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Autore: zoro145    24/10/2006    0 recensioni
In una piccola cittadina costiera,Selinunte,si svolge la nosta storia,liberamente ispirata alla famosissima saga per PS "Silent Hill".E' il mio primo lavoro,ma spero vi piaccia ugualmente.Ah,nomi e luoghi sono reali,anke se alcuni un pò modificati.
Genere: Parodia, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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selinunt hill

Ecco com'è stata immaginata la fine del racconto dal nostro Gianko!

 

 

Selinunte, 17 agosto 2005

Investiti dalla speranza, si esce a cercare i resti di Nino Panino per mangiare il mangiabile. Ma una pioggia fastidiosa ci ferma sulla soglia della porta, e si decide quindi di tirare a sorte chi dovrà immolarsi per dare da mangiare il proprio corpo agli altri. Prima che il pari e dispari venga finito, Riccardino scappa e si decide all’ unanimità di inseguirlo, sventrarlo, eventualmente cuocerlo, e quindi saziarsi delle sue carni. Si ruba una macchina, ma Riccardo si ricorda che nessuno può portarla. Giancarlo se ne frega, nonostante non ne abbia mai portata una in vita sua. Dopo centocinquanta metri di derapata letale sul bagnato sdrucciolevole, si pianta di faccia contro la statua di Padre Pio, la quale, essendo di rame, interferisce col circuito della macchina, che fa prendere fuoco al serbatoio della broda. Giancarlo capisce di avere commesso una cazzata, e scappa fuori salvandosi per miracolo. Ma correndo per salvarsi mettendosi a riparo, scivola su una buccia di banana e da a sua volta la faccia contro un bidone dell’immondizia di quelli d’amianto, rimanendoci secco sul colpo. Riccardo, shockato dall’accaduto, se ne fotte la ciolla e riparte all’ inseguimento di Riccardino, in quanto aveva un fastidioso languorino. Riccardino, alla ragguardevole velocità di 12 km/h a manetta, aveva raggiunto il lido Zabbara, troppo distratto dalla corsa per accorgersi di avere preso fuoco per autocombustione. In quanto inerzia fatta persona, decide di coricarsi a terra per aspettare che la pioggia gli spenga le braghe. Ma la pioggia acida selinuntina gli corrode la faccia prima che possa accorgersi di essere un coglione, e il suo corpo semicosciente viene finito dagli zombie della filarmonica di Praga in villeggiatura. Riccardo, che si era perso, cercava qualcosa da mangiare. Resistendo alla tentazione di staccarsi un braccio e arrostirlo, arriva ai templi. Accecato dalla fame, vede un succulento cespuglio di more e decide di buttarvisi a capofitto. Le more killer siciliane, conosciute anche come Morus uccidentis spurgantus, avevano la fastidiosa caratteristica di fare morire di stipsi e diarrea chiunque le mangiasse. Riccardo, in quanto essere umano, si distrasse a cagare l’anima dietro una colonna, mentre un gruppo di turisti persisi e salvatisi dalla strage di Marinella, lo derise fino a morire per questo.

Ciccio, comodamente sdraiato sul letto, si sveglia la mattina seguente, avvolto da un tepore molto piacevole. Piacevole finché non potè accorgersi del fatto che un’ orda di cani zombie assassini gli grattava la porta, la quale era piacevolmente in fiamme. L’unica via di fuga era la finestra che dava sul tetto e quindi sulla strada, piacevolmente a otto metri di dislivello da lui. Soppressa la tentazione di riaddormentarsi, decise di buttarsi dalla finestra fino a scivolare sul tetto spiovente. Lo fece, ma morì impalato al cancello acuminato mentre i cani se la ridevano di gusto

 

 

La strage di Marinella ci insegna che chi non rispetta i metallamenti muore in maniera orribile, atroce, e in un certo qual modo divertente. Quindi non cagate la minchia e gettate nel cesso qualunque cosa che sia dagli AC/DC in giù. In dog we trust.

E sapete il emotivo di tutto ciò?

Perché siete dei coglioooooooooooooooooooniiiiiiiiiiiiiiiiii.

Il protagonista nascosto della storia, ossia Renato, che cercava di scappare da Selinunte in monopattino verso il paradiso fiscale del Lussemburgo, era inconsapevole del fatto che anche lui avrebbe fatto una fine orribile. Al dodicesimo chilometro dello stradone, distratto da pensieri osceni quali cazzi negri e sborra, cozzò di faccia con Peppe Cagliari, che era diretto sempre in monopattino, verso la Liberia. Il monopattino prese fuoco, e Peppe Cagliari scappò via. Renato si alzò miracolosamente da terra, ma venne colpito da un’ anguria volante. Gli dei volevano che morisse di una morte orribile. Peppe Cagliari, che credeva di poterla fare franca, con tutti quei cd di Tiziano Ferro nascosti sotto il letto, cercò di fare lo sborone saltando una pozzanghera, ma distratto dalla calura estiva e dai miraggi sull’asfalto, non vide una matassa di fili scoperti a terra, che lampeggiavano di 39.000 volts. Peppe, che era scaltro di riflessi, evitò la matassa di fili scoperti, ma prese in pieno il tir della Parmalat guidato dal cadavere di Peppe Mammana e dalla sua donna, Giovanni Dattolo, morti entrambi in maniera oscuramente oscena (chiudendosi le dita in un cassetto) si dilettavano a guidare il tir in lungo ed in largo, come narrato in una canzone di Max Pezzali.

 

Amen.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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