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Autore: Vanderbilt    09/04/2012    20 recensioni
Bella, ragazza di diciotto anni con una famiglia apparentemente perfetta. Desidera innamorarsi per la prima volta.
Edward, un passato difficile, non si è mai innamorato.
Entrambi si conosco da molti anni, ma non sono mai riusciti ad instaurare un rapporto a causa del carattere introverso di Edward.
Abitano a Savannah, sognano di andare al college, ma ora dovranno affrontare l'ultimo anno di liceo, pieno di imprevisti a grattacapi...
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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I love you

The tension is here
Between who you are and who you could be
Between how it is and how it should be

Switchfoot, I dare to move

 

 

Non aver individuato perché i miei genitori si erano separati e di chi fosse la colpa mi stava logorando dal profondo ed Edward aveva ragione. Questo era il mio problema. E ancora di più l'idea che uno dei due avesse tradito l'altro. Il tradimento era la cosa che più aborrivo e contro cui puntavo il dito in maniera inequivocabile. Perché tradire? Non si poteva semplicemente lasciare la persone senza colpe e distruzioni? Mantenere la dignità della persona amata non era così importante dopo che l'amore svaniva?

Dovevo risolvere questa situazione e poi potevo andare da Edward e chiarire, scusarmi per il mio comportamento. Dirgli che aveva ragione su tutto. Dirgli che l'amavo e che nulla avrebbe intaccato ciò. Dovevo fargli sapere che avevo capito che mi ero comportata da immatura e il merito era solo suo.

Avevo compreso il mio malessere.

La mia rabbia fondamentalmente era un sentimento così umano. Ogni individuo solitamente dà la colpa a qualcuno per un qualsiasi problema e quando non si trova il capo espiatorio non si riesce ad andare avanti. Era troppo difficile per ognuno capire e assumersi le proprie responsabilità. Scaricare le colpa era nella nostra natura e nessuno poteva giudare per questo. Tutti lo facevano.

Dopotutto il primo a esplicare questa tesi fu proprio Heider, con la teoria dell'attribuzione. Quell'uomo aveva capito tutto già nel novecento e io nel ventunesimo secolo non avevo capito nulla fino a che qualcuno non mi aveva aperto gli occhi.

Persi la cognizione del tempo. Fu la notte più lunga della mia vita, passata con gli occhi fissi nel buio totale e con la mano destra ad accarezzare il morbido pelo di Rain. La mia mente era come bloccata ad un stadio preoccupante, continuavo a vedere la litigata con Edward come una persona estranea ai fatti che ascoltava passivamente e registrava le parole di lui.

La situazione con i miei genitori era sicuramente da risolvere e anche se Edward in quel momento aveva la priorità, prima di chiarirci dovevo io stessa risolvere i miei problemi e sconfiggere i miei demoni.

Sperai solo che Edward non ce l'avesse con me. La sua scomparsa e l'assenza di chiamate o messaggi mi preoccupava, non era da lui, da noi, eppure io avevo fatto la stessa identica cosa e non ero arrabbiata con lui, non più se mai lo fossi stata realmente.

All'inizio era subentrata la delusione per le parole che mi aveva rivolto. Me lo sarei aspettata da tutti, ma non da lui, benché probabilmente sarebbe stato uno dei pochi se non l'unico a riuscire a farmi aprire gli occhi. Quindi, alla fine, riuscii ad accettare la dura realtà delle mie azioni e presi coscienza dei danni che stavo causando. Mi erano servite un bel po' di ore per somatizzare tutto, ma in quel momento ero pronta.

Feci la doccia più veloce della mia vita e non spesi troppo tempo nemmeno per scegliere i vestiti, un paio di jeans, una maglietta non troppo leggera e il mio inseparabile giacchettino, dopodiché fui pronta. Non badai alle scarpe che misi, né tanto meno alla borsa dentro la quale infilai lo stretto necessario per uscire di casa. Ero di fretta.

Scesi al piano di sotto e trovai mia madre intenta a fare le pulizie di casa. Appena mi vide sorrise tristemente e spense l'aspirapolvere.

Prima che potesse dire qualsiasi cosa attaccai a parlare stile Alice, ovvero un registratore senza possbilità di spegnerlo: «Mi dispiace per come mi sono comportata con te e papà, vorrei ci fosse anche lui per scusarmi, ma passerò al suo nuovo indirizzo appena finiremo di parlare», presi un profondo respiro e ripartii: «Non sapevo come comportarmi e sì, sono stata peggio di una bambina tenendovi i musi e cercando di evitarvi, solo che non sapevo cosa dire, da che parte stare - so che detta così è orribile -, ma cercavo un capo espiatorio e non riuscivo a trovarlo. Non ho scusanti, lo so, poiché non sono stata d'aiuto quando ne avevate più bisogno, però voglio rimediare ora, comportandomi come la figlia che sono sempre stata, senza colpi di testa, matura e responsabile». Appena finii presi un grosso respiro e mi venne in mente quando solitamente era Alice a parlare così. Mi chiesi come faceva ogni volta, io mi sentivo senza fiato e con un gran mal di testa temporaneo per la mancanza di ossigeno.

Guardai in direzione di mia madre, ancora ferma in mezzo alla sala intenta ad osservarmi con un sorriso dolce e materno. Restai di fronte a lei anch'io, senza azzardare nessun movimento e aspettando un suo segno.

«Vieni qui, tesoro», mi disse allargando le braccia in un chiaro invito che mai avrei rifiutato.

La mamma era sempre la mamma, senza di lei non sarei diventata quello che ero. Era lei quella che mi confortava nei momento bui, quando cadevo e mi facevo male c'era sempre lei. Con papà era diverso, sarebbe sempre stato diverso, il rapporto che mi legava a lui non era altrettanto forte, nonostante gli volessi un gran bene. L'istinto materno era un qualcosa che sopraffaceva tutto il resto e un figlio lo avvertiva. Non importava nulla se per un periodo breve o lungo che sia una madre non poteva stare accanto al figlio, l'amore materno avrebbe sempre vinto, perché era qualcosa di estremamente tangibile e ti faceva sentire amata, al sicuro e protetta da qualsiasi male. Era ciò che mi accadeva continuamente, anche quando partivo per andare dai miei nonni, in vacanza con gli amici, sapevo comuqnue che una volta tornata a casa c'era un amore che avrebbe prevalso e non sarei stata mai sola al mondo.

L'abbraccio di mia madre valeva più di qualsiasi frase non detta. Mi aveva perdonata.

«Immagino che questo cambiamento sia dovuto a...», iniziò mia madre cercando di indagare.

La interruppi: «Edward».

«Santo ragazzo, gli farò una statua, ovviamente anche per sopportarti tutti i giorni», scherzò con il suo tono sarcastico e melodrammatico insieme.

«Purtroppo penso proprio tu abbia ragione», confermai preoccupata della situazione in cui mi trovavo con il mio ragazzo.

«Vuoi parlarne?», mi chiese accarezzandomi i capelli.

«Non c'è molto da dire. Mi sono comportata da perfetta cretina egoista! Non ho pensato a come mi stavo comportando, troppo presa dai miei problemi e così ho scaricato tutto addosso a lui rischiando solo di perderlo e basta!», sputai senza riuscire a trattenermi.

«Meno male che non c'era nulla da dire», disse mia madre a bassa voce. Mi buttai sul divano buttando la testa indietro e chiudendo gli occhi.

«Vedrai che risolverai le cose con lui. Quel ragazzo ti adora, anzi adorare forse è dir poco».

«Tu credi?», chiesi speranzosa.

«Sì, quindi smettila di piangerti addosso e vai da tuo padre, così dopo potrai correre da Edward».

Balzai su e dopo aver ringraziato mia madre uscii sotto la pioggia. Quel giorno il tempo era triste, sembrava piangesse delle mia sventure.

Appena superai il portico sentii il guaito di Rain, arrabbiato con me per essere stato lasciato a casa. Bene, ora anche lui ce l'aveva con me, risolvevo un casino e ne facevo un altro. Mi sarei dovuta presentare a casa con un magnifico giochino e un osso, così mi avrebbe perdonata senza tenere i musi.

Guidai con attenzione, seguendo le istruzioni per trovare la nuova casa di Charlie. Non fui molto fortunata, presi una strada sbagliata e dovetti rifare il giro, ma alla terza volta beccai le case a schiera che mi aveva descritto mia madre. Cercai il civico giusto e posteggiai la macchina nel cortiletto adiacente. La macchina di mio padre era lì, non avevo pensato al fatto che potesse non essere in casa.

Bussai alla porta e presi un profondo respiro. La porta si aprii e il viso di mio padre fece capolineo dalla fessura. Appena mi vide spalancò la porta e mi abbraccio velocemente.

«Che sorpresa, Bella! Non aspettavo una tua visita. Vieni, tesoro, accomodati pure. Non guardare il disordire, devo ancora sistemare tutto». Avanzai dietro di lui diretti in cucina.

La casa era spaziosa e grande abbastanza per due persone. La cucina era attrezzata dello stretto necessario, mentre l'entrata e la sala erano ancora spoglie, tranne per un divano e un mobiletto, insieme a una marea di scatole piene.

«Se vuoi ti aiuto a svuotare la roba, mentre parliamo», mi offrii. Mi pareva una buona idea rendermi utile, anche se era strano mettere a posto la roba di mio padre in un'altra casa.

«Oh, okay», mi rispose cercando di nascondere la sorpresa.

Ci mettemmo per terra e iniziammo a tirar fuori roba su roba. Non ricordavo ne avesse così tanta, altrimenti la mia offerta sarebbe slittata a un giorno in cui chiarire con Edward non mi premeva!

Dopo qualche discorso sulle solite cose, presi coraggio e iniziai a parlare: «Sono venuta per scusarmi, papà. Ho già parlato con mamma e farò lo stesso discorso a te». Charlie assunse la sua miglior espressione da persona comprensiva e rispettò i miei tempi. Ripresi a parlare e ripetei le stesse cose che avevo detto a Renèe.

«Sono felice che tu ti sia resa conto della reale situazione in cui ci troviamo. Non ci sono drammi o situazioni impossibile da risolvere, Bella. Non è un crimine e non devi cercare nessun colpevole. Forse la colpa è stata nostra, non ti abbiamo dato spiegazioni e questo ti ha portato a conclusioni affrettate e sbagliate». Le sue parole non suonarono come rimproveri e mi sentii sollevata e compresa.

«Non sono affari miei», dissi riguardo le spiegazioni che credeva dovessero darmi.

«Lo sono, invece. Anche tu fai parte della famiglia e quando succede qualcosa tra me e tua madre non possiamo essere così presuntuosi da pensare che non coinvolga te. Voglio solo che tu sappia una cosa findamentale: tra me e Renèe ci sono state solo incomprensioni, la routine ci ha portati a tirare avanti il nostro rapporto senza mantenerlo vivo e così un matrimonio non va di certo avanti. Le colpe sono di entrambi, questo è certo, non c'è uno dei due che ha fatto peggio o meglio. I rapporti finiscono, ma ciò che lega due persone mai, Bella. L'amore e una figlia ci hanno legati per molto tempo e tu continui a tenerci uniti, che lo vogliamo o no». Sgranai gli occhi e per la prima volta compresi tutto. Capii realmente ciò che aveva distrutto la serenità familiare e li compresi. Una volta per tutte li compresi davvero. «Tua madre è sempre stata più brava di me con le parole, quindi se vuoi sapere qualcosa in più chiedi a lei», finì.

«Grazie, papà». Lo abbracciai e sentii che il nostro legame si era rafforzato. Avevamo condiviso qualcosa, si era aperto con me ed era una cosa insolita.

«Ti voglio bene, tesoro, non dimenticarlo mai».

 

Quando uscii da casa di Charlie mi sentii molto meglio. Avevo risolto con i miei genitori e ora mancava solo una tappa alla mia giornata all'insegna delle ammissioni.

La pioggia batteva frenetica sul carrozzeria della mia auto. Accesi il motore e partii verso casa Cullen, ultima tappa per quel giorno. Arrivata di fronte alla villa notai l'assenza della macchina di Edward. Non volevo disturbare Esme e Carlisle, quindi pensai di informarmi prima di piombare sulla loro soglia di casa. Poco importava che ero già lì. Sicuramente una persona poteva aiutarmi.

«Pronto?», rispose una voce squillante.

«Alice, sono Bella».

«Sì, so chi sei, ho visto il numero sul display! Ti pare io sia così sbadata?».

Tralasciai volutamente la sua domanda e passai ad altro: «Edward è in casa?».

«Oh, sì, grazie per l'interessamento amica mia, sto bene anch'io! E tu?», mi disse sarcastica. Odiava quando la chiamavo eclissando i convenevoli.

«Alice», la pregai sconfitta dalla sua parlantina vivace.

«Per questa volta chiuderò un occhio, comunque no, non è a casa e prima che tu me lo chieda non so dove sia, non l'ho nemmeno visto uscire».

«Nessuna idea?», chiesi conferma.

«No, mi dispiace. Al massimo avrei detto che era con te, ma vista questa chiamata e la tua auto sul vialetto di casa mia...».

«Scusa il disturbo, Alice, ti richiamo più tardi». Misi giù la chiamata e appoggiai la testa al volante, sconfitta.

Ero così certa che lo avrei trovato a casa che non mi ero nemmeno posta il problema. Con questo tempo i posti in cui cercarlo si riducevano molto e poi non era uno che teneva particolarmente a certi luoghi.

Non sapevo cosa fare e dove andare. Erano da poco passate le due del pomeriggio, il cielo era sempre più nero e di certo la pioggia non diminuiva. Cercarlo era quasi inutile.

Feci un giro con la macchina intorno al quartiere e poi mi diressi nell'unico luogo che in quel momento mi sarebbe stato d'aiuto. La radio che trasmetteva Run di Leona Lewis, la melodia si intonava perfettamente alla tristezza che sentivo dentro. Mi misi a cantare pochi versi "To think I might not see those eyes. Makes it so hard not to cry", dove mi ritrovai a pensare a Edward in modo molto più concreto. Se non mi avesse perdonata? Se fosse stato stufo di avere accanto a sé una ragazza che sapeva solo piangersi addosso? Non ero sempre stata così, ma negli ultimi tempi era la giusta definizione per il mio comportamento.

Arrivai nei pressi di Talmadge Bridge e mille ricordi mi assalirono. Era proprio su quel ponte che io ed Edward ci eravamo scambiati il nostro primo bacio dopo il primo appuntamento.

Il ponte si trovava ai confini della città, sopra il fiume più famoso del posto che attraversava tutta Savannah. Proprio come mi disse Edward quel giorno, era un posto molto romantico ed era diventato un po' il nostro luogo.

In mezzo a tutta quella pioggia vidi una figura sfocata sul punto. Scesi dall'auto senza ombrello e mi avviai verso quella figura che riconoscevo molto bene. La pioggia creava uno sciabordio che rendeva difficile avvertire i miei passi che avanzavano verso di lui.

Quando fui a pochi passi da lui lo chiamai e finalmente si girò. Lo stupore non era l'unica emozione che vidi nascere sul suo viso stupendo. I suoi vestiti erano appiccicati alla sua pelle e i capelli sembre scompigliati erano appiatiti dalla pioggia. Anche sconvolto restava il più bel ragazzo che avessi mai visto.

«Ti ho cercato», gli dissi mentre l'acqua inzuppava anche me.

«Anch'io», mi rispose.

Nessuno dei due si mosse, restammo lì sotto la pioggia a fissarci. Nei nostri sguardi non c'era rabbia, irritazione o qualunque sentimento riportasse a galla del risentimento riguardo il litigio.

«Volevo diriti che mi dispiace per come mi sono comportata negli ultimi giorni. Sono stata egoista ed egocentrica, ho pensato solo a me stessa scaricandoti addosso tutta la mia rabbia e la mia confusione. Non dovevo farlo e...».

Edward mi interruppe secco: «No, no, non devi scusarti! Ho sbagliato, Bella, sono stato duro con te e con il periodo che stai passando non era giusto che esplodessi così. Avrei dovuto mantenere la calma».

«Se fossi stato dolce e accondiscendente sicuramente non ti avrei ascoltato. Mi hai aiutata, Edward, e spero tu possa perdonarmi», dissi in preda al panico. Non volevo perderlo per nessuna ragione al mondo.

«Non c'è nulla che io debba perdonarti», mi rispose avanzando verso di me. C'era ancora una cosa che dovevo dirgli.

«Ho chiarito con i miei genitori, ho seguito i tuoi consigli e ora so come sono andate le cose», affermai facendo qualche passo nella sua direzione. Pochi metri ci dividevano.

«Lo so». Prima che potessi domandargli come proseguì: «Sono venuto a casa tua per scusarmi e tua madre mi ha detto che eri andata da Charlie e mi ha ringraziato per averti fatta tornare la ragazza speciale che sei. Ma tu sei sempre speciale, anche nei tuoi momento bui».

Percorsi i pochi metri che ci dividevano e gli saltai letteralmente addosso, nascondendo il viso nel suo collo. Lacrime di gioia scesero dai miei occhi e lo strinsi a me come se fosse la mia ancora di salvezza, che alla fine era ciò che realmente rappresentava, oltre che...

«Ti amo, Edward», dissi di getto.

... All'amore della mia vita.

Lui mi strinse ancora di più a sé e uscii dal mio nascondiglio per guardarlo negli occhi. Il verde smeraldo era più intenso e sembrava brillare, anche se con questa pioggia era difficile confermarlo.

Mi baciò senza aspettare. Risucchiò le mie labbra in un vortice e ci stringemmo ancora di più nel nostro abbraccio.

Non mi aspettavo che lui ricambiasse i miei sentimenti, poteva prendersi il tempo che voleva. Eppure una fitta di delusione mi colpì prepotente. Cosa provava per me?

Il baciò finì, ma i nostri corpi rimasero allacciati. L'acqua si era infiltrata ovunque e iniziai a sentire brividi di freddo aggiungersi a quelli che Edward mi trasmetteva.

Mi tirò su il mento per guardarmi negli occhi e affogai in lui.

«Bella», iniziò accarezzando la mia guancia bagnata, «Ti amo anch'io».

E in quel momento esplosi di felicità. Urlai forse, non mi ricordai nulla di quegli attimi in cui tutto andò al suo posto. Avevo certezze in mano e un amore infinito.

Edward mi fece appoggiare i piedi per terra, ma mi tenne stretta a lui, accarezzando il mio corpo con le mani e con lo sguardo.

Ci baciammo ancora, ma poi Edward si riprese e fissandomi dritto negli occhi mi disse due semplici parole: «Dobbiamo parlare».

Il suo tono serio mi mandò nel panico, lui se ne rese conto e mi misi un dito sulle labbra per fermare le mie supposizioni: «Non c'entra con noi due, amore, ma c'è qualcosa sul mio passato che dovresti sapere».

«Okay», dissi sollevata, ma comunque intimorita da ciò che poteva rivelarmi.

C'era sempre stato qualcosa che Edward nascondeva su di lui, eppure io non avevo mai posto domande e metterlo alle strette non era la scelta giusta. Avevo semplicemente atteso che lui si aprissi e il momento era arrivato.

Lo abbracciai cercando di trasmettergli un po' di conforto e poi ci dirigemmo verso le nostre auto, mano nella mano.

 

Buonasera e buon lunedì! Come state? Passate bene le vacanze?

Ho ricontrollato il capitolo molto velocemente, quindi perdonate la marea di errori, ho mal di testa e i sintomi di una stupenda influenza, che bello -.-'

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Inizialmente doveva contenere anche qualcosa su Edward (sì, esattamente ciò che pensate voi), ma poi ho tagliato e quindi passa al prossimo capitolo. Forse la dichiarazione dei loro sentimenti non ha colpito particolarmente, ma a me diciamo che piace per la sua semplicità, senza troppe cerimonie. Fatemi sapere voi ;)

Il riferimento a Heider è molto semplificato ovviamente.

Ringrazio tutte le persone che continuano a seguirmi e un ringraziamento speciale per coloro che spendono del tempo per lasciarmi una recensione *-*

Prossimo capitolo lunedì 30. Mi dispiace davvero per questi aggiornamenti distanziati, ma purtroppo non posso fare altro, sicuramente più avanti, se la storia non sarà già finita, riprenderò ad aggiornare regolarmente ogni settimana.

Lunedì scorso ho pubblicato una os, se vi fa piacere darci un'occhiata questo è il link diretto Problemi di coppia =)

A presto ;)

Kiss :***

Jess 

   
 
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