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Autore: Honey to the poison    30/03/2012    3 recensioni
“saremo insieme per sempre vero?”.
I suoi occhi erano lucidi, le guance rosse di una risata scappata da sola nelle nostre conversazioni insensate.
Nata solo per rendere più veloce un pomeriggio noioso.
La sua testa s’incastrò sulla mia spalla, con leggerezza, sfiorandomi il collo con la punta del naso, i suoi capelli una massa scomposta che mi solleticava la spalla scoperta.
“per sempre” le accordai stringendola con un braccio, il suo corpo più piccolo del mio aveva l’immaturità di un frutto acerbo.
“sei la mia migliore amica” sospirò soddisfatta abbassando le ciglia, potevo sentirne la carezza sottile mentre si appoggiava alla mia pelle.
Un nodo scorsoio mi strinse la gola, in una parola dolce che non bastava più.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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15

 

Il primo pugno arrivò direttamente al naso, ma mi accorsi subito che avevo fatto centro solo grazie l’effetto sorpresa.

Le mie mani tremavano troppo per essere così precise.

 

“chi colpisce per primo colpisce due volte” recitava la voce calma di Ben nella mia testa.

Come quando provavo a temporeggiare dentro il quadrato d’allenamento.

 

Il sangue di Mario mi sporcava appena le nocche.

Provai ad insistere sulla parte offesa, ma stavolta mi fermò, anche perché ormai il fiato corto della mia corsa e l’avventatezza stavano prendendo il posto dell’adrenalina che scorreva ancora nel cuore.

“cosa cazzo stai facendo?” urlò, afferrandomi i pugni e tenendoli sospesi sopra la mia testa.

Ne approfittai dargli una testata sul mento che lo colpì in pieno, facendogli schioccare i denti tra loro, lasciandolo indietreggiare per trascinarmi in un’improbabile caduta sopra di lui.

 

Il suo corpo contro il mio rivelava l’intima sostanza dei suoi muscoli sottili contro le ossa troppo lunghe,il viso ancora stupito mentre  colpivo a pugni chiusi tutto ciò che restava immobile sotto di me per più di qualche secondo.

Sapevo che stava solo cercando di bloccarmi mentre trovava il modo di alzarsi e spingermi contro il muro, lasciando la mia testa libera di sbattere contro la parete, aprendo un solco.

Dentro le mie mani l’intonaco freddo del muro graffiava i palmi.

 

“Lasciami!” urlai da qualche parte troppo in basso alle sue orecchie mentre ancora più teso stirava le mie braccia verso l’alto in una presa ferrea.

“lasciami bastardo!”.

Le ginocchia cercavano invano di colpire il suo unico punto debole tra le gambe, mentre, pur di tenermi ferma, si faceva più stretto al mio seno.

 

“per lasciarti libera di picchiarmi? Chi ti credi di essere?”

 

Quello che tu non sarai mai

 

“perché te la prendi con me idiota? È Vale che ha fatto tutto questo casino. Non è colpa mia se è arrivata all’improvviso per arrabbiarsi di qualcosa che non ho neanche capito … quella donna è pazza, proprio come te!”

 

Il suo fiato corto contro una tempia.

 

“mi ha minacciato di chissà cosa prima di andarsene urlando. Ha sbattuto li, proprio contro quello spigolo mentre correva piangendo. Non ho provato neanche a fermarla, tanto sapevo che sarebbe tornata entro mezz’ora. Sono abituato ai suoi cambi di umore, ai sui isterismi, le chiamate alle tre di notte, i dettagli inutili sulla sua famiglia e sulla sua amichetta del cuore, che tratta come un gattino mentre è solo una pazza istintiva, che ama e odia con la stessa intensità …”.

 

Alzai lo sguardo mentre le gambe smettevano di correre alla ricerca di un calcio ben assestato.

Mario mi fissava con imperscrutabile intensità nei suoi occhi d’inchiostro.

Parlava di me.

 

“… che la protegge come una fidanzata gelosa, che mi scredita come l’ultimo degli uomini quasi fosse invidiosa di me … di qualcosa che io posso avere mentre a lei tocca accontentarsi delle briciole”.

 

Il suo sussurro sul mio viso stretto negli occhi chiusi.

Il ricordo doloroso di una notte buia in cui il ricordo di Vale era l’unico gemito tra il mio corpo e quello di un altro uomo.

Pressato come quello del fidanzato della mia migliore amica al mio.

 

Lo scansai di netto mentre sentivo la tensione sciogliere i nodi della sua gola in una risata.

Ma non la presa dai miei polsi.

 

“Dio … non credevo di avere ragione”.

 

Lo guardai con odio, infilando con vivida cattiveria le unghie nella carne per lasciarmi andare con un guaito offeso tra una risata e l’altra.

 

“non vedo l’ora di dirlo a Vale”

“non la vedrai mai più” digrignai tra i denti.

Assottigliò lo sguardo in una sfida balorda.

“tornerà” commentò serafico massaggiandosi leggermente le mani indolenzite dai miei graffi.

“lei mi ama”.

 

Gli voltai le spalle in direzione della porta, per evitare di sentire ancora la sua voce odiosa, per non farmi tentare dal sano desiderio di picchiarlo ancora.

 

“come non amerà mai te … stupida lesbica”.

 

-

Camminai a lungo tra le strade del mio quartiere senza il coraggio di tornare, anche se sapevo che Vale mi stava aspettando, che aveva bisogno di me.

Delle mie rassicurazioni.

Del mio affetto.

 

Aveva bisogno della sua pacata, dolce migliore amica.

Di una spalla tiepida su cui piangere.

Di un abbraccio.

 

Non di una bestia incazzata con il sangue secco del suo fidanzato sotto le unghie.

 

Sospirai ancora, salendo le scale a piedi, pigiando quasi con timore il campanello della mia stessa porta.

Aspettandomi ansia, dolore, paura.

Ma la porta si aprì, e trovai solo due occhi dorati a guardarmi con rabbia e una domanda che forse non aveva risposta.

 

-

“dove sei stata?”

Gli occhi di Martina cercarono i miei, ostinatamente bassi, irreprensibilmente colpevoli.

“Lori …”

“lei dov’è?” chiese una voce sconosciuta dal fondo della mia gola, sembrava il ringhio stanco di un animale ferito.

Troppo lontano da me per preoccuparmi davvero.

 

Martina si passò una mano tra i capelli arruffati, lasciandosi scoperta una guancia e i segni scuri di preoccupazione dentro i suoi occhi d’ambra.

Mi sentii in colpa.

Terribilmente, e senza scuse.

“dorme sul divano, credevo fosse svenuta invece si è solo addormentata mentre le preparavo un tè”.

Vale odiava il tè caldo.

Martina non sapeva neanche prepararlo

 

Ed improvvisamente le vidi, le due donne della mia vita, mai presentate, sconosciute agli atti dentro la mia casa, senza me a separarle, ogniuna con un segreto impossibile da dire.

Un crampo allo stomaco mi ricordò quanto stavo rischiando in quel momento, mentre Vale riposava e Martina sospirava delusa accanto a me.

Irriconoscibile, come in un sogno confuso.

“forse è meglio che vada …”

“si” le risposi senza tempo, con la sua frase ancora in bocca e un dolore vivido che le tirava i muscoli delle labbra.

 Mi accorsi tardi che lo sapeva già, che la sua borsa era poggiata e chiusa accanto la porta, in attesa delle mie parole.

Senza speranza.

Le bloccai un polso mentre cercava la maniglia, tirandola a me in un abbraccio rigido, nel suo corpo magro accostato al mio senza volerlo.

O forse troppo triste per accettarlo.

“torna domani Marti”, le sussurrai tra i capelli.

Con un braccio mi sfiorò la vita, per trattenermi o scansarmi, chissà.

“non hai bisogno di me”

“si invece … ti prego, torna”.

Restò qualche secondo a respirarmi addosso, trattenendosi, pensando forse.

La sua mano che saliva verso il mio collo era l’assenso che cercavo.

Mi guardò negli occhi prima di baciarmi con cautela, gli occhi chiusi mentre controllavo la dolcezza delle sue ciglia contro le guance rotonde.

 

“vai a lavarti adesso”, sussurrò aprendo la porta.

“puzzi di uomo”.

 

-

Vale respirava piano.

I piccoli pugni stretti come sempre sotto i mento e le tracce lisce delle lacrime intorno al viso.

Aprì gli occhi prima che potessi aggiustarle il plaid sulle spalle.

Fissò il mio viso prima di intercettare la mano che tentavo di tenere in tasca.

“cosa gli hai fatto?”.

“nulla”.

Una goccia di sangue colpevole attirò la sua attenzione.

Si alzò con fatica, prima del suo abituale equilibrio.

“Lori … ti prego dimmi che non l’hai picchiato …”.

Trattenni il respiro.

“ti scongiuro, per favore … non gli hai fatto del male vero?”.

Un pensiero mi passò sul viso, facendola inorridire, mentre si buttava contro di me.

In una foga che non aveva niente di reale, scuotendomi per le spalle, gridando.

“non devi toccarlo! Lui è mio! È solo mio, nessuno può ferirlo, nessuno può portarmelo via!”

La voce rotta mentre strattonava la mia maglietta con impeto e dolore.

Mentre percepivo le sue paure, e il motivo per cui probabilmente si era lasciata andare alla crisi.

La gelosia,

L’incertezza.

 

“lui è il mio ragazzo, solo mio solo mio!”.

Immobile mentre scandagliava la sua furia frustrata.

“Vale”

“come hai osato!”

“Vale …”

“lui è tutto per me, la mia vita … la mia intera esistenza”

“Vale!”

“io lo amo!”

“COSA NE SAI TU DELL’AMORE!”

 

Sussultò zittendosi.

I suoi occhi fissi nei miei, mentre mi accorgevo di averle stretto troppo forte le spalle tra le mani rigide dall’incertezza.

Il respiro corto di entrambe a pochi centimetri di distanza.

Il suo profumo dolorosamente sospeso tra di noi, come i suoi capelli vicino le mie dita, ad accarezzarmi la pelle.

Labbra socchiuse di incredulità, morbide di bacio, dolci di arrendevolezza.

 

Provai prepotente l’impulso di prenderla in quel modo.

Con quello sguardo pieno di domande e il corpo troppo stanco per reagire.

Potevo farlo.

Lei era li.

Per me.

Sola e distrutta.

 

Io avrei potuto cambiare il suo mondo.

Essere tutto ciò di cui avere bisogno.

 

Mi crollò addosso con stanchezza, rifugiandosi nel mio petto, stringendosi al mio cuore.

“aiutami” bisbigliò al mio seno, lasciandomi un brivido confuso sulla pelle.

La strinsi tra le braccia con la sensazione di saper fare solo quello e nient’altro.

Di aver fallito per tutte le altre cose nella mia intera esistenza.

“sono qui” la rassicurai a mezza voce.

“io non ti lascerò”.

  
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