afferiscono a tale area semantica: ad esempio “carne”, “dissanguato”, “nebbia rossastra”, “ferroso” ed altri. Sentiamo perfettamente la sua angoscia che, però, è come filtrata da una sensazione, più forte, quasi di appagamento, di nuova forza.
Capiamo, comunque, che è successo qualcosa di grave, che noi non sappiamo ma lo scopriremo a poco a poco. Purtroppo ci rendiamo anche conto che, in lui, è in atto la trasformazione che lo porterà nello stato di bestiale incoscienza tipica degli zombie. E sarà la fine.
Mi è piaciuta davvero molto la tua scelta narrativa di renderci protagonisti della progressiva scoperta, che ci porti a fare, relativa ai fatti che l’hanno ridotto ad essere disteso sul pavimento, con il sapore di sangue in bocca, cosa che lo colpisce, ahimè, piacevolmente e con la netta sensazione che qualcuno lo stia bloccando in modo molto energico.
Un po’ alla volta ricostruiamo, in piena sintonia con John, ciò che è successo e, sinceramente, i fatti mi hanno provocato sia un moto di orrore ma anche di sincero sollievo nel constatare che Crane, il bastardo, abbia finito di seminare odio e violenza.
Il tuo racconto, appunto costruito con questa particolare tecnica di scoperta graduale e contemporanea al protagonista dei fatti, è veramente efficace ed originale. Complimenti e, se posso permettermi un giudizio nei tuoi confronti d’Autrice, trovo che hai maturato, via via, una forma espressiva originale che ti permette di muoverti sulla scena in modo personale e con esiti d’indubbia qualità.
In questo capitolo come ho scritto sopra, la coerenza con il contenuto l’hai ottenuta sfrondando le strutture espressive il più possibile, lasciando impressioni, singole sensazioni, immagini sfocate che, via via, si vanno precisando in precise situazioni, in improvvisi e fondamentali sviluppi narrativi. In più, nella prima parte del capitolo, hai usato anche una particolare impostazione grafica del testo per rendere ancora più evidente lo stato allucinante in cui si trova John, a cui le parole che gli vengono rivolte, o che ricorda relativamente a quanto gli è successo, arrivano come qualcosa di lontano e quasi distaccate da lui. Addirittura si trasfigurano nel ricordo della voce di Sh che cerca di calmarlo dopo l’esperienza sconvolgente vista in THOB (“…Fai respiri profondi…”). Forse, ma l’ho ipotizzato dopo, è il tono che sta usando Mycroft, cioè colui che lo tiene bloccato, ad evocargli qualcosa che, comunque, è familiare, visto che è pur sempre il fratello di Sh.
Due, oltre ad altri nello sfondo, le figure che fai partecipare al dramma di John. Uno è Groucho, coraggioso e leale, davvero una bella figura di persona caratterizzata da un’umanità ricca ed accogliente mascherata da una finta maschera comica, l’altro è Mycroft.
La rappresentazione che ne hai dato qui mi ha colpito per la sua efficacia, decisamente IC. Rimane nella memoria quel suo atteggiamento, che descrivi alla fine del capitolo, con cui “posa nuovamente la sua mano sull’arma” ed i suoi occhi “gelidi” e “taglienti” dominano la situazione d’estremo pericolo. Si mostra così vero leader, vero uomo di potere nel gestire la vita, per proteggerla, di molte persone e, soprattutto, di suo fratello. Un pezzo, questo, veramente valido, brava.

Recensore Master
28/03/20, ore 10:20
Cap. 21:

La tensione e l’angoscia che hanno caratterizzato il precedente capitolo continuano anche in questo. Ci metti a contatto con i pensieri di un Dylan che, nonostante le sue esperienze varie ed eccezionali, di fronte ad una bambina trasformata in un mostro, non riesce ad essere obiettivo e perfettamente lucido nel giudizio. Gli strilli della creatura, incessanti e, anche per questo, martellanti e fonte di grande malessere in chi li sente, continuano e assediano la mente di Dog che commette l’errore di abbinare ancora l’umanità a quella creatura che non ne ha più nemmeno l’ombra. Ma mi è piaciuto molto il modo con cui tu hai descritto la forte difficoltà del detective a pensare con distacco e lucidità. Anche Sh mostra un attimo d’incertezza ma prevale in lui la ragione e fa ciò che diventa necessario per salvare la vita di tutti quegli uomini che sono stati contagiati.
Noi percepiamo perfettamente che il suo scopo primario è John Watson, ma chiaro è che, in una personalità estremamente complessa come la sua, segnata da profonde tracce di sofferenza e da ombre del passato, l’evoluzione verso un’umanità più generosa ed empatica è, secondo me, più lenta e difficoltosa. Giá il pensare e l’agire, rischiando la vita, anche per un solo uomo, diverso da sè, è una conquista davvero importante.
Un altro elemento che è uno dei fili conduttori di questa tua long è il modo di rappresentarlo. Quasi in punta di “penna”, quasi in te ci fosse un rispetto ed una piena comprensione dei suoi drammi interiori. Quindi vedo uno Sh dalle movenze precise ed eleganti, accennate ma perfettamente in grado di renderne l’essenza, dalle poche ma significative parole, pronunciate quasi a fatica, dalle fuggevoli espressioni ed atteggiamenti che tradiscono dolore e rimpianto...Tutto molto IC, sicuramente.
Trovo la descrizione dell’evoluzione del terribile morbo ben motivata e credibile, purtroppo. Sei stata veramente brava a costruire logicamente tutte le connessioni razionali che rendono credibile il quadro clinico di quell’aberrazione. Molto efficace l’intreccio tra i pensieri di Dylan e gli atteggiamenti di Sh che sembra leggergli nel pensiero e condividerne, senza però manifestarla, l’angoscia soffocante di ciò che sta succedendo intorno a loro. Bellissimi quegli sguardi di sottecchi che il consulting lancia al detective, in cui quest’ultimo riesce a leggervi un mondo di sentimenti e d’emozioni.
Un pezzo difficile ed impegnativo. Brava.

P.S. Nella Nota introduttiva, chiedi un parere circa il rating da assegnare alla tua ff. Secondo me, l’elemento che più è d’impatto emotivo, e mi riferisco ad un capitolo solo, è la cattura ed il trattamento, riservato alla bambina zombie. Almeno a me ha provocato un effetto forte, un misto di pietà, orrore abbinati alla consapevolezza del fine positivo che, comunque, è l’obiettivo dei due investigatori. Dunque non ci vedrei alcunché di dubbio in tal senso ma sono situazioni, e non solo questa, che potrebbero urtare la sensibilità di qualcuno. Quindi io opterei per un rating che potesse “accogliere” più ampiamente tutti gli elementi di “disturbo”, anche perché immagino che gli eventi che seguiranno non saranno certamente una “passeggiata” emotiva. Ciò ti permetterebbe di muoverti più agevolmente anche su terreni difficile ed accidentati. Io opterei per il rosso.

Recensore Master
17/03/20, ore 23:55
Cap. 20:

È un capitolo, questo, piuttosto difficile da leggere per la carica emotiva che libera ma che avvince fino alla fine. Infatti l’ho letto tutto d’un fiato, estremamente curiosa di seguire l’evolversi della terribile situazione che descrivi con efficacia ed equilibrio.
Sono sentimenti contrastanti quelli che si fanno strada in noi via via che si prosegue e si segue l’avventura terribile di Sh e Dylan.
Provo ad elencarli: repulsione per i particolari che connotano lo stato delle creature, orrore per il loro destino e la loro natura spietata, paura per Sh e Dylan, pietà per quelli che, comunque, sono stati esseri umani con tutte le nostre caratteristiche, speranza per la riuscita della missione, sollievo nel vedere i due protagonisti che riescono a salvarsi dall’attacco degli zombi… E non mi sembra poco, anche perché il capitolo è relativamente breve, rispetto ad altri. Dunque hai saputo concentrare tanti elementi narrativi fondamentali e coinvolgenti con credibilità, senza scadere in quella che è, secondo me, la banale tematica “splatter”. Niente di ciò: nel descrivere le caratteristiche fisiche e gli atteggiamenti particolari degli zombi (“… Un buco nel quale ha messo la testa…”) hai mantenuto un rassicurante equilibrio tra ciò che è necessario descrivere e quello che può, invece, aggiungere alle scene particolari inutili e che possano disturbare. A proposito di quest’ultima osservazione, più che mai ritorna l’atmosfera triste ed unica di “Cargo”, in cui si nota proprio come il riposo di quelle creature sia ai limiti del ridicolo, con la testa infilata nella terra, ma ciò suscita solo infinita pietà perché, ripeto, quelli che sembrano imitare grottescamente gli struzzi, erano uomini, donne, bambini…
Lo Sh, che agisce qui con estrema lucidità, mi è piaciuto particolarmente perché ne hai conservato il fascino magnetico e la capacità di mantenere il controllo anche in situazioni al limite dell’umano, come quella in cui si trova.
In particolare, trovo che il “sorriso sghembo”, che si disegna sul suo volto quando parla di Xabaras con Dylan, ipotizzando la possibilità di “fregarlo”, sia un dato visivo e connotante molto IC, che richiama una delle più tipiche e canoniche espressioni del consulting e gli conferisce, come giustamente scrivi tu, un che di diabolico. Un bellissimo diavolo, comunque…
Accanto a lui fai agire un Dylan meno freddo, più umanamente coinvolto in ciò che sta affrontando. Gli risulta difficile, cioè, pensare di usare una bambina per il loro scopo, di ucciderla un’altra volta alla fine del percorso di sintesi del vaccino. In più, in lui subentra anche l’umanissima paura di fronte a ciò che umano non è più.
Due immagini rimangono per la loro efficacia e la loro forza, per quanto aumentino l’angoscia derivante dalla situazione. Una è quella della bambina che urla come un animale ferito, senza sosta, l’altra, più terribile, è la figura straziante, e tremenda allo stesso tempo, della madre che conserva ancora, nel suo essere così mostruoso, comunque l’istinto che la porta a proteggere a tutti i costi la figlia.
Mi piace come concludi, con quell’ “Andrà tutto bene” che in questi momenti amiamo ripetere a noi stessi e sentirci dire dagli altri.
Brava.

Recensore Veterano
14/03/20, ore 11:42
Cap. 20:

Ciao ti sto seguendo dall'inizio!una bella storia, finalmente un nuovo capitolo!!
Grazie mille ancora

Recensore Master
10/03/20, ore 19:51
Cap. 19:

In questo capitolo, viviamo il dramma che sta maturando nella sezione d’isolamento e ce lo fai vivere attraverso lo sguardo di John, quel Watson su cui, sempre più, sovrappongo ora la fisionomia e le caratteristiche caratteriali e fisiche, secondo me, identiche di Andy Rose in “Cargo”. Trovo molto intenso, anche se angosciante, percorrere, con chi vive in prima persona ed ha le competenze per capire esattamente cosa sta succedendo, lo svilupparsi dell’infezione.
Noto, anche in questo frangente che richiede una certa attenzione al quadro sintomatico ed ai successivi sviluppi, la tua precisione e credibilità, capacità questa che riesci sempre a tenere distante dalla trappola della banalità.
Molto riuscito, poi, il ritratto di John, che esprime la sua paziente accoglienza di chi ha bisogno di lui, la sua competenza, la sua grande umanità. A questo proposito, mi è piaciuta molto la scena in cui si “carica addosso” uno degli ultimi soldati feriti, un ragazzo, praticamente, che si affida a lui con una commovente fiducia (“…nascondendo il viso contro il suo collo…”). ed alla sua accorata supplica, che lascia trasparire l’umana paura di fronte ad un pericolo mortale, John risponde con affettuosa energia, rassicurandolo come un padre potrebbe fare con un figlio.
Questo momento contrasta con la cieca violenza del pestaggio precedente, in cui i primi soldati feriti, in isolamento con loro, si accaniscono contro John e Groucho. Passaggio, questo, che angoscia ancora di più perché lo viviamo con il medico che legge, con tragica consapevolezza del loro significato, i sintomi che preannunciano la morte imminente e la prossima trasformazione in un mostro (“…non una goccia di sangue scivola giù…”). Il non sentire troppo dolore a causa dei colpi ricevuti ed il fatto che il sangue, simbolo e segnale di vita, sembra aver abbandonato il suo corpo, sono elementi che ci lasciano sconvolti.
A proposito di Groucho, vedo che lo caratterizzi facendo emergere sempre più il suo coraggio, la sua ferma volontà di non abbandonare John.
Ritorna, indirettamente, la lontana figura di Sh impegnato nella missione quasi impossibile di sintetizzare un vaccino contro l’incubo.
Un capitolo, questo, drammatico in cui, grazie alla tua capacità di raccontare, facendoci sentire sulla scena, ci immergi in un’atmosfera livida di morte e di disperazione.
A proposito della straordinaria coincidenza con ciò che sta succedendo “fuori”, beh, qui spero arrivi Sh con il vaccino, nella nostra vita saremo noi, con l’eroismo di medici, infermieri, Protezione civile e degli altri addetti anche all’ordine pubblico, del Governo ecc… che troveremo la salvezza. Ne sono sicura.

Recensore Master
10/03/20, ore 09:20
Cap. 18:

Leggendo le Note con cui introduci il capitolo mi sono venute in mente alcune riflessioni che non c’entrano direttamente con la storia.
Non è la prima volta che mi capita di trovarmi di fronte alla confidenza di un’Autrice/tore che comunica di aver imboccato, nel percorso principale del racconto giá tracciato, una strada “laterale” apertasi all’improvviso. E quindi il testo, pensato in precedenza, si arricchisce di sviluppi inattesi. Questi meccanismi mi affascinano molto perché io non scrivo su ispirazione ma leggo cose create da altri e lascio qualche mio pensiero. Nulla di più. Quindi trovo estremamente avvincente questa caratteristica che a me è negata e, tuttora, incomprensibile. Dunque...viva le Autrici/ori che possono sentirsi coinvolti in tali processi creativi così particolari. Allora...
Il capitolo ha come protagonista Mycroft ed il suo “navigare” in acque parecchio burrascose ed infide, cercando di individuare le scelte più opportune, non secondo un ordine morale ma quelle più consone ed utili all’economia di un tornaconto ad alto livello. In questo caso si trova di fronte a Crane, che tu raffiguri con efficacia, come un essere disgustoso e, a mio avviso, molto più ributtante di Xabaras che, almeno, ha, dalla sua, la “dignità” di demone.
Nel dialogo tra i due, getti luce su scenari del passato che svelano retroscena veramente inquietanti perché carichi di minacce oscure nei confronti del presente e del futuro. Ritorna, infatti, sinistro e malefico, il potere di Moriarty ed i suoi rapporti, o meglio la sua ragnatela di fili criminali, in cui sappiamo essere coinvolto, sia pur indirettamente, anche Mycroft.
Il fatto che Crane sia uno dei “tentacoli” del Napoleone del crimine aggiunge ulteriore tensione, tanto più che l’obiettivo del piano folle del militare diventa, addirittura, il virus che trasforma i morti in mostri assetati di sangue.
Ti devo fare un complimento particolare per come hai saputo gestire il dialogo tra Mycroft e Crane. Solitamente, in un testo, non si deve eccedere nella parte dialogica lasciandole troppo spazio, perché ne uscirebbe un racconto squilibrato dal punto di vista tecnico, a meno che non sia un pezzo teatrale, ma qui tu hai gestito con abilità l’alternarsi delle battute, dando un valore speciale ai discorsi che diventano, così, l’ossatura dell’intero capitolo. Efficace anche l’ideazione del “caso” che sta coinvolgendo drammaticamente tutti i personaggi.
Verso la conclusione ,ecco un altro colpo di scena in cui tu descrivi l’effetto del virus che dà i suoi terribili frutti e cioè il ritorno dei morti.
Un capitolo ben costruito, con la sensazione di stare proprio “sul filo del rasoio”.

Recensore Master
24/02/20, ore 18:52
Cap. 17:

Sì, in effetti è una coincidenza curiosa quello che succede nella tua storia e quello che avviene fuori, nella realtà...
Anche questo è un bel capitolo e capisco che me lo sarei gustato di più se avessi avuto modo di conoscere le storie che riguardano Dog.
Infatti ho visto che citi Lillie, la cui fine tragica ritorna nelle confidenza che lui fa a Sh. Un grande amore finito tragicamente, da quello che ho capito, per la scelta estrema della donna che, con la sua morte, ha riaffermato la forza dei suoi ideali.
Il caso potrebbe richiamare il fatto di John che, per seguire Sh, si è messo in una situazione tragica. Forse si potrebbe trovarne un parallelo nella caparbietà del medico di non lasciare il consulting da solo in un caso criminale particolarmente pericoloso, scelta, questa, che l’ha reso prigioniero di un incubo.
Ma, a mio avviso, trovo che il richiamo al passato di Dog ti serva egregiamente per arricchirne il personaggio che fai agire in questa storia, svelandone, a chi non ne conosce i precedenti, un’esperienza di dolore che contribuisce a connotare la sua figura con un’umanità ed un sottofondo malinconico che lo rendono ancora più affascinante. Così riesci a rappresentare qui uno scambio tra lui e Sh veramente valido dal l’unto di vista narrativo.
Un cross over veramente interessante e produttivo se consideriamo gli sviluppi che stiamo vedendo.
Infatti l’interazione tra i due personaggi è il filo conduttore di questo capitolo. Particolarmente intenso e ben riuscito il ritratto di Sh, il suo modo d’interagire sia con Dylan sia con Xabaras. Ciò che mi affascina di più nel relazionarsi tra quest’ultimo ed il consulting, è il coraggio che mostra Sh nell’interloquire con chi è comunque un essere soprannaturale, demoniaco. Fai mostrare a Sh il suo lato più arrogante, duro, senza esitazioni. Sicuramente non gli fai esprimere la tempesta che ha dentro a causa della preoccupazione per la sorte di John.
Ed il demone ne è colpito. Nella scena dell’incontro tra i tre, mi è piaciuto molto il momento in cui Sh che, chiaramente, sta giocando d’azzardo con Xabaras, gli si avvicina senza mostrare alcun timore e gli dice che anche lui non fa parte dei “comuni mortali” perché qualcun altro l’ha definito come appartenente alla schiera degli angeli. Questo riferimento, davvero suggestivo, a quanto visto in TRF, a proposito di ciò che è successo tra Holmes e Moriarty, secondo me, è uno dei punti di forza del capitolo. I richiami IC comunque non si fermano qui e, per esempio, è ben riuscita anche la descrizione di una sortita del consulting nel suo Mind Palace, in cerca di dati utili per arrivare alla formula giusta del vaccino (“...inizia a scuotere il capo a tratti, dando l’idea di stare ricevendo informazioni...”). E poi c’è quell’immagine particolarmente intensa di Sh che alza gli occhi dal microscopio per guardare Dog e, sicuramente, ti sei rifatta ad una scena, di non mi ricordo quale episodio delle prime due mitiche Stagioni BBC, in cui Holmes solleva lo sguardo verso John: un momento che ha una forza omicida nei confronti degli ormoni di chi guardava in quel momento, tra cui la sottoscritta...
Tornando nel laboratorio maledetto, vediamo che anche Dylan con Xabaras tira fuori la sua forza d’animo ed una splendida volontà di collaborare con Sh. Nel descriverlo utilizzi anche i dati del suo passato, come l’inizio del suo rapporto con Groucho. Coinvolgente, davvero, leggere la nascita di un sodalizio che ha radici molto forti e significative.
Diffondi un senso d’angoscia e di sorpresa quando viene stretto il patto tra Sh ed il demone ed, a quest’intesa, s’associa anche Dylan. Un passaggio narrativo, questo, particolarmente intenso, brava.
Un capitolo molto ricco di spunti e ben scritto. Brava.

Recensore Master
18/02/20, ore 19:10
Cap. 16:

L’incubo in cui siamo prigionieri con John, Sh e gli altri continua anche in questo capitolo. Ci accoglie il rumore dei passi del capitano che accompagna, o meglio, costringe quelli che sono stati contaminati dal morso dei morti viventi, tra i quali sappiamo esserci anche John.
Molto ben scritta la riflessione che scrivi proprio a proposito di quest’ultimo, che diventa un’analisi attenta e lucida di quello che può essere lo stato d’animo del medico, considerando anche il bagaglio di vita che si porta dietro. Addirittura, il tuo ragionamento mette in luce le dinamiche che s’instaurano nella comunità di soldati impegnati in una guerra. Non sono parole scontate le tue, non c’è banalità. C’è, invece, la dolente consapevolezza del vero volto della guerra che spegne non solo le vite degli uomini ma, anche ruba la loro dignità, confinando i reduci feriti, come appunto Watson, in un limbo sociale in cui farlo sopravvivere schiacciati dalle sindromi post traumatiche e dai complessi di colpa, quasi che, a restare invalidi durante un’azione bellica, sia una perversa scelta personale. Davvero, mi sono letta più volte questo passaggio e ti faccio i miei complimenti perché le tue riflessioni hanno arricchito la storia di una tridimensionalità che accoglie l’aspetto meno conosciuto dell’assurdità e della devastazione anche interiore che tipiche di un conflitto armato.
Tornando a John, certamente un gruppo di persone ammalate non è un’esperienza nuova per lui che è medico, però, ora, il fatto eclatante è che, adesso, si trova a fare parte di quell’insieme di uomini condannati ad una sorte orribile.
E, da qui in poi, entriamo in quello che è il luogo più ostile che, sicuramente, metterà a dura prova John. Più ostile, a mio avviso, dello stesso Afghanistan, in cui ha svolto il suo arduo compito di medico e di soldato. Infatti, anche lì ha rischiato la vita attimo per attimo ma, quello che lo aspetta nella cella per la quarantena, è decisamente più ostico e più pericoloso. In effetti, come bene metti in risalto tu, per John c’è la tragica consapevolezza di essere vittima di una sindrome dagli esiti terrificanti, c’è il trovarsi in un gruppo ostile in quanto coinvolto nella situazione in modo non volontario, ci sono i sensi di colpa, c’è il percepire la disperazione che si è impadronita di Sh, senza potergli stare vicino. In questa parte del capitolo è evidente la fase di ”stallo” del succedersi degli eventi. Non c’è azione, siamo infatti coinvolti nell’attesa di quello che potrebbe succedere da un momento all’altro. Hai saputo, infatti, mediante una credibile introspezione psicologica, ma per te è un’attitudine davvero invidiabile, darci l’esatta carica di angoscia che caratterizza l’atmosfera attorno al gruppo di contagiati. In questo contesto, e questo è, secondo me, il punto più forte del capitolo, fai progressivamente emergere ciò che la meravigliosa umanità di John e la sua generosità riescono a fare in mezzo a quei disperati.
Poi, a spezzare la tensione, inserisci il gustoso siparietto di Groucho che si rivela un falso pasticcione: dietro al suo comportamento burlone, c’è un uomo dotato di un grande coraggio che, volontariamente, entra nella zona di quarantena. Questo per Watson è davvero una boccata d’ossigeno.
Sinceramente i capitoli sono uno meglio dell’altro.

Recensore Master
17/02/20, ore 11:09
Cap. 15:

Non mi sono dimenticata di te, vedi che, un po’ tardi, ma riprendo la strada di Undead.
Del riferimento al film “Cargo” te ne avevo già accennato nella precedente recensione e ho piacere che tu abbia capito come il messaggio, che volevi trasmettere circa l’ispirazione per questa long, sia molto chiaro. Si può dire che, qui, l’IC non riguardi solo la Serie BBC dei Mofftiss ma anche, appunto, un’altra produzione che vede protagonista un magnifico Martín Freeman, nei panni di un marito disperato e padre amorevole, in un luogo devastato da una terribile pandemia. Le somiglianze con il personaggio del medico di Baker Street sono molte, tra cui l’umanità generosa ed il riferimento continuo a valori irrinunciabili. Si può dire che l’Andy Rose sia un John all’ennesima potenza anche perché il nostro “conduttore di luce” è sempre riconoscibilissimo nei panni di quel personaggio. Quindi un film da vedere, assolutamente, come ho già scritto.
Soprattutto in questo capitolo, ma anche nei precedenti, hai saputo evocare un’atmosfera di sospensione, di tragica attesa, di palpabile angoscia che rimandano efficacemente a quella di “Cargo”.
La figura più significativa da questo punto di vista, delle vicende ad Undead, è sicuramente l’odioso maggiore Crane che tormenta John anche con riferimenti al suo passato ed alla sua relazione con Sholto.
Molto efficace la descrizione dello stato d’animo di Sh che apre il racconto. Mediante una credibile introspezione psicologica, ci fai vedere ciò che sta provando ed è tutto è davvero IC: la percezione che, da lì a poco, sarebbe avvenuta la sua “fuga” nel Mind Palace, il rapporto complicato con il fratello maggiore, l’innegabile sentimento per Joh. A questo va aggiunto uno straziante senso di colpa per aver messo Watson in quella tragica situazione. C’è lo Sh tormentato della S4, in preda ai fantasmi della sua mente, che si agitano di fronte ad una terribile realtà. Così ci rendi partecipi della scoperta dei sintomi inquietanti che, progressivamente, stanno rivelando a John l’avvenuta trasmissione della sindrome: davvero agghiacciante quell’insensibilità che si è ormai impossessata della sua spalla sinistra. Ed hai descritto efficacemente la sua umanissima paura, accresciuta dal fatto che, essendo un medico, il decorso di ciò che gli sta succedendo, gli è tragicamente chiaro. Una delle scene più forti del capitolo è quando John viene assegnato al gruppo dei contagiati e Sh sa che potrebbe fare una fine terribile, per mano di quei soldati che sono stati coinvolti, vittime loro malgrado, in quella bruttissima avventura. John gli trasmette la forza di scuotersi, di lasciarlo andare, mostrandogli la sua fiducia (“...So che farai del tuo meglio...”) e, con una magnifica dignità ecpalese forza d’animo, segue l’ufficiale che lo rinchiuderà assieme ai contagiati. La paura, l’angoscia e la certezza di essere destinato ad una fine orribile non son certamente scomparse ma si sono rifugiate dietro la sua determinazione ed il suo coraggio.
Con un ultimo cenno, abbozzando un sorriso, lascia Sh, in preda alla disperazione. A questo punto, fai intervenire un magnifico Dylan che trasmette al consulting l’energia per andare avanti, per non lasciarsi andare in preda alla sofferenza, acuita dai devastanti sensi di colpa, ed al disorientamento. E che dire dell’imprevedibile Groucho...
Un capitolo, questo, molto intenso e valido.

Recensore Master
04/02/20, ore 23:12
Cap. 14:

Leggendo più volte ciò che hai scritto, per scoprirne tutti i risvolti narrativi possibili e magari un po’ nascosti, direi proprio che, in questo capitolo, hai messo molto materiale denso di sviluppi. A prima vista, potrebbe apparire, nella prima parte, come un punto di passaggio e raccordo, tra la concitata e terrificante atmosfera di quello precedente e il percorso verso la salvezza e l’avere del tempo, in sicurezza, per poter rielaborare una strategia che possa portare alla soluzione del drammatico problema.
Ma non è così. Infatti, già introduci un elemento che rende ancora più complicato l’organizzare qualcosa di concreto contro la diabolica follia criminale di Xabaras. Si pensa che, dentro la caserma, dove finalmente i quattro sono stati portati, per quanto piccola tu la descriva, ci possa essere protezione e sollievo al caos infernale dell’attacco degli zombi.
L’elemento che incrina il clima che sembrava essere di sollievo, e non è l’unico, purtroppo, è la figura decisamente inquietante del maggiore Crane. L’impatto negativo su chi legge, lo connoti, via via, con fugaci pensieri che John si trova a rimuginare quando lo vede e mentre lo segue nella stanza dove si trova Mycroft (“…Di tutti gli stramaledettissimi bastardi…” ecc…). In effetti l’ufficiale è conosciuto da Watson e, purtroppo, non certamente per le sue doti di umanità.
Con determinate riflessioni che, efficacemente, scrivi in corsivo, presumo proprio per metterle in risalto rispetto al resto del racconto, ne assembliamo un ritratto umano che decisamente non è rassicurante. Moto efficaci quelle descrizioni rapide dei suoi cambi d’espressione, sempre comunque improntati ad uno strafottente disprezzo di chi gli sta davanti. Persino Mycroft diventa oggetto del suo essere davvero indisponente. Intanto, fidandoci noi del giudizio di John, e penso d’interpretare il pensiero di molti lettori, siamo sicuri di trovarci di fronte ad un militare che devia rispetto a quella che dovrebbe essere l’inquadrata e decisa attitudine al comando ed alle scelte che coinvolgono altre persone. Rispetto delle regole, assenza di atteggiamenti indulgenti al rapporto più disteso, attitudine al comando, valutazione oggettiva del pericolo mortale…Questo, comunque è decisamente accettabile, anche perché noi abbiamo visto che, ogni tanto, nelle situazioni a rischio, capitate numerose nella risoluzione dei vari casi in cui i due di Baker Street erano coinvolti, tali caratteristiche sono emerse nettamente e, direi, provvidenzialmente, a proposito del capitano Watson. Ma qui intuiamo che la personalità del maggiore Crane sia improntata alla cattiveria ed alla mancanza di rispetto nei confronti di chi osa affermare, pur nell’ubbidienza dell’inferiore rispetto ad un ufficiale di grado superiore, la propria personalità. Mi riferisco ai trascorsi nell’esercito che hanno visto John, capitano, e vedo che tu fai riferimento al suo legame con James che, sicuramente, è Sholto, l’invitato al matrimonio di John e Mary che più era atteso con trepidazione dalla sposo e che suscita chiaramente la gelosia retroattiva di Sh. Tutto visto in TSOT. Purtroppo veniamo a sapere, sempre dai pensieri di John, che Crane “si divertiva a gettare fango” sul legame tra Sholto e Watson.
Un bel richiamo alla Serie BBC, questo, che conferisce credibilità a quanto racconti e ci riporta alle atmosfere che abbiamo respirato nell’ormai mitico “Sherlock” dei Mofftiss.
Un altro elemento che ho apprezzato sono i flash con cui tratteggi l’intervento di Sh in questo capitolo: si tratta del suo sbuffare quando si accorge della presenza di Mycroft, d’interventi concisi e seri, del tocco veloce che blocca John prima dell’esplosione della sua rabbia…
Sono, i tuoi, sguardi veloci, ma precisi e significativi, a come il consulting stia seguendo l’evolversi della situazione.
Sulla scena, inoltre, hai posto un Mycroft molto IC che nasconde, come sempre, il suo atteggiamento protettivo nei confronti del fratello minore.
Ma il vero colpo di scena, secondo me, è la scoperta che John ha subito una ferita in seguito al morso di uno zombi. Qui mi è saltata subito, agli occhi della mente, la scena, con analogo significato, vista nel film “Cargo”, in cui uno splendido Martin interpreta con magistrale intensità, come sempre del resto, un personaggio di commovente umanità. Apro una veloce parentesi: se non l’hai ancora visto, fallo, ne vale decisamente la pena.
Tornando alla piccola caserma, ecco il deflagrante colpo di scena che destabilizza tutto e cioè la quasi certezza, tremenda, che anche John sia stato infettato dai mostri.
Brava, un bel capitolo, conciso e decisamente efficace.

Recensore Master
26/01/20, ore 18:11
Cap. 13:

Beh, vista la recentissima recensione (ieri notte) che ti ho inviato relativamente al capitolo precedente, oggi mi fermo subito qui, così non perdo il filo ed il calore di ciò che ho letto da poco.
Noto la brevità del capitolo e sai che penso che, se possibile, sarebbe preferibile così. Ma, ritengo che, tu, come Autore, sai meglio di me come vanno le cose, e cioè che sia davvero difficile individuare il punto esatto in cui far fermare il capitolo perché l’azione o un dialogo in atto non possono certo essere troncati, indifferentemente, in un punto o in un altro.
Eccomi, dunque, a seguire la fuga precipitosa dei due investigatori, minacciati da un gruppo di cadaveri viventi per nulla tranquilli.
Ora metti John in mezzo alla scena che, sinceramente, è da cardiopalmo per “chi” sta attaccando senza tregua il gruppetto dei fuggitivi. Sono orrende creature, che di umano non hanno più nemmeno una fugace espressione, perciò appaiono ancora più mostruosi. Delle grottesche caricature che, prima, purtroppo, erano uomini. E, pensare che sono frutto di terribili esperimenti all’insegna di uno spietato e folle razzismo, fa ancora più spavento. Lo stesso Sh, appare frastornato anzi, terrorizzato e, come bene precisi tu, richiama il consulting sconvolto di THOB, che abbiamo visto seduto davanti al caminetto, confuso, tremante e, forse per la prima volta, incapace di “etichettare” con razionalità ciò che succede. Per la precisione, John coglie che, lo stato di agitazione di Sh, è davvero maggiore rispetto all’esperienza in questione. Quindi, in lui, scatta il suo essere “soldato” che lo induce ad una particolare freddezza e lucidità nel decidere cosa fare, tanto più che lì, in quella situazione assurda e mortalmente pericolosa, c’è l’uomo di cui è sicuramente innamorato (“…qualcosa lo scuote… portandosi pericolosamente verso Sherlock…”).
Il capitolo si sviluppa caratterizzato da una concitazione e da un succedersi frenetico di scene allucinanti. Il tuo modo di scrivere si adegua perfettamente al contenuto, riducendo le pause, alleggerendo la prosa con una minore presenza di aggettivi. Infatti è tutto un trionfo di verbi di movimento che rendono verosimile ciò che accade e caratterizzano ciò che scrivi in modo credibile, anche se l’argomento non è proprio realistico. Ma lo sembra, grazie alla tua consueta precisione nel fissare azioni e personaggi che le compiono; riporto qui quello che ne è solo un esempio, perché il testo procede con tali ritmi dappertutto: “…Agendo…estrae…spara…atterrandolo…scarica…cadono…raggiungerlo”.
Hai rappresentato, infatti, un crescendo di paura, ansia, confusione, immagini raccapriccianti, come quelle relative ai morti viventi che connoti con braccia protese in un modo quasi meccanico, volti che hanno un’espressione vuota, orrende bocche aperte che emettono versi raccapriccianti. E, soprattutto, hanno un unico obiettivo: uccidere.
Arrivano fortunatamente gli aiuti ma, prima di considerare sia pur temporaneamente raggiunta la salvezza, di cose ne succedono. C’è un unico momento in cui, secondo me, hai fermato l’azione convulsa ed è quello, bellissimo e coinvolgente, in cui John, per difendere Sh dall’attacco di uno zombie, che cerca di avventarsi sul consulting attraverso il vetro frantumato del finestrino della camionetta che li sta portando in salvo, si trova con il viso contro il petto di Holmes. E qui cristallizzi un attimo suggestivo, travolgente in cui il nostro soldato preferito si perde, si ferma nel sentire il battito del cuore dell’altro e ne avverte il profumo, mischiato all’odore della paura. A proposito di John, mentre nel precedente capitolo domina la figura di Sh, con la sua pungente ironia e lo sfoggio della sua formidabile intelligenza, qui fai agire uno splendido Watson, che esprime tutta la sua forte fibra di soldato e la sua umanità, così appassionante nei momenti di debolezza e di dominio dei sentimenti sulla ragione.
Brava, veramente.

Recensore Master
26/01/20, ore 00:53
Cap. 12:

Eccoci arrivati in quello che è il cuore dell’incubo, cioè la casa di Xabaras. Arrivati in bicicletta, sgangherata per giunta, e questo sfuma, con una piacevole nota ironica, la tensione dello scenario. Sì, perché immaginarmi Sh, nella sua innata eleganza, a bordo di un tale mezzo di trasporto, francamente mi diverte molto, forse un po’ sadicamente, pensando alla riluttanza del soggetto in questione rispetto a situazioni che abbiano solo un cenno di pratico e faticoso.
Interessante il tuo costante focalizzare l’attenzione di chi legge sulla situazione emotiva di Sh che è preso dalla stranezza inquietante del caso e dalla consapevolezza che, aver ritrovato John, è avere davanti, purtroppo, un “ex”, in tutti i sensi. Quindi, quello che fai agire è uno Sh tormentato, teso per ciò su cui deve indagare ed addolorato per il fatto che, la sua scelta del finto suicidio, gli ha precluso la possibilità di fare chiarezza, dentro di sé e nei confronti di John, su quello che, realmente, prova per lui.
Ciò che scorre, sotterraneo ma impetuoso, come le occhiate eloquenti che Sh lancia di nascosto verso il medico, non sfugge allo sguardo indagatore di Dylan che si sente umanamente coinvolto nel percepire la forza del legame tra i due di Baker Street; quasi quasi, prova nei loro confronti una certa invidia per l’essere così complementari, anche se il rapporto appare chiaramente tempestoso. L’assistere a tutto questo lo fa ripensare, con nostalgia e con un po’ di malinconia, al suo “primo amore adolescenziale” perché Sh e John si comportano come degli adolescenti innamorati follemente ma incapaci di esprimere ciò che provano l’uno per l’altro. E qui metti nella sua mente una riflessione che trovo molto vera e particolarmente efficace (“…La vita è troppo breve e imprevedibile per tenersi dentro le cose importanti…”).
Altra citazione, su cui voglio soffermarmi, è il confronto che fai tra i due investigatori di fronte al cancello della villa di Xabaras, ognuno con un motivo valido per essere riluttante a varcarlo. Dylan sa cosa c’è al di là e Sh, emozionante osservazione che fai, è restio a lasciare così John. Proprio un passaggio narrativo molto suggestivo, brava.
Andando avanti nella lettura e procedendo con i due investigatori verso l’interno della casa, il tuo modo di raccontare si conferma senza troppi fronzoli e davvero utile nell’uso dei dialoghi che diventano la struttura portante del testo, senza però togliere il ruolo d’oggettivazione alla parte puramente descrittiva. Ci sai coinvolgere nella tensione del momento, mettendo in evidenza l’influsso malefico che il diabolico criminale ha sulla mente di chi si sta avvicinando a lui e questo Dylan lo percepisce perfettamente.
Ovviamente, secondo me, si legge avidamente per arrivare al punto cruciale dell’incontro tra i tre personaggi così “importanti” e l’aver pensato, come hai fatto, d’introdurre Sh ed il suo mondo in quello di Dog è stata un’operazione narrativa davvero audace ma vincente. Infatti anche chi, come me, non conosce Dylan, può gustare la lettura perché il tuo stile è agile, senza pesantezze ed il tuo raccontare è chiaro e ci permette di capire ciò che sta succedendo.
Xabaras è descritto nella sua paurosa realtà, Dylan, che lo conosce, prova, umanamente, una paura serpeggiante di quell’essere. Bello lo spettacolo che dà, invece, Sh che “è legato mani e piedi alla ragione” (a proposito, meravigliosa definizione, me l’annoto), pensa evidentemente di avere davanti a sé un “semplice pazzo visionario”.
Gli elementi per interessarsi a ciò che scrivi ci sono, eccome: lo scontro si va facendo sempre più intrigante perché fai interagire tre figure di grosso calibro, dei veri protagonisti. Quello che giganteggia, a parte i gustosi interventi ironici di Dylan di fronte alla performance suicida di Sh, è, secondo me, proprio quest’ultimo. Infatti non ti sei arenata nella banalizzazione della sua incredulità di fronte al sovrannaturale ma l’hai guidato, attraverso le sue deduzioni, espresse con calma e convinzione allo spaventoso Xabaras o Abraxas, ad una progressiva conquista della sua credibilità di persona eccezionalmente intelligente anche di fronte ad un’entità francamente terrorizzante. Brava.
Altro punto forte del capitolo è l’aggressione psicologica davvero subdola ed, a suo modo, efficace che Xabaras compie nei confronti dei due investigatori: mi ha colpito, forse perché conosco bene il personaggio, quella contro Sh, nella quale vengono usate parole e concetti che hai saputo caratterizzare con una crudezza sicuramente potente. La sintesi, che Xabaras fa delle vicende di Holmes e di chi gli sta accanto, è un quadro impietoso ma, secondo me, assolutamente rispondente a verità, dei fatti che hanno ruotato drammaticamente intorno al 221b: tutti quelli che costituiscono il “coro”, che fa parte irrinunciabile della vita di Sh, vengono “fotografati” dal livido e spietato punto di vista del demone. Ecco, dunque Molly, che ora soffre di problemi d’alcolismo ma la definizione a lei relativa è veramente cruda; l’atteggiamento di Xabaras si “ammorbidisce”, ma penso che sia un atteggiamento ironico, relativamente alla signora Hudson che viene definita “buffa” ed al “paterno” Lestrade. Invece un pugno allo stomaco è ciò che dice di John (“…un uomo mostruoso…”) e, di fronte a queste parole infernali, ci presenti l’immagine coinvolgente di uno Sh in lacrime. Il tocco più diabolico è comunque la definizione di “morto vivente” in cui c’è racchiusa tutta la tragica realtà in cui ha dovuto confrontarsi il nostro consulting dopo il suo ritorno dall’ “esilio”, illuso di ritrovare intatto soprattutto il suo legame con Watson.
Comunque sei riuscita, in tutta questa tensione, a strapparmi una risata alle affermazioni di Sh e di Dylan sui loro orientamenti alimentari, dopo il discorso che Xabaras fa riguardo al cannibalismo.
Si arriva alla fine del capitolo con il fiato corto, per ciò che succede e per il ritmo convulso che imprimi all’azione.
Hai scritto proprio un capitolo denso di elementi che tengono desto l’interesse e, progressivamente, lo attivano sempre di più.
Per concludere, ti faccio i miei complimenti.
P.S. mi stavo chiedendo se il capitolo non sia troppo lungo. A me è piaciuto, ma pensavo che non ci sia sosta alla tensione narrativa ed agli sviluppi narrativi che si susseguono incessantemente e sono veramente tanti. Capisco però che, interrompere il flusso di ciò che anima il racconto qui, può troncare negativamente una o più situazioni che devono essere completate. Però, effettivamente, si arriva alla fine come dopo una corsa troppo lunga. Come vedi ti esprimo non una certezza ma un ragionamento sconclusionato che mi è venuto in mente….Vai così, come hai deciso tu, ovvio. Chiaro è che l’Autore ha in mente un piano di distribuzione del materiale narrativo che segue un filo logico e temporale di successione dei fatti. Quindi, un suggerimento a fare questo o quello, può sembrare un’intromissione irrispettosa verso chi s’impegna a regalarci dei momenti di evasione e di lettura di qualità. Ma, quello che ti ho comunicato, è un pensiero delle dimensioni di un moscerino che ronzava nella mia testa relativamente alle dimensioni del capitolo. Pongo fine al mio “bla bla” e ti rinnovo i complimenti per quanto ho letto.

Recensore Master
13/01/20, ore 00:18
Cap. 11:

La comitiva d’improvvisati ciclisti è arrivata ad Undead. Il punto di vista attraverso il quale assistiamo a ciò che succede è quello di Sh. Ed è un POV che ci trasmette tutta la tristezza ed il dolore che accompagnano il consulting da quando è tornato a Londra dal finto suicidio ed ha ritrovato un John cambiato, carico di rabbia e rancore nei suoi confronti ed, in più, in coppia con Mary. La consapevolezza che un’era di condivisione e di speranza in una realtà sentimentale sembrava davvero realizzabile, è sfumata e Sh, ora, é angosciato dal desiderio di recuperare il tempo perduto ma, al tempo stesso, ne vede l’impossibilità. O, almeno, questa è la sua certezza, non avendo accesso ai pensieri di John, in balia delle sue fragilità e della realtà, a lui tragicamente sconosciuta, dei sentimenti.
Pertanto la corsa in bicicletta è accompagnata da laceranti riflessioni e dai sensi di colpa derivati dal non aver coinvolto anche John nel piano per eliminare la rete criminale di Moriarty.

Molto originale, nonostante l’argomento abbia riempito migliaia di “pagine” nel fandom, è l’osservazione che Sh fa, tra sè e sè a proposito del caso che vedrebbe coinvolti degli zombi. Se non ho capito male, lui ritiene che John si stia occupando di un “morto vivente” che non è altro che se stesso, visto che si sta mettendo in pericolo di vita proprio per sentirsi vivo. Come ai bei tempi del 221b, in cui il frustrato reduce, capitano Watson, correva dietro al consulting per respirare adrenalina pura, per lui soldato fino all’ultima cellula, vero e proprio ossigeno rigenerante.
Ed ecco quegli sguardi nascosti e preoccupati che Sh lancia a John, preoccupato per il pericolo che si sta rivelando sempre più concreto e terrificante.
Infatti lo scenario che accoglie i quattro è davvero inquietante, caratterizzato dalle tracce di morte disseminate ovunque. Infatti, ad accoglierli ci sono carcasse ovunque ed è la causa del loro stato che terrorizza Sh, non tanto per se stesso ma per il rischio che coinvolge soprattutto il suo amato John. La verità terribile che si presenta ai loro occhi è che sono stati morsi di denti umani a uccidere quegli animali morti.
Certo che, ma è una mia riflessione personale, hai saputo costruire uno sfondo perfettamente coerente allo stato d’animo di Sh: un ambiente sinistro, silenzioso e sospeso in una dimensione angosciante, in cui non c’è più speranza. Ed è ciò che alberga nel cuore di Holmes, consapevole di quello che gli è costato il “volo” dal tetto del Barts. Gli è costato John e la possibilità di avere un futuro accanto a lui.
Il finale del capitolo che lo vede cercare di recuperare la distanza che si è interposta tra lui e gli altri, ha davvero fatto dilagare ansia ed una forte inquietudine: siamo in pieno film horror.
Brava perché, anche trasmettere simili emozioni, non è semplice e tu sei riuscita a farlo senza scadere nel banale o nel truculento senza stile.
Mi rimane la curiosità di conoscere i fatti successivi ma, al tempo stesso, ti confesso che temo di prevederne la tipologia…
(Recensione modificata il 13/01/2020 - 12:19 am)

Recensore Master
12/01/20, ore 23:28
Cap. 10:

Allora…John arriva in Scozia e, come prima cosa, conosce Groucho ed il rimpallo di battute tra i due, che hai costruito, è ben fatto e simpaticamente piacevole. Fai in modo che Watson, nonostante lo stupore di trovarsi di fronte ad un personaggio del genere, non si trovi spiazzato ma che regga perfettamente l’impatto con la continua e scoppiettante ironia dell’altro. Ovviamente il suo pensiero va a Sh che ancora non si fa vedere (“…Lui dov’è…”), quindi hai saputo creare un clima d’attesa che non guasta perché coinvolgi anche chi legge, non solo Watson…
Ho trovato efficace e bellissima la scena del loro incontro davanti al caminetto: Sh dorme profondamente, John lo contempla e gli tasta il polso per accertarsi che non ci siano segni che il consulting sia sotto effetto di stupefacenti. Quest’ultimo si sveglia e gli afferra la mano, sondando la sua espressione con i suoi occhi, unici al mondo (sì, giudizio di un’inguaribile ed eternamente dipendente sherlocked). Hai dato vita ad un attimo veramente coinvolgente, se non altro secondo il mio giudizio (comunque di parte).
Quello che si dicono, spontaneamente, riassume i punti principali del loro problema: Mary.
Mary che si erge tra loro e che, ad ingarbugliare ulteriormente la faccenda, dice di provare simpatia per Sh. Affermazione che, sinceramente, a me ha sempre dato fastidio.
Mi sono ritrovata a rileggere più volte la sequenza di gesti (“...Mette e toglie le mani dalle tasche...” ecc) che fa da sfondo a quello :”Scusa” che sembra iniziare un discorso lasciato in sospeso e che non trova la via d’uscita da un labirinto di malintesi, rancori e paure. John ne è frastornato e non riesce ad esprimere che una striminzita sillaba d’approvazione, con quell’ “Ok” che appare freddo e inespressivo e non riesce a parlare al cuore di Sh per dirgli ciò che vorrebbe davvero sentire da John.
Delinei con più precisione il caso che c’interessa attraverso la conversazione che avviene tra i quattro personaggi e vedo che metti in risalto, coraggiosamente direi, vista la drammatica contemporaneità dell’argomento, una tematica che s’inserisce in modo inquietante nelle supposizioni e nelle ipotesi che vengono imbastite.
Infatti parli di migranti, di ondate razziste che sono arrivate a sconvolgere persino la Scozia, così lontana dal Mediterraneo. Ma, quello che davvero sconvolge, è il sospetto che, degli esseri umani così drammaticamente messi in gioco dal destino, finiscano nelle mani di un folle e diabolico criminale, come Xabaras, per essere usati come vere e proprie cavie. Terribile.
Questo elemento narrativo, che ci rimanda, come ho già scritto, alla realtà contemporanea dei drammi di chi attraversa il Mediterraneo alla ricerca di una vita diversa, arricchisce la tua storia portandola ad un livello più elevato rispetto ad un racconto poliziesco intessuto su personaggi e contesti di pura fantasia.
Il capitolo si conclude con un simpatico “alleggerimento” che tu innesti sul precedente momento, di cui ho appena scritto, che ha sparso veramente tristezza e malinconia riguardo a qualcosa che, purtroppo, non è pura invenzione romanzesca. Infatti ci presenti la scena divertente dei quattro nostri alle prese con l’unico mezzo di trasporto loro possibile, delle biciclette sgangherate e, come se non bastasse, “derubati” da un antipatico commerciante.
Un bel pezzo, questo, molto ricco di spunti e di motivi d’interesse.

Recensore Master
02/01/20, ore 00:12
Cap. 9:

In questo capitolo riprendiamo il filo dei pensieri di John, che tu dipani con un’acutissima capacità di “leggere” nella mente e nel cuore dei personaggi.
Entrare nella testa di Watson non è molto facile, soprattutto di quell’invasato che, nella S4 ha “pestato” Sh di santa ragione nell’ obitorio, e qui, temporalmente, in teoria, dovremmo essere in un periodo antecedente. Ma, ugualmente, dare un senso ai comportamenti del John che sta con Mary ma che è ancora traumatizzato dal ritorno di colui che credeva morto, non è cosa semplice. In più nella tua storia ci , sono anche elementi AU che avrebbero portato sicuramente complicazioni in più. Sei comunque riuscita a presentarci Watson in un modo credibile, molto IC, e in preda ad un profondo disorientamento.
Lo shock provato nel rivedere Sh vivo e vegeto, gli sta sollevando, nella testa e nel cuore, un polverone incredibile. Lo vediamo chiaramente nella scena del ritorno a casa, da Mary, in cui sembra ritornare persino la zoppia psicosomatica, quella guarita dalla travolgente avventura che è stata la vita al 221 b dei primi tempi.
Immagini e sensazioni del passato tornano e sconvolgono il fragile assetto che è riuscito a dare alla sua vita del post Reichenbach. Il correre dietro a Sh aveva avuto un effetto benefico persino dal punto di vista fisico. Ora, infatti, si vede sciupato ed invecchiato (“...Si vede vecchio, trascurato e decisamente poco attraente...”). Osservazione, questa, che trovo davvero verosimigliante e coerente con lo stato dei fatti e che si concretizza efficacemente in quel triste, ormai famoso, paio di baffi.
E la constatazione che il suo corpo ha risentito negativamente del cessare delle “rincorse” dietro a Sh, lo portano su un percorso doloroso di ricordi e di rimpianti.
Sullo sfondo collochi la figura di Mary, personaggio a me sinceramente sgradito, che non regge il confronto con l’
“intrusione” che la splendida immagine di Sh compie nei pensieri di John.
Hai introdotto un altro elemento che arricchisce il recuperare che lui fa di ciò che più ha influito sul suo passato e sulle sue scelte e cioè il ricordo del maggiore Sholto, che riaffiora e si intreccia con le sensazioni provate con Sh. Qui c’è un’importante ammissione che John fa con se stesso: non è sorprendente quello che lui ha provato per l’ufficiale ma il fatto che le stesse emozioni sono tornate a proposito di Sh e sono quelle che lo appagavano più di ogni altra cosa. Dunque come ha amato Sholto così non può negare di essere innamorato di Holmes. È evidente, come la sensazione positiva che il viaggio in Scozia sia portatore di novità, di un ritrovare ciò che era stato perduto.
Un bellissimo capitolo, questo, che mi è piaciuto molto per la carica introspettiva che hai saputo infondervi.
Brava.