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Autore: Hagne    08/04/2012    1 recensioni
"Non importa dove ci troviamo, i nostri cuori ci porteranno di nuovo insieme"
[ Aerith Gainsborough - Kingdom Hearts]
Genere: Avventura, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Aerith, Organizzazione XIII, Riku, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts, Kingdom Hearts II
Capitoli:
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Capitoli revisionati (6)
" I'm  at war with the world and they
Try to put me into the dark
I struggle to find my faith
As I'm slippin' from your arms "

[...]

" I'm awake, I'm alive
Now I know what I belive inside
Now it's my time
I'll do what I want , because this is my life
Here, right now "

( Awake and Alive - Skillet )











Non era mai capitato di essere separati  nel  passarre da un mondo all’altro, mai,  ma quando Axel non la trovò tra le sue braccia, lì , dove Aerith sarebbe dovuta essere, dove l'aveva lasciata,  un profondo quanto inaspettato senso di panico lo scosse da capo a piedi.
Ma ancor prima che il Nessuno potesse abbandonarsi  ad  una crisi isterica con tanto di mani affondate tra i capelli e occhi sgranati, Roxas si   trovò a fissare con un certo e angoscioso senso di inquietudine  la moltitudine di uomini e donne che li osservava in silenzio dall'alto mentre il terreno  sotto i suoi piedi cominciava a tremare.
Tremare ?
Quando Axel lo tirò a sé per sollevarlo tra le braccia  capì che c’era qualcosa di sbagliato, di tremendamente sbagliato nell’espressione allucinata del Nessuno,  nello sguardo eccitato di quelle persone  e nel ruggito  appena sopraggiunto alle loro spalle.
Tremendamente sbagliato.
Perché erano inseguiti da una donna con dei serpenti in testa   in quello che solo poco dopo capì essere una sorta di anfiteatro.
Eppure, ciò che lasciò Roxas con un enorme punto di domanda   non fu il perché non si sentisse minacciato da quella creatura, o infastidito da quegli sguardi che sembravano apprezzare il suo terrore freddo,  ma   perché,   il trovarsi tra le braccia di Axel, il trovarsi sempre tra le braccia di Axel non lo turbasse quanto avrebbe dovuto.





°°°








Ade capì che qualcosa di inquietante si aggirava per l’Oltretomba, qualcosa che amava  ornare Panico e Pena di orrendi fiori rosa e che si premurava  di illuminare la strada alle anime che avevano perso la via.
C’era un fastidioso odore di ciclamino lì sotto, lungo la ripida scalinata che portava la livello più basso degli inferi, una puzza aberrante per le narici divine di Ade,  arrossate da quello che gli umani definivano profumo.
I suoi leccapiedi erano scappati in lacrime, pregandolo di liberarli dalla corona di fiori che un orrendo mostro rosa aveva fatto loro indossare, un mostro con occhi enormi, spiritati, e  una bocca aguzza che sorrideva sempre.
Neanche i Titani erano riusciti a turbare a tal punto il dio,  ma quando, nel discendere  l’ultimo scalino,   i suoi divini sandali calpestarono l’erbetta rigogliosa di un prato fiorito, un enorme spazio verde lì dove sarebbero dovuto esserci una distesa di corpi in putrefazione e chiazze di sangue, Ade venne avvinto dall'orrore.
E poi, poi   lo vide,  il mostro rosa.
Un essere piccolo e bianco, con una disordinata  massa di capelli scuri e
una voce delicata che lo fece schiumare di rabbia, d'indignazione.
Perché quella piccola ‘cosa  stava legando un enorme corona di azalee attorno al collo di Cerbero, il mastino degli inferi, il cane infernale che fissò sperando in qualche scherzo delle parche, ma era tutto vero .
Lo erano i boccioli di rosa infilati dietro le orecchie, lo era il  profumo che appestava l'aria, un profumo dolce e tanto delicato da bruciare irrimediabilmente l’olfatto della povera divinità.
 - Tu!
Era stato come il ruggito della terra, il dibattersi delle onde sugli scogli e  il tuonare dei lampi del cielo,  una voce che convinse Aerith ad abbandonare la corona di fiori sul manto erboso per voltarsi a guardare il nuovo venuto.
Non sobbalzò quando quell’essere tornò ad additarla con enfasi,  non se ne curò, ma venne rapita dal colore bizzarro della sua pelle.
Nel vederla sgranare gli occhi  Ade capì di essere riuscito a spaventarla,  di averle iniettato la paura, il giusto terrore da serbare di fronte alla sua persona.
- Sei davanti al Re degli Inferi – proclamò solenne, battendosi un pugno sul petto e mettendo in mostra una fila di denti simili a lame di argento ossidato – inchinati di fronte al mio cospetto.
- Perché sei tanto … - mormorò lei con voce bassa, interrompendosi e aggrottando le sopracciglia sottili con fare curioso.
Un sorriso veleggiò per il volto cinereo di Ade, un sorriso che sapeva di vittoria.
- Cosa ? Perché sono tanto malvagio, crudele  ? – si pavoneggiò, borioso e sicuro del terrore che prima o poi le avrebbe fatto tremare le ginocchia e gridare aiuto.
Eppure Aerith non tremò, non urlò, non lo supplicò di risparmiarla,  si limitò a sbattere le folte ciglia brune sugli occhi di un verde brillante  come il prato sul quale sedeva, schiudendo le labbra pallide in una smorfia indecisa.
- Perché sei tanto blu ?
Non aveva detto pericoloso.
Non aveva detto malvagio, si era limitata a sottolineare la sua carnagione smorta e bluasta   con ingenuità, incurante dell'espressione orripilata e della fiammata amaranto della quale si investì la sua intera figura quando l'incredulità si tramutò in  oltraggio.
- Io non sono blu – sibilò saccente, protendendosi  in avanti e trapassandola da parte a parte con le iridi di pece – la mia carnagione è color pervinca. Tu piccola e stupida femmina umana.
Aerith si limitò a osservarlo per un'altra manciata di secondi prima di annuire brevemente e riassettarsi le gonne con un sorriso tranquillo, dandogli nuovamente  le spalle nel cogliere l'avanzare indeciso dell' anima spaesata alla quale si offrì come guida.
Ade rimase a fissarla incredulo, la mente ottenebrata dalla voce stizzita di una coscienza che gli ricordò l'accondiscendenza con la quale la donna lo aveva appena guardato, come se avesse dovuto mettere in riga un moccioso, come se avesse appena fronteggiato un comune e semplice umano,   e non la terribile divinità dell'Oltretomba.
Una vivente che si prendeva gioco di lui  gridò isterica quella vocina stridula, una donna  che … che lo aveva definito blu, non crudele, non malvagio solo tanto … blu.
In superficie l’urlo isterico del dio  fu percepito sotto forma di un terremoto di media intensità, un avvenimento all’ordine del giorno con le orde di mostri che attaccavano la Grecia,  perciò nessuno lo  collegò al  grido oltraggiato  di una divinità greca che era stata appena usurpata dal suo trono  da una semplice umana, una viva.
Una donna che semplice  in realtà non era mai stata, perchè  era  Aerith, e  da lei c’era sempre qualcosa di inaspettato da aspettarsi.








°°°







- Cosa significa che l’avete persa ?
Quello di Riku era stato uno di quei sibili che ti frustavano l'udito e  ti facevano sudare freddo per la paura, uno di quei rantoli sommessi che ti ingurgitavano e ti sputavano solo perchè non eri neanche buono come digestivo.
E da quando era arrivato, nessuno aveva avuto più la forza di alzare su di lui uno sguardo che non fosse di puro e semplice terrore.
Persino  Axel gli aveva lanciato una lunga e intensa occhiata, ma lui era già  a terra  e non correva il pericolo di stramazzare al suolo  per l’ansia o di essere percorso da brividi  vista la propria temperatura corporea arrivata a picchi mai visti, ma il giovane dai capelli d’argento faceva ugualmente una fottuta paura.
Anche mentre prendeva profonde boccate d’aria, respirando dalle narici frementi  con gli occhi chiari che  ti facevano venire  davvero  la tremarella.
- Si possono perdere gli oggetti, si può perdere una scarpa, le proprie armi, ma non una persona, e non lei.
Axel grugnì all’ennesima critica di Riku, una critica che non solo metteva in serio pericolo il suo equilibrio mentale, ma minava la sua già scarsa pazienza,  perché Aerith era scomparsa, e non si trovava da nessuna parte.
Hercules, il bamboccio tutto muscoli che aveva salvato lui e Roxas da Medusa li aveva aiutati nella ricerca, e persino Sora, sopraggiunto con suo profondo disappunto poco dopo  aveva dato man forte  visitando le grotte, persino i buchi sotto terra, ma Aerith non c’era,  da nessuna parte.
E Axel non avrebbe saputo dire chi fra lui e il ragazzino dalla testa grigia era quello più in ansia.
- Se posso – si fece avanti il semidio, subito incenerito dall’occhiataccia di Riku che non amava essere interrotto – se non è qui,  né sull’Olimpo, forse può essere caduta nell’Oltretomba.
- Oltretomba ?
Quello di Roxas era stato un verso strozzato,  come se qualcosa fosse scivolato nella sua cavità orale fino a bloccare le vie respiratorie,  perché  Oltretomba era davvero una brutta, brutta parola, e il pensiero che l’amica fosse lì sotto  con una divinità vendicativa a torturarla era più di quello  che il ragazzo potesse  sopportare.   
 - Cosa aspettavi a dircelo ? – saltò su Axel con una fiammata a irradiare il suo profilo minaccioso,  un'aperta intimazione  che  Hercules tentò di placare con le mani portare con reticenza davanti al viso.
- Non avrebbe avuto senso visto che nessuno di voi può accedervi. I vivi non possono varcare le soglie dell’Oltretomba senza essere prima passati a miglior vita.
Si udì un ‘crack provenire dalle loro spalle, lo sbriciolarsi del terreno che cominciò a franare sotto i loro piedi mentre  Roxas tornava a  colpirlo con il Keyblade  sotto le sferzate di calore di Axel, troppo impegnato ad incenerire e ad ammorbidire la terra con le sue fiamme per far caso all’espressione sbigottita di Hercules .
Pippo, forse l'unico ad aver realmente compreso il tentativo dei due  Nessuno di aprirsi un varco andò in loro soccorso per primo, cominciando a    raschiare con lo scudo il cumulo di cenere  che andava piano piano accumulandosi ai loro piedi.
- State distruggendo lo stadio – belò Filottete con il viso  scurito dai calcinacci che presero a zampillare dall’interno di quella fornace, alzando la voce nell’ultimo tentativo di fermarli.
Ma quando anche   Sora si lasciò scivolare nella conca di terra per  farsi spazio con le mani e la propria arma il satiro capì che avrebbe solo sprecato fiato.
Solo allora Hercules, una volta capito che tentare di farli ragionare non sarebbe comunque servito  lanciò un' occhiata implorante  al cielo appena rannuvolatosi, percependo la presenza di suo padre farsi tangibile attorno a loro mentre il fascio di luce dorato si raggrumava attorno a loro, tanto da formare una pellicola protettiva che avrebbe facilitato la discesa negli inferi.
E poi, d'improvviso,  tutto si fece  nero.
Lo stadio, l’erba, il terreno,  tutto.
E quando Riku scostò dal terreno la mano con la quale aveva richiamato le ombre per creare un passaggio,  una fessura grande quanto la tana di coniglio, si gettò  nel passaggio senza emettere fiato  prima di essere seguito a ruota dagli altri, e più  Axel si trovava a cadere  nel vuoto,  masticando maledizioni su maledizioni, più quel profumo di ciclamini   si faceva  più forte e maledettamente familiare.








°°°






- Questo posto me lo ricordavo meno … verde.
Quella fu la prima considerazione che Hercules condivise con i suoi amici quando sbucarono al centro del disco di pietra nera che un tempo era occupata da anime in pena e che ora, per un motivo a lui oscuro, era stato sostituito da un letto di fiori ed erba profumata.
Ed era tutto davvero troppo verde, un colore verso il quale  suo zio non aveva mai espresso un interesse particolare, non per qualcosa di così mortale, non lui, non una divinità che dimorava perennemente nell’ombra e che dei frutti della luce ne  era disgustato.
Per questo,  quando il semidio si chinò per cogliere una margherita non potè che aggrottare le sopracciglia e chiedersi cosa avesse spinto il dio dei morti a rimodernare la propria dimora a quella maniera.
- È molto diverso da come me l’immaginavo – commentò Sora  perplesso,  seguendo con aria stranita un rampicante di fiori di lilla diramarsi per le pareti di pietra nera in un disegno astratto.
- In verità non era così – spiegò Hercules con la stessa perplessità, adocchiando un grazioso bouque di rose poco prima dell’entrata di un cunicolo – era più cupo,  e puzzava di zolfo, ora invece profuma di-
- Aerith.
Il sibilo angosciato di Axel stroncò il monologo del semidio, sorpreso di vedere il Nessuno rigirare tra le dita un ciclamino, i fiori che quella maledetta  faceva comparire come per magia dovunque andasse.
- Credete sia stata la vostra amica a fare questo? Ti sbagli - e c'era durezza nella voce dell'eroe -  nessuno potrebbe far crescere la vita qui dentro, neanche mia madre, né qualunque altra divinità. Voi avete dovuto ricorrere al potere di mio padre per scendere quaggiù, la vostra amica potrebbe essere  mo-
La punta della lama  scivolò lungo il pomo d’adamo che Hercules fu costretto a fermare in fondo alla gola quando si trovò  a  trattenere  il respiro sotto lo sguardo caustico di Riku,  gli occhi dorati colmi di un odio talmente feroce da lasciarti languire di dolore mentre la paura, il senso di perdita provava a  rendersi visibile con più di un lieve pallore delle nocche.
- Non ci provare. Non provare neanche a dirlo. Aerith non è morta, lei è-
- Scusi buon uomo.
Riku ritrasse il braccio  aggrottando profondamente le sopracciglia nel sentirsi picchiettare la spalla mentre una voce di donna, calma e cortese tornava a richiamare la sua attenzione con  quel ”buon uomo” per il quale si decise a voltarsi.
Il primo a comprendere  che la donna che sostava alle spalle del ragazzo era un fantasma fu Roxas, incuriosito dal libero fluttuare dell’anima di un' anziana signora dal sorriso sdentato ma bonario .
-Scusi buon uomo, stavo passando di qui, e  non ho potuto fare a meno di ascoltarvi,  avete forse detto Aerith?
L’anima dell’anziana era di un caldo amaranto,  opalescente e impalpabile come la brezza gelida dell’inverno, un soffio di vento fresco che solleticò le guance di Riku quando la donna tornò a parlare.
- Siete suoi amici ?
 Dal momento che il compagno  sembrava troppo sorpreso per risponderle,  Sora lo accostò con un sorriso amichevole.
- Si, siamo suoi amici. La conosce ?
Il sorriso dell’anziana si ingrandì, mostrando una fila di denti mancanti con gli occhi scuri solcati dalle rughe raddolciti da un pensiero  che la fece sorridere con affetto.
- La conosco, una  cara ragazza, sempre pronta ad aiutare.
Axel le fu sopra ancor prima che la povera anziana potesse chiedersi perché quel bel giovane le fosse saltata addosso con un ringhio frustrato, ma quando le mani del Nessuno provarono ad artigliarle gli arti superiori  le dita strinsero l’aria, niente di solido da scuotere.
- O caro, sono troppo vecchia per queste cose – chiocciò ridente quella, sventolando la mano davanti alla smorfia contrariata del Nessun tornato in piedi con un grugnito di fastidio .
- E quando l’avrebbe vista, la cara ragazza?
- L’avete mancata di poco, è corsa verso il pozzo oscuro, all’ultimo piano degli  inferi. M sembra per liberare l’anima di Auron.  Sapete,  quell’uomo è stato isolato per la sua aggressività, persino Ade ha difficoltà a tenerlo a bada – spettegolò con sempre più foga, coprendosi la bocca, come per confidare loro un segreto impronunciabile.
- Non che quel buono a nulla  sia riuscito a fermarla come avrebbe voluto, è davvero un-
Uno scossone particolarmente feroce fece tremare il terreno, il soffitto di pietra e i cunicoli che si snodavano davanti ai loro occhi,  risultato di un urlo agghiacciante che,  se fece sgranare gli occhi a quella combriccola di vivi, sembrò divertire l’anziana pettegola.
- Sembra che l’abbia appena trovata.
Corsero ancor prima che la povera anziana avesse finito di parlare, lanciandosi verso il cunicolo più scuro e meno confortante,  percorrendo un pezzo di terra ciottolosa che si gettava su un enorme e inquietante voragine verde acido.
Riku era il più veloce tra loro,  e fu il primo ad intravedere il mantello di tenebra della divinità degli inferi che sbraitava contro qualcosa di piccolo e rosa, la donna dai grandi occhi verdi china su un uomo con una cicatrice sull’occhio.
- Meg?
La giovane sollevò gli occhi viola con sguardo incredulo, scostandosi un poco dalla giovane e curiosa umana  che continuava  imperterrita a strattonare le catene d’ombra che inchiodavano al suolo l’anima di Auron.
- Mega Fusto ?
Solo allora Ade smise di inveirle contro  per torcere dolorosamente il collo con un tic nervoso all’occhio destro,  arricciando le labbra in una smorfia incredula alla quale Hercules rispose con uno sguardo fermo.
- Cosa ci fai tu qui ? E cosa… tu !
Sora sobbalzò appena quando la divinità lo richiamò con quel tono accorato, assistendo in silenzio allo  sgranarsi inquieto delle iridi scure del dio.
- Tu! Cosa ci fai qui ? Perché sei …
Quando il prescelto del Keyblade  gettò un' occhiata preoccupata all’amica poco più in là  Ade sembrò capire il perché della presenza di tutti quei visitatori nel suo regno, dei dannati  viventi che si aggiravano indisturbati per gli inferi.
- Lo sapevo che fosse colpa tua ! Tu hai portato quel piccolo demonio nell’Oltretomba, tu e la tua patetica squadra di eroi di seconda categoria – sbraitò fuori di sé, puntando  il dito ossuto sulla donna che si girò a guardarlo  con le sopracciglia aggrottate prima di dirottare lo sguardo alla destra del dio.
E quando Aerith li vide  un sorriso sollevato le si aprì in volto mentre gli occhi verdi si sgranavano per la sorpresa.
- Ciao.
Axel patì l’ennesimo schianto dei suoi nervi  contro la scatola cranica,  un fragore di neuroni che implodevano e vene sul punto di cedere.
Perché la leggerezza con la quale la donna li aveva salutati era sbagliata,  tremendamente sbagliata, lo era quel sorriso rassicurante e la calma con la  quale accostava un uomo dall'aria pericolosa.
Lo erano sempre stati i  suoi racconti.
Perchè  diceva di essere una fioraia, solo una comune e semplice fioraia, ma riusciva a muoversi tranquillamente  e a far crescere addirittura l’erba nel regno dei morti, nel luogo in cui neanche un dio sarebbe riuscito a sopravvivere.
Poteva volare,  controllare il vento,  e viaggiare per i mondi senza minimamente risentirne.
Perchè sembrava sapere tante, troppe cose per la sua giovane età, quasi fosse molto più vecchia e saggia di quanto sembrasse, come se avesse vissuto tante altre vite.
E perchè c’era comprensione in fondo al suo sguardo, la conoscenza di eventi accaduti in un passato del quale avevano  sentito solo parlare, conscia di una ciclicità che la rendeva pronta ad ogni nuovo risvolto in quella bizzarra avventura, una consapevolezza che la rendeva tanto triste e malinconica.
Perché sorrideva loro, ma sembrava sorridere a qualcos’altro, a un destino già conosciuto, già visto.  
Hercules raggiunse l’amata senza minimamente curarsi delle lamentele dello zio, stringendola tra le braccia e udendo appena i passi frettolosi con i quali Roxas e il resto della truppa raggiunse Aerith.
Eppure, oltre ad un entusiasta “siete ancora vivi”  la donna non sembrò badare all’espressione arcigna di Axel o allo sguardo sollevato di Riku, troppo occupata a tirare la catena con rinnovata foga.
Auron provò a scostarla sgarbatamente per  la seconda volta, ma la donna riuscì ad intercettare il suo movimento e a scansarsi con le mani piantate sui fianchi e l’aria severa.
- Smettila di lamentarti e fatti aiutare – lo riprese  con rinnovata enfasi, strattonando la catena e finendo seduta carponi quando riuscì a liberarlo dal metallo nero che lo aveva tenuto inchiodato nelle profondità degli inferi.
 Uno sguardo tagliente fu tutto ciò che la fioraia ebbe quando  l’uomo tornò libero, ma lei non sembrò risentire né  della voce laconica del guerriero  né del suo sguardo irriverente.
Ad Axel quell’uomo non  piaceva per nulla, ma non sembrava intenzionato a far del male ad Aerith, e tanto gli sarebbe bastato,  anche se Riku non sembrava essere dello stesso avviso.
I suoi occhi azzurri analizzavano l’anima perduta con l’interesse che si sarebbe riservato ad un cadavere in putrefazione, un'attenzione che Auron non sembrò apprezzare.
La lama tesa non riuscì tuttavia a raggiungere il viso del ragazzo dacché  Aerith gli si era parata davanti, osservando la punta della spada ad un soffio dalle sue labbra con fredda calma.
Roxas smorzò l' urlo frustrato che era stato in procinto di lanciare nel riconoscere  l' avventatezza fin troppo frequente dell’amica,  un’imprudenza che prima a poi avrebbe fatto impazzire Axel e avrebbe portato lui all’isteria.
 - Mi state facendo venire le carie ai denti.
Il commento al vetriolo di Ade richiamò l’attenzione di tutti, persino quella di Hercules che sembrava essere stato assorbito completamente dalla presenza di Megara.
- Allora ? Avete finito le presentazione o vogliamo, come dire, divertirci un po’ ?
La dentatura della divinità era  simile a quella di uno squalo,  una bocca enorme che richiamava alla mente una voragine senza fondo,  aguzza e irta di spuntoni acuminati.
Ade non aveva mai amato la compagnia dei vivi, ma soprattutto, non amava giocare pulito.
Per questo, quando un' orda di Heartless cominciò a frusciare alle sue spalle  l’orrendo buco che aveva al posto della bocca aumentò di diametro, facendo inorridire persino Aerith.
Il cozzare del Keyblade di Sora con gli artigli delle creatura d’ombra venne seguito dallo stridere della lunga spada di Auron strisciata con il terreno, ma quando la fioraia provò a dar man forte ad Axel qualcosa la inchiodò lì, sul posto, una mano maschile dalla presa ferrea che la convinse a fissare l’uomo alla sua destra con le sopracciglia aggrottate.
Riku storse la bocca di fronte quello sguardo severo, rafforzando la presa su di lei  e scacciando con un colpo del proprio Keyblade l’ondeggiare fastidioso di un Heartless,  attento a non far avvicinare nessuno alla donna a lui di fianco.
Perché loro erano guerrieri, lui lo era, mentre lei riusciva solo a renderlo  vulnerabile agli attacchi nemici per la preoccupazione di saperla al sicuro.
Ed anche se Aerith era combattiva era pur sempre una donna,  e il pensiero che qualcosa o qualcuno  potesse ferirla rendeva Riku particolarmente nervoso, angosciato.
Neanche con Sora aveva mai provato quell'involontario spasmo di panico nel saperlo in pericolo,  quel senso di protezione quasi ossessivo, non con Kairi,  nessuno era riuscito a  farlo sentire tanto  impotente, inutile come  un ragazzino alle prime armi.
Ma lui era cresciuto, tanto nel corpo quanto nella mente, e odiava sentirsi tanto debole, odiava sentirsi tanto inadeguato.
- So difendermi da sola – soffiò  frustrata la maga, dimenandosi nella presa con rinnovata foga, ma riuscì solo a farlo innervosire ancora di più, a distrarlo, ancora di più.
Perché quando la fiammata lo colse in pieno petto   Riku non potè dirottare la sferzata di calore, non ebbe il tempo né la forza di fare nulla, in realtà .
E quando Aerith sentì la presa allentarsi  sulla sua vita sgranò gli occhi, orripilata, allungando una mano per afferrare la figura di Riku che vide cadere nel pozzo di anime senza che nessuno potesse fare alcunché se non stare a guardare.
Riuscì a sfiorarlo con la punta delle dita, un solo secondo, lo sprazzo di tempo necessario a farle nascere in gola un urlo disperato che ghiacciò Sora  e il resto dei compagni.
- Oh.
Ade esalò quel monosillabo con espressione incredula, scoppiando a ridere subito dopo con divertimento, piegandosi su se stesso con lo stridere della propria risata a graffiare l’udito di Axel e di Aerith.
- Non ci posso credere, lui è- è caduto nel pozzo con un solo colpo.
Non faceva ridere.
Non era divertente, ma  doleva al cuore, pulsava nella testa di Sora come la più dolorosa delle ferite, la più profonda delle cicatrici.
Perché Riku era morto davanti ai suoi occhi senza che lui potesse evitarlo, così, semplicemente, sprofondando in una voragine di anime disperate e urlanti.
E Roxas lo udì, lo strappo proprio lì, all’altezza del proprio petto,  lì dove sarebbe dovuto esserci il suo cuore, un annichilimento che sembrò strappargli la forza alle gambe  facendolo piegare su se stesso come un castello di carte abbattuto dalla ferocia del vento.
L’ombra gemella della caduta in ginocchio dell’eroe dei mondi, il Keyblade abbandonato al suolo e gli occhi azzurri lucidi di un pianto che gli strozzava la gola.
E nessuno aveva mai colto l'ombra di disperazione in lui, su quel viso che riscoprirono rigato di lacrime.
Mai.
Perché  Sora non amava piangere,  come Riku non amava ridere troppo, con nessuno, parti mancati di un’anima che condividevano sin da bambini, un legame che niente avrebbe spezzato, per il quale entrambi avrebbero lottato.
Eppure piangeva,  il custode del Keyblade, piangeva come il bambino che non era più,  come l’infante che aveva dovuto combattere senza sapere come fare, contro chi lottare,  trovandosi persino a fronteggiare le sue più grandi paure.
Ma erano sempre riusciti a farcela,  insieme,  divisi dalle ombre dei propri cuori, ma ce l'avevano sempre fatta mentre ora, ora non gli restava che quell’immagine a bruciare la retina  e renderlo cieco per il dolore.
E intanto Ade rideva di quel pianto, dello sguardo addolorato di Roxas, degli occhi sgranati di Aerith che continuava a stringere l’aria e il vuoto tra le dita come aveva sempre fatto da bambina.
Sempre ad abbracciare il nulla, a tendere le orecchie  a quelle voci che la chiamavano e chiedevano aiuto, soccorso, salvezza.
Una mano tesa alla quale potersi reggere durante la caduta.
La risata gli uscì strozzata quando  Ade si trovò ad espirare bruscamente nel vedere il piccolo demonio, l'umana che aveva portato la vita nel suo regno  tornare ritta per indietreggiare di qualche passo prima di  gettarsi  nella voragine senza paura, senza mai  guardarsi indietro.
E fu il turno di Axel quello di urlare.
E strepitò,  si ritrovò a stringere e aprire i pugni in preda al dolore sordo, all’incredulità, mentre la risata grottesca del dio tornava a far male,  a pulsare nelle teste,  nelle ossa, nei cuori.
Fino a quando giunse  la luce.
Un fiotto di luce calda e morbida che piovve loro addosso come un fiume in piena che affogò nel suo abbraccio caldo il dolore, l'amarezza, la disperazione che ripulì dai loro volti, zittendo le urla eterne delle anime perdute per concedere al mondo un lungo e piacevole minuto di silenzio.
Di pace.







°°°





 

Riku aveva sempre avuto freddo.
Perché le ombre non riscaldano,  non emettano calore, ma  riflettono solo il tepore dell’esterno  come la luna riflette la luce del sole, restando al buio in assenza di essa, e lui lo era,  al buio, ci si era trovato più di una volta.
E avrebbe mentito a se stesso nel non ammettere che, sebbene le ombre lo avessero sempre attratto,  la solitudine lo aveva dilaniato da dentro, aveva creato solchi profondi quanto un pugno che nulla riusciva a colmare, a riempire.
E così Riku si era sempre sentito nella sua vita,  pieno di buchi, di solchi che nulla riusciva  ad appianare, come se fosse crivellato dentro, una superficie tarlata capace solo di far   scivolare  via ogni traccia di calore e affetto che riusciva a raccogliere nel palmo delle mani.
Per questo non capì il perché di quel calore che bruciava l'anima,  di quel flebile soffio di luce che gli baciava le ciglia.
Era cinto da qualcosa di caldo, morbido e profumato, un bozzolo di amore che lo portò a socchiudere le palpebre con curiosità, affamato di quel delizioso tepore che riscaldava gli arti stanchi e il suo cuore raggrinzito dal troppo tempo passato al buio.
Seguì la linea morbida della mandibola, il profilo grazioso del naso sottile, il taglio dolce  degli occhi adombrati dalle ciglia prima di vederli, quegli occhi.
 Gli occhi di chi si era innamorato da bambino.
Chi, senza realmente esserne cosciente, assieme a quel suo sorriso gentile e profumato gli aveva regalato anche qualcosa per cui lottare.
Qualcosa da amare.
 E Aerith gli sorrideva ancora,  accarezzandogli la fronte e ammorbidendo la linea della bocca nel vederlo finalmente sveglio.
- Hai dormito tanto  – sussurrò flebile,  soffiando un bacio sulla guancia che Riku sentì pizzicare,  come se una  fiammella gli avesse appena sfiorato lo zigomo.
Come se tutto si fosse  stranamente amplificato.
La percezione del calore corporeo delle gambe sulle quali poggiava la testa.
La sensazione del respiro della donna sul viso.
La forza di quello sguardo che sapeva scavare fin dentro l’anima.
E vedeva meglio,  come se avesse aperto gli occhi per la prima volta dopo tanto tempo, come se …
- Cerchi questo ?
Quando Aerith indicò il fiocco nero che le acconciava la lunga treccia  Riku capì il perché di quelle sensazioni enfatizzate, di quel senso di libertà che ora lo faceva respirare meglio, a pieni polmoni, il perchè, semplicemente,  attraverso le iridi chiare poteva vedere il suo riflesso, il suo vero riflesso.
Era tornato a vedere la luce.
Lei, era la sua luce.
Quella che aveva cercato a lungo, sprofondando sempre più in fondo nella speranza di riuscire ad afferrarla.
Ma era lì.
Era sempre stata lì.
Aerith  fece leva sul lungo bastone metallico quando la voce esagitata di Axel attrasse l’attenzione di entrambi, ma mentre lei abbozzava i primi passi in contro al Nessuno dalla chioma fulva  Riku prese tempo per se stesso, per percepire di nuovo l’aria pulita riempirgli i polmoni, ripulirli dallo sporco.
Aveva le gambe piantate nel terreno farinoso dell’anfiteatro oramai distrutto, le braccia rigide lungo il busto ricurvo e i capelli grigi impigliati nell’enorme spada che aveva legato sulla schiena, ma stava bene.
Si sentiva, bene.
Si voltò un attimo verso la voragine nero pece che portava negli inferi, e  percepì le voci delle ombre, la gelida carezza del buio sfiorargli lo zigomo caldo in una carezza seducente.
La pelle divenne violacea, bluastra a quel contatto impalpabile, un soffio di malvagità che gli tinse le iridi d’oro, ma poi quella voce tornò a chiamarlo, a sfrattare dalla sua testa tutto quel gelo.
E avrebbe voluto sorridere quando la trovò ad aspettarlo in fondo al piccolo sentiero sterrato mentre i compagni riprendevano il cammino, la mano tesa verso di lui, una mano che non aveva fatto altro che tendergli, fin da bambino. .
Perché lei capiva il suo bisogno di essere aiutato anche quando il suo orgoglio glielo impediva,  sentiva la voce che teneva chiusa nella gola stretta dall'amarezza ma  che i suoi occhi avevano imparato a gridare, e  lei lo salvava da se stesso.
L’aveva salvato da bambino, continuava a farlo ora che era un uomo.
Afferrò quella mano, la strinse,  si lasciò irradiare dal calore del sorriso che lei gli regalò mentre la consistenza morbida del palmo di lei ammorbiva i tratti ruvidi delle sue falangi  rese rozze dall’impugnatura della sua lama.
 Riku  il traditore aveva sempre avuto freddo, e aveva imparato ad amarlo, ad apprezzare il degradante silenzio della solitudine, ma si era riscoperto vulnerabile, aveva trovato il suo  punto debole, e lo aveva ritrovato in lei.
Nel calore di una mano che non aveva mai smesso di guidarlo.
Nel viso che di sottechi aveva seguito con occhi innamorati.
In quella voce morbida e gentile che fin dal primo istante, fin da quando l'aveva udita per la prima volta in quel vicolo buio e sporco, lo aveva convinto di poter essere anche lui come Sora.
Di poter vedere anche lui la luce.


Continua…



Ringrazio chi ha letto , segue e seguirà questa storia .
Un ringraziamento particolare a kalea95 per il bellissimo commento , grazie davvero , a te dedico questo capitolo .
Un saluto ,Gold eyes 
  
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