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Autore: orphan_account    31/03/2012    32 recensioni
Ero a pezzi, fisicamente e mentalmente. Stavo cercando disperatamente di dire quello che pensavo, ma la mia gola era chiusa e non riuscivo a respirare dal dolore: "A-Avete la minima idea di quello che ho dovuto sopportare? Di quello che ancora sopporto, tutti i giorni?"
Li guardai con sfida. Due di loro era chiaramente confusi, come se non avessero la minima idea di cosa stessi parlando. Liam e Niall, invece, abbassarono lo sguardo.
[...]
"Per favore, Taylor! Lasciati aiutare." Liam mi stava supplicando, ma i suoi occhi non riuscivano a scollarsi dalle mie braccia. Niall era così disperato che per poco non si metteva a piangere. Dieci minuti dopo questo teatrino mi abbandonai alle lacrime, lasciandomi scivolare lungo il muro del bagno.
Basta, ora basta.
Srotolai le bende bianche e voltai le braccia verso di loro.
E proprio in quel preciso istante, la porta si aprì, e Zayn entrò nella stanza. No, lui no. Lui non doveva vedere i tagli, non potevo permetterlo.
I suoi occhi saettarono verso le mie braccia scoperte, e la sua espressione cambiò di colpo.
[Gli aggiornamenti sono molto lenti. Siete avvertite.]
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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N.d.A. Vi ricordate l'avvertimento che c'era nel capitolo precedente? Ecco, non fatemelo ripetere :)

Ah, all'inizio non era programmato, ma nella prima parte ci sono anche accenni di anoressia...

 

10 settembre 7:00

I hurt myself today, to see if I still feel, I focus on the pain, the only thing that's real. The needle tears a hole, the old familiar sting. Try to kill it all away, but I remember everything.

 

Spensi la sveglia, ma fu più per un riflesso che altro. Di certo non ero ancora completamente presente nel mondo dei vivi.

Mi alzai di malavoglia, ricordandomi che non ero a casa mia.

Erano le sette, come tutti gli altri giorni. Se avessi preso l'autobus sarei dovuta uscire per le 7:40.

Ma se fossi andata con Zayn, come mi aveva imposto la sera prima, avrei avuto più tempo. L'idea di andare in macchina era allettante, dovevo ammetterlo, ma assolutamente improponibile.

C'era da dire che non era come se Zayn me lo avesse proprio chiesto, non potevo di certo andare da lui e dirgli di no.

Insomma, erano già passati cinque minuti e io ero ancora seduta nel letto, aspettando che l'ispirazione scendesse dal cielo.

Decisi che avrei cominciato a vestirmi prima di fare una scelta. Frugando tra la pila di vestiti, non trovavo niente da mettermi. O almeno, di cose ne avevo in abbondanza, solo niente che riflettesse il mio umore.

Ci stava del grigio, per oggi. Grigio perché non era né bianco né nero, come la mia vita. Grigio per lo strato di tristezza che mi avvolgeva. Grigio per i miei sentimenti contrastanti; da un lato la voglia di lasciar andare tutto, ma dall'altro la speranza che un giorno tutto questo sarebbe finito.

Ecco, avevo trovato una felpa grigia.

Raccolsi tutti i miei vestiti e mi chiusi a chiave in bagno.

Mi preparai velocemente, sprecando più tempo per pettinare quella massa disordinata di capelli color carota che mi ritrovavo.

E, ovviamente, niente trucco. L'assenza di trucco era la sola cosa che mi permetteva di scivolare fuori dai radar delle altre ragazze. Se mi fossi vestita meglio, o truccata, l'avrebbero presa come una sfida, un tentativo da parte mia di essere più di quello che non ero. E per me era già troppo da sopportare così...

Come il giorno precedente, mi ritrovai a soppesare il rasoio in mano, con un dibattito interno se portarlo o meno a scuola. E, come ieri, lo infilai in cartella, sospirando perché non ero abbastanza forte da resistere alla tentazione.

Uscii silenziosamente dalla camera, attenta a non svegliare chiunque stesse ancora dormendo.

Dalla cucina veniva un odore confortante, caldo e avvolgente. Mi infilai dentro per vedere chi stesse cucinando. Il volto sorridente di Hannah mi sorrise, mentre disintegrava le uova nella padella che aveva in mano.

Taylor! Perché così presto stamattina?” mi chiese, senza perdere nemmeno un po' della sua allegria.

Le spiegai il mio dilemma sulla proposta di Zayn, che lei parve comprendere appieno.

Non so, Taylor, io personalmente andrei con Zayn, ma conoscendoti... Dai, facciamo così: lo dico io a Zayn.”

Tirai un sospiro di sollievo, almeno non avrei dovuto affrontarlo direttamente, anche se il problema si sarebbe posto lo stesso, visto che era il mio compagno di banco per la prima ora.

Comunque, mangi?” mi chiese, tornando a rivolgersi alla padella.

Il profumo che avvolgeva la stanza era davvero buono, mi tentava. Che male avrebbe mai potuto fare, un po' di cibo?

Tu sei già grassa, non hai bisogno di quel cibo.

Quel pensiero fulminante che mi attraversò fu abbastanza per autoconvincermi di pesare troppo, di non aver bisogno di mettere su altro peso.

Non credo che a quest'ora riuscirei a mangiare, ma prendo qualcosa a scuola.” dissi, con il tono più spensierato che mi riuscì.

Ecco, lo dicevo io che ieri doveva essere un sogno.
Oggi invece era tutto più normale, più routine.

Tutte le bugie stile 'mangio quando arrivo' e i 'non mi sento bene' per saltare pasti. Le scuse come 'ho freddo, credo di avere la febbre' per non togliersi mai la felpa.

Era ovvio che non avrei fatto colazione a scuola, era scontato, eppure ci cascavano ancora tutti...

Conoscevo tutte le parole giuste per convincerli. Poi c'erano quei giorni in cui qualcuno diceva come stavo bene, e allora per qualche istante mi sentivo normale, a mio agio con me stessa. Ma poi tornava tutto come prima.

Va bene, allora. Divertiti, ci vediamo più tardi.”

Uscii dalla casa, sospirando mentre alzavo lo sguardo al cielo. Era plumbeo, si poteva sentire nell'aria che si avvicinava la pioggia. L'aeroacrofobia [N.d.A. paura dei luoghi aperti e alti] era annichilente sotto quel cielo.

L'autobus arrivò in perfetto orario, come al solito, pronto per portarmi all'inferno.

Nei sedili dietro di me sentivo dei ragazzi dalla mia scuola ridere e scherzare tra di loro a voce alta. Ad un certo punto, quando eravamo quasi arrivati a scuola, sentii qualcosa colpirmi sul lato della testa e poi rotolare per terra. Guardai l'oggetto con timore prima di accorgermi che era solo un foglio di carta appallottolata.

Un misero foglio di carta capace di distruggere tutta la mia gioia in un colpo solo.

Ehi, guardate un po' chi c'è: pel di carota!” una voce alta e rumorosa dietro di me.

Non piangere, non dargli soddisfazioni. Mi ripetevo, cercando di scacciare le lacrime traditrici.

Ma era difficile. Non ero mai stata una ragazza troppo emotiva, ma una volta arrivata al liceo avevo imparato cosa significasse veramente essere presa di mira. Vorrei vedere che reazione avreste voi, se vi dicessero certe cose sgradevoli nonostante non abbiate mai visto in vita vostra il bulletto.

Era un'esperienza umiliante e degradante, essere paragonati ad un animale dello zoo da punzecchiare fino a che non si sveglia.

E poi sapere che non c'era soluzione, che ero completamente sola, senza avere una 'migliore amica' o 'l'anima gemella'. La pressione dello studio, lo stress e la paura.

Ignorai la provocazione, a cui tutti avevano riso spudoratamente.

Ma, come per un riflesso incondizionato, la mia reazione fu di tirarmi ancora più giù le maniche della felpa, come per coprire tutte le memorie che avevano lasciato le cicatrici.

Tutti i giorni la stessa cosa, dal primo anno: la mia lotta giornaliera, il dolore, poi il rinunciare e subire in silenzio, e la preghiera di riuscire a nascondermi da tutti. Continuavo a pregare, anche se Dio non aveva mai ascoltato le mie parole.

Scesi dall'autobus in silenzio, sommersa da troppe cose.

Cose che sarebbero sparite se solo mi fossi decisa a far finire tutto questo. Mi avvicinai al portone della scuola e poi all'armadietto, prendendo i libri di cui avevo bisogno e mettendoli in cartella, lasciando giù tutti gli altri.

Suonò la prima campana.

Mi avviai con passo strascicato verso la prima ora, temendo la reazione di Zayn.

Per sbaglio, ma forse fu anche una coincidenza fortunata, alzai la testa per guardarmi intorno.

I corridoi erano semi deserti, perché erano quasi tutti già in classe, tranne ovviamente i 'popolari', che puntavano tutto sulla borsa di studio sportiva, decisamente non accademica.

Vidi il capitano e quarterback della squadra e due suoi compagni venire verso di me, minacciosi.

Mi immobilizzai. La ragione per venire verso di me era una sola, e non era certamente per far finta di essere amici.

Per una volta lo spirito di sopravvivenza prevalse sulla paura. Corsi via, sotto i loro sguardi, per rifugiarmi nei bagni delle ragazze.

Mi appoggiai ad uno dei lavandini, cercando di recuperare fiato. Il bagno era deserto, non un'anima tranne me.

Potevo solo sperare che qualche santo mi assistesse nella mia fuga.

Sentii la porta del bagno aprirsi e mi girai di scatto. Il cuore mi batteva all'impazzata, senza trovare un ritmo stabile.

Eccoti qua.” ghignò la voce di Mark, il quarterback. I miei occhi saettarono da una parte all'altra, cercando futilmente una via di fuga.
Stavano giocando con me come fa il gatto con il topo.

Si avvicinò a me lentamente, mentre le mie gambe non rispondevano ai comandi che gli stava inviando il mio cervello.

Mi afferrò il polso di scatto, torturando i tagli che avevo proprio in quel punto. Fu una cosa decisamente casuale, ma il dolore alleviò la mia paura fino a che non riuscii a gestirla meglio.

Dove pensavi di scappare?” mi chiese un altro dei tre scimmioni.

Non gli risposi, ancora persa nel piacevole formicolio e bruciore dei tagli freschi.

Mark mi sbatté contro il muro sporco del bagno, mandando scariche di dolore lungo la schiena.

Oh no, così non andavamo per niente bene. Un conto era l'autolesionismo, o il dolore accidentale nei momenti di stress, ma questo tipo di dolore era un altro.

Non potevo controllarlo, l'ineluttabile dolore che sapevo stava per arrivare. E l'intero punto dell'autolesionismo era il controllo.

Mark avvicinò la sua faccia alla mia, così vicino che riuscivo a sentire il suo respiro sul mio volto.

Dove dannatissimamente eri quando avevo bisogno di te?” mi urlò contro, facendomi chiudere gli occhi e pigolare, spaventata.

Non sapevo cosa rispondergli, non sapevo cosa fare.

Allora?” mi incitò, terrorizzandomi ulteriormente. Mi sbatté piano la testa contro il muro, cercando di ottenere un responso più che di farmi del male.

Non avendo una risposta da me, se non qualche singhiozzo sconnesso, caricò il braccio all'indietro.

Chiusi gli occhi, preparandomi al colpo.

Sentii il suo pugno chiuso connettersi al mio stomaco. Volevo urlare, ma quel pugno mi aveva appena sottratto tutta l'ossigeno di cui avevo bisogno.

Aveva lasciato la presa su di me, quindi scivolai lungo il muro, fino a pestare il sedere contro il pavimento.

Tossii, ringraziando che non uscisse sangue dopo il colpo. Vidi un oggetto avvicinarsi a me, e subito dopo il dolore lancinante che mi colpì alla sprovvista sulla tibia mi fece urlare.

Avendomi tirato un calcio sulla gamba, istintivamente rotolai in posizione fetale, avvolgendo le braccia attorno alle ginocchia e singhiozzando per il dolore pulsante che mi attraversava.

B-b-basta, vi prego...” mormorai tra le lacrime.

Nessuno prestò ascolto alle mie suppliche, ma forse non le avevano nemmeno sentite.

Un secondo calcio sul fianco mi fece inarcare la schiena, l'istinto che cercava di sfuggire al dolore.

Arrenditi, Taylor, non puoi fare niente.

La voce nella mia testa aveva ragione, come sempre d'altra parte. Io mi meritavo il dolore fisico, il digiuno, le persecuzioni. Era tutto perché io era grassa, brutta, uno spreco che andava ucciso. Loro avevano ragione a farmi soffrire. Un giorno avrei finalmente capito che loro lo facevano solo per il mio bene.

Non cercai di evitare il terzo calcio, diretto ancora allo stomaco. Il dolore non era diminuito, ma quella nuova consapevolezza me lo faceva apprezzare in una maniera differente. Assorbivo il dolore e lo facevo diventare parte di me, sapendo che quella era la mia giusta punizione. Dovevo soffrire.

Persi il conto di quanti colpi ricevetti dopo il sesto.

La mia coscienza faceva avanti e indietro tra i due mondi. Il primo faceva male, pieno di luci rosse intermittenti che esplodevano davanti al mio campo visivo e risate crudeli in sottofondo.

Il secondo, invece, era nero, completamente nero. Era come cadere in un buco e non fermarsi più. Ma non sentivo il dolore, le risate, non provavo niente.

Ad un certo punto il dolore cominciò a scemare, fino a che fu solo un sordo pulsare che mi attraversava sotto forma di brividi continui.

Riacquistai lentamente il respiro, aspettando di essere abbastanza forte da rialzarmi dalla posizione raggomitolata. Tossii di nuovo, ancora una volta senza sangue. Ma non provavo il fastidioso raschiare in gola che seguiva il pianto. Non sentivo nemmeno il freddo del pavimento contro la pelle, scoperta dove si era arricciata la felpa.

Non riuscivo a respirare per bene, il panico me lo impediva. Non provavo, ero completamente insensibile.

Ero vuota, completamente. E la cosa mi spaventava a morte. Senza emozioni io non potevo vivere, ero come una conchiglia vuota.

E per provare a me stessa che ero ancora in grado di provare delle emozioni, avevo una sola soluzione.

Strisciai verso la mia cartella, frugando alla ricerca del mio fidato rasoio.

La lama luccicava sotto le luci al neon del bagno. Mi rialzai le maniche della felpa grigia, cercando un punto privo di tagli, freschi o in via di guarigione. Trovai un buco tra due cicatrici rosa.

Appoggiai la lama fresca sulla pelle, premendola in profondità. Il sangue scuro cominciò a uscire, ma io non ero soddisfatta. Aspettai qualche istante che il dolore si facesse sentire.

Ci fu il formicolio. Il bruciore, sembrava quasi di avere le braccia in fiamme, un dolce tormento.

Premetti la lametta su un altro punto pulito del mio braccio, facendo uscire altro sangue cremisi.

Era un'immagine turpe.

Alzai le braccia insanguinate al cielo, offrendole a Dio: “Signore, perché a me? Io ti rispetto, ti amo, ti sono devota. E tu mi ricompensi con tutto questo? Perché?”

Non avere paura, Lui ti sente.

No, nessuno mi ascoltava, nessuno riusciva ad andare oltre le apparenze. Non sarebbe andato tutto bene.

Niente si sarebbe sistemato. Sarebbe stato più semplice finirla qua, ammettere che mi stavano spingendo oltre il bordo.

No, il suicidio non è una soluzione. Mai...

Scacciando dalla testa i pensieri impuri, mi fasciai le braccia con le bende e risistemai la felpa al suo posto.

Le fiamme che divoravano le mie braccia mi impedivano di pensare coerentemente.
Avevo sonno, tanto sonno. Di certo potevo permettermi di dormire cinque minuti, no?

Mi girava la testa. I miei occhi stavano lottando per restare aperti.

C'era tanto dolore intorno a me, troppo; mi ronzava attorno come uno sciame di api, punzecchiandomi alla minima pressione.

Dormi...

Sì, dovevo dormire.

Con un piccolo sorriso, chiusi definitivamente gli occhi.

E nel profondo speravo che non avrei mai dovuto riaprirli.

 

 

*ANGOLO AUTRICE*

Se qualcuno è riuscito ad arrivare alla fine di questo capitolo, mi congratulo!

Non so, magari ditemelo voi cosa ne pensate, visto che io sono di parte :)

E lo so che questo è parecchio riflessivo, ma nel prossimo...

Anticipo che ci saranno in particolare Niall e Liam, ma anche Zayn (perché è il più amato XD) farà la sua parte!

E... boh, ringrazio tutti quelli che hanno recensito, messo la storia sta le preferite, seguite e ricordate :D mi fate davvero felice!

Vi avverto che non so quando riuscirò ad aggiornare questa... Nei prossimi giorni aggiorno Forever Young, ma poi iniziano le vacanze di Pasqua e mia sorella si approprierà del computer a tempo pieno...

Sob sob :'(

Ele

P.S. La canzone è 'Hurt', dei Nine Inch Nails :)

   
 
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