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Autore: RoseScorpius    09/04/2012    30 recensioni
Hermione Granger, nonostante i suoi quarant’anni, era ancora una bella donna. E per quanto schifo potesse farmi l’idea di mia madre che si rotolava su un letto con un uomo che non fosse mio padre (bhe, anche con lui… insomma, credo che a tutti i figli farebbe piacere credere alla storia della cicogna), avrei dovuto immaginare che dopo il divorzio non avrebbe preso un voto di castità. A volte capitava addirittura che mi parlasse dei tizi con cui usciva, e generalmente sopportavo l’idea di lei e un altro piuttosto bene, a patto che non portasse nessuno dei suoi ammiratori a casa. Dio, magari li portava comunque, ma come si dice, occhio non vede, cuore non duole. E figlia non s’incazza.
Di una cosa, comunque, ero sempre stata sicura: mia madre non si sarebbe mai risposata.
… E quando mai io avevo avuto ragione su qualcosa?

STORIA IN REVISIONE
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Dominique Weasley, James Sirius Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Draco/Hermione, Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La vita è un biscotto ma se piove si scioglie'
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25.

Gay, ubriachi e ragazze germaniche un po' troppo perspicaci

 

Essere la figlia di due Eroi del Mondo Magico, già in partenza, non si prospettava una passeggiata: d'altronde nascere con un albero genealogico così ingombrante sulle spalle non è mai facile. Nulla a che vedere con ritrovarsi Hermione Granger come madre, in ogni caso. 

Avete mai provato ad essere perfetti? Beh, vi auguro di no, perché in genere dedicarsi ad un'attività del genere non dà molte soddisfazioni. Soprattutto se ad essere perfetta è già vostra madre, cosa che renderà scontato un vostro eventuale raggiungimento del suo stesso livello di perfezione, mentre renderà deprecabile la vostra molto più probabile inferiorità rispetto al modello con cui siete continuamente costrette a confrontarvi. 

La domanda, ora, sorge spontanea: c'è un modo di salvarsi? Beh, a meno di non voler impazzire per diventare più perfette della vostra esageratamente perfetta madre (cosa che in tal caso non salverebbe la vostra sanità mentale), l'unico modo onorevole di venirne fuori è non entrarci nemmeno. Non provare ad essere perfette, in altre parole: sarebbe una causa persa in partenza. 

 

***

 

Mercoledì mattina svegliarmi tra le braccia di Scorpius non fu il trauma che mi sarei aspettata fino a poco tempo prima: certo, la prima cosa che feci fu controllare che non mi puzzassero le ascelle, ma appurato che non sapevano di gorgonzola andato a male decisi che potevo calmarmi e tornai a posare la testa sulla spalla ossuta che mi aveva fatto da cuscino tutta la notte. Non mi preoccupai nemmeno del torcicollo che mi sarebbe venuto di lì a poco, o dei brontolii sconfortati di Calvin che stava mugugnando qualcosa di molto simile a “la terza notte che dormono nello stesso letto e non hanno ancora sco...”. L'ultima parola preferii censurarla. 

L'orologio segnava le sei e qualche minuto e ne fui felice, perché significava che avrei potuto restare lì, abbracciata a Scorpius, per almeno altre una o due ore. Sperai con tutta me stessa che non decidesse di alzarsi alle sei e mezzo per suonare Beethoven (o di qualunque altro simpatizzante omosessuale imparruccato si trattasse) proprio quel giorno. 

Mi sentivo felice, ma non euforica (complice anche il fatto che alle sei di mattina difficilmente si ha voglia di saltare giù dal letto e mettersi a correre in giro): ero riuscita a scusarmi con Scorpius, gli avevo fatto capire che mi piaceva e lui mi aveva fatto capire che gli piacevo anch'io. Dominique una volta mi aveva detto che tra  farsi capire una cosa e dirsela apertamente e senza timori c'era una gran differenza, ma onestamente a me sembrava che fosse esattamente la stessa cosa: a me piaceva Scorpius, a lui piacevo io, Scorpius sapeva di piacermi ed io sapevo di piacere a lui. Alla fine il risultato era esattamente lo stesso, no? Poco importava, poi, che fosse stata un'impacciata conversazione per metafore, al buio e sotto le coperte, e non la dichiarazione sdolcinatamente romantica (con eventuali risvolti a sfondo sessuale) che si era prefigurato Calvin: avevo capito da tempo che la realtà raramente è in grado di competere con la fantasia e, ora che mi sembrava di aver ottenuto quello che volevo, non avevo la minima intenzione di sentirmi insoddisfatta. Piacevo a Scorpius e me lo aveva detto (o fatto capire, come avrebbe precisato puntigliosamente Dominique), e tanto bastava per farmi ritenere che tutti i problemi che c'erano stati tra di noi si sarebbero dissolti nel nulla di fronte alle confessioni della sera prima: se due persone si piacevano, e lo sapevano, come accidenti a Merlino avrebbe potuto esserci un problema? 

Sorrisi, stiracchiando le gambe sotto le coperte: da quel momento in poi sarebbe stato tutto facile. Niente più sguardi in cagnesco sibilando “Weasley” e “Malfoy”, niente più conversazioni fredde e distaccate, niente più bugie e niente più malintesi: il mio massimo problema sarebbe stato sopportare i deliri di onnipotenza di Al, che si sarebbe certamente arrogato tutto il merito di aver fatto mettere assieme me e Scorpius.

Forse, se fossi rimasta a letto a meditare ancora un po', mi sarei accorta che la mia visione del futuro era un po' troppo rosea per risultare verosimile, ma un poderoso schianto proveniente dal giardino interruppe le mie riflessioni prima che potessero sbarcare da alcuna parte. Scattai a sedere mentre Scorpius, al mio fianco, apriva gli occhi con espressione spaesata. 

« Ma che diavolo...? » balbettò. 

Non lo salutai nemmeno: scesi dal letto e mi fiondai al piano di sotto, tenendomi al corrimano per non inciampare lungo le scale « Giuro che se Mort e Marshall hanno usato di nuovo una passaporta illegale li impalo sull'antenna della tv! » mi ripromisi, parlando ad alta voce per dare maggiore solennità ai miei truci (e sacrosanti) propositi. 

Quelli che trovai in giardino, tuttavia, non assomigliavano nemmeno lontanamente a Mort e Marshall, anche se avevano tutta l'aria di far uso di Passaporte illegali e peggio: erano una mezza dozzina di ragazzi dai tratti slavi, vestiti (e anche sporchi, da quello che le mie narici poterono constatare) come Boy Scout di ritorno da una settimana di totale isolamento dalla civiltà. Alcuni volti mi sembrarono vagamente familiari, ma l'unico che riconobbi davvero fu un ragazzo magro e trasandato con una zazzera di capelli neri che gli coprivano gran parte della fronte e del collo. 

« Jason! » sbottai, reprimendo il momentaneo istinto di correre ad abbracciarlo (se non altro perché i suoi vestiti avevano l'aria di essere infettivi). 

« Ehilà, Rose! » mi salutò con estrema disinvoltura, come se non si fosse appena presentato in casa altrui ad ore da pendolari e per di più portandosi al seguito un branco di comunisti inselvatichiti. « Che piacere rivederti. »

« Piacere un tubo. » grugnii, sempre più tentata di saltargli addosso (questa volta per strangolarlo) «  Che diavolo ci fanno loro qui? Quando ti ho detto di venire da me mi sembrava sottinteso che l'invito non fosse estendibile a tutto l'Est Europa, e anche che sarebbe stato carino arrivare ad un'ora un po' più umana delle sei di mattina! »

Jason non parve molto impressionato dalla mia reazione. « Ah, sono le sei? » chiese, con l'aria di una baronessa inglese a cui è stato appena comunicato che è l'ora del tè « Lo dicevo io che c'era più di un'ora di fuso orario da Mosca a qui. Ragazzi, mi dovete una burrobirra. » aggiunse, voltandosi verso il gruppo. 

Uno di loro fece un commento in quello che supposi fosse Russo e gli altri scoppiarono a ridere. Serrai i pugni, inspirando a fondo. 

Calma, Rose, calma. Non vale la pena di ammazzarlo.”

In realtà non ero per nulla convinta che non ne valesse la pena, ma la fatica di autoconvincermi meglio mi fu risparmiata da Scorpius, che si affacciò dalla finestra del salotto con aria a metà tra il perplesso ed il terrorizzato. 

« Buongiorno, Scorpius. » disse Jason, sorridendogli come se farsi dare il buongiorno alle sei di mattina da una banda di balordi slavi fosse la massima aspirazione che chiunque potesse avere nella vita. 

Scorpius gli restituì il saluto molto freddamente, con l'aria di chi avrebbe preferito di gran lunga rispondergli con uno schiantesimo, quindi si voltò verso di me, questa volta con l'aria di chi ha appena trovato un soggetto migliore da schiantare. 

« Rose? » chiese, senza risparmiarmi un'occhiata assassina « Chi sarebbero questi qua? »

« È la stessa domanda che mi sono fatta io. » gli assicurai. 

 

***

 

Dopo che i Russi ebbero ottenuto il permesso di accamparsi in giardino (permesso che tutt'ora non mi capacitavo di aver accordato loro) e dopo che Scorpius mi ebbe insultata sentitamente per tale motivo, Jason mi propose di andare a fare una passeggiata per raccontarci gli avvenimenti degli ultimi due mesi. Ero ancora discretamente tentata di assassinarlo, ma decisi di seguirlo (così, se non altro, non ci sarebbero stati testimoni se e quando avessi deciso di cedere ai miei istinti criminali). 

Camminammo per un po' nella brughiera attorno alla casa, in silenzio, finché non giungemmo in riva ad un piccolo lago. Lì Jason si sedette all'ombra di una quercia, la schiena appoggiata sul tronco squamoso della pianta, e mi fece cenno di imitarlo. Mi accovacciai al suo fianco, rendendomi conto solo in quel momento di essere ancora in pigiama. 

« Allora? » chiese Jason.

Inarcai un sopracciglio. « Allora cosa? » 

Jason si sfilò dalla tasca posteriore dei jeans un paio di pagine sgualcite del Financial Times e se le distese sulle ginocchia, borbottando qualcosa a proposito della crisi economica babbana e dei prezzi del petrolio. 

« Mi stai tenendo il muso. » mi fece notare, in fine. 

Grazie tante, non me n'ero accorta.

Sbuffai. « Sì, lo so. »

« Lo so che lo sai. » disse lui, scorrendo una colonna con il dito indice. 

« Quindi? »

Jason si strinse nelle spalle. « Quindi dimmelo tu. Hai intenzione di tenermi il muso finché non tornerò a Mosca? »

Gli scoccai un'occhiata assassina. « Avrei degli ottimi motivi per farlo. »

« Si possono trovare degli ottimi motivi per fare qualsiasi cosa. » osservò Jason, per nulla turbato. 

Sbuffai di nuovo, questa volta in modo più plateale. Con Jason non si capiva mai se semplicemente se ne fregasse o se non si rendesse proprio conto delle cose che faceva e delle implicazioni che esse avevano. Finché era un quindicenne goffo e in sovrappeso che andava a fare la pipì nei bagni delle femmine per protestare contro il sessismo la cosa non mi creava particolari problemi (d'altronde, se farsi dare della ragazza non ne creava a lui...), ma da quando la cosa si era tradotta in proteste contro il governo quasi sfociate nella rivolta armata e in visite a casa altrui con un gruppo di amici rivoluzionari al seguito, aveva cominciato ad essere davvero un po' troppo. 

Era cambiato tanto, Jason, negli ultimi due anni: avevo avuto fin troppe occasioni di accorgermene in passato, ma ogni volta che lo rivedevo dopo un po' di tempo il suo cambiamento mi sembrava ancora più palese. Ora che aveva finito la scuola ed il suo futuro era completamente nelle sue mani – in particolare – non potevo fare a meno di domandarmi con una certa dose di apprensione cosa ne sarebbe stato di lui. Jason non era per niente stupido, ma per contro era una delle persone più irresponsabili che conoscessi (e detta da me, che non ero certo l'emblema della responsabilità, la cosa era piuttosto allarmante): Jason non aveva mai pianificato cosa avrebbe fatto di lì a cinque minuti ed aveva sempre lasciato che la sua vita andasse dove la portava la corrente. In molti avrebbero detto che si lasciava andare alla deriva, ma io avevo sempre pensato che in realtà Jason avesse ben chiaro in testa chi sarebbe diventato. L'unica volta che avevo tirato fuori un discorso del genere con lui, tuttavia, la sua risposta mi aveva lasciata parecchio spiazzata: mi ero aspettata che volesse diventare un Auror, un Medimago, un domatore di Draghi o il Ministro della Magia – come qualunque ragazzino sogna a quest'età – o al massimo un attivista o un economista, ma lui alla mia domanda aveva risposto semplicemente “voglio diventare io”. Tutt'ora, continuavo a chiedermi cosa volesse dire esattamente quell'“io”. 

Sospirai, dando voce ai miei pensieri. « Ti ricordavo diverso. Sei cambiato molto dal Jason che conoscevo fino a qualche anno fa e... non so, non lo so se mi piace quello che sei diventato. »

Jason alzò gli occhi dal Financial Times per un momento, appena il tempo necessario a lanciarmi uno sguardo vagamente incuriosito. 

« Mi dispiace che tu la veda così. » disse, tornando a guardare il giornale « Ma le persone cambiano, non ci si può far niente: è normale. »

Annuii e mi feci scrocchiare le dita delle mani, una per una, cercando di trovare le parole per controbattere a quella sua affermazione così ovvia. 

Era strano sentirmi in imbarazzo al cospetto della persona più spontanea che mi fosse mai capitato di conoscere, eppure di colpo non sapevo come muovermi in quella conversazione: qualunque cosa dicessi, Jason avrebbe comunque continuato a fare di testa sua. Era praticamente impossibile avere ragione in una discussione con lui, lo sapevo bene. 

« Lo so che è normale, » risposi, in fine « e proprio per questo pensavo che tu non saresti cambiato: il Jason che ho conosciuto quando facevo il primo anno se ne fregava altamente di quello che facevano o pensavano gli altri e sarebbe inorridito se qualcuno gli avesse detto che un suo comportamento era normale. Lui era diverso, voleva essere diverso. Invece il Jason che vedo ora è uguale a un sacco di altre persone che conosco: il perfetto stereotipo del ragazzo che fa parte di un gruppo. Sei diventato come loro. »

« Forse è vero. È un male? Per molte persone essere riconosciute all'interno di un gruppo è il massimo che ci si possa aspettare dalla vita. »

Jason si strinse nelle spalle, come a dire che in ogni caso la faccenda non aveva molta importanza, e continuò imperterrito a scorrere le fitte colonne del giornale. Ero abituata a parlargli mentre apparentemente mi ignorava, ma in quel momento lo trovai estremamente irritante.

« Tu non sei molte persone. » osservai, tagliente. 

Jason inarcò un sopracciglio. « No? L'hai detto tu che sono cambiato. »

« Non così tanto! » sbottai « Almeno, lo spero... » mi corressi subito dopo « A te non è mai importato nulla di stare in un gruppo. Perché ora te ne importa così tanto? »

Jason lasciò momentaneamente perdere il giornale e si stiracchiò, godendosi il tepore del timido sole inglese sulla pelle. 

« Non me ne importa tanto. Solo, mi va. » rispose, con aria ovvia « Perché non dovrei fare una cosa che mi va di fare? Non ha molto senso rovinarsi la vita per orgoglio – o per “coerenza”: è così che lo chiama la gente per giustificarsi, no? Mi si potrebbe rinfacciare di essere banale in ogni caso. »

La sua risposta mi lasciò parecchio spiazzata: con Jason avevo imparato ad aspettarmi che le conversazioni prendessero direzioni totalmente inaspettate, ma se c'era una cosa su cui avevo sempre pensato di poter contare era che si sarebbe offeso a morte se gli avessi dato della persona “normale”. 

« Sì, ma... » 

« Ma non sono più quello di una volta. » completò Jason per me, interrompendo sul nascere la mia debole protesta. Piegò distrattamente le pagine del giornale e lo posò per terra, accanto alle sue gambe, per rivolgermi totalmente la sua attenzione. « Ti manca tanto il vecchio Jason? »

Immaginai che fosse una domanda importante, se era addirittura arrivato a separarsi dal suo adorato Financial Times. 

Sospirai e per una volta fui io a distogliere gli occhi. « Un po'... un po' tanto. » ammisi « Era il mio migliore amico... » Quando mi accorsi di aver usato la terza persona ed il passato provai una strana, spiacevole sensazione. Mi cinsi la vita con le braccia. « Non voglio che cambi tutto, ora che tu hai finito la scuola e te ne sei andato in Russia con i tuoi amici... »

Jason sorrise dolcemente, come una madre davanti alle lacrime del figlioletto che ha appena scoperto la triste verità su Babbo Natale. « Ma è già cambiato tutto, Rose: il Jason di cui parli tu non c'è più da un sacco di tempo, anche se tu hai continuato a vederlo in me. » Mi batté una pacca sulla spalla, forse consapevole – per una volta – di quanto poco piacevoli fossero le sue parole « Si finisce spesso per voler bene a persone che esistono solo nella nostra immaginazione, o nella nostra memoria. Siamo fatti così: amiamo l'idea che ci siamo fatti delle persone, non le persone in sé. »

Le sue parole mi sembrarono così vere che – mi accorsi – non aveva nemmeno senso piangere o deprimersi. D'altronde, non c'erano motivi per disperarsi: Jason aveva ragione, stavamo solo constatando qualcosa che era già successo da parecchio tempo. Il nostro rapporto non era finito – eravamo seduti sotto quella quercia a parlare, dopotutto, proprio come avremmo fatto anni prima – ma era solo cambiato. Jason avrebbe detto che eravamo semplicemente cresciuti e che, pian piano, stavamo trovando le nostre strade – strade diverse – concludendo il suo discorso con qualche osservazione filosofica come “tutto scorre” o, più semplicemente, con un disincantato “succede”. 

Sorrisi amaramente. « Se non altro le tue perle di saggezza filosofica sono rimaste le stesse. »

Jason ricambiò il mio sorriso, senza alcuna traccia di amarezza in questo caso, e distese le gambe davanti a sé. Notai che era dimagrito ancora, in quei due mesi: i jeans che indossava erano fermati alla vita da una cintura stretta all'inverosimile e le sue braccia, che non erano mai state muscolose, ora apparivano inquietantemente sottili. 

Jason non si accorse del mio sguardo critico – o più probabilmente, se anche se ne accorse, non ne fu minimamente scalfito. 

« Sai, » disse, dopo un po' « rispetto alla vecchia Rose sei cambiata molto anche tu, in questi ultimi mesi: è da un bel po' che stai cambiando, in effetti. Non pensavo che avrei mai potuto dire una cose del genere di te, ma stai diventando una persona responsabile. » 

Sollevai entrambe le sopracciglia e se avessi avuto un terzo sopracciglio avrei sollevato anche quello, per essere sicura di esprimere il mio scetticismo in modo sufficientemente esplicito. 

« Responsabile, io? » ripetei, trattenendo a stento una risatina sarcastica. 

« Sì. Responsabile, tu. » rispose Jason, assolutamente serio. Inarcai ulteriormente le sopracciglia, chiedendomi quali e quanti altri danni celebrali gli avesse causato la permanenza in Russia. « Fino a non molto tempo fa, se mi fossi presentato a casa tua alle sei di mattina con un gruppo di amici sbandati mi avresti accolto con un vaffanculo e un calcio nei denti. Poi avresti ritenuto di avermela fatta pagare a sufficienza, ti saresti fatta presentare i miei amici ed avresti proposto di fare un falò con i vestiti di Malfoy e di arrostirci sopra marshmellow o di ubriacarsi e poi fare una partita di Quidditch usando come Pluffa il vaso di cristallo di tua madre. Ora invece arrivo a casa tua mentre non ci sono i tuoi e scopro che nessuno dei tuoi amici si è fermato a dormire e che sul tavolo della cucina c'è il tuo libro di Trasfigurazione aperto. Negalo quanto vuoi, ma sei cambiata. E non penso che sia un male, » aggiunse, prevenendo l'obiezione che stavo per fargli « quindi non occorre che la prendi come un'offesa personale. »

E se invece lo facessi?

Immaginavo che, considerati i miei precedenti, darmi della persona responsabile fosse uno dei migliori complimenti che mi si potessero fare, ma la parentela con James e Fred doveva avermi indotto una sorta di inconscia repulsione per quel termine. Tanto più se associato a me, che sotto sotto ero sempre andata fiera di essere una Grifondoro e di usare le regole della scuola per lucidarmici le scarpe. 

« Non sono offesa, » mentii « semplicemente penso che tu stia traendo delle conclusioni esagerate. »

Jason si strinse nelle spalle. « Può darsi. »

Ovviamente non aveva minimamente considerato la possibilità di prendermi sul serio, ma ritenni che fosse più saggio lasciar perdere: avevo la netta sensazione che, se avessimo intavolato un dibattito su quell'argomento, mi avrebbe stracciata. E preferivo non sentirmi rinfacciare di essere diventata – o star diventando – una persona studiosa e responsabile. 

Non quando c'era palesemente solo un motivo – e solo una persona – per cui avrei potuto diventarlo. 

 

***

 

Quando tornai dalla passeggiata con Jason scoprii che i Russi avevano piantato una specie tendopoli per profughi dell'Est Europa nel retro del giardino ed ora stavano cucinando qualcosa di molto puzzolente su un fornelletto portatile. Per amor della quiete domestica – e soprattutto del mio pancreas – decisi di non indagare oltre e me ne andai a studiare Trasfigurazione dentro casa, nonostante la cosa – a conti fatti – non contribuisse molto di più al benessere dei miei organi interni. Dopo venti minuti di studio, infatti, avevo l'impressione di essere sul punto di ammalarmi di una qualche malattia mortale e nemmeno dieci minuti più tardi ero assolutamente certa di avere una gravissima forma di emicrania cronica. Alla fine conclusi che se non avessi immediatamente smesso di studiare sarei morta di qualche malattia fulminante non meglio specificata e dunque, siccome avevo un certo riguardo per la mia salute, dovette mandare a quel paese Ferguson e la sua inutile materia. Non che la cosa mi dispiacesse così tanto, in effetti. 

Per passare il tempo – visto che l'odore di lardo bruciato che penetrava dalla finestra aveva fatto svanire qualunque mia intenzione di abbandonare la mansarda – decisi di leggere il diario di Draco. Lo aprii poco oltre i tre quarti del quadernino, là dove avevo piegato l'angolo di una pagina a mo' di segnalibro l'ultima volta che lo avevo sfogliato. La data segnata in cima alla pagina risaliva alla primavera inoltrata del 1995 e sotto erano state scritte un paio di righe disordinate, tracciate in una calligrafia frettolosa e scomposta: fui molto sorpresa di non trovarvi nessun insulto ai Grifondoro e nessun commento inacidito rivolto ai successi dello zio Harry nel Torneo Tre Maghi. Nelle pagine seguenti fui altrettanto stupita nel constatare che i Grifondoro continuavano a non venir minimamente menzionati e diffamati e che, per di più, nemmeno i compagni di casa di Draco, i professori e qualsiasi altra tematica riguardante la scuola venivano trattati, se non con qualche accenno svogliato buttato lì di tanto in tanto per riempire un paio di righe vuote. L'argomento principale di quelle pagine era la famiglia, in particolare le lettere sempre più apprensive che il Draco adolescente riceveva regolarmente dalla madre e pagine intere di commenti sarcastici e sprezzanti su Lucius, sui suoi “amici”, su quanto poco gli importasse di Draco e su quanto poco a Draco importasse di lui. Poi, verso maggio, finirono anche quelli: in tutto il mese Draco aveva scritto a stento tre facciate, elencando la mole di cose che aveva da studiare in vista degli esami di fine anno e segnando sul fondo di una pagina quella che sospettai fosse una lista di ordini illeciti di Whisky Incendiario. L'ultima data scritta in fondo alla pagina che avevo davanti risaliva al ventuno giugno. Sotto era tracciata una riga sola, scritta in stampatello, a caratteri grandi e pesanti, come se nello scrivere Draco avesse premuto la penna sul foglio con l'intento di bucarlo. 

 

IL SIGNORE OSCURO È TORNATO.

 

Le pagine dopo erano vuote, fatta eccezione per qualche sparuto schizzo d'inchiostro e per un paio di disegni a penna scarabocchiati e spesso sfumati dalla mano che vi era passata sopra prima che l'inchiostro si asciugasse. I disegni che mi colpirono maggiormente furono due: il primo ricopriva un'intera pagina e – al di là dell'evidente incapacità di Draco, come della maggior parte dei maschi del resto, di disegnare in modo decente – raffigurava una mano dalle lunghe dita che stringeva una bacchetta gocciolante di un liquido scuro (quello che – immaginai – nelle sue intenzioni doveva essere sangue). La seconda immagine era una copia estremamente dettagliata del Marchio Nero: un grande teschio scuro, con le orbite vuote e nere e la bocca sdentata da cui spuntava la testa triangolare di un serpente. Rimasi imbambolata a fissarla per parecchi minuti, sfregandomi energicamente la pelle d'oca che mi era spuntata sulle braccia. 

Quando la porta di camera mia si aprì, cigolando sinistramente sui cardini, mi lasciai sfuggire un  un mezzo grido. Melinda, che era entrata reggendo tra le braccia un libro, sussultò e fece cadere il tomo a terra. 

« Oh, Rose, non sapevo che fossi qua... » disse, chinandosi a raccogliere il libro in tutta fretta « Scusami, io... ti dispiace se mi metto qua a leggere? »

Scossi la testa, aspettando che i battiti del mio cuore tornassero a dei ritmi umani. 

« No, certo. »

Malinda mi sorrise timidamente. « Grazie. Mi dispiace disturbarti, ma al piano di sotto i tuoi amici stanno facendo un po' di confusione. »

Trovai alquanto divertente la faccia schifata con cui si costrinse a definire “confusione” il porcile che stavano facendo i compagni di Jason. Tuttavia non potei nemmeno impedirmi di notare l'imbarazzo con cui mi rivolse quelle parole. 

« Ma no, figurati, non mi dai nessun fastidio. » le feci un cenno verso il letto e mi affrettai a nascondere il diario sotto il manuale di Trasfigurazione « Io sto studiando. »

Stavo... quaranta minuti fa...

Ma questi, in fondo, erano solo futili dettagli. 

Melinda annuì e si sedette su un angolino del materasso, come se temesse di sgualcire le coperte, guardandosi attorno nella mia stanza sovraffollata di cianfrusaglie, prodotti dei Tiri Vispi Weasley scaduti da mesi (se non da anni) e altri residui radioattivi di vario genere. Di colpo mi sentii parecchio imbarazzata per il disordine che regnava sovrano nella mia stanza. 

« Sì, non sono molto... ordinata. » borbottai, arrossendo come un qualsiasi Weasley che si rispetti è moralmente tenuto a fare in un'occasione simile. 

« Nemmeno io. » 

Melinda mi sorrise, come se aver trovato un punto di contatto tra noi due la rendesse felice. Io, dal canto mio, fui estremamente sollevata dal poter aggiungere il primo difetto accanto alla lista spropositatamente lunga dei suoi pregi. 

« Hai molti libri. » osservò Melinda. 

Seguii il suo sguardo verso gli scaffali di libri che occupavano quasi un'intera parete della stanza. I primi titoli che mi saltarono agli occhi furono “La storia di Percy il Folletto e della Strega Mangiapiedi” e “Le avventure della streghetta Mathilda e altre storie per bambini”. Completai l'operazione di pigmentazione rosso-Weasley facendo andare in escandescenze anche le orecchie. 

« Oh, sì, leggevo parecchio... »

Tipo quando avevo nove anni...

Preferii non dirle che gli unici titoli seri della libreria appartenevano a libri di mia madre che non avevano trovato posto tra le sovraffollate mensole del soggiorno. Ma naturalmente – nel pieno rispetto di una qualche legge di Murphy (e con mio sommo orrore) – fu proprio a quelli che Melinda puntò. 

« Questo è il Discorso sul Metodo di Cartesio? » chiese, alzandosi per estrarre dalla mensola più in basso un minuscolo libricino dal dorso sgualcito. 

Mi chiesi perché diamine avesse deciso di guardare proprio la mensola più nascosta di tutte. 

« Ehm... può essere, sì... » il nome aveva un ché di familiare, in effetti « Era quello che ha sprecato cinquanta pagine di libro metà per lamentarsi di non aver potuto pubblicare un altro libro e l'altra metà per sparare cazzate di anatomia? »

Dall'espressione di Melinda dedussi che quella non fosse esattamente la descrizione più appropriata per l'opera di Cartesio. Tuttavia, dopo un primo momento d'imbarazzo, il suo volto color bronzo si aprì in un sorrisetto divertito. 

« L'hai letto? »

« Non ne sono sicura... » ammisi, chiedendomi silenziosamente come diamine fossi riuscita a ficcarmi in quella situazione e concludendone che dovevo essere irrimediabilmente idiota « Forse ho letto qualche pagina, un giorno... »

Spulciare i vecchi libri scribacchiati di mia madre era pur sempre meglio che spulciare i miei (e sempre troppo intonsi) libri di testo, d'altronde, e quando ancora vivevamo sole io e lei, senza nessun Malfoy con cui litigare nelle lunghe mattinate estive, mi era capitato spesso di finire in soffitta a sfogliare un testo di biologia babbana o qualche saggio di storia e filosofia. Generalmente, però, il mio interesse per quei libri durava si e no cinque minuti: non avrei mai pensato di riuscire a ricordare qualcosa di quello che avevo letto. Eppure – mi accorsi – quando Melinda estrasse dagli scaffali polverosi un secondo libro, intitolato Dialoghi Platonici, sapevo chi era Platone e di colpo mi venne anche in mente quanto idiota fosse la sua teoria metafisica delle idee nell'Iperuranio. 

Esplicitai quella considerazione ad alta voce – tanto perché ormai l'opinione che Melinda si era fatta di me difficilmente avrebbe potuto peggiorare. 

« Platone era un idiota. Non ho mai capito che senso avessero tutte le sue seghe mentali sulle idee. E comunque i sofisti erano molto più intelligenti di lui. »

Melinda questa volta parve sinceramente stupita. « Ne sai parecchio, di filosofia babbana. » osservò. 

In realtà, oltre alle due cavolate in croce che le avevo appena detto, non ne sapevo proprio nulla, ma non avevo una particolare brama di contraddirla, al momento, perciò mi limitai a stringermi nelle spalle. Melinda sfogliò alcune pagine del libro che aveva in mano, soffermandosi qual e là per scorrere un paio di righe con un dito. 

« Non è per niente comune che un mago od una strega purosangue conosca la filosofia babbana. » disse poi, e per un attimo ebbi l'impressione che il suo sguardo fosse quasi ammirato « Chi te l'ha insegnata? »

Mi sistemai meglio sulla sedia, a disagio. « Mia mamma, qualcosa. Poi... beh, i miei nonni sono babbani, comunque. »

Melinda annuì, ripose il libro e tornò a sedersi sul letto. Mi sistemai una ciocca di capelli dietro l'orecchio, voltandomi sulla sedia per non darle le spalle: quella conversazione si stava facendo decisamente troppo imbarazzante per i miei gusti. Soprattutto perché avevo la netta impressione che Melinda mi stesse in qualche modo valutando. 

« Posso dirti cosa ne penso di te? » chiese, dopo una breve pausa di silenzio. 

Ecco, come volevasi dimostrare.

Onestamente la mia risposta sincera sarebbe stata no, no e poi no, tutta la vita no, magari anche rotolandomi per terra e battendo i pugni, ma immaginavo che una reazione del genere avrebbe potuto apparire piuttosto infantile. Indi per cui mi limitai a scrollare le spalle, rassegnata a sentirmi dire che mi trovavo intellettualmente al livello di un criceto. 

Con mio sommo stupore, però, il parere di Melinda sembrò portarmi quantomeno al livello di un ibrido semiumano. 

« Quando ti ho conosciuta, qualche giorno fa, pensavo che non fossi una persona particolarmente intelligente. » disse, con il tono cauto di chi spera di non offendere « O forse più che intelligente il termine giusto sarebbe colta. Mi sembravi socievole, simpatica... per niente una brutta persona, ma un po' banale, tutto sommato. Non mi capacitavo di come l'opinione di Scorpius su di te potesse essere cambiata tanto in meno di due mesi, specie conoscendo i suoi gusti alquanto selettivi in materia di persone. »

Non me ne capacito nemmeno io, se è per questo.” soggiunsi tra me e me, ignorando l'indignazione di Calvin. In fin dei conti avevo spesso l'impressione – o il timore? – che, una volta ricominciata la scuola, per Scorpius sarei tornata ad essere la Rose Weasley di sempre. 

Melinda mi rivolse un sorriso timido. « Forse mi sbaglio, ma più ti guardo più ho l'impressione che tu non sia affatto la sempliciotta scapestrata tutto Quidditch e niente cervello che fingi di essere.  »

« Io non fingo di essere un bel niente. » grugnii, irritata. 

Ma chi diamine si credeva di essere per venire in camera mia a leggere i libri di filosofia di mia madre e poi psicanalizzarmi?

Melinda si ritrasse quasi impercettibilmente e si lasciò sfuggire una piccola smorfia. « Sì, non sono molto simpatica alla gente di solito, mi dispiace. Quello che volevo dire è che a volte mi pare che tu faccia di tutto per dimostrare di sapere meno cose di quelle che sai ed essere meno intelligente di quello che sei. Lo so che non ti conosco abbastanza per giudicarti, ma ci tenevo a dirtelo perché mi dispiace che tu ti svilisca così. »

Le lanciai uno sguardo torvo. « E secondo te cosa dovrei fare, andarmene in giro in una casa di geni a sbandierare le poche cose che so, così da fare la figura dell'idiota? Non lo farei nemmeno se fossi onnisciente ed onnipotente: non ci tengo a diventare irritante come mia madre, grazie tante. »

Con mia somma irritazione mi accorsi che Melinda sembrava assolutamente soddisfatta della mia risposta. 

« Ti dà tanto fastidio l'idea di essere simile a tua madre? » chiese.

« Scusa, » replicai, con tono parecchio sgarbato « ma tu studi filosofia o psicologia? »

Melinda mi restituì uno sguardo vagamente colpevole. « Filosofia, in realtà. Ma la psicologia mi ha sempre affascinata. »

« Mpf... » grugnii. 

Melinda sembrò rendersi conto che era meglio darci un taglio e si alzò dal letto, portandosi dietro il suo libro. « D'accordo, penso che andrò a tenere un po' di compagnia a Scorpius. Scusa ancora per il disturbo, Rose. »

« Figurati. » borbottai e mi alzai per accompagnarla alla porta. 

Figurati un corno!

Prima di imboccare la stretta scala che scendeva dalla mansarda al primo piano, Melinda mi rivolse un sorriso timido. « Penso davvero che tu sia una persona molto migliore di quello che vuoi dare a vedere, Rose, e non credo che dovresti vergognartene. A me piaci molto. » esitò per un paio d'istanti, poi mi porse il suo libro « È un libro di filosofia magica del XIX e XX secolo, è molto interessante. Te lo regalo, se vuoi. »

Non mi interessava minimamente erudirmi anche sulle seghe mentali che si facevano i filosofi maghi, ma mi sembrava scortese rifiutare, perciò accettai il regalo senza protestare.

« A proposito, » aggiunse « mi dispiace per quella scenata sui letti. Adam si diverte a mettere in imbarazzo Scorpius... » 

Quella sera, mentre giocavo a “Segna o bevi” in compagnia di Hugo, James, Fred, Roxanne, Al, Marshall, Mort, un paio di Russi e parecchie bottiglie di Whisky Incendiario, non riuscivo a scacciare dalla mente le parole di Jason e Melinda. Solo dopo il quarto rigore sbagliato – seguito dal quarto bicchierino di Whisky – riuscii a liberarmi di quei nefasti pensieri. Anche se, per contro, la mattina dopo trovai un piacevole mal di testa da postumi e l'espressione irritata di Scorpius, che apparentemente la sera prima aveva dovuto farmi scendere dalla scopa prima che mi schiantassi da qualche parte e trascinarmi a letto di peso. 

 

***

 

Scorpius, come ebbi modo di appurare, non gradiva per niente la presenza dei Russi: quando venerdì fummo invitati da uno di loro ad un mega party che si sarebbe tenuto quella sera in casa nostra, smise del tutto di rivolgermi la parola. Io, dal canto mio, per il resto del pomeriggio fui troppo impegnata ad incazzarmi con chiunque mi capitasse a tiro per rivolgerla a lui. 

Alle otto e mezza di sera, quando i primi invitati cominciarono a presentarsi con casse di alcool al seguito, ero già troppo stanca per avere un esaurimento nervoso e mi limitai a prendere le bottiglie e  andare a sistemarle in frigo. Non trovai neppure la forza per schiantare Mort quando, nel tentativo di accendere un falò, appiccò fuoco al vestitino di Lily. D'altronde ci pensò ben lei a schiantarlo, come James andò in giro a raccontare per tutta la sera con gli occhi lucidi di paterno orgoglio (o di alcool, più probabilmente). Quando la beccò a leccarsi con Marshall sul divano del soggiorno, invece, trovò ben poco di cui vantarsi. 

Io, dal canto mio, passai la serata a fare la spola tra la casa ed il giardino con un grande sacco nero per i rifiuti al seguito. Hugo, impietosito da quella scena – o molto più probabilmente annoiato perché la ragazza con cui si scriveva non era stata invitata – decise di accorrere in mio aiuto. Era parecchio brillo e continuava a chiedere a chiunque passasse se avesse visto Scorpius, per poi darmi di gomito con aria complice, perciò dopo una decina di minuti gli mollai in mano un bicchiere di burrobirra e lo affidai alle amorevoli cure di James e Fred, che provvidero immediatamente a mettergliene in mano un secondo. 

Alle dieci e mezza, con il solito ritardo che riteneva di dovere alla sua immagine di diva, Dominique si degnò di onorarci con la sua meravigliosa presenza, condita di vestitino sfavillante e tacchi vertiginosi. A braccetto con lei stava Lorcan Scamandro, con tanto di fondotinta, foulard annodato al collo e camicia rosa: Dominique doveva averlo schiavizzato per truccarla e farle l'acconciatura. Immaginavo che ci tenesse parecchio ad essere più bella di Melinda, quella sera. 

La poca voglia che avevo di andare a salutarla svanì del tutto quando Scorpius pensò bene di andare a farlo al posto mio. Se non altro – osservai, ridacchiando – gli unici baci che ottenne furono due baci sulle guance da parte di Lorcan, che lo chiamò tesoro e si complimentò con lui per la magnifica maglietta che indossava e per il nuovo taglio di capelli. Scorpius, a quel punto, ebbe la saggia idea di battersela in ritirata. 

Lo feci anch'io, prima che Domi si accorgesse di me, e decisi di tornare dentro casa a controllare che nel frattempo nessuno si fosse fatto venire in mente di vomitare sui tappeti o di cercare di incantare gli elettrodomestici babbani (avevo ricordi traumatizzanti degli esperimenti di nonno Arthur, in merito). Fortunatamente pareva che nessuno stesse male o si fosse fatto del male, ma quando mi imbattei in Jason che ballava in modo assolutamente indecente con uno dei suoi amici Russi, mettendogli le mani in posti su cui preferii sorvolare, fui io a farmi parecchio male al coccige, cadendo all'indietro per la sorpresa. 

Misi a tacere Calvin, che a quella vista si era parecchio esagitato, e mi avvicinai a due improbabili ballerini prorompendo in un plateale colpo di tosse. 

« Hem! Jason? »

Il ragazzo si voltò nella mia direzione, rivolgendomi un sorriso allegro almeno la metà di quanto sembravano essere allegri lui ed il suo amico. 

« Oh, ciao, Rose. »

Gli lanciai un'occhiataccia. « Quanto sei ubriaco? »

« Un po', perché? »

« No perché... sai, forse dovresti smetterla di ballare in questo modo con il tuo amico... è un po', come dire, fraintendibile... » gli feci notare, accennando alla sua mano che si trovava saldamente piantata nella tasca posteriore dei pantaloni del suo amico. 

Jason sembrò parecchio stupito. 

« Oh, ma lui è Kirill, stiamo assieme. Non te l'ho detto? »

« No, dev'esserti sfuggito. »

Risposi, rivolgendo a lui e al suo “amico” Kirill un enorme sorriso palesemente falso. D'altronde Jason era solo passato all'altra sponda, una cosuccia da nulla: era del tutto comprensibile che gli fosse sfuggito di mente di accennarmelo. 

Jason si strinse nelle spalle, mentre Kirill continuava a guardarci con espressione vacua (non capii se perché era del tutto andato o perché non capiva l'Inglese). « Oh, beh, ora lo sai. »

Inarcai un sopracciglio. « E, se posso chiedertelo, da quando sarebbe che...? »

« Da quando sto con Kirill, suppongo. »

« Ah. »

Kirill gli lasciò un bacio sul collo – che finsi di non aver visto – e gli disse qualcosa in Russo. Jason annuì, poi si voltò nuovamente verso di me. 

« Beh, noi andiamo di là a prendere da bere. Ci si vede, Rose. »

« Sì, ci si vede... » borbottai, mentre la strampalata coppia si allontanava tenendosi per mano. 

« Wow... » commentò Lorcan, che era comparso accanto a me in quel momento « Non sapevo che Jason fosse... »

« Neanch'io. » tagliai corto, troppo shockata dalla mia recente scoperta per preoccuparmi di non suonare sgarbata. 

Stupendo... un branco di boy scout russi organizza un rave party in casa mia pensando bene di non chiedermi nemmeno il permesso... Mort probabilmente sta trafficando droga sul retro... Scorpius ha pensato bene di defilarsi e lasciare tutto il lavoro a me... e per completare il quadretto il mio migliore amico, o ex migliore amico, che dir si voglia, passa all'altra sponda e non mi dice nulla...

D'altronde avrei dovuto immaginarlo che prima o poi Jason avrebbe voluto fare l'alternativo anche su quello: conoscendolo, c'era da aspettarselo. 

Lorcan mescolò il suo cocktail rossastro con la cannuccia, lanciando uno sguardo che trovai sinceramente inquietante ai fondoschiena dei due “amici”. « Però, quando io e Jason eravamo compagni di dormitorio non avrei mai pensato che... » s'interruppe e bevve un sorso dal bicchiere « D'altronde Jason è cambiato un bel po' negli ultimi anni, vero? Non ricordavo che fosse così carino. »

Gli lanciai un'occhiataccia. « Lorcan, non ci pensare. »

« Ma no, figurati. » rispose lui « Era solo così, per dire qualcosa. »

Tanto era “solo per dire qualcosa”, però, che non staccò gli occhi dai due finché non furono spariti in cucina. Decisi di lasciar perdere le turbe ormonali di Lorcan e andai a controllare che le stanze al piano di sopra fossero integre. 

Per essere integre erano integre – fatta eccezione per una foto di Draco e dei suoi amici ai tempi di Hogwarts, a cui qualcuno aveva rotto il vetro (non che la cosa mi causasse dispiacere) – ma mi ci vollero venti minuti buoni per convincere una disperata (e parecchio ubriaca) Kathie a staccarsi dalla tazza del gabinetto e smetterla di descrivere il modo in cui si sarebbe suicidata perché James non se la filava ed il modo in cui lui poi si sarebbe sentito terribilmente in colpa per aver causato la sua morte prematura. Dovetti anche cacciare Lysander Scamandro – che apparentemente, oltre a voler fotografare gli ubriachi, aveva deciso di fare un documentario fotografico dei residui tossici nascosti sotto il mio letto – da camera mia. Parve parecchio deluso, ma a parte commentare che stava per fotografare un Nargillo non fece particolari proteste. Se non altro, una volta tornato al piano di sotto, poté scattare un servizio fotografico di un Albus totalmente sbronzo che, con una bottiglia di burrobirra in mano ed una corona di fiori che qualcuno gli aveva posato sulla testa, stava tenendo una filippica sulla pace in piedi sul tavolo del soggiorno. 

Hugo, che non sembrava messo molto meglio, comparve al mio fianco a braccetto con Louis e Roxanne. « Sembra... Woodstock... » sghignazzò, barcollando pericolosamente. 

Louis, che aveva le guance color porpora ed i capelli biondi incollati alla fronte, annuì con vigore. Alle sue spalle Molly sospese momentaneamente la ramanzina che stava facendo a sua sorella per aver comprato qualcosa da Mort e si voltò verso di noi con un'espressione agguerrita stampata in volto. « Ma è possibile che non ci sia una sola persona sobria in questa casa? » esclamò, lanciando un'occhiata disgustata ad Al che intanto era caduto dal tavolo ed ora stava facendo un appassionato discorso sull'amore ad una ragazza che chiamò “bella bionda”, apparentemente ignaro del fatto che si trattava di suo fratello con una parrucca in testa. 

« Io sono sobria! » sbottai, indignata. 

Molly stava per ribattere, ma quando Adam le porse una bottiglia di Vodka non ci pensò due volte a sorridergli come una cretina e scolarsela a collo (salvo poi voltarsi dall'altra parte per tossire ed asciugarsi le lacrime dagli occhi).

Hugo ridacchiò. « È sbronza... »

Evitai di fargli notare che lui lo era molto di più e mi feci largo tra la folla per staccare Al da James, prima che cercasse di stuprarlo. Al protestò sentitamente, accusandomi di essere una megera e riuscendo a chiamarmi nel contempo con tre nomi diversi (di cui uno maschile). 

« Razza di... Balena! No, befana! Sì, questo volevo dire! Lasciami stare, Lucy! Solo perché io ho una vita sentimentale! Non ci vengo con te, hai capito, Harry? »

Per fortuna in quel momento Scorpius intervenne e lo sollevò di peso da sotto le ascelle, costringendolo a sedersi sul divano. 

« Grazie... » sospirai, asciugandomi la fronte dal sudore. « Tu sei sobrio, vero? »

Scorpius mi sorrise, mandandomi il cervello totalmente in pappa. « Hanno cercato di propinarmi un bicchiere di vodka liscia, spacciandola per acqua, ma questa volta non mi sono fatto fregare. Tu? »

Calvin urlò qualcosa come “sono ubriaca di teee!”, ma lo misi a tacere brutalmente. 

« Sì, sobria. » risposi « Ho passato tutta la sera a raccogliere bottiglie vuote in giro, consolare gli ubriachi depressi e correre dietro a quelli troppo esaltati. Non farò mai più una cosa del genere, giuro. »

Scorpius scosse la testa. « A questo punto dovrei dirti che “te l'avevo detto”, lo sai, vero? »

Roteai gli occhi. « Suppongo che tu ne abbia il diritto. Avanti, dillo. »

« Nah, non c'è gusto così. Troverò un altro modo per vendicarmi. » 

I suoi occhi verdi guizzarono sul mio viso, divertiti, ed in contemporanea il mio stomaco fece un paio di salti mortali. Calvin ovviamente non poté fare a meno di espormi un paio delle sue deliziose congetture sadomasochiste sulla vendetta di Scorpius, la più casta delle quali comprendeva un paio di manette pelose ed un frustino di cuoio. 

Fui certa di essere arrossita parecchio. 

« Beh, ragazzi... » disse Al, alzandosi sulle gambe malferme « È stato un piacere parlare con voi. Io vado: c'è una bellissima ragazza bionda che mi aspetta. »

Lo ignorai, troppo impegnata a sciogliermi sotto lo sguardo di Scorpius. Lui mi sorrise per la seconda volta in meno di un minuto, mandando alle ortiche il briciolo di sanità mentale che mi restava. 

« Perché non lasci perdere quel sacco della spazzatura? » chiese « Ti aiuto io a mettere a posto, domani. Tanto vale che ci divertiamo un po' anche noi stasera, no? »

Il sorriso che mi spuntò sul viso doveva sembrare piuttosto idiota, ma me ne fregai. « Mi sembra giusto. »

« Anche a me. » concordò Scorpius, mentre una sua mano si posava sul mio fianco. « In fondo, sono due giorni che non fai altro che correre dietro ai tuoi amici. Adesso voglio un po' di attenzioni anche io. »

Calvin mi ricordò insistentemente della fantasia sulle manette pelose. Lo ignorai ed inarcai un sopracciglio. « Tu non sei sobrio. »

Trovai che il sorrisino colpevole in cui si stirarono le sue labbra fosse assolutamente adorabile. « D'accordo, forse prima di accorgermi che non era acqua ho bevuto un paio di sorsi di Vodka... »

Scoppiai a ridere. « Vabbé, per questa volta ti perdono. »

« Già, direi che me lo devi. »

La seconda mano di Scorpius andò a posarsi alla base della mia schiena e mi attirò gentilmente verso di lui. Posai le mani sulle sue spalle e mi alzai in punta di piedi, ma proprio in quel momento la risata sguaiata di Hugo si levò sopra il vociare della folla. 

« Si stanno picchiando! Hahaha, Merlino, sono proprio ubriachi! »

Mi staccai bruscamente da Scorpius, appuntandomi mentalmente di trovare i due idioti che avevano avuto la brillante idea di fare a botte e picchiarli io. 

« Per Morgana, che succede adesso? »

   
 
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