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Autore: tonksnape    26/10/2006    1 recensioni
Torna Danduly Street. Dalla parte di Fred Weasley e Ninphadora Tonks. Entrambi devono fare i conti con il dolore e la solitudine e poi con la ricerca di una famiglia e di qualcosa che va oltre la loro solidale amicizia. Il racconto inizia nel 2005 circa e termina nuovamente nel 2008. Non è necessario aver letto la storia precedente, con le vicende di Harry e Ron, per poter seguire questa. I personaggi sono di JKR, tranne qualche piccolo nuovo inserimento. Il resto è fantasia. Buona lettura. Ai fedelissimi di Danduly Street e a coloro che vorranno aggiungersi al viaggio.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia, Weasley, George, e, Fred, Weasley, Nimphadora, Tonks
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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4.    Vivere normalmente?

 

Diagon Alley – parecchi mesi dopo

 

Nel negozio “Tiri Vispi” a quell’ora della sera stava finalmente calando il silenzio. Mancavano solo pochi minuti alla chiusura, era buio e la maggior parte degli studenti era a casa per la cena oppure ad Hogwarts nel bel mezzo dell’anno scolastico. Mancavano poche settimane alle vacanze di Natale e quindi ad uno dei periodi più caotici per George e Fred che stavano finendo di elaborare nuovi scherzi per rinnovare il catalogo della loro produzione. C’erano alcuni scherzi che non sarebbero mai tramontati, ma altri avevano bisogno di qualche nuovo accorgimento, perché era stato ormai trovato il modo di neutralizzarli da parte degli insegnanti. E inoltre li aspettava l’annuale colloquio con Minerva McGrannit, Preside di Hogwarts, per valutare insieme quali giochi permettere o meno dentro la scuola. La pensione di Gazza consentiva agli studenti qualche scherzo in più, ma l’accordo che avevano trovato i gemelli Weasley direttamente con la Preside da qualche anno aveva ridotto notevolmente i rischi di esplosioni indesiderate o di odori indesiderati o di ustioni indesiderate o di mal di stomaco indesiderati durante le ore di lezione o i momenti di libertà.

Certo, l’accordo prevedeva anche che tutto quello che non era vietato era permesso e questo metteva in gioco l’abilità dei gemelli nel presentare adeguatamente i loro prodotti alla Preside, evitando di sottolineare quali sottoprodotti avevano effetti simili, senza essere esplicitamente vietati e alla Preside di allenare la propria abilità nel trovare una falla nel ragionamento dei gemelli per poter bloccare eventuali gentili raggiri nei suoi confronti. Un accordo generale basato su criteri di sicurezza e di buon senso evitava di dover discutere di giochi particolarmente pericolosi o troppo elaborati che gli stessi gemelli inserivano direttamente nella lista dei giochi vietati ad Hogwarts.

In quel preciso momento George e Fred erano impegnati nel loro laboratorio di fianco al negozio nel cercare di trovare un antidoto ad una caramella che rallentava i movimenti della lingua rendendo difficile parlare, pensata per essere offerta agli studenti particolarmente rompiscatole, e nel cercare di riprodurre in una formula, accessibile alle persone oltre i 17 anni, tutto quello che era necessario per creare una palude come quella che aveva permesso loro di tenere in scacco la Professoressa Umbridge al loro sesto anno.

Insieme a loro c’era il fratello Percy che analizzava le possibili implicazioni legali di uno scherzo del genere per evitare di dover poi seguire un iter troppo lungo con il Ministero per ottenere la legalizzazione del prodotto.

Fred e George erano seduti ad un tavolo del laboratorio e stavano osservano i singoli componenti delle caramelle per poter elencare i singoli antidoti e trovarne la modalità corretta per metterli insieme, mentre Percy studiava la formula della palude elencando i punti critici, poco lontano da loro.

Avevano dovuto attendere la fine dell’effetto di una di quelle caramelle sulla lingua di Fred che si era offerto di sperimentarle e era stato zitto per quasi tre ore nel pomeriggio, ma dato che aveva sistemato carte in ufficio non c’erano stati problemi.

L’unico inconveniente era stata una chiamata di Tonks dal camino del negozio che chiedeva se c’erano altri stracci in casa oltre quelli che di solito Fred teneva nel cassetto vicino all’acquaio perché un tubo del bagno gocciolava e lei non aveva ancora trovato la formula adatta a riparalo. Fred aveva detto a cenni di cercare nello sgabuzzino sotto le scale. Tonks, sapendo con chi aveva a che fare, non aveva chiesto spiegazioni ulteriori e l’aveva lasciato dicendogli di non preoccuparsi.

Proprio quello che Fred invece aveva fatto per i minuti successivi.

Non era preoccupato per le figlie. Aveva visto Tonks con loro in molte occasioni durante l’ultimo anno e si fidava di lei. Era attenta, dolce e decisa quando serviva, le ascoltava e giocava con loro, sapeva riconoscere quale fosse il loro bisogno. Aveva affrontato da sola crisi di pianto, tagli, bernoccoli, cadute, febbre alta, varicella e morbillo dimostrandosi all’altezza. E le bambine la adoravano. Passare il pomeriggio con Tonks per loro era come andare alle giostre. Se poi si aggiungevano Ernestine e la zia Lucinda era una festa totale.

Fred era preoccupato per la casa. Con quella Tonks era decisamente maldestra. Sembrava avere una attenzione eccezionale per tutto quello che poteva essere rotto o reso inutilizzabile. In questo caso erano i tubi del bagno. Pur ammirando Tonks e considerandola una cara amica, Fred sapeva con certezza che non si trattava di una rottura causale. Non lo erano mai…

In altre occasioni si era rotto il fornello o una sedia oppure lo specchio. E sempre perché Tonks si era mossa troppo velocemente o troppo rudemente. Beh, si trattava sempre di cose che succedono nelle case di tutti, ma nella sua e di pomeriggio, più spesso delle altre.

Una sera rientrando a casa aveva trovato Maggie che teneva per mano Reggie la quale aveva camminava ancora barcollante e stavano entrambe guardando in alto verso Tonks. Era in piedi su una sedia e guardava sopra un mobile della cucina dove di solito c’erano le pentole meno usate. Fred si era fermato dietro a loro senza che Tonks si fosse accorta del suo arrivo. Lei aveva la bacchetta tra i denti e un braccio infilato dentro il mobile. A Fred erano stati necessari alcuni secondi per capire che c’era un buco in cima al mobile e Tonks stava cercando qualcosa all’interno. Senza accorgersene aveva cominciato a guardarle anche le gambe fasciate nei jeans e su, su fino alle spalle coperte da una maglia sformata. Da quando guardava Tonks come una donna? Non aveva finito di formulare la domanda nella sua testa che si era sentito tirare i pantaloni e aveva guardato in basso verso Reggie che gli sorrideva. C’erano persone più importanti di Tonks…

“ ‘Ao.”

“ ‘Ao anche a te,” le aveva risposto facendole il solletico sotto il mento.

Maggie si era girata verso il padre, aveva lasciato la mano della sorella, ben aggrappata ai pantaloni del padre, e aveva alzato le braccia per andare da lui. Fred si era chinato, l’aveva presa in braccio stringendola a sé e baciandola. Poi si era chinato per prendere anche Reggie che stava nuovamente guardando verso Tonks. La quale sembrava non essersi accorta di nulla. Alla fine aveva alzato il braccio, tenendo ben salda una padella di acciaio. L’aveva agitata trionfante e si era girata verso di loro, meravigliandosi di vedere Fred.

“Ah, ciao…” aveva detto frettolosamente. Gli aveva passato la padella che Fred aveva afferrato con la mano con la quale sorreggeva Reggie e poi si era girata afferrando la bacchetta e aveva pronunciato velocemente un “Reparo” che, immaginò Fred, doveva servire a far sparire il buco sul tetto del mobile.

Era scesa saltando dalla sedia, gli aveva preso la padella e poi Reggie e andando verso i fornelli, gli aveva spiegato.

“Sono passata da Molly con le bambine oggi pomeriggio e abbiamo guardato l’orto e non c’era nulla, ma poi ci siamo ricordati della serra fatta da Charlie e abbiamo trovato qualche zucchina con i fiori ancora attaccati e volevo friggerli con la pastella che dovrebbe,” si era interrotta per girarsi, aprire il frigo, mentre con il gomito faceva cadere la padella, si girava la recuperava mettendola esattamente nel punto da quale era caduta e prendeva lentamente dal frigo un contenitore di vetro con del liquido dentro, “ecco… essere pronta.”

“Perché la padella è uscita da sopra il mobile?” le aveva chiesto tranquillo Fred. A volte con Tonks era necessario pensare di avere una figlia adolescente più che un’amica più grande di lui.

“Perché per errore, giocando con le bambine, ho colpito il mobile con un incantesimo che ha incollato le porte e non avevo tempo di trovare il rimedio e allora sono passata per sopra.”

“È più semplice,” aveva detto convinta Maggie.

“Decisamente,” aveva aggiunto sottovoce, perplesso, Fred. “Hai i capelli rosso ciliegia Tonks, e anche il naso. E mi sembra più grande del solito…” aveva aggiunto, con calma.

“Oh, Merlino,” aveva esclamato lei, portandosi una mano sulla faccia e brandendo con l’altra la bacchetta, nonostante tenesse in equilibrio Reggie, fino a riportare capelli e naso nelle solite condizioni. Era arrossita un po’. “Stavamo parlando di metamorfismo…” si era scusata, stringendo le labbra tra i denti.

Fred le aveva sorriso come se fosse la situazione più normale rientrare a casa e ritrovarsi in una situazione simile.

Ecco, con Tonks era normale.

 

Adesso, chiuso nel laboratorio con George a guardare gli ingredienti delle “Caramelle Tartaruga”, il pensiero di Tonks alle prese con i tubi del bagno di casa sua non era così pressante. Lo era di più capire come potevano contrastare l’effetto di una pianta che permetteva di far rallentare la lingua senza usare un antidoto che la accelerava troppo.

“Ragazzi miei, questa è una palude di tranelli!” esclamò a qualche metro da lui Percy.

“Oh?” alzò lo sguardo interrogativo George. Fred lo seguì un secondo dopo.

“Sarà un’impresa evitare che ve lo boccino.” Percy allungò le mani in alto, stirando i muscoli della schiena e guardò i fratelli, soddisfatto del loro lavoro, così accurato. “Avete creato una palude di pericoli. Si rischia di finirci dentro da tanto bene siete riusciti a mascherarla. Non potreste farla meno perfetta? Ci sarebbero più possibilità!” Percy sospirò. Erano dei geni della magia quei due, davvero. Se si fossero applicati un po’ di più sarebbero finiti a dirigere qualche laboratorio di ricerca a livello mondiale invece che ad inventare giochi in un laboratorio di Diagon Alley. Era folle dover chiedere loro di essere meno bravi per poter riuscire a vendere il loro prodotto.

Entrambi strinsero la bocca nella medesima smorfia, facendo sorridere Percy. Lo facevano anche da piccoli quando gli veniva vietato di fare qualcosa. Era il momento in cui le rotelline dei loro cervelli entravano in attivazione spasmodica. Rimasero tutti e tre in silenzio per un po’.

“Provate a parlarne con il vostro avvocato, prima di prendere una decisione. Potrei sbagliarmi comunque. Oppure brevettatela per il Ministero.”

“La lascerebbero a marcire in un sotterraneo in attesa che diventi di qualche utilità per poi ricordarsi di aver dimenticato come funziona,” sbottò Fred, irritato. Non lavoravano volentieri per il Ministero. Carte, protocolli e poca attenzione. Almeno da quando Percy ci lavorava all’interno riuscivano a far fare a lui parecchi passaggi.

Tutti e tre di rialzarono contemporaneamente dalle sedie allungando le braccia e il collo indolenziti.

“Fame,” annunciò Percy. Si passò una mano tra i capelli perfettamente pettinati e poi si sfiorò la barba che stava crescendo a fine giornata.

“Ah, ah,” concordarono i gemelli.

“Vieni da me?” gli chiese George.

“No, grazie.” Prendendo dalla sedia la giacca e la borsa di lavoro, gli sorrise. “Sono in uscita in Scozia domani per una riunione con il Ministro delle Relazioni Internazionali. Devo uscire presto per controllare che tutto sia a posto,” gli rispose Percy.

“Tu?” chiese a Fred.

“Tonks era alle prese con i tubi del bagno quattro ore fa…” disse sconsolato.

George e Percy annuirono solidali. Sapevano cosa doveva aspettarsi Fred a casa.

“Domenica dalla mamma?” chiese George dopo un po’, quando erano tutti fermi sulla porta per uscire.

Fred annuì.

“Sì,” confermò Percy. “Ci sarà Ron o Harry?” Da quando i due non si parlavano, ed era passato un anno e mezzo, le domeniche a pranzo da Molly e Arthur erano alternate.

“Che stupidi!” commentò Fred. “Ma cosa ci guadagnano a stare così? E poi quando ci parli ti dicono le stesse cose!”

“Dovresti sentire Hermione o Ginny quando raccontano i loro tentativi di farli ragionare. Si imbestialiscono come poche volte le ho viste,” disse Percy. “A volte persino Hermione assomiglia alla mamma.”

 

Pochi minuti dopo – Mc Phermont Street.

Anche se si trattava di casa sua, Fred si sentiva a disagio nel presentarsi direttamente in salotto, sapendo che Tonks era lì con le figlie e preferiva fermarsi davanti al portone e farsi sentire utilizzando le chiavi di casa. E poi c’era il momento del saluto delle figlie. Indispensabile per finire bene la giornata.

“Papà!” sentì urlare da Maggie. Il rumore di piedi felpati che raggiungevano la porta e poi un folletto dai capelli rosso scuro che gli sorrideva, pronta a farsi prendere in braccio.

“Ciao!” urlò Tonks da qualche altra parte della casa. “Maggie chiedi al papà quello che volevi sapere.”

“Perché devo andare all’asilo?” Oh, Merlino, pensò Fred, ecco il meraviglioso broncio di sua figlia. Prese tempo togliendosi il mantello e sistemandolo all’ingresso.

“Perché trovi i tuoi amici e puoi imparare cose nuove.”

“No. Non voglio amici.”

“Perché?”

“Perché sono tutti cretini.”

“Meg, quella è una parola che non mi piace. E non la voglio sentire da nessuno. Almeno sai cosa significa?”

Maggie si fermò con un dito davanti alla bocca, così inconsapevolmente simile alla madre, e ci provò. “Lo zio Harry e lo zio Ron.”

“Eh?” sfuggì a Fred, sorpreso. “Cosa c’entrano gli zii?”

“Lo zio Ron dice che lo zio Harry è un cretino e anche lo zio Harry dice che lo zio Ron è un cretino,” spiegò tranquilla la bambina.

“Io sono arrivata fino a questo…” Tonks stava arrivando al seguito di Reggie che trotterellava verso il padre per farsi abbracciare. Fred la prese in braccio, stanco. Accidenti, aveva una famiglia grande? E allora che tutti venissero coinvolti!

“Senti Maggie, quella parola non mi piace. E dato che la senti dire dagli zii, la prossima volta spiega loro che il papà non vuole sentirla e chiedi che te la spieghino, d’accordo?”

Tonks alzò un pollice per complimentarsi. “Ottimo passaggio di palla. Gran giocatore di Quidditch,” gli sussurrò. Fred sorrise, divertito.

Maggie non sembrava altrettanto convinta. “Ma io non voglio andare all’asilo.”

“Papà pappa!” esclamò contemporaneamente Reggie.

“Certo, tesoro,” Fred guardò Reggie, sorridendo. “Mangiamo tutti insieme stasera. Maggie,” disse con calma alla figlia maggiore, “può succedere di trovare antipatica qualche persona oppure di litigare con gli amici, ma è importante fare la pace e cercare di non trattare male nessuno.”

“Ma io non sono strana!” precisò.

“No, non lo sei, piccola.” Reggie gli tirò il colletto della camicia lasciandogli delle grandi macchie di colore. “Reggie, credo che dovremmo lavarci la mani prima di mangiare. Perché saresti strana, Maggie?” chiese.

“Perché faccio gli alberi rossi e il prato giallo,” si indignò, incrociando le braccia sul petto.

Tonks strizzò gli occhi e strinse i denti. Guardando Fred indicò se stessa con una smorfia di scusa. Fred le sorrise. Sapeva da dove arrivava quella sfrenata fantasia della figlia nell’uso dei colori.

“Maggie, tu sai benissimo di che colore sono gli alberi. Se poi vuoi colorarli di un colore diverso sei libera di farlo.” Maggie annuì soddisfatta e lo prese per mano. “Ho preparato io la tavola.” Reggie intanto proseguiva nel colorare la camicia del padre con stampi delle sue mani. Tonks la prese con sé e la portò a lavarsi mani e faccia.

“Maggie, vai con Ninpha e lavati anche tu. Io mi metto qualcosa da casa e vengo a tavola.”

Tonks lavò Reggie e guardò Maggie che si puliva la mani. E intanto si guardò anche nello specchio. Nessun apparente segno di stanchezza. Bene, a quanto pare aveva ancora risorse per la serata che l’aspettava.

Si spostò in cucina dove era pronta la tavola con i loro quattro posti. Ormai da mesi, quasi ogni sera, si fermava a cena con Fred e le figlie. Era una abitudine che nessuno aveva cercato, ma che era nata dalla necessità di parlare con Fred di quello che era accaduto nel pomeriggio. Cena e bicchiere di vino mentre le bambine giocavano prima di andare a letto era una piacevole routine. Si sentivano come vecchi amici che potevano raccontarsi di tutto. Parlavano delle bambine e del proprio lavoro, della famiglia e degli amici. Fred era molto più a suo agio e si permetteva anche di parlarle della sua vita sentimentale, limitata a pochissime cene con qualche donna conosciuta da poco, e persino a fare commenti sui dopo cena. Forse perché sapeva che Tonks lo capiva e non si sarebbe mai permessa di fare commenti o di avere sguardi stupidi o irritati per le sue scelte. Semplicemente lo ascoltava. Tonks invece era più a disagio a parlare con lui della sua vita privata. A volte si sentiva vicina a Molly quando diceva che per lei i figli erano sempre piccoli. Conosceva la vita di Fred in molti dettagli e lo ammirava per la sua determinazione, la serenità che aveva, ma rimaneva sempre uno dei gemelli, uno dei ragazzini di casa Weasley. Eppure non aveva niente del ragazzino ormai. Doveva rifletterci meglio, pensò Tonks sedendosi a tavola in attesa che Fred arrivasse per iniziare a mangiare.

Reggie cercando di prendere il bicchiere, fece cadere tutta l’acqua che c’era dentro. Persa nei suoi pensieri, Tonks le disse, “Tesoro non fare come me, oppure tuo padre comincerà a dubitare che tu sia figlia sua!”

Fred, dalla porta della cucina, sorrise.

Maggie lo guardò e chiese, “Ma da dove arrivano i bambini?”

Tonks si unì alla risata, stanca, di Fred.

 

La cena era finita. Le bambine erano in salotto. Fred e Tonks davanti all’acquaio a lavare i piatti. Era rilassante starsene vicini a chiacchierare facendo una cosa così babbana come quella.

Fred aveva le mani immerse nell’acqua e Tonks aspettava con uno straccio in mano. Le passò il primo piatto mentre sceglievano una strategia da tenere con Maggie e le parolacce.

“Davvero, Fred. A volte non mi trattengo neppure io.”

“Lo so, ma vorrei che riuscissi a dirne il meno possibile. Vedi che le assorbe come una spugna. Ha tempo per impararle.”

“Dovresti anche spiegarle che non si possono dire ovunque e con chiunque.”

“Quando crescerà Tonks. Per ora preferisco che non le dica del tutto.”

“Mi sembra un po’ un’utopia, Fred.” Gli prese le posate dalle mani grondanti d’acqua e cominciò ad asciugarle.

“Non credo. Con me hanno fatto così.”

“E quante ne hai dette?”

“Tante. E tutte distante dalle orecchie di mia madre. E sempre nei momenti giusti. Non ho mai preso nessuna punizione per il mio linguaggio.”

“Solo per il tuo comportamento!” Rimasero a guardarsi con un piatto tra le mani.

“Tonks, mi hai conosciuto che ero un adolescente. Non puoi fare riferimento a quello che ho fatto per un anno ad Hogwarts! Oppure durante le riunioni dell’Ordine!”

“Avevi già  17 anni, Fred!”

“E tu 22, quindi non credo che ci fosse poi questa gran differenza. Eravamo adolescenti entrambi.” Le lasciò il piatto e ributtò le mani nell’acqua.

“Sono 5 anni, Fred.”

“E Maggie ne ha 4, Tonks. Troppo pochi per sentir parlare di parolacce. E 5 anni quando siamo sulla trentina, mi sembrano decisamente pochini. Pensando a tutto quello che abbiamo passato, tra la guerra, Angelina e Remus mi sembra che si possano considerare annullati. Ti senti così più vecchia di me?” La guardò incredulo, mentre le dava in mano una pentola.

“No, solo che…” Solo che non sapeva neppure lei cosa dire. C’erano davvero cinque anni, ma… descritti così da Fred erano davvero insignificanti. “Non lo so, Fred. È solo una sensazione. Mi sembra sempre di… come se ‘dovessi’ essere più grande di te. Capisci?”

“No.” Fred la guardò ancora più incredulo. “Non ti seguo proprio.” Si scrollò l’acqua dalle mani e si girò a guardarla direttamente. “Non credevo che una donna ci tenesse a dimostrarsi più vecchia di un uomo, ma se proprio vuoi…”

“Cretino!” si lasciò scappare. Fred le lanciò un’occhiata di evidente autorità paterna. “Scusami, scusami. Ne abbiamo appena parlato, hai ragione. Ma non è questione di essere vecchia, ma di essere adulta. Mi sento in dovere di essere più adulta, con cinque anni in più.”

Fred continuò a fissarla tra l’incredulo e l’ironico. “Spiegami dove sta l’essere più adulta di me in quello che di solito fai o nel fatto che io sto crescendo due figlie da solo e tu no.” Cominciava anche ad irritarsi. Tonks sentì salire la rabbia.

“Mi pare che ti aiuto in questa cosa del crescere le figlie,” sottolineò con voce dura.

“Certo,” disse scuotendo la testa per mostrarsi d’accordo, “sei la persona più vicina all’idea di mamma che possano avere, Tonks!”

Tonks si irrigidì e lo guardò scossa da quello che aveva detto. Oh, Merlino no! Non voleva quella responsabilità. Era troppo grande. Fred vide il suo allarme e allungò una mano verso di lei, come per indicarle che era proprio quello il centro della loro pacata discussione.

“Vedi? La responsabilità di un legame così forte io l’ho ogni giorno e senza sconti o senza potermi mai sottrarre. “ Si stava infervorando. “Sono stato costretto a crescere di parecchi anni, Tonks, non solo dalla morte di Angelina, come la morte di Remus ha costretto te a fare, ma anche da quelle due meravigliose creature che sono di là e che amo alla follia” indicò la porta della cucina oltre la quale si sentiva Maggie cantare, “e che non lascerei mai ad altri. Sono costretto ad essere più adulto di te, ho due persone che dipendono da me, nonostante ci sia tutta la mia famiglia, e tu ci sei dentro, che mi aiuta. Non ho perso la voglia di fare scherzi o di essere scapestrato, l’ho solo chiusa nel laboratorio dove lavoro, in qualche uscita con gli amici.”

Tonks continuava a guardarlo con la bocca leggermente aperta dalla sorpresa. Aveva ragione, quel ragazzino che giocava ancora con gli scherzi di Hogwarts e che la stava guardando con gli occhi spalancati, aveva ragione. Ma quando era cresciuto così tanto in così poco tempo? Lo aveva sempre visto come un ragazzino… Tonks chiuse gli occhi colpita da un pensiero improvviso. Lo aveva sempre visto con gli occhi di Molly… di sua madre.

Fred le mise le mani sulle spalle, parlandole piano, con una tensione controllata, con la preoccupazione di farle capire molto bene cosa stava dicendo. “Tonks, non voglio togliere nulla a quello che stai facendo. Ho bisogno anche di te e di poter parlare così liberamente con te. Sento che i miei genitori mi ammirano e si fidano di quello che sto facendo, ma sento anche che sono sempre il figlio scapestrato, come lo sarà sempre George. È Bill quello grande e responsabile. Per favore non prendere il posto di mia madre nella tua testa. Non lo sopporterei. Ho bisogno di un’amica.”

“Non mi sento tua madre,” gli rispose di getto. Non si sentiva sua madre in effetti, ma si era fatta prendere dall’amicizia che aveva con lei e non aveva mai ragionato diversamente. Appoggiò le sue mani su quelle di Fred. “Non l’avevo mai vista così. Hai ragione, io non ho tutte le responsabilità che hai tu. Non le ho.” Tonks distolse lo sguardo da lui, pensierosa.

Fred la fissò chiedendosi se aveva esagerato.

“Devo pensarci.” Si staccò da lui e prese la bacchetta che aveva appoggiato su una mensola.

“Ninpha, ho esagerato?” La guardò dritta negli occhi. Gli serviva quell’amicizia solidale e costante.

“Hai davvero detto quello che pensi?” Lo guardò attenta anche lei. Le serviva la sicurezza di quello strano rapporto di amicizia.

“Sì.” Essere sinceri era sempre un buon consiglio tra amici.

“Allora è ok.” Tonks distese lo straccio per asciugare i piatti sul supporto sotto il lavello. “Domani c’è Ginny. Ci vediamo lunedì.”

“Domenica sei dai miei?” Fred ributtò le mani in acqua per finire il lavoro.

“No, esco con uno nuovo.”

Fred le sorrise. “Brava.”

Tonks rispose al sorriso e uscì dalla cucina per salutare le bambine.

 

  
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