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Autore: Dira_    11/04/2012    22 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo LIII
 

 
If I act accordingly will it save my humanity?
You're either you or a loyalty disowned
Conviction seems to follow accusations alone
When love alone is enough to set you free
(15 Min Fame, Poets of The Fall)
 
 
20 Gennaio 2023
India, Regione del Nagaland, Dimapur
Prima mattina.
 
Vista l’indagine in corso, Harry aveva ritenuto opportuno rimanere a Dimapur finché non avessero avuto riscontro sull’identità dei cadaveri trovati – Ron aveva avuto ragione, erano due, non tre. Non appena capito chi fossero, avrebbero potuto iniziare le ricerche del terzo. Nora aveva già preso i contatti con le forze di polizia magiche del posto per farli partecipare in prima linea.
Come al solito, non ci resta che aspettare.
Mandati Gufi di spiegazioni alle rispettive famiglie, Dhansiri si era prodigato per trovar loro una sistemazione confortevole per la notte. Al momento stavano consumando la colazione in una piccola locanda nel cuore del Quartiere Magico della città. Erano seduti sulla veranda di legno che si apriva su un rigoglioso giardino pensile ed era una buona giornata, né troppo soleggiata né in dirittura di pioggia. Ron stava generosamente addentando l’ennesima porzione di un pane fritto, molto dolce e speziato, il poori, piatto tipico delle colazioni indiane. Eleanor leggeva il quotidiano locale bevendo caffè che, a giudicare dal colore e la consistenza, sembrava esser stato preparato con l’intento di svegliarla. Harry si chiese per l’ennesima volta se dormisse la notte. “Dovresti provarci, sai.” Si lasciò sfuggire.
Nora inarcò le sopracciglia, colta di sorpresa. “A fare cosa?”
“Dormire un po’.” Le sorrise. “Dicono aiuti a pensare meglio.”
La strega fece una smorfia divertita. “Soffro d’insonnia sin dall’adolescenza e quando seguo un caso peggiora, niente da fare. E non sono mai stata una fan delle pozioni soporifere.”
Harry annuì, anche se non pensava fosse tutta la verità; supponeva che, come lui, la creola facesse fatica a prendere sonno proprio per l’impostazione personale che aveva dato a quel caso particolare. L’unico ad essere immune al demone della veglia notturna era Ron. Lo invidiava, e non doveva essere l’unico.

Quello, quasi avesse sentito i suoi pensieri, lanciò loro un’occhiata. “Secondo voi quanto ci metteranno? Dico, a identificare i due corpi e capire cosa li ha uccisi.”
L’agente americana sospirò. “Possiamo solo aspettare. C’è una semplice clinica qui, non attrezzata per le diagnosi magiche post-mortem. Hanno materializzato i corpi a Dehli¹. Ci vorrà un po’.”
L’uomo emise una smorfia scontenta. “Hermione mi ucciderà. Oppure troverò le mie cose fuori dalla porta, uno dei due. Vale lo stesso. Le avevo detto che ci avrei messo in tutto una mezza giornata… ed eccoci qua, arrostiti dal sole e mangiati dalle zanzare!” Allargò le braccia in modo teatrale, salvo poi per farle ricadere sconfitto. “Merlino, se odio la Thule.”  

 “Siamo arrivati ad un punto di svolta con le indagini, non ci vorrà molto e poi potremo tornare a casa dalle nostre famiglie.” Disse Nora tentando di consolarlo.
“Scommetto manchi un sacco a tua figlia…” Sbuffò l’altro con un mezzo sorriso subito dopo. Harry la guardò sorpreso. “Hai una figlia?”
“Sì, Ama. Ha diciannove anni.” Sorrise la donna. “Manco da mesi e lei manca a me.”

“Non vedo l’ora che tutta questa storia sia finita… Così avrò la certezza che Rosie e Hugo sono al sicuro.” Sospirò Ron; ormai aveva perdonato la figlia per frequentare un Malfoy, ma era restio ad ammetterlo per imbarazzo. Harry aveva intuito che gli eventi che si erano scatenati in quel periodo e la lontananza della figlia maggiore avevano convinto l’amico di una vita a rivedere le sue posizioni. Almeno un po’.
Furono interrotti nel piacevole chiacchierar di nulla dall’arrivo di Dhansiri, che portava un bauletto dall’aria vissuta e con grosse venature ad intersecarlo.
“Una chiamata via fuoco magico per lei, Signor Potter.” Esordì posizionandolo di fronte a lui, previo scostamento di tazze di caffè e cesti di pane e frutta.
Harry inforcò gli occhiali che aveva abbandonato per godersi un po’ del tepore dei raggi di sole che filtravano dal tetto in vimini. “Da parte di chi?”
“Lord Draco Malfoy.” Alla menzione, Ron si alzò in piedi e con un cenno brusco abbandonò il tavolo e veranda. Nora lo guardò interrogativa. Harry sospirò.   

“Lunga storia. Ti dispiace?” Chiese indicando il baule chiuso, ma dal quale proveniva un tenue bagliore.
Lasciato solo e ringraziato Dhansiri che si accomiatò immediatamente, non gli restò che aprire il cofanetto con un colpo di bacchetta. Non vi erano che fiamme verdognole e danzanti; non vide dunque Malfoy, ma sentì la sua voce. “Potter.” Iniziò con la classica cascata di snobismo. “Siamo soli?”
“Sì, Ron non c’è.” Sospirò di nuovo, con la certezza che avrebbe passato i prossimi anni a fare da stato cuscinetto tra due maghi cresciuti ma testardi come gli adolescenti che erano stati. Il che, visti i suoi trascorsi adolescenziali con Malfoy, aveva dell’ironico.

Ci fu un breve silenzio, poi finalmente l’altro parlò. “Ti ho chiamato solo per dirti che tua figlia sarà imbarcata con la prossima Passaporta per Inverness.”
Harry sentì il sollievo investirlo come una corrente benefica; almeno uno dei suoi ragazzi sarebbe stato lontano da quell’inferno. Lily, poi, era diventata la più testarda e ribelle. Sì, era decisamente una buona notizia.

“Bene… molto bene.” Disse. “Quando?”
“Accetto i tuoi doverosi ringraziamenti, Potter.” Replicò sarcastica la voce oltre le fiamme. “Domani, comunque. Quella delle cinque in punto.”

Si passò il fazzoletto sulla fronte; il caldo piacevole di poco prima cominciava a scottare. “Quindi è tutto risolto con il Ministero Norvegese?”
“Scandinavo.” Lo corresse con sussiego. “Sì. Non ho l’abitudine di chiamare insopportabili Ragazzi Meraviglia se non ho la certezza di aver rimediato ai guai dei loro pargoli.” Harry ignorò la frecciatina, perché dopotutto non poteva dire che l’altro avesse torto. “Hanno sbloccato la Traccia di tua figlia questa mattina.”

“Non può prenderla oggi quella Passaporta?” Sarebbe andata a prenderla, decise; avrebbe strigliato quella piccola incosciente e poi l’avrebbe abbracciata stretta.
“Non c’è.” Il tono dell’altro mago era definitivo e Harry gli credette. L’importante era che Lily tornasse in Gran Bretagna. A casa. Ventiquattro ore non erano molto, in fondo.

“Grazie Draco.” Sorrise anche se l’altro non poteva vederlo. “Ti sono debitore.”
“Oh, lo so.” Fu la risposta ed era certo che stesse anche ghignando. “Richiama pure il tuo tirapiedi peldicarota, devo andare.” E le fiamme si spensero con uno sbuffo di fumo.
Harry inspirò, ma non fece in tempo a ricomporsi e nettarsi di nuovo la fronte – il caldo era davvero insopportabile e repentino in quel paese – che Dhansiri rientrò di fretta, accompagnato da Nora e Ron.
Ron lanciò un’occhiata al fuoco portatile. “Il Furetto Rimbalzante mi ha appena chiamato tirapiedi peldicarota o è stata una mia impressione?”
“Una tua impressione.” Replicò Harry con un cenno dismissivo. “Che succede?”
Ron fece una smorfia, evidentemente poco convinto, ma vedendo che lo scrigno era silente e spento si decise a parlare. “Sono arrivati i risultati degli esami post-mortem.”
“E…?”
“I due corpi appartengono a Frederick e Olga Luzhin.” Sbuffò. “Significa che il ragazzo è ancora vivo e che forse è riuscito a scappare dai sicari di Hohenheim.”
Harry si alzò in piedi. “Se è riuscito a scappare potrebbero esserci tracce nel villino. Dhansiri, prepara il carro. Torniamo là.”   

 
 
****
 
Norvegia, Istituto Durmstrang.
Mattina.
 
Rose si beava del contatto delle labbra del suo ragazzo. Il bacio mattutino, poco prima di colazione, ancora fresco di dentifricio, era forse il suo preferito. Erano soli, dato che le altre ragazze si erano dirette verso il refettorio dopo aver lanciato occhiatine e risatine in direzione del loro Campione.
Oche.
Cominciava a rivalutare la Parkinson-Goyle; perlomeno aveva smesso con quel ridicolo atteggiamento da damigella in pericolo che invece affliggeva tutte le altre ogni volta che vedevano il Campione di Hogwarts in tenuta da allenamento nera e rossa.
“Menta?” Chiese Scorpius baciandole l’angolo della bocca. “Mi piace la menta.”
Rose ridacchiò arruffandogli il caschetto biondo che gli era valso da parte di Dominique il titolo di petit prince.

“Sei pronto per la Prova?”
“Sicuro! Dursley, anche se brontola tanto, sta facendo un buon lavoro. Evitasse di colpirmi con le costole dei libri nel punto più tenero della nuca magari sarebbe meglio… ma è Dursley. È un uomo crudele.” Sospirò con piglio eroico.

“In questo caso Tom ha tutto il mio appoggio.” Gli accarezzò comunque il punto offeso e questo le valse un secondo, profondo bacio.
“No, ma continuate a fare finta che sia un pezzo d’arredamento … Tanto mi piace guardare.” Li informò una voce squillante.
Sua cugina Lily li guardava con il sopracciglio debitamente inarcato e la borsa scolastica molto meno piena di quanto avrebbe dovuto. Era certa che scroccasse pergamene e libri di testo ai poveri compagni maschi da una vita.
Scorpius si volse verso di lei con il solito, inscalfibile sorriso adamantino. “Oh, piccola Potter! Ci sei anche tu?”
“La tua dolce metà dovrebbe scortarmi a colazione.” Scrollò le spalle. “Ma si è dimenticata di me per gettarsi tra le tue braccia muscolose.” E le occhieggiò con intenzione. “Non che non la capisca.”
Scorpius gonfiò il petto come un tacchino. “Davvero pensi che siano muscolose? Perché sai, sto facendo questo allenamento per i bicipiti che…”
“Sì, okay. Andiamo.” Borbottò, prima che il suo idiota personale facesse la ruota di fronte a quella gatta cretina che condivideva metà del suo genoma. “Siamo in ritardo per la colazione.”
Lily fece uno dei ghignetti per cui era tristemente famosa, ma non aggiunse niente di imbarazzante o troppo esplicito. Le tese invece la sua borsa, questa adeguatamente preparata, senza una parola.

Meno male!
Si incamminarono per i corridoi asfittici della fortezza mentre la cugina attaccava un chiacchiericcio querulo con Scorpius. Pareva di ottimo umore, ma Rose non ci cascò; quella mattina si era comportata in modo normale ed era stato questo ad insospettirla. Niente bronci, niente rispostacce o evitare il suo sguardo.
Non doveva essere arrabbiata con me perché la seguo come un’ombra e non la lascio scappare dal suo tedesco?
Le lanciò un’occhiataccia, ma le fu rimandato indietro un sorriso sereno, di chi non aveva un problema nella vita.
“È vero che torni a casa?” Chiese Scorpius facendole interrompere il contatto visivo.
“Sì.” Confermò Lily senza particolari inflessioni. Sospettosissimo. “Sono riusciti finalmente a sbloccare non so che incantesimo che mi permetteva di rimanere qui. Sapete, quella Traccia.”
“Mi spiace che tu non possa rimanere fino alla Prova, non c’è proprio modo?”

Lily fece una lieve smorfia. “Temo di no… Mi piacerebbe, ma tutto quello che mi aspetta è la Scozia e una strigliata dei miei.”
“Almeno ne sei consapevole.” Si inserì Rose. Sua cugina doveva andarsene, non c’era altro da aggiungere.
Così potremo finirla di farle da balia. Beh, almeno ad Albus ha chiesto scusa…
Arrivarono in refettorio e Lily si voltò di colpo verso di lei. “Mi spiace di averti rovinato il soggiorno.” Esordì con quieto sguardo dispiaciuto. “Volevo solo aiutare un amico, ma l’ho fatto nel modo sbagliato. Ora lo capisco… scusa Rosie.”
Rose rimase senza parole. Data la deriva di pensieri precedenti non si era aspettata quell’uscita estemporanea. Si sentì arrossire. Il suo principale difetto, Scorpius glielo aveva fatto notare in più di un’occasione, era la tendenza a sparare giudizi. Giudicare. E ci era cascata di nuovo. “Uhm… beh, okay. Scuse accettate.” Borbottò. “L’importante è che tu abbia capito.”
Lily si limitò ad annuire con un sorriso mite, prima di andare a prendere posto tra le altre ragazze del coro.
“Sembra essersi rassegnata, no?” Intervenne l’altro grifondoro, prendendole la borsa e dirigendosi verso il tavolo che ospitava Albus, Dominique e Violet e in fondo, all’angolo misantropo, Thomas.
Rose scrollò le spalle. Conosceva l’altra da che aveva memoria, e se aveva una certezza era che non ci si poteva fidare di quel che le usciva dalla bocca.
Speriamo che stavolta mi sbagli.
 
Rose era una maledetta diffidente.
Lily aveva ben chiaro che non poteva permettere a nessuno – il suo Leviatano personale in testa - di scoprire cosa era successo la sera prima.

Non era facile; se imboscarsi nel treno le aveva preso poco meno di mezzo pensiero e zero senso di colpa, adesso ne provava a palate.
Stava di nuovo agendo alle spalle della sua famiglia e soprattutto di Albus. Non la piaceva per niente, la faceva sentire una bugiarda. Aveva promesso al fratello, seppur implicitamente, di piantarla con i casini. E invece.
Però sapeva di fare la cosa giusta. Ed era questo a darle la forza e farle tenere la bocca chiusa. Se avesse spifferato tutto ad Al prima del tempo, prima di aver convinto Sören a costituirsi, sarebbe stato tutto inutile.
Al ha la sua battaglia per Tom. Io ho la mia.
Non poteva tirarsi indietro, non con Ren che rischiava Nurmengard. Il suo amico era una Pluffa sparata verso gli abissi e non poteva permettergli di perdersi per colpa di un mago pazzo, delirante e cattivo.
Naturalmente non si fidava di Kirill. Era un tipo viscido e le dava cattive vibrazioni. Inoltre era palese che non gliene importasse un fico secco di Sören e che volesse solo salvarsi la pelle. Però c’era poco da fare, era l’unica mano che le era stata tesa in quei frangenti. Non poteva schiaffeggiarla via solo perché la metteva a disagio.
 
“Domani sera io porterò te da Sören. Lo costringerò a parlarti. Parlarci.” Si era corretto. “Se funzionerà chiamerai tuo padre e chiederai lui di portarci in Inghilterra.”
“In Inghilterra? Perché?”
Il russo aveva sbuffato come di fronte ad una bambina lenta di comprendonio. “Noi chiedere asilo politico a tuo paese. Se verremo presi in custodia da tuo Ministero sarà… meglio.”
“Come fai a saperlo?” Il Ministero inglese non era conosciuto per essere clemente. Tom l’anno prima si era cacciati nei guai, da minorenne, eppure aveva subito un processo con tutti i crismi oltre ad aver rischiato di veder rotta la sua bacchetta.

Poliakoff aveva fatto un sorrisetto dei suoi, sgradevole da morire. “Tu ha tanti parenti in Ministero, no? Figlia del famoso Harry Potter, il Salvatore. Tu non vuole salvare noi?”
“Veramente solo Ren.” Aveva ribattuto sostenendo il suo sguardo, anche se sentiva un brivido di disgusto all’idea che avrebbe finito inevitabilmente per aiutare entrambi. Non poteva scegliere la merce nel pacchetto, doveva prenderlo tutto intero.

“Se tu vuole trovare tuo Ren, fraülein, serve mio aiuto. Do ut des, sì?” Disse infatti l’altro, tendendole la mano. “Abbiamo un accordo?”
Lily gliela strinse. “Abbiamo un accordo, russo. Ma niente scherzi.” Aveva detto con il suo miglior tono di ghiaccio. Le era valso un sorrisetto divertito. L’aveva detestato con la forza di mille soli.
Poliakoff, ignaro dei suoi pensieri, aveva fatto un inchino cerimonioso. “Tu ha mia parola, fraülein.” Poi le aveva teso una moneta, una valuta che Lily non aveva mai visto e che aveva segni che sembravano cirillico incisi sopra. “Tu prende questa. Domani sera, quando calda, trova modo per uscire da tuo dormitorio e venire in refettorio. Tu farcela?”
“Sì.” Avrebbe trovato il modo. A costo di schiantare qualcuno, se lo ripromise con la bocca secca e lo stomaco serrato. Aveva serrato la moneta in pugno, sentendola stranamente fredda al tatto. “E poi?”
Il russo aveva fatto una faccia sorpresa. “E poi io porto te da Sören, no?”

 
Lily ingoiò un sorso di succo di more – versione locale di quello di zucca – e inspirò lentamente, rispondendo distratta ad una domanda della ragazza accanto a lei.
Avrebbe trovato il modo di non mancare all’appuntamento con Kirill e avrebbe seppellito il senso di colpa che provava verso Albus.
Avrebbe salvato Sören, ad ogni costo.
 
****
 
“Abbiamo trovato tracce di sangue.”
Harry si voltò in direzione di Dhansiri, che aveva scoperto essere la sua versione locale. Per aiutarli aveva infatti fatto chiamare un manipolo di giovani Tracciatori, corpo scelto di agenti della polizia magica che si occupavano di individuare indizi nelle scene del crimine.

Dovrei proporlo alla Direttrice Jones. Non sarebbe male avere gente che si occupa selettivamente degli indizi, magari con incantesimi ad hoc.
Avevano infatti tutti sonde magiche attaccate alle cinture delle loro vesti e bacchette più lunghe della norma, che gli era stato detto servissero per lanciare Incantesimi Scandaglianti più potenti del normale.
Si avvicinò all’uomo dalla pelle mangiata dal sole. “Dove?”
“Da questa parte, prego.” Gli fece strada attraverso il giardino incolto della proprietà, salvo fermarsi in un punto qualsiasi del muro di cinta che la circondava. A caso non era, perché chinandosi, Harry vide che c’erano tracce luminescenti che coloravano alcuni ciottoli.
“Cosa sono?”
“Abbiamo spruzzato una Soluzione Rilevatrice sul muro. Tutto attorno.” Spiegò indicandogli il punto. “Qui il sangue ha fatto reazione.” Spiegò.

“Sembra che qualcuno l’abbia scavalcato di gran fretta.” Si inserì Ron, avvicinandosi assieme a Nora e chinandosi per osservare meglio. “Saltato, in realtà… ma non vedo come abbia potuto ferirsi.” Passò una mano sui ciottoli tondi e leggermente regolari che sporgevano dalla muratura. “Qui è tutto liscio.”
“Doveva essere già ferito.” Commentò la creola mordendosi un labbro. “È chiaro, il ragazzo deve essere riuscito a scappare, a differenza dei suoi.”

“Sì, ma dov’è?” Ron lanciò uno sguardo all’intricata selva di alberi pluviali che si snodava di fronte a loro. “Là dentro? C’è da perdersi, miseriaccia!”
Harry si tolse gli occhiali. Con l’umidità appiccicosa di quel posto gli davano un fastidio immenso. Li pulì per l’ennesima volta e se li rimise. “Cerchiamo di capire la dinamica.” Fece il punto. “I Luzhin sono stati uccisi in casa, sono stati sorpresi. Non c’era segno di lotta, né nella villetta né sui loro corpi. Il ragazzo è stato più svelto, è riuscito a mettersi in salvo, ma è rimasto ferito. Quanto gravemente?”
Dhansiri si voltò verso uno degli agenti, parlottando brevemente. Il giovane a cui si rivolse, che sembrava essere al comando, si espresse in modo certo e sicuro. Il loro contatto poi tradusse. “Dev dice che la quantità di sangue e la velocità di impatto sui ciottoli fa pensare ad una ferita importante. Non così grave da non poter correre però.”
“Quindi è scappato nella foresta per nascondersi. Ha la bacchetta con sé, perché non l’abbiamo trovata da nessuna parte, né nella fossa, né in casa. Può essersi curato.” Riassunse Harry. Era una flebile speranza quella che li guidava alla ricerca di Sören Luzhin. Una corsa contro il tempo. Il giovane mago non era un autoctono, difficilmente avrebbe potuto orientarsi in una foresta simile, spaventato e ferito. Avendoci avuto a che fare l’anno prima, quando i Naga li avevano scortati al loro villaggio, aveva notato come fosse semplice perdere i punti di orientamento. Anche se si era medicato – cosa che sperava – avrebbe comunque dovuto combattere contro la fame, ma soprattutto la disidratazione.
Ed è più di una settimana che è lì dentro.
“Per quanto si estende?” Fece un cenno verso il verde. L’espressione di Dhansiri fu inequivocabile.
“Miglia. Una persona può arrivare a non tornare mai a casa se si perde.” Si strinse le spalle con aria rassegnata. “Con le creature, magiche e non che la abitano, se non ha imboccato la direzione giusta troveremo solo le sue ossa.”
Harry inspirò bruscamente. “Non possiamo saperlo. È un ragazzo cresciuto in Norvegia, in paesi che hanno grosse distese boschive. Inoltre, Durmstrang è famosa per dare un’eccellente preparazione tattica ai propri allievi. Aveva tutti i mezzi per riuscire a sopravvivere. Dobbiamo solo trovarlo.”
“E se i sicari di Von Hohenheim ci avessero preceduto?” Si inserì Ron. Esitò alla sua espressione conseguente. “Okay, allora che facciamo?” Allargò le braccia esasperato. Non era l’unico ad essere messo a dura prova dal clima indiano. “Seriamente, Harry… è come cercare una bacchetta in una foresta disboscata! Luzhin ormai sarà a miglia da qui. Ha visto ammazzare i suoi genitori, è in fuga!”   

Harry cercò di pensare velocemente; l’altro aveva ragione, non potevano andare a cercarlo in mezzo a quel labirinto di arbusti, né poteva chiedere a Dhansiri e la sua squadra di venire con loro. Non avevano tempo e non potevano passarlo a cercare nella direzione sbagliata.
Se solo ci fosse un modo per localizzarlo…
Fu un lampo che gli attraversò il cervello. Di colpo seppe esattamente cosa fare.
“Dhansiri, hai un fuoco portatile con te?” Chiese. Al cenno affermativo del mago, continuò. “Voglio parlare con il responsabile del Vostro Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche. Subito.”
L’indiano se fu sorpreso della bizzarra richiesta non lo diede a vedere, annuendo e incamminandosi verso il carro che li aveva portati lì. I suoi compagni invece lo fissarono in piena confusione.

“Amico, ma che c’entra…?” Esordì l’amico e anche Nora lo guardò con perplessità.
“I Naga, Ron.” Sorrise trionfante. “Sanno percepire l’aura magica a miglia di distanza. L’anno scorso hanno trovato Thomas. E la tribù che abbiamo conosciuto è precisamente ciò che fa al caso nostro. Possono trovare Luzhin.”
“Vuoi tornare da quei lucertoloni assetati di carne magica? Sei matto?!”  Esclamò inorridito  e Harry vide vacillare persino la di solito solida americana. “L’altra volta avevamo Scamandro con noi, ma a questo giro nessuno ci eviterà una morte lenta e dolorosa!”
Harry sospirò: sapeva che era un azzardo, per molti versi una pensata del tutto folle. Ma erano l’unica speranza di quel povero ragazzo e non si sarebbe fatto venire dubbi solo per dettagli come l’incertezza dell’intera situazione.

O il fatto che i Naga non sono assolutamente tenuti ad aiutarci ed è improbabile che lo faranno volentieri.
“Ho fatto in modo che l’uomo che li aveva rapiti la pagasse. L’altra volta hanno collaborato.” Spiegò con la sua migliore espressione calma. “Vale almeno un tentativo. Non ricordo dove sia il villaggio, ma a giudicare dalla quantità di zanzare e di piante che mi ricordo dall’ultima volta, non deve essere distante da qui.”
“Sì, c’è una tribù di Naga ad un paio di miglia da qui… Siamo nella regione dei loro primi insediamenti.” Mormorò Nora, quasi cercasse di capire se fino a quel momento avesse obbedito agli ordini di un completo sciroccato senza saperlo. “Però Harry… non sono noti per essere amichevoli con i maghi. Non parlano neppure la nostra lingua.”
“Ma io parlo la loro.” Replicò disinvolto, ignorando l’espressione scioccata della donna.
“Tu parli il Serpentese?” Aggrottò le sopracciglia. “Ma non era una capacità che avevi perso con la morte di Voldemort?”
Harry le sorrise. “Confido nel fatto che quest’informazione rimanga confidenziale, agente Gillespie.” Quando vide il cenno affermativo della donna, scrollò le spalle. “Che posso dirti? La magia lascia sempre delle tracce. Questa è la mia.”

Nora scosse la testa, prima di ridacchiare. “Parola mia, Harry… sei davvero il Ragazzo Meraviglia che tutti descrivono.”
Rise di rimando, cogliendo l’espressione esasperata, ma al contempo divertita del vecchio amico d’infanzia. “Uomo ormai. Ma sì, temo di sì.”

 
****
 
Norvegia, Durmstrang, Foresta attorno all’Istituto.
Pomeriggio.

 
Sören quasi si scontrò con Albus Severus Potter. Quasi perché all’ultimo momento riuscì a evitarlo e finirono per fissarsi sconcertati nel bel mezzo di un incrocio tra due viottoli. L’inglese gli si era parato davanti uscendo da una fila di pini.
“Mi dispiace, non ti avevo visto.” Disse respirando profondamente per regolarizzare il respiro. Era una curiosa coincidenza incontrare qualcuno nell’immensa foresta che cingeva i terreni di Durmstrang.
Eppure era accaduto e ora si trovava di fronte il fratello di Lily, anche lui vestito con una tuta – la foggia sembrava babbana – palesemente nel pieno di una sessione di allenamento.
“Errore mio!” Sorrise questo, dopo essersi ripreso dalla sua stessa sorpresa. “Ero concentrato, ho svoltato quel gruppo di alberi senza guardare… Certo non mi immaginavo di incontrare qualcuno!” Diede un’occhiata attorno. La foresta era silenziosa, interrotta saltuariamente da qualche grido di uccello.
Sören sorrise neutro, senza saper bene cosa dire. Era uscito per l’allenamento quotidiano, ormai l’unica routine a cui si dedicasse con costanza. Era utile per scaricare la tensione. Era venuto lì sperando di non incontrare nessuno.
E invece.
“Ti stai allenando per il Tremaghi?” Riprese l’inglese, asciugandosi la fronte sudata con una manica della felpa. Babbana, senza ombra di dubbio. Era persino di una taglia più grande, all’incirca. Non doveva essere sua.
“Sì.” Sapeva di dover dire qualcosa per non sembrare inadeguato. O sospetto. “Tu?”
“Solito allenamento quotidiano.” Scrollò le spalle. “Ad Hogwarts gioco a Quidditch e qui ho portato la scopa per tenermi allenato. Oggi però tira troppo vento e vorrei evitare di finire contro una parete di roccia. Così, ho optato per una corsetta.”

Sören annuì di nuovo. Non si aspettava di dover avere di nuovo a che fare con il figlio di mezzo di Harry Potter, nonché amico intimo di Thomas. Non sapeva dunque come comportarsi.
“Allora…” Iniziò, tentando disperatamente di trovare un modo per accomiatarsi senza che l’altro capisse che non voleva aver nessuna interazione con lui. Poteva essere pericoloso.
“Facciamo un pezzo di strada assieme?” Gli propose dal nulla, facendogli serrare lo stomaco. “Correre in due è più divertente… e poi, ho sempre paura di perdermi.” Fece un sorriso enorme, con la stessa sfumatura e inclinazione di quello di Lily. Lo colpì allo stomaco come un pugno. 
“… Certo.” Mormorò. A quel punto non poteva smarcarsi, sarebbe sembrato sospetto.
Ripresero a correre senza una parola. Fortunatamente era meglio non parlare se non volevano sentirsi mozzare il respiro dopo un centinaio di passi, dato che il terreno era un susseguirsi di discese e relative salite accidentate.
Sören comunque non poté fare a meno di lanciargli un’occhiata di sottecchi; Albus Severus, o Al, sembrava in apparenza la creatura più mite del pianeta. Era basso per la sua età, dalla costituzione esile e dal viso gentile. I grandi occhi chiari gli davano un’aria un po’ spaurita, che all’Istituto gli sarebbe valsa feroce nonnismo da parte degli altri studenti.
Ma…
Era un Caposcuola e apparteneva alla Casa più competitiva e classista di Hogwarts. Qualcuno doveva averlo eletto, ed erano le stesse persone che lo accettavano come guida. Aveva notato come gli altri inglesi rispettassero la sua opinione e le sue decisioni. 
La parola chiave con quel ragazzo era apparenza. In realtà, per quasi tutti i Potter di cui era a conoscenza. Lily con la sua aria frivola che nascondeva una mente acuta e reattiva, e come non pensare poi al Salvatore, simbolo del ragazzo dall’aria qualunque che riusciva a diventare leggenda?
Sören non aveva avuto modo di parlargli granché nei mesi di permanenza in Scozia, ma ricordava il loro unico incontro; Albus Severus possedeva una fenice. Non era certo qualcuno da sottovalutare.
Si accorse di colpo di essere stato scoperto nella sua analisi; il ragazzo infatti gli restituì uno sguardo consapevole e un lievissimo sorriso.
Sentì una fitta al costato e seppe di doversi fermare prima di rimettere il frugale pranzo che si era concesso. Rallentò e l’altro, quando se ne accorse, decelerò e lo raggiunse.
“Tutto a posto?” Gli chiese con aria preoccupata; era quello che detestava dei figli di Harry Potter.
Perché siete gentili con me?
Lo facevano sentire soltanto più sbagliato e disgustoso.
“È solo un crampo, tu va pure avanti.” Si sedette su una roccia al lato del sentiero. Si sentiva il cuore battere a mille, e non era certo per la corsa.
“Sei un Campione, tra poco ci sarà la Seconda Prova, non devi sottovalutare un problema del genere.” Replicò l’altro inginocchiandosi davanti a lui. “Fammi vedere. Ne capisco abbastanza, voglio fare il Medimago.”  
“No, non ce n’è bisogno…” Tentò, cercando di alzarsi. Non voleva che lo curasse, che lo toccasse. Albus Severus e Lily dovevano stargli lontani. Miglia. Vide con la coda dell’occhio l’altro tirare fuori la bacchetta e non poté impedire al suo corpo di irrigidirsi e scattare in piedi. “Ho detto di no!
Il silenzio che conseguì alla sua esclamazione – maleducata, fuori luogo – sembrò assordare l’intera foresta.
 
Al non aveva trovato Luzhin per caso. Affatto.
Se non poteva fermare Lily, a meno di legarla ad un letto e farcela rimanere fino al giorno dopo, quando finalmente avrebbe preso la Passaporta per la Scozia, poteva sondare il terreno con l’altra controparte della tragedia shakespeariana.
Sören Luzhin doveva essere il nemico numero due, il braccio armato del mostro. Eppure sembrava tutto fuorché quello.
Tom sosteneva stesse adottando una strategia pensata per sfibrare, fiaccare il nemico. La persona sfibrata tra di loro, in quel momento, sembrava il tedesco, persino più di Tom. Non aveva mai visto qualcuno con un’aria più tormentata.
Curioso…
Ad ogni buon conto, trovare Luzhin non era stato difficile: come Caposcuola era a conoscenza degli orari degli allenamenti di Malfoy, e carpendo quelli di Dominique aveva semplicemente dedotto i suoi.
Luzhin non si era minimamente sbottonato durante la corsa. L’aveva solo beccato, una volta, a guardarlo e aveva capito perché sua sorella avesse ciarlato tanto degli suoi occhi. Oggettivamente, scuri e profondi com’erano, affascinavano.
Non aveva fatto passi falsi, comunque. Fino a quel momento. Si era chinato per aiutarlo – per controllare in realtà se fosse un crampo vero o una scusa – e l’altro era scattato in piedi neppure avesse cercato di attaccarlo.
Poi capì. Aveva tirato fuori la bacchetta.
Il durmstranghiano era rigido e con i lineamenti serrati. “Qual è il problema?” Gli chiese con il suo tono più pacato. Era consapevole del fatto che Luzhin non era precisamente un mago alle prime armi. A dar retta alle paranoie di Thomas era un letale, addestrato ad uccidere a comando.
Cerchiamo di non pensarci…
“Non ho nessun problema.” Gli fu risposto. Secco, sulla difensiva. “Posso curarmi da solo, ti ringrazio.”
“Perché allora ti sei spaventato? Non avevo certo intenzione di schiantarti…” Se c’era una modalità soldato per i maghi, Sören Luzhin ne era la manifestazione; schiena dritta come un manico di scopa, mano vicino al fodero della bacchetta legato alla coscia. “…Pensi che avessi intenzione di farlo?”
Era un tiro fortunato. Non aveva certo la Legimanzia nel sangue come sua sorella. Ma capì di aver centrato il punto quando lo vide impallidire.    

La persona che aveva davanti sembrava sull’orlo di un crollo nervoso. Non ci voleva certo uno psicomago per intuirlo.
Altra storia rispetto a John Doe. Davvero questo ragazzo è l’arma letale di Hohenheim?
Perché sarà pure un’arma letale … ma ha la capacità di bluffare di un Tassorosso.
“Scusa se insisto, ma hai l’aria di qualcuno che paura di essere aggredito da un momento all’altro…” Fece una pausa oculata. “… È perché pensi voglia proteggere Lily?”


Come aveva pensato, Albus Severus non era tipo da sottovalutare.
Nel giro di pochi attimi da innocuo era passato a pericoloso. Aveva persino cambiato faccia; non aveva niente del ragazzo impacciato e gentile di poco prima. La sua aura magica non vacillava neppure un po’. Un’aura magica talmente pura da aver attirato una fenice. Pura come mai sarebbe stata la sua.
No, non pensava l’avrebbe attaccato; l’inglese non aveva l’aria di un duellante, la presa che aveva sulla bacchetta era da manuale, facilmente neutralizzabile. Gliel’avrebbe potuta strappare con l’incantesimo di disarmo più semplice.  
Eppure Sören per la prima volta in vita sua ebbe paura di qualcun altro oltre Alberich Von Hohenheim.
Forse era questo che un malvagio come lui doveva provare quando si trovava di fronte ad un giusto.
 
“Non so di cosa tu stia parlando.”
Guardava la sua bacchetta come se gliela volesse spezzare. Al ingoiò l’ansia che si sentì strisciare addosso. Una mossa falsa e la situazione avrebbe potuto precipitare e non era certo che a quel punto ne sarebbe uscito indenne.
“Lily è venuta qui per te. Lo sai? Immagino abbia trovato il modo di dirtelo nonostante la sua punizione.” Esordì con sicurezza. Insistere su sua sorella sembrava la giusta via. Era una magra consolazione, ma sembrava fosse davvero un punto debole per l’altro. “Non so chi tu sia… non so quale sia il tuo scopo qui.” Non replicò e Al la considerò una vittoria personale. E una consapevolezza piuttosto angosciante. “Ma hai ragione ad avere paura…” Neppure stavolta fu smentito. “… perché se le succede qualcosa, sarai il primo che verremo a cercare.”
E lo pensava veramente.
Qualcosa guizzò di colpo negli occhi del tedesco. “Non farei mai del male a Lily.” Aveva persino ripreso colore, a giudicare dalle guance chiazzate di rosso. Rabbia. Si era arrabbiato al pensiero che lo ritenessero capace di farle del male.  
Inarcò le sopracciglia. “Davvero?” Doveva capire. Se era davvero il braccio armato di Hohenheim, perché si scaldava tanto?
Al limite, Lily dovrebbe essere un mezzo per raggiungere Tom.
 
Sören sentì il sangue confluire di nuovo dove doveva. Si sentì anche respirare con più sicurezza. La rabbia era buona, era sana. Inoltre su quello non poteva mentire, perché su Lily aveva solo certezze.
“Preferirei morire piuttosto che farle del male.”
La confusione negli occhi di Albus Potter era palese. Non era tenuto a dargli spiegazioni. Il giovane, temerario inglese avrebbe dovuto accontentarsi della sua parola.

A quel punto non c’era altro da aggiungere; Potter non poteva accusarlo apertamente. “Credo sia opportuno continuare entrambi per la propria strada.” Esordì dopo un attimo di silenzio. “Se non hai altro da dirmi.”
L’altro sembrò tornare l’adolescente che avrebbe dovuto essere, perché arrossì tra l’impotenza e lo sdegno. “No, ho detto tutto.” Replicò intascando la bacchetta. Doveva essere di famiglia, voler avere sempre l’ultima parola. “Sta’ attento a quel crampo.”

Quei Potter erano incredibili. Nonostante la tensione prossima allo scontro, riusciva ad uscirsene con una frase premurosa. “Lo farò.”
Entrambi presero sentieri diversi, ma a lungo Sören si sentì gli occhi dell’inglese sulla schiena.
 
****
 
“Non so come diavolo tu ci sia riuscito, amico…”
Ron guardava con aperta apprensione le code serpentine strisciare di fronte a loro. Nel bel mezzo della boscaglia, con nessun punto di riferimento e le bacchette che al massimo potevano dare un nord incerto, era meglio non perdere le loro impensate guide.

“Dobbiamo ringraziare Nora e i suoi agganci. Il tipo dell’Ufficio Creature sembrava tutto fuorché contento di collaborare con noi.” Replicò sorridendo all’americana, che fece un cenno dismissivo.
“Io ho solo i contatti giusti. Sei stato tu a parlare con i Naga e loro ti hanno ascoltato.”
“Il capotribù si ricordava di me. A quanto pare, essere l’unico mago di loro conoscenza che parla il Serpentese ha aiutato.” Si strinse nelle spalle di fronte all’aria tra lo sconcertato e l’esilarato della donna. Non avrebbe mai creduto che parlare una lingua oscura avrebbe potuto essere una cosa buona, un giorno. Qualcosa per cui venir valutato positivamente, persino.

Mai dire mai…
Ron scostò una fronda con una smorfia. “Siamo sicuri che abbiano sentito qualcosa?”
“L’aura magica di un essere umano per loro è come una sorta di segnale sonoro.” Replicò. “O almeno così mi hanno spiegato… dicono che ci sentono. Siamo molto rumorosi, pare.”
“Ma non si confonderanno con le nostre?” Avevano lasciato a Dimapur Dhansiri e la sua squadra, ma erano comunque tre maghi piuttosto potenti. Harry ci rifletté su.
“Glielo chiedo.”
“Sì, okay… ma non farli venire troppo vicino.” Borbottò l’amico e anche Nora sembrò di simile opinione.

Harry sospirò, ma annuì con un cenno della testa e raggiunse i tre guerrieri che Lootra, il capotribù, aveva dato loro per la ricerca.
“Sahmi?” Chiamò quello che sembrava il capo. Era il più grosso e dall’aria più feroce. Harry tentò di ricordarsi che secondo la rigida etica guerriera un amico del capotribù era intoccabile anche per il più assetato dei giovani Naga e dunque erano tutti e tre relativamente al sicuro.
La creatura si voltò verso di lui, forse con un’aria interrogativa. Difficile dirlo tra le zanne notevoli e gli occhi da rettile, color del sangue.
Siete sicuri che le nostre auree magiche non vi diano problemi?” Si risolse a non girarci troppo attorno. Non era certo che il suo Serpentese fosse ottimo come la sua lingua madre.
Sì.” Disse semplicemente il guerriero. “Dì ai tuoi compagni di non rimanere indietro.” Aggiunse, lanciando un’occhiata dietro di loro. “Non possiamo perdere tempo a cercare altri umani. Tra poco sarà buio. Ci sono creature qui, che neppure noi possiamo affrontare con così pochi guerrieri.” 
Harry annuì. “Non preoccuparti, non perderemo il passo.” Ad un cenno di commiato tornò pochi passi indietro. Sia Nora che Ron, nonostante il caldo fiaccante, erano stati addestrati a sostenere ritmi di marcia piuttosto sostenuti e se la stavano cavando bene.
“Che ha detto?” Chiese Ron, deglutendo nel vedere altro oltre alla coda serpentina, per la precisione lancia e cresta retrattile.
“Che non ci sono problemi.” Riassunse. “Forza, se cala il buio non saremo più capaci di trovarlo.”
“Con il vero Sören avremo la prova schiacciante del complotto di Von Hohenheim e potremo finalmente spiccare un mandato di cattura internazionale per il falso Luzhin. Quei grigi burocrati non potranno alzare una sola protesta…” Osservò Nora dopo una manciata di minuti di marcia silenziosa. Gli occhi grigi erano acciaio. “Potremo andare a prenderlo di persona.”
“Non vedo l’ora.” Sorrise ferocemente Harry. Quei due anni erano stati un incubo per i suoi figli. Era qualcosa che gli faceva bruciare l’anima persino peggio che durante la sua adolescenza.

Si tratta dei miei ragazzi.
Appena messe le mani sull’impostore, gli avrebbe fatto sputare ogni singolo piano di quel mostro del padre naturale di Thomas. L’avrebbero così trovato e ficcato nel buco più profondo del pianeta e lì rinchiuso. Per sempre.
Il cerchio si stava chiudendo e non c’era nulla che Von Hohenheim potesse fare.
Dobbiamo trovare il ragazzo… Il cerchio si chiude, se lo troviamo.
Un sibilo attirò la sua attenzione. Apparteneva al giovane Naga a cui si era rivolto prima. Si andarono incontro.
I miei guerrieri hanno trovato qualcosa oltre il ruscello.” Si sentiva infatti rumore d’acqua. “Seguiteci.
Harry tradusse per i suoi. Quando arrivarono sul posto vide le altre due creature vicino ad una pozza d’acqua. Vicino c’era quello che sembrava uno straccio. Lo fece levitare fino alla sua altezza per poterlo guardare al meglio.

Non era uno straccio, ma un pezzo di camicia strappato con un recido netto. Ed era insanguinato.
“Deve essersi fermato per tamponare la ferita e curarla.” Disse Nora osservando la pezzuola. “Il sangue è ancora fresco. Non è riuscito a chiuderla…” Si morse il labbro. “Ferita da maledizione.”
C’è odore di sangue.” Si inserì Sahmi. “Molto. Chi cercate è qui vicino. Volete che andiamo a vedere?” Si offrì.
Harry gli sorrise, ma scosse la testa. “No, avete già fatto troppo, Sahmi, ti ringrazio. Da qui ci pensiamo noi. Aspettateci qui.” Per quanto l’offerta fosse stata generosa, l’ultima cosa di cui un ragazzo ferito e che si sentiva braccato aveva bisogno, era vedere tre enormi serpenti dalle forme antropomorfe.

“Meglio che se ne stiano nascosti…” Borbottò Ron a bassa voce, come se avesse capito il loro scambio di battute. Era intuitivo, il suo buon amico. “Che facciamo, ci dividiamo?”
“Sì, e tenete la bacchette poco in vista, ma alla mano. Potrebbe scambiarci per i sicari, vediamo di evitare  che ci attacchi.”

Quando si furono divisi, Harry avanzò per un centinaio di metri. “Sören!” Chiamò in inglese, sperando che il ragazzo fosse abbastanza lucido per riconoscere una lingua straniera. “Mi chiamo Harry.” Riflettè, poi aggiunse. “Sono Harry Potter, capo dell’Ufficio Auror di Londra. Siamo qui per aiutarti!”
Non vi fu alcuna risposta. Pochi attimi dopo però sentì una morsa alla nuca; istinto di una vita quello di sentire quando qualcuno gli puntava la bacchetta al collo.

Alzò le braccia in segno di resa, gesto di resa che li accumunava ai babbani. “Sta’ calmo… sono un amico, non sono qui per farti del male.” Disse staccando con cura ogni parola, per fargliela recepire. “Adesso mi sto voltando.”
“Lentamente.” Disse una voce giovane, sfinita ma abbastanza salda per fargli intuire che il suo proprietario avrebbe potuto difendersi in caso di scherzi.
Si voltò, e si trovò di fronte il ragazzo; lacero da capo a piedi, i vestiti di buona fattura erano ridotti a brandelli sporchi. Aveva una larga ferita sulla coscia, bendata in modo ineccepibile, ma sanguinante. Nora aveva ragione, doveva averlo colpito una maledizione.
Era comunque il figlio dei Luzhin. La bocca del padre, i capelli e gli occhi della madre. Gli stessi occhi che lo riconobbero di colpo anche oltre la febbre e il terrore.  
A volte è una fortuna avere una faccia che è sulle copertine dei libri e quotidiani di tutto il mondo.
“Harry Potter…” Sussurrò abbassando immediatamente la bacchetta. “Cosa…?”
Harry sorrise, tra la pena e la feroce gioia. “Ciao Sören. Sta’ tranquillo, è tutto finito.”

 
****
 
Norvegia, Durmstrang.
Dopocena.
 
“Tu hai fatto cosa?”
Al non vide l’espressione di Thomas precedente alla frase, dato che si stava strofinando l’asciugamano sui capelli, reduce da una piacevole doccia bollente. Ma percepì il tono e non poté frenare un sorriso.

“Sono andato a parlare con Luzhin.” Ripeté diligentemente. “E l’ho minacciato.”
Sentì Tom alzarsi dalla poltrona di colpo per poi strappargli via l’asciugamano dalla testa. Lo stava guardando come se avesse una gigantesca ferita mortale e sanguinante.
Esagerato.
Non distolse lo sguardo, sostenendolo con la sua migliore espressione neutra. “Non è successo niente… anzi, mi sa che l’ho spaventato.”
Tom sembrava indeciso se strapparsi i capelli o strapparli a lui. “Ti rendi conto che hai minacciato un sicario di mio padre?” Sillabò lentamente, quasi avesse a che fare con un ritardato.   

Beh, messa così in effetti non ci faccio una bella figura.
“Ti rendi conto che se avesse alzato la bacchetta contro di me, che mi trovavo nella foresta durante il suo orario d’allenamento, i sospetti sarebbero immediatamente ricaduti su di lui?” Gli fece notare di rimando, avvicinandosi al fuoco e al suo piacevole tepore. Aveva solo i pantaloni addosso, ne aveva bisogno.
L’altro quasi avesse indovinato i suoi pensieri gli fece arrivare con un colpo di bacchetta una delle sue magliette. In faccia, ma se lo aspettava, quindi la indossò senza un lamento.
Tom non disse niente per un po’ anche se, aguzzando bene l’orecchio, si potevano sentire gli ingranaggi del suo cervello lavorare a pieno regime.
“Lo avevi pianificato.” Disse infine. “Perché non mi hai avvertito?”
“Perché avresti insistito per andarci al posto mio, e non mi sembrava un’idea brillante lasciarti solo con un tipo che potrebbe rapirti.” Osservò sedendosi sulla poltrona precedentemente occupata e versandosi una tazza di the fumante che l’altro serpeverde si era fatto portare dalle cucine – o direttamente dal povero Radescu.
“Avrebbe potuto rapire te!” Fu il ringhio conseguente. “Sei completamente fuori di testa?”
Al non ribatté; comprendeva la rabbia, e in realtà era così tranquillo perché al momento si trovava in compagnia e in camera, al sicuro.
Non è stata una passeggiata dirgli quelle cose. Salazar, mi tremavano le gambe!
Sospirò. “Siediti.” Lo invitò con tutta la gentilezza di cui era capace. “Per favore…” Soggiunse notando la sua aria riottosa. “Non vuoi sapere cosa ci siamo detti?”
Lo voleva, glielo leggeva nella curiosità che gli divorava lo sguardo. Tentennò, ma infine si sedette, per quanto fosse rigido come un pezzo di legno; non gli serviva toccarlo per saperlo.

Sembra essersi seduto su un manico di scopa. Ma al contrario.
“Parla.” Gli intimò. “E non nascondermi niente. Non azzardarti .”
“Lo so.” Sorrise appena, bevendo un sorso di the. Era ben fatto, all’inglese. Niente limone, niente latte. Non era come essere a casa, ma era comunque una consolazione sapere che i norvegesi erano in grado di preparare il the delle cinque. “È stato un impulso in realtà… Ci ho pensato stamattina a lezione.”
“Gli impulsi dovrebbero essere inibiti alla nascita, a voi Potter.”  

“Ma se adori quando gioco d’astuzia!” Lo prese in giro, ma con cautela vedendolo rabbuiarsi. “Tom, era un rischio calcolato. Pensi davvero che dopo quel che è successo l’anno scorso…”
“L’anno scorso sei caduto in una trappola come un tassorosso del Primo.” Gli fece notare monocorde, ma con una punta di compiacimento che giudicò davvero malvagia.

Visto che è stato per colpa tua.
“Non ero lucido.” Rimbeccò arrossendo. “Stavolta lo ero, ed infatti…”
“Non è successo niente, me l’hai già detto.” Lo interruppe con un gesto infastidito della mano. “Va’ avanti.”

Albus raccontò per filo e per segno l’incontro avuto con Luzhin. Si soffermò particolarmente sulle sensazioni che aveva avuto, su come il tedesco avesse reagito alle sue provocazioni. Alla fine Tom, più calmo, prese la scacchiera da viaggio – babbana, regalo del suoi genitori – e dispose le pedine per la loro solita partita serale. Anche Al le preferiva a quelle magiche.
Se non altro, non ti urlano contro.
Presero a giocare in silenzio, e Tom si prese lo spazio di un’intera mossa verso uno dei suoi alfieri prima di parlare. “Continua a comportarsi come se fosse innocente… peccato che sia tutto fuorché quello.” Considerò con sarcasmo. “Anche stavolta ha montato la commedia dell’amico affezionato.”
“Credo invece che quella parte sia vera.” Obbiettò meditabondo, cercando di trarre in salvo il povero pezzo, minacciato dal cavallo dell’altro. “Credo anche un’altra cosa… anche se è un po’ un’ipotesi buttata lì e mi darai dell’ingenuo.”
Tom si rilassò contro lo schienale, concedendogli un mezzo sorriso. E mangiandogli il povero alfiere. “Quello sempre. Sentiamo.”

Al, giusto per sottolineare che non lo era, gli tirò un calcio sulla caviglia, dato che con quelle dannate gambe da fenicottero si era impossessato di metà tappeto, compresa la sua parte. E si prese un pedone nero. Se la girò tra le dita con attenzione. “Penso che Luzhin sia come un alfiere.” Disse poi; giocare gli aveva fatto venire in mente la definizione calzante che cercava da quel pomeriggio. “Non una torre.”
Tom aggrottò le sopracciglia. “Che diavolo significa?”
“Beh…” Esitò, non sapendo bene come spiegarsi. Si mordicchiò un labbro, eseguendo un arrocco per difendere il suo re, considerando che Tom tentava sempre, nei primi minuti di gioco, di sfondare la linea. “Un alfiere non ha la possibilità di controllare tante caselle, no? Rispetto ad una torre, la metà o quasi. Ha delle limitazioni molto forti nel gioco.”
“È un pezzo leggero, sì. Vale e si muove meno della torre o della regina.” Convenne un po’ seccato dalla moltitudine di metafore. Non era tipo da seguirle facilmente. “Grazie per la lezione di scacchi. Quindi?”
“Quello che ti ho detto.” Insistette. “Inoltre ho come l’impressione che gli stiano dando ordini che non gli piacciono, che lo mettono a disagio e che forse non capisce.” Arrivò ad azzardare. Era nel mondo delle congetture, se ne rendeva conto.  

Tom inarcò le sopracciglia. “Come può non capirli? Non mi è sembrato un mentecatto…” C’era una punta di derisione, e Al la ignorò perché altrimenti avrebbe dovuto rovesciargli la teiera vuota in testa.
“Dico solo che, dal punto di vista delle pedine, le cose non sono mai chiare.” Ribatté paziente. “Anche nel mondo reale spesso non sai per quale motivo ti ordinano di fare qualcosa. Guarda i soldati. Intendiamoci, io e te siamo abituati ad avere adulti che hanno in mano le leve del potere, che sanno o possono sapere tutto.” Tentò di spiegare e fu felice di vedere che Tom aveva smesso di fissarlo con sufficienza. “Siamo abituati al fatto che ci spieghino perché dobbiamo fare qualcosa, sia a scuola che a casa. Ma non va sempre così.”
“Ho capito.” Replicò con una ruga di concentrazione che gli solcava le sopracciglia. “Ma questo non cambierebbe la sua pericolosità o le sue colpe.”
“Sì, vero.” Convenne osservando la triste fine del suo ennesimo pedone. “Però mi è venuta in mente un’altra cosa.”

Tom fece un mezzo sorriso, in cui Al scorse sincero compiacimento; gli piaceva quando gli dimostrava, a detta sua, di essere all’altezza. Si sporse infatti verso di lui, visto che le loro sedie erano voltate l’una verso l’altra per la partita e gli accarezzò il profilo del viso con un dito.
“Una vera fucina di idee, Potter.”
Al tentò di non arrossire come un idiota. Non doveva farsi distrarre da un seducente cretino che adorava avere sempre il controllo e che per giunta gli stava vincendo la partita. Gli afferrò il polso e bloccò la discesa della mano verso il collo. “Penso che Luzhin sia uno specchietto per le allodole.”  

Tom batté le palpebre, quasi non avesse capito. “… Stai dicendo che il vero colpevole non è lui?”
“Non dico che non abbia portato i Dissennatori ad Hogwarts. Dico che non è lui che tuo padre ha scelto per fare la sua mossa finale.” Prese coraggio e aggiunse. “Non sa bluffare, sta andando in pezzi, e tuo padre è tutto fuorché uno sprovveduto. Non poteva non calcolare che non avrebbe retto la pressione delle indagini, delle domande. Ha calcolato te, e non ti conosceva. Non può far affidamento su una persona così, secondo me. ”

Tom si liberò dalla sua presa, alzandosi in piedi e accostandosi al camino. Le fiamme gli danzavano sui lineamenti, dando ai suoi occhi una sfumatura scura, quasi nera.
“Potrei sbagliarmi.” Mormorò vedendo la linea della mascella dell’altro tendersi, quasi sul punto di spezzarsi; non aveva potuto tenersi quei pensieri per sé, ma sapeva che ne sarebbe conseguito un prezzo notevole. “Insomma, è solo un’idea…”
“No.” Mormorò Tom piano. “Credo tu abbia ragione. Luzhin non si comporta come Doe. Luzhin non sembra sapere quello che fa.” Fece una smorfia ironica. “È un alfiere che si comporta da torre non potendolo fare. Definizione perfetta, Signor Potter.”
Al si alzò, avvicinandoglisi. Gli premette il braccio contro il suo, in un muto gesto di conforto. Non c’era molto altro che potesse fare.
“La domanda è una sola… Se Luzhin è l’alfiere.” Disse Tom, osservando il fuoco come se da esso potesse spuntare una risposta risolutoria. “Chi è la torre?”
 
****
 
Lily quasi sentì bollire la moneta sotto la federa del cuscino. Vi aveva chiuso sopra il pugno e lo tolse velocemente per non bruciarsi. Inspirò.
È il momento.
Lanciò un’occhiata alle compagne. Era ormai notte fonda, e le altre dormivano senza soluzione di continuità. Si alzò a sedere, si vestì e si avvolse il mantello attorno alle spalle, il tutto il più silenziosamente possibile. Per sicurezza lanciò un’occhiata al letto di Rose; la cugina era seppellita dentro le coperte, freddolosa com’era e respirava regolarmente nei ritmi del sonno.
Ottimo.
Calzò le pantofole per non fare rumore e scivolò fuori dal dormitorio reggendo la bacchetta illuminata dal più tenue lumos che era riuscita a produrre. Non c’era tempo per pensare o riflettere su quel che stava facendo. Doveva solo andare.
Arrivare al refettorio non fu difficile. Aveva fatto quella strada almeno tre volte al giorno in quelle settimane. Il grosso stanzone era al buio e le sedie erano state rovesciate sui tavoli per pulire il pavimento dopo la cena, mentre le molte finestre riflettevano un temporale in corso, con tanto di lampi che illuminavano a tratti i muri di pietra.
Deglutì, stringendosi il mantello addosso. Non era così freddo durante il giorno e soprattutto, non era così dannatamente inquietante.
Fraülein.” La voce di Poliakoff le fece fare un salto e quasi le scappò la bacchetta di mano. “Calma, sono io.” Sogghignò alla luce di una lanterna.
Lanterna?
“È meglio se spegne bacchetta. Qui rilevano anche piccoli incantesimi.” Le consigliò toccandone la punta con le dita. Lily ritrasse il braccio e la spense.  
“Ren dov’è?”  
Il russo scrollò le spalle. “Non qui. Dobbiamo andare in altra parte di castello. Tu segue.”
Lily inspirò. Se solo avesse potuto scoprire se le stesse dicendo la verità! Si toccò l’orecchino, ma non fece in tempo a sfilarlo che l’altro si voltò di nuovo verso di lei. “Presto, sì?”
Si morse il labbro, ma annuì; l’ultima cosa che voleva era rivelargli che era una LeNa. Avrebbe dovuto aspettare il momento adatto.

Che non ci fu, perché Poliakoff non gli tolse gli occhi di dosso neppure per un momento. Si affiancò a lei per farle luce con la lanterna e non le lasciò neppure un cono d’ombra in cui avrebbe potuto sfilarsi l’orecchino.
Dannazione, avrei dovuto farlo prima!
Scesero e salirono rampe di scale, ripide, a chiocciola, semplicemente intagliate nella pietra. Lily ad un certo punto perse semplicemente il senso dell’orientamento. “Dove stiamo andando?” Chiese per l’ennesima volta.
Il volto porcino del ragazzo si voltò verso di lei, e sorrise di nuovo. Non l’aveva mai visto sorridere tanto; non sapeva però se fosse una cosa buona. “Siamo quasi arrivati, fraülein. Pazienza.”
Arrivarono di fronte ad una porticina, simile ad almeno altre dieci in quel corridoio. Il russo prese un mazzo di chiavi dalla cintura e ne inserì una nel grosso chiavistello di ferro. La fece girare un paio di volte nella toppa, poi estrasse la bacchetta e fece alcuni movimenti piuttosto complicati. La porta si aprì silenziosa come fosse fatta d’aria e non di legno e cardini arrugginiti. “Vieni.”
“Non ci penso neanche!” Esclamò. Non sarebbe entrata in una dannata stanza buia con un tipo che le metteva i brividi. Non era così imbecille.

Il russo sospirò, aprendo del tutto la porta. Posò la lanterna su un sostegno accanto al muro e le indicò un tenue lucore distante da loro la lunghezza dell’intera stanza. “Sören.” Disse semplicemente.
Ren!
Era la luce di una lanterna quella, non c’era ombra di dubbio. Lily si staccò dal fianco dell’altro per entrare nella stanza e dirigersi verso l’amico, ripassandosi a mente il discorso che avrebbe dovuto fargli. Avvicinandosi sempre di più notò però che la sagoma che scorgeva assieme alla fiamma danzante era … strana. Sembrava sfumata, come quella di…
Si trovò di fronte ad uno specchio, enorme e alto una decina di piedi. Uno specchio che rifletteva la lanterna di Poliakoff.
Cosa…
Si voltò e fece appena in tempo a sentire uno strappo violento alla mano. La bacchetta volò in mano al ragazzo, che nella penombra dell’unica finestra era a malapena riconoscibile.
“Ridammela!” Esclamò sentendosi subito stupida, mentre la paura le ghiacciava le vene.
Era una trappola, che idiota, idiota, idiota! Era una trappola!
Il russo ridacchiò, ma non fece in tempo ad aprire bocca per risponderle che una seconda luce illuminò violentemente la stanza. “Butta via la bacchetta!” Era una voce femminili, e per Lily estremamente familiare. “Allontanati da lei e butta la bacchetta a terra, subito!”
Rosie!
La cugina aveva finto di dormire come mai l’avrebbe ritenuta capace di fare e l’aveva seguita. Per un momento Lily ringraziò ferocemente la malafede di Rose e sperò. Sperò prima di rendersi conto che  qualcosa non andava nel ragazzo di fronte a loro. Quando l’aveva avuto accanto non gli era sembrato così alto, né tantomeno … biondo?
Rose sgranò gli occhi, notando probabilmente la stessa cosa. “Il ragazzo biondo…” Sussurrò quasi le mancasse di colpo la voce.
Chi è il ragazzo biondo?! Che sta succedendo?!
Poliakoff non era più Poliakoff. Davanti a loro stava un mago di una ventina d’anni, dai lineamenti tutto fuorché slavi.  
“Grazie per averlo notato, tesorino.” Sorrise in un perfetto, impeccabile inglese venato solo da un leggero accento secco. Lo stesso di Sören. “Non ne potevo più di impersonare quel sacco di lardo. Una vera seccatura portarmi addosso tutti quei chili, se chiedete a me.”
“Rosie…” Sussurrò piano. La cugina le restituì un’occhiata e Lily vi lesse non vi lesse che sconcerto e paura. “… Rosie, che sta succedendo?”
Il ragazzo si voltò con un movimento elegante. L’uniforme gli stava corta, sui polsi e le caviglie ma nonostante questo non era ridicolo, faceva paura e basta. “Oh, principessa. Succede che adesso io e te andiamo in un posto.”

No!” Esclamò Rose facendo un passo avanti, anche se Lily poteva vedere come le tremasse la bacchetta. Leale e coraggiosa Rose, non l’avrebbe abbandonata neanche di fronte al Molliccio più terrificante.
L’altro inarcò le sopracciglia con aria confusa. “No?”
“Eri morto! Devi essere morto! Tom aveva detto…”
“Ah, il signorino Hohenheim!” Fece una breve risata. Sembrava divertirsi un mondo a vederle terrorizzate. Aveva un’espressione giovanile, allegra, ma distorta da qualcosa di profondamente cattivo, Lily poteva sentirlo anche con l’orecchino.“Quando ci si crede maledettamente in gamba … è un difetto di famiglia, beninteso, non è del tutto colpa sua.” Scrollò le spalle. “Ma basta parlare, ora di sbrigarci. Fa’ la nanna ragazzina. ” Puntò la bacchetta sulla cugina che non riuscì neppure a levare la sua; un lampo bianco e Lily la vide sbattuta contro il muro come un pupazzo di stracci.

Rose!” Urlò con quanto fiato aveva in gola, prima che la mano callosa del ragazzo le tappasse la bocca. Aveva occhi azzurri che sembravano biglie di vetro. Il sorriso non si estendeva manco per sbaglio ad essi e Lily capì perché non aveva potuto leggere le sue intenzioni; non era un ragazzo pieno di sé, non era uno qualunque.
Era John Doe, il mago che aveva rapito Thomas. Il mago che adesso voleva rapire lei.  
“Niente chiasso, principessina.” Ghignò questo, intascando la bacchetta con un movimento fluido. “Disturbi il sonno della tua amichetta.”
Tentò di divincolarsi, ma il biondo rise, prima di spingerla brutalmente contro lo specchio. Lily gridò, aspettandosi schegge acuminate e fragore di vetro rotto.
Urlò ancora di più quando lo attraversò come fosse fatto d’aria.
 
 
****
 
Note:
Non ve lo aspettavate eh?
Dai, parliamone. Possibile che un tipo come Doe fosse davvero morto in mezzo al mare come un tirapiedi qualunque? Ve l’ho nominato un po’ troppo spesso perché fosse stramorto, no?


Sì, merito una scarica di legnate. Ma abbiate fiducia!
(Saprete anche che fine ha fatto Kirill, giuro.)

La canzone è questa . L’album che la contiene mi ha ispirato tantissimo. Quindi prendetevela con i Poets of The Fall, ecco! XD
1.Dehli. Una delle città più antiche del mondo, che conta 13 milioni di abitanti. È un agglomerato urbano, ma si sviluppa in tempi antichissimi. Probabile che al più nutrita comunità di maghi, in India, si trovi qui, così come il loro Ministero.
 
Per il titolo del capitolo: è persiano per scacco matto, o letteralmente “il re è indifeso”.
Per tutto il pezzo scacchistico, rimando alla voce su Wikipedia. Gioco, ma in modo totalmente casuale e da principiante, ci tengo a sottolinearlo. Però mi ero ripromessa di infilarceli e …that’s it. Se mi legge qualche scacchista … che mi perdoni.
  
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