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Autore: _Garnet915_    02/11/2006    1 recensioni
Quando ti senti persa, sembra che non ci sia più nulla da fare. Eppure, basta guardarsi attorno per capire che c'è ancora una speranza
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quistis Trepe, Seifer Almasy
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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2 . Sorrow… -#9. Crisantemo ~ Dolore

In momenti come quelli l’aria salmastra di Balamb le dava, stranamente, una sensazione di pace con sé stessa. Quando si sentiva sola, tremendamente sola, oppure stanca, stressata o arrabbiata… le bastava inspirare lentamente l’aria che la circondava per sentirsi un po’ meglio. Funzionava soprattutto quando respirava l’aria marina.

Era una cosa strana, sciocca dal suo punto di vista. Ma la faceva stare bene.

Nessuno sapeva di questa sua strana usanza al di fuori di lei. E dato la giornata che aveva passato aveva un tremendo bisogno di calmarsi, di trovare un po’ di pace dopo che una burrascosa tempesta si era improvvisamente scatenata nel suo cuore per tre lunghi, interminabili minuti di quella giornata assolutamente da dimenticare. Tre minuti… li aveva sempre considerati brevi… ma quella volta no… decisamente no… anzi, per lei, quella volta, erano fin troppi.

Non sapeva perché era successo.

Non pensava che quelle persone avrebbero potuto fare una cosa del genere.

I suoi genitori adottivi erano andati al Garden a trovarla.

E questo scatenò in lei una terribile bufera; rimasero in sua compagnia solo tre minuti.

“Tre minuti della mia vita sprecati” pensò mentre inspirava.

Ormai non si ricordava nemmeno perché li odiava. La lontananza da loro durata più di otto anni aveva assopito l’astio verso la sua famiglia; quell’astio che l’aveva portata ad iscriversi al Garden; quell’astio che diede il via alla sua vera vita.

Perché la sua vita era dentro al Garden, lontana da quelle persone. La sua stessa vita le aveva fatto scordare l’odio verso i suoi genitori. Un odio incancellabile, rimasto come chiuso in uno scrigno nei recessi del suo animo, pronto tuttavia ad essere aperto da un momento all’altro. E quel giorno era giunto. Il giorno in cui avrebbe finalmente aperto quello scrigno ed affrontato ciò che teneva custodito da parecchi anni. Era qualcosa di difficile da fare, eppure andava fatto: sciogliere quei nodi così stretti che tenevano imprigionati quei ricordi non era cosa facile. Lo sapeva bene. Ma ciò di cui era consapevole davvero era la difficoltà elevata che avrebbe sicuramente incontrato nel tentativo di affrontare il passato, una volta emerso.

La visita dei suoi genitori adottivi aveva scatenato una bufera tremenda in lei, una bufera formata di numerose “cose” che Quistis non riusciva a nominare. Era riuscita a definire solo la voglia di ricordare. Ricordare ciò che fu di lei nel passato tra il periodo trascorso alla casa di pietra e la sua vita attuale, quella al Garden di Balamb. Voleva riempire quel frammento passato di lei; fino a quel momento, se qualcuno le chiedeva del suo passato, del perché fosse al Garden, lei rispondeva sempre con una frase asettica:

Non sono mai andata d’accordo con i miei genitori adottivi

Senza mai porsi un perché riguardo questo fatto che lei riteneva indiscutibile. E si era accorta che era arrivato il momento di dare il giusto spazio anche alle domande. Alla descrizione dettagliata di quelle poche immagine rievocate nella sua mente da quelle figure chiamate “genitori adottivi”. Un complesso meccanismo psicologico si stava innestando in lei, ma per farlo funzionare bene aveva bisogno di pace. Per questo, appena i suoi genitori la congedarono, prese il primo traghetto che collegava F.H. (dove era attraccato il Garden) con il piccolo porto di Balamb. Solo quando toccò il suolo lastricato del molo iniziò a sentirsi un po’ meglio.

E ora era lì, seduta su un muretto bagnato dal mare, le cui onde spruzzavano di tanto in tanto le caviglie della ragazza. Ma non le importava molto bagnarsi, alla fine. Aveva ben altro per la testa.



Era stato il preside, quella mattina, a comunicarle una visita per lei da parte di “persone che non vedeva da molti anni”. L’uomo, però, aveva preferito non anticiparle nulla perché, ne era sicuro, se avesse rivelato in anteprima che le persone che la desideravano era i suoi genitori adottivi, lei avrebbe rifiutato di parlarci, figurarsi di parlarci!

Quando se li vide di fronte le venne un colpo: la sua mente era come bloccata dallo shock; le sue gambe, tremanti, volevano muoversi. Ma la sua mente e il suo cuore erano come bloccati e per questo Quistis non riuscì a scappare via.

A livello fisico quel desiderio era giunto; a livello mentale e interiore no. Era troppo sorpresa anche solo per formulare una frase banale. Lei era molto agitata; sua madre e suo padre, invece, non trapelavano alcuna emozione. I loro visi, entrambi incorniciati da capelli neri come la pece (molto corti quelli di lui; sciolti, lisci e di media lunghezza quelli di lei), erano quasi inespressivi; era come se, davanti alla ragazza, vi fossero due automi e non due esseri umani.

Lui indossava un paio di pantaloni neri, una camicia bianca sotto una giacca dello stesso colore dei pantaloni e una cravatta grigia; lei aveva indosso un tailleur rosso scuro e calzava un paio di scarpe nere con i tacchi alti. Come se dovessero entrambi partecipare più ad una cerimonia solenne piuttosto che andare a trovare la figlia adottiva che non vedevano dalla bellezza di sette anni; o forse di più.

Erano passati tanti anni, ma i due erano rimasti praticamente uguali. Buffo. In genere, dopo sette anni una persona dovrebbe apparire un po’ più diversa dal solito. Invece, loro no. Erano sempre gli stessi. Sempre gli stessi capelli scuri, lo stesso volto ancora giovane e senza i segni prematuri della vecchiaia.

Quistis fissò i due per lunghi minuti con uno sguardo gelido di ostilità mista ad insicurezza. Non sapeva perché erano venuti lì, ma non si fidava di loro.

“Ciao, cara” fu il padre a interrompere quel silenzio che, dopo alcuni minuti, si era fatto quasi imbarazzante. “E’ da tanto che non ci vediamo” continuò la moglie. Quistis non disse nulla, tanto era inorridita dalla naturalezza con la quale i due si comportavano. Ma come? Non si erano sempre odiati? Non avevano sempre bisticciato? Urlato? E allora, perché si comportavano come due genitori che abbracciano la figlia appena rincasata la sera dopo una lunga giornata scolastica o lavorativa? Quistis non sopportava tutto questo.

“Come siamo eleganti; cos’è, dovete andare ad un ricevimento?”riuscì a dire acida

I volti dei due rimasero, ancora una volta impassibili; questo fece innervosire ancor di più la ragazza. Strinse le mani a pugni per non alzarle contro di loro, anche se la voglia di tirare un paio di ceffoni ad entrambi e urlargli addosso qualche insulto pesante era molto forte. Si trattenne. Non seppe nemmeno come e perché.

La donna fece un passo avanti ed allungò una mano per accarezzare la figlia; Quistis, istintivamente, indietreggiò e schiaffeggiò la mano della madre adottiva, ricacciandola indietro.

“Stai indietro!” urlò. Pian piano tutta la sua calma andava scemando; non era possibile che, dopo quegli anni il cui unico ricordo che aveva era il litigio con loro due che si ripeteva per un motivo o per un altro, si comportassero come nulla fosse. Forse loro volevano iniziare a ricostruire qualcosa, ma avevano fatto male i calcoli. Non avevano considerato che anche lei aveva dei sentimenti, che lei avrebbe potuto essere contraria al loro possibile progetto.

“non capisco perché siate venuti qui!” disse con le lacrime che iniziarono a pungerle gli occhi

“L’unico ricordo che ho di voi due… è quello di due genitori che avevano sempre da ridire su tutto quello che facevo, sempre! Litigavamo e basta!! Ma vi rendete conto che di tutti gli anni passati assieme, anche se pochi, l’unica cosa che ricordo di voi è il litigio che puntualmente arrivava tra di noi?! E ora… dopo più di sette anni che me ne sono andata… voi, senza considerare i miei sentimenti, siete venuti qui… ma per fare cosa??” trattenne un attimo il fiato, mentre osservava i volti dei suoi genitori che, gradualmente, si dipingevano di un’espressione mista di sorpresa e di delusione

“Andatevene…” sussurrò “Andatevene!!!” urlò poi.

Ma non aspettò che i due se ne andassero; questa volta la mente della ragazza ascoltò il suo corpo. Con le gambe finalmente libere di muoversi, aprì furiosamente la porta della presidenza dietro di lei e si mise a correre. Il preside, che aveva aspettato fuori per rispetto della riservatezza dei tre, rimase stupito dall’immagine di Quistis con gli occhi gonfi dal pianto e che correva come una forsennata verso l’ascensore.



lo sguardo abbassato scrutava le onde del mare che si infrangevano contro il muretto e le bagnavano i piedi. Quel breve incontro aveva risvegliato in lei la voglia di ricordare qualcosa. Faceva scorrere nella sua mente, con grande fatica, tutte le immagini del suo passato, ma senza risultato. Quella sua ricerca disperata nel suo animo la faceva star male con il passare del tempo.



Cerca di qua, cerca di la… ma i risultati non c’erano. Più rovistava nel suo passato, più ricordava i litigi con i due genitori. Nient’altro

“Non è possibile!” si disse

“Perché? Perché non mi viene in mente altro? Perché sono venuti?! Perché sono venuti a trovarmi dopo tanti anni di rapporti interrotti e silenzi prolungati?! Perché?! Se non fossero venuti, il mio passato non mi avrebbe in qualche modo interessato, non mi avrebbe ferita in questo modo!”

quella visita… quel non ricordare nulla se non una cosa sola… la facevano soffrire… l’avevano ferita. Si era scoperta debole e insignificante un’altra volta. Debole nei rapporti con gli altri e con i suoi studenti dapprima e ora… debole persino nei confronti del suo passato. E quel che era peggio era che soffriva per quello, provava un forte dolore.

Nella sua vita aveva fallito in molte cose: non era una buona insegnante perché troppo giovane e si era trovata costretta a restare un SeeD. Non era riuscita a instaurare un rapporto corretto con i suoi studenti; non riusciva a pensare con la propria testa, spesso erano gli altri che le dicevano cosa fare in una situazione nella quale lei non sapeva nemmeno come iniziare. E ora… stava fallendo pure con il passato…

Per lei era troppo, il dolore che era subentrato in lei improvvisamente aumentava inesorabilmente, senza fermarsi. Non le dava tregua. Rimase altri minuti con le gambe raccolte tra le braccia e il viso chino sulle ginocchia per nascondere ad occhi estranei le sue lacrime che, improvvise come il dolore, erano comparse. Mille perché, mille dubbi, mille immagini confuse nella sua testa, mille fallimenti…

Cercava, in mezzo a quella bufera, qualcosa che le potesse dare conforto. Cercava soprattutto nel suo passato; aveva fallito con gli altri. Ma non voleva fallire con sé stessa. Almeno quello no. Perdere contro sé stessa perché non ricordava qualcosa era troppo. Era anche meravigliata come quel breve incontro con i suoi genitori adottivi, che erano ormai degli estranei per lei, l’avesse portata a quella sofferenza. Quell’incontro era solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Fallita verso gli altri, fallita verso sé stessa… era una fallita. Si vedeva come una fallita.

Quell’aggettivo, a parer suo, calzava perfettamente con la sua persona. Non che ne andasse particolarmente orgogliosa… anzi…

… … …

Basta era stufa! Stufa di rimurginare, di soffrire, di sottolineare i suoi difetti, di ricordarsi che lei era fatta praticamente e solamente da difetti. Ormai era anche stufa di stare lì, accucciata da sola, costretta a nascondere il viso per non mostrare agli estranei il suo dolore. Quel suo dover nascondere agli altri la sua sofferenza, però, non le faceva bene. Per niente. Aveva bisogno di qualcuno con cui condividere i suoi dolori… sì… ma con chi?! Non c’era nessuno! Squall e Rinoa era meglio lasciarli stare, erano troppo presi l’uno dall’altra. Selphie, invece, aveva altri problemi suoi per la testa. Irvine, farfallone com’era, non avrebbe mai capito. Zell nemmeno, data la sua ingenuità nonostante avesse 17 anni suonati.

Si sentiva sola… e quella solitudine non faceva che aumentare il dolore che provava…

Si alzò in piedi ma, quando si voltò e fece per incamminarsi, si accorse che una figura maschile le bloccava la strada. Le lacrime che scendevano copiose le offuscavano la vista; tutto quello che riusciva a vedere era una maglia nera sotto una giacca grigia di trench sbottonata. Alzò un poco il viso, strizzando un po’ gli occhi per mettere meglio a fuoco il volto che le stava di fronte: capelli corti e biondi… occhi azzurri… una piccola cicatrice che attraversa la faccia…

Seifer… l’ultima persona che, in quel momento, voleva vedere…

“Beh, che fai?” disse il ragazzo con ironia

“E tu che vuoi?” trovò il coraggio di ribattere lei

“Ehi, ehi, ehi! Che tono acido che abbiamo! Stona decisamente con questo tuo faccino triste” fece un sorrisetto beffardo e le prese il mento con il pollice destro. “Come sei strana! Ti ho vista appollaiata per terra e sono venuto a vedere che hai!”

“Puoi anche andartene se la mia faccia e il mio tono di voce non ti piacciono, sai!” ribattè ancora più acida la biondina “se ti do tanto fastidio, perché sei venuto qui, eh? Che cosa vuoi veramente da me? Anche tu… anche tu… non riesco a capire nemmeno te… perché mi disturbi, perché ti comporti in modo strano?! Perché vieni qui e mi giudichi senza sapere niente? Anche tu non tieni conto di ciò che provo io…” le lacrime, che fino ad un momento prima si erano interrotte, ricominciarono lentamente a scendere.

“Perché fai così? Fai esattamente come i miei genitori! E io sto male, ci soffro! Ma tu riesci a capire come mi sento io, lo riesci a capire?!” liberato il mento dalla presa di lui, iniziò a prenderlo a pugni sul petto mentre farfugliava frasi incomprensibili, strozzate dalle lacrime e dal groppo che le si era formato in gola. Un pugno non troppo forte dopo l’altro…

Bum… bum… bum…

Sembrava stesse scaricando la sua tensione su di Seifer che la osservava con uno sguardo allibito; la sua ironia e la sua sfacciataggine erano di colpo svanite di fronte a quell’esplosione di dolore improvvisa della ragazza che lo avevano lasciato spiazzato. Era la prima volta che si sentiva così. E, nemmeno lui, capiva un perché… il perché di questa sensazione mai provata prima.

La ragazza, intanto, continuava a piangere sul suo petto disperata. Alla fine, aveva trovato qualcuno su cui sfogare il proprio dolore non qualcuno con cui condividerlo. Si sentiva tremendamente egoista, stava imprigionando Seifer che, in quell’occasione, non era colpevole del dolore altrui. E questo la faceva stare peggio. Ormai il dolore la circondava, come se niente sarebbe mai stato in grado di liberarla…

E Seifer… Seifer si sentiva come travolta con violenza da quell’immagine struggente di Quistis che piangeva contro di lui e lo prendeva a pugni che avevano la violenza pari a quella di pizzicotti, cioè nulla… non sapeva assolutamente perché… ma stava iniziando a soffrire assieme a lei. Era come se i sentimenti di lei, attraverso il pianto, stessero passando lentamente dentro di lui. Ma lui si sentiva troppo piccolo e debole per contenerli tutti. Ed era strano che Seifer Almasy, proprio lui, si sentisse debole.

Con un gesto improvviso, l’afferrò per un gomito, trascinandola verso l’hotel di Balamb, dove ordinò una stanza. La ragazza non disse nulla per tutta la durata del breve tragitto, non capiva nemmeno cosa le stesse succedendo. Non riusciva nemmeno a vedere dove stava mettendo i piedi. Sentiva solo la stretta di Seifer attorno al suo polso guidarla chissà dove. Ad un certo punto si fermarono alcuni minuti per poi riprendere quella corsa verso chissà dove.

Salirono delle scale. Poi, tutto quello che sentì era una chiave girata in una serratura, l’aprirsi e il chiudersi di una porta, poi solo la bocca di Seifer toccare la sua in un bacio che non sapeva definire.

Non era aggressivo… ma nemmeno dolce… era un bacio strano, un bacio che racchiudeva in sé mille emozioni contrastanti che lo rendevano misterioso e affascinante allo stesso tempo. Quistis non percepiva ostilità in quel bacio improvviso. Fu l’unica cosa che capì.

Si abbandonò facilmente a quel bacio, al quale ne seguì un altro e un altro ancora. Aveva un tremendo bisogno di qualcuno accanto, anche solo per qualche minuto. Era l’unico modo per alleviare quel dolore che ormai la possedeva, che era parte di lei. Era disperata, bisognosa di sostegno.

E, involontariamente, lo aveva trovato. Lo aveva trovato nella persona che lei riteneva la meno adatta. Ma, in quel momento, non le importava nulla se Seifer fosse adatto o meno a consolarla. Voleva essere consolata e basta. Non voleva altro. Quando si staccarono, Quistis non poté fare a meno di chiedergli:

“Perché questo? Perché qui?”

Il ragazzo attese alcuni istanti prima di risponderle, cingendole la vita con un braccio:

“Non lo so… non chiedermelo… “ sussurrò con tono quasi supplichevole.

E la baciò nuovamente, con lo stesso impeto. Quistis rispose appassionatamente al bacio: finalmente una cosa l’aveva capita… Se voleva davvero, in quel momento dal dolore, non aveva bisogno di domande… di incertezze, di dubbi, di storie passate non ricordate… solo qualcuno accanto a lei che, anche senza un motivo ben preciso, volesse stare con lei.

E in quella piccola stanza, cullata dal profumo del mare e circondata dalle prime stelle della sera che spuntavano nel cielo, aveva finalmente trovato una via per uscire dal dolore… una via improvvisa, che non avrebbe mai immaginato di percorrere…

Nota dell'autrice: In questa one shot ho voluto esaminare un pò meglio Quistis, non so se ci sono riuscita o meno! ^^' Seifer compare alla fine e, anche se ho lasciato le cose tra i due a metà, vorrei sottolineare che è una cosa voluta. La comparsa di Seifer serve solo a far capire una cosa molto semplice a Quistis...^^ Questa one shot, come le altre della raccolta, è stata scritta per True Colors
  
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