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Autore: desme    13/04/2012    3 recensioni
Questa storia non é mia ma ho letto un bellissimo libro di Marc Levy "Sette giorni per l'eternità" , che amo tantissimo e ho deciso di condividerlo con voi. L'ho fatto perchè volevo rendere Destiel una storia che amo. Quindi ho trasformato una storia etero in una storia con una coppia omosessuale.
Auguro buona lettura a tutti!!!
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uno è diabolicamente astuto e terribilmente affascinante. L'altro è divinamente bello e altruista. I loro Capi li metto l'uno contro l'altro. La posta in gioco? Il destino dell'umanità...
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Fandom: Supernatural.

Pairing: Castiel/Dean

Rating: Giallo.

Charapter: 1/8.

Beta: nessuna

Genere: Angst, Introspettivo, Romantico, Malinconico, AU.

Warning: Sesso descrittivo, Slash, descrizioni macabre, linguaggio abbastanza forte.

Words: 7792

Summary: uno è diabolicamente astuto e terribilmente affascinante. L'altro è divinamente bello e altruista. I loro Capi li metto l'uno contro l'altro. La posta in gioco? Il destino dell'umanità...

Desclamers: Questa storia è stata scritta basandosi sullo stupendo libro di Marc Levy "Sette giorni per l'eternità". I personaggi che utilizzo non appartengono a me, ma al telefilm Supernatural, ai suoi autori e a tutti gli aventi diritti. Io non ricavo nulla da questo.

Note: è la prima storia in assoluto che scrivo su Supernatural e spero di non fare un completo disastro. Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori di ortografia. Ogni commento sarà estremamente gradito e sono ben accette anche le critiche, purché costruttive.

Dedica: Ringrazio la mia sorellina per spronarmi continuamente a scrivere e il mio fratellino per essere il mio sostegno continuo. Questa storia la dedico a voi due, che siete le mie rocce.

Sette giorni per l'eternità

Primo giorno

Disteso sul lussuoso letto, Dean guardava lo schermo del suo cellulare lampeggiare freneticamente. Chiuse il libro e lo appoggiò accanto a sé, estremamente soddisfatto. Era la quarta volta in settantadue ore che rileggeva sempre la stessa storia e a memoria d'inferno nessuna lettura lo aveva mai divertito così tanto.

Accarezzò la copertina con la punta delle dita. Questo Verne stava diventando il suo autore di culto. Riprese l'opera in mano, era molto felice che un cliente dell'albergo lo avesse dimenticato nel cassetto del comodino e con un gesto lo lanciò nella valigia aperta dall'altro capo della stanza. Guardò l'orologio sul suo polso destro, si stiracchiò e infine si alzò.

"Su, alzati e cammina", si disse allegro.

Davanti allo specchio dell'armadio aggiustò la camicia che indossava, indosso la sua giacca di pelle preferita, afferrò gli occhiali da sole dal tavolino di legno pregiato posto vicino alla televisione e li mise. Il cellulare che aveva riposto in una tasca dei suoi jeans non aveva ancora smesso di vibrare. Richiuse con un piede la porta dell'armadio e si diresse verso la finestra. Scostò la tenda di pesante tessuto rosso e rimase immobile ad osservare con attenzione il cortile interno. Non c'era vento che potesse allontanare l'inquinamento che stava invadendo la parte sud della città, fino al TriBeCa, a sud di Manhattan.

La giornata si presentava estremamente rovente. Dean amava il sole, e chi più di lui poteva sapere quanto fosse nocivo? Non era forse grazie a lui che proliferavano i germi e batteri nelle terre aride? Non è forse lui il più inflessibile nello sciogliere le debolezze dei forti?

"E la luce fu!" disse mentre si avvicinava al telefono della camera per chiedere alla reception di preparare il conto, il viaggio a New York era stato più breve del previsto, poi lasciò la stanza.

Alla fine del corridoio, scollegò l'allarme della porta dell'uscita di sicurezza. Giunto nel cortile, recuperò il libro prima di liberarsi della valigetta in un cassonetto della spazzatura e s'inoltrò nel vicoletto.

Sulla strada di SoHo con il selciato tutto sconnesso, Dean spiava con occhio pieno di brama un balconcino di ferro battuto, che nonostante la sua vecchiaia continuava penosamente a resistere alla tentazione di cadere grazie a due ribattini estremamente arrugginiti. Gli inquilini del terzo piano, un uomo molto grosso di circa quarant'anni e una giovane modella bionda, ignari di tutto si erano stesi su delle sdraio, ed era perfetto così.

Era sicuro che nel giro di pochissimi minuti i rivetti avrebbero finalmente ceduto e quelle due ignare persone si sarebbero trovate distese quattro piani più in basso, con i corpi completamente distrutti.

Il loro sangue sarebbe fuoriuscito dalle orecchie e sarebbe colato negli interstizi del selciato sottolineando il terrore impresso sui loro volti, che sarebbero rimasti paralizzati in quell'espressione finché non sarebbe giunta la decomposizione dentro casse di pino dove la famiglia l'avrebbe rinchiusi, prima di lasciarli per sempre sotto lastre di marmo e qualche litro di inutili lacrime.

Una cosa da nulla che avrebbe a malapena riempito poche righe scritte malissimo del quotidiano locale e che sarebbe costato un lungo e devastante processo al gestore del palazzo.

Un responsabile tecnico del comune avrebbe preso il suo posto, uno dei superiori avrebbe insabbiato il caso, con la conclusione che l'incidente sarebbe stato molto più drammatico se alcuni passanti si fossero trovati sotto il balcone. Il che dimostrava che c'era un Dio su questa terra e questo era il vero problema per Dean.

Quindi la giornata sarebbe iniziata bene se quella maledetta oca non fosse rientrata e quello stupido omuncolo non l'avesse seguita all'interno dell'abitazione.

Strinse i denti e le mascelle cigolarono con forza, come le ruote del camion della spazzatura che stava scendendo nella sua direzione facendo tremare la strada al suo passaggio. Con uno schiocco secco delle sue dita il balcone si staccò dalla facciata del palazzo e precipitò. Al piano inferiore scoppiò una finestra polverizzata da un pezzo del parapetto. Molte putrelle di ferro arrugginito, abitazione di colonie di batteri di tetano, si abbatté sul selciato. L'occhio di Dean si illuminò di nuovo quando vide una trave di metallo dirigersi a tutta velocità verso il suolo.

Contento che non tutto era perduto, si diresse con noncuranza sulla carreggiata, costringendo il conducente della benna a rallentare. La puntarella attraversò la cabina del camion della spazzatura conficcandosi con forza nel torace del conducente e il camion sbandò. I due spazzini, appollaiati sulla piattaforma nel retro, non ebbero nemmeno il tempo di gridare, uno fu afferrato dalla gola spalancata della benna e immediatamente stritolato dalle mandibole che aspettavano imperturbabili, l'altro fu catapultato in avanti scivolando inerte sulla strada, dove l'asse anteriore del camion gli passò sulla gamba.

Durante la sua folle corsa l'automezzo si era scontrato con un lampione scaraventandolo per aria. I fili elettrici ormai scoperti ebbero la grande idea di scodinzolare fino alla canaletta, completamente impregnata di acqua sporca. Una fontana di scintille fu il preludio al meraviglioso cortocircuito che coinvolse tutto l'isolato.

Nel quartiere i semafori si misero a lutto, neri come la giacca di Dean. Da lontano si poteva sentire il rumore delle prime collisioni che avvenivano negli incroci abbandonati a se stessi. Quando i terribili incidenti smisero di verificarsi, l'aria intorno fu invasa da un silenzio di morte.

Dean si aggiustò la giacca, mentre contemplava il magnifico disastro che si dipanava davanti a sé. Erano appena le nove del mattino e, alla fine, quella che stava iniziando sembrava veramente una bella giornata.

La banchina numero 46 del porto commerciale di San Francisco era completamente deserta. Castiel riagganciò il ricevitore e uscì dalla cabina telefonica. Con i suoi stupendi occhi blu socchiusi per la luce forte, guardò il molo di fronte. Una moltitudine di uomini era indaffarata intorno ai giganteschi container, che dovevano essere preparati prima della loro partenza verso la Cina. Castiel sospirò, perché anche se era armato delle migliori intenzioni non poteva fare tutto da solo. Aveva dei dono, ma quello dell'obliquità gli mancava.

La foschia aveva già coperto il piano stradale del Golden Gate, solamente la sommità dei piloni riusciva a superare la spessa coltre che stava invadendo progressivamente la baia. A causa della scarsa visibilità, l'attività del porto sarebbe cessata. A Castiel, felice nei panni dell'ufficiale addetto alla sicurezza, restava poco tempo per convincere i caposquadra del sindacato a fermare gli scaricatori pagati in cottimo.

Se solo fosse stato capace di arrabbiarsi!

La vita di un uomo doveva contare ben più di qualche cassa caricata rapidamente. Ma gli uomini non si possono cambiare così in fretta, altrimenti non avrebbe avuto bisogno di essere lì.

Castiel amava molto l'atmosfera dei Docks. Aveva sempre moltissime cose da fare quando era lì. Tutta la miseria del mondo si dava appuntamento ai vecchi depositi. I senzatetto vi avevano istituito il loro domicilio, protetti appena dalle piogge autunnali, dai venti freddi che il Pacifico portava in città al sopraggiungere dell'inverno, e dalle pattuglie della polizia a cui non piaceva affatto avventurarsi in quest'ostile universo in qualsiasi stagione.

"John, li fermi!"

L'uomo dalle grosse spalle muscolose fece finta di non vederlo. Sul bloc-notes che teneva sul ventre annotava il numero di matricola di un container che era stato alzato con l'ausilio di una gru.

"John, non mi costringa a stendere un verbale, prenda la radio e li faccia smettere, ora!" continuò Castiel deciso. "La visibilità è inferiore a otto metri e lei sa bene che sotto i dieci avrebbe già dovuto fischiare lo stop."

Il caposquadra John siglò la pagina e la tese al giovane controllore che lo aiutava. Con un gesto della mano gli fece segno di allontanarsi.

"Non resti là sotto, è una zona di caduta. E quando si stacca non perdona!" Disse l'uomo più anziano.

"Si, ma non si sgancia mai. John, mi ha sentito?" Insiste Castiel.

"Non ho un visore laser nell'occhio che io sappia," borbottò l'altro grattandosi l'orecchio.

"La sua malafede è più precisa di qualunque telemetro! Non cerchi di guadagnare tempo, fermi subito questo porto, prima che sia troppo tardi."

"Sono quattro mesi che lavora qui e la produzione non è mai stata così bassa. Darà lei da mangiare alle famiglie dei miei ragazzi alla fine della settimana?"

"Non sono io, è la nebbia. Deve solo pagare meglio i portuali. Sono sicuro che i figli saranno più contenti di rivedere stasera i loro padri piuttosto che riscuotere il premio dell'assicurazione sulla vita del sindacato. Si muova John, fra due minuti vi citerò in tribunale e andrò personalmente a presentare istanza dal giudice."

"A forza di giorni non lavorativi, finiremo per chiudere."

"Non faccio io il bello o il cattivo tempo, John, vi impedisco solo di ammazzarvi. La smetta di fare quella faccia, non sopporto quando è arrabbiato, le offro un caffè e uova strapazzate se richiamerà i suoi uomini."

Allora John alzò le spalle e afferrò il walkie-talkie e si rassegnò a dare l'arresto generale. Dopo i due uomini si diressero al Fish's Dinner, il miglior locale di tutto il porto. E lì lavora come cameriera una giovane donna di circa vent'anni dai lunghi capelli biondi.

E quando la porta si apre, Jo riconosce subito chi sta entrando e lo accoglie con un sorriso.

"Castiel! Tavolo 8! Sbrigati, mancava solo che mi sedessi sopra per tenertelo, vi porto subito un po' di caffè."

Castiel si sedette in compagnia del caposquadra che nel frattempo continuava ancora a brontolare.

"Queste regole che si affanna tanto a far applicare sono stupide, i miei ragazzi sanno ancora lavorare con cinque metri di visibilità, sono dei professionisti."

"Gli apprendisti sono il 37% della forza lavoro, John..."

"Appunto, gli apprendisti sono qui per imparare!"

Il volto di John si fa più dolce quando Jo li interrompe per servirli.

"Uova strapazzate con il bacon per lei, John. Tu, Castiel, immagino che non mangerai come al solito. Ti ho portato lo stesso un caffè che non berrai con del latte senza schiuma. Pane, ketchup, ecco c'è tutto!"

John la ringrazia con la bocca già piena. Dopo Jo si rivolge a Castiel per chiedergli se la passerà a prendere a fine servizio. Con un sospiro la cameriera scompare tra la folla e mentre Castiel chiacchierava tranquillamente con John, il suo cellulare cominciò a squillare e quando il ragazzo vide chi lo stava chiamando si congedò dall'uomo anziano e lasciò il locale.

Il ragazzo si diresse verso la sua auto aziendale. Non appena chiuse la portiera accese il motore che si mise in moto al primo colpo e filò tranquillamente lungo i depositi. Castiel non sembrava minimamente disturbato dalla fitta nebbia. Correva in uno scenario spettrale, intrufolandosi tra le gru, facendo allegramente lo slalom tra i container e le macchine immobili. Gli bastarono solo pochi minuti per raggiungere l'ingresso dell'aria commerciale. Rallentò solo al posto di controllo e dopo riprese la sua corsa.

Castiel risalì la Terza Strada, costeggiando la zona portuale. Dopo aver attraversato il bacino cinese, la Terza deviava verso il centro della città. Castiel guidava imperturbabile attraverso le vie deserte. Il cellulare suonò di nuovo e lui protestò ad alta voce.

"Faccio quello che posso! Non ho le ali e ci sono dei limiti di velocità!"

Aveva appena finito la frase che un lampo immenso diffuse un alone di luce folgorante. Risuonò un tuono che fece tremare tutti i vetri. Castiel spalancò gli occhi mentre il piede schiacciava un po' più forte sull'acceleratore e l'ago del tachimetro si spostava leggermente. Rallentò mentre attraversava Market Street e s'immerse sulla Kearny. Ancora otto caseggiati lo separavano dalla sua destinazione.

Da lontano, solo l'ultimo piano della maestosa torre piramidale del Transamerica Building emergeva dalla spessa nube scura che ricopriva la città.

Dopo aver lasciato il luogo dell'incidente, Dean si diresse all'aeroporto di la Guardia. Ed ora sprofondato nella poltrona in prima classe, il biondino ammirava dall'oblò lo spettacolo diabolico di una bellezza divina. Odiava prendere gli aerei, ma se voleva raggiungere la sua destinazione in fretta era l'unico modo.

Ora il Boeing 767 sorvolava la baia di San Francisco, in attesa di un'ipotetica autorizzazione all'atterraggio. Impaziente Dean tamburellava sul cellulare, che non aveva ancora smesso di lampeggiare.

Quando finalmente l'aereo si decise di atterrare, Dean esasperato si sganciò la cintura di sicurezza, alzò gli occhi al cielo, guardò l'orologio e si diresse verso l'uscita anteriore.

L'intensità della nebbia era raddoppiata. Castiel parcheggiò la macchina lungo il marciapiede sotto la Torre. Abbassò il parasole scoprendo un contrassegno che sfoggiava le lettere CIA. Uscì correndo, si frugò nelle tasche e inserì nel parchimetro l'unica moneta rimasta. Quindi attraversò il piazzale e le tre porte girevoli che portavano nell'atrio principale dell'edificio. Il cellulare cominciò a vibrare di nuovo e Castiel alzò gli occhi al cielo.

"Mi dispiace, ma il marmo bagnato è molto scivoloso! Lo sanno tutti, tranne forse gli architetti..."

Costeggiò il muro dell'edificio fino a una lastra che identificò per il colore più chiaro, appoggiò la mano alla parete e un pannello si mosse sulla facciata, Castiel si intrufolò e il pannello si rimise a posto.

Dean era sceso dal taxi e camminava con passo sicuro sul marciapiede che Castiel aveva lasciato qualche istante prima. Dalla porta opposta della stessa Torre, appoggiò come aveva fatto l'altro la mano su una pietra. Una lastra, più scura delle altre, scivolò e Dean entrò nel pilastro ovest del Transamerica Building.

Castiel non fece fatica ad abituarsi alla penombra del corridoio. Dopo uno zigzag arrivò in un ampio atrio di granito bianco sul quale si aprivano tre ascensori. L'altezza del soffitto dava le vertigini. Nove globi monumentali e di grandezze diverse, sospesi grazie a delle funi delle quali si potevano vedere i punti di aggancio, diffondevano una luce opalina.

"Buongiorno Bobby, come sta?"

L'affetto di Castiel verso colui che da sempre vegliava sugli ascensori era palese. Ogni ricordo del passaggio attraverso le porte così ambite era legato a quell'uomo un po' brontolone, ma sempre disponibile.

"Negli ultimi tempi c'è molto lavoro." Disse Bobby. "L'aspettano."

"Grazie. Ci vediamo dopo." Rispose il moro dopo essere salito sull'ascensore che lo avrebbe portato al luogo desiderato.

Nel pilastro opposto della Torre, il neon del vecchio montacarichi, che stava trasportando Dean, sfrigolava. Il ragazzo una volta raggiunto il piano desiderato, uscì dal montacarichi e si diresse verso una porta di legno scuro. Dopo averla attraversata, il biondo trovò un hostess ad attenderlo, che lo condusse in un tranquillo salottino dove lo pregò di accomodarsi sul divanetto, posto al centro della stanza ed aspettare di essere ricevuto.

Una volta giunto a destinazione, Castiel vide che Gabriele lo stava aspettando e il suo viso s'illuminò immediatamente. A Castiel amava profondamente il suo padrino.

"Che bello rivederti! Mi hai fatto chiamare tu?"

"Si, cioè no, resta qui," disse Gabriele, "verranno a prenderti."

L'uomo dai cappelli neri un po' lunghi, aveva l'aria molto tesa. Ed era davvero strano, dato che lui era sempre allegro anche nelle situazioni più complicate.

"Che succede?"

"Non ora, te lo spiegherò più tardi, ma tu per favore aspettami qui." Detto questo l'uomo se ne andò lasciando un Castiel molto confuso, che non riusciva a capire cosa stava succedendo.

"Ah, no, non Parigi! Sono sempre in sciopero...per te sarebbe troppo facile...quasi ogni giorno c'è una manifestazione...non insistere...anche per poco...non me li vedo che si fermano per farci una corrtesia." Una breve pausa nella conversazione incoraggiò Gabriele ad alzare il braccio per bussare alla porta e dopo aver avuto il permesso entrò nella stanza.

Nella stanza il Signore camminava avanti e indietro, con le mani dietro alla schiena e l'aria corrucciata. Di tanto in tanto si fermava per guardare fuori dalle grandi finestre. Diede uno sguardo indispettito all'immenso tavolo per le riunioni che occupava gran parte della stanza e si sedette su una sedia.

"Vecchio! Tutto è vecchio è polveroso! Vuoi sapere quello che penso? Questa candidature sono canoniche! Come vuoi che vinciamo?"

"Ma si tratta dei nostri migliori agenti..."

"Non importa. Non vanno bene lo stesso. Gabriele per vincere abbiamo bisogno di un'agente fuori dagli schemi."

"E chi, padre?"

"Castiel."

"No, lui è troppo giovane."

"Si, lo è. Ed è per questo che è perfetto." Rispose sicuro il Signore. "Dov'è?"

"Qui fuori che aspetta per entrare."

"Allora fallo passare, forza."

Gabriele uscì dall'ufficio e andò da Castiel. Prima di entrare nella stanza, Gabriele gli fece tutta una serie di raccomandazioni. Castiel stava per incontrare il principale e l'avvenimento era talmente straordinario che il suo padrino aveva paura per lui...e Castiel sarebbe dovuto rimanere in silenzio durante tutto il colloquio. Si sarebbe accontentato di ascoltare salvo che il Signore non gli facesse qualche domanda alla quale il padrino da solo non sarebbe stato in grado di dare una risposta. Era proibito guardarlo negli occhi. Gabriele riprese fiato e proseguì:

"...e non dimenticare quello che ti ho detto, sii te stesso! In fondo è quello che preferisce. In fondo è per questo che ti ha scelto! Sono sfinito!"

"Scelto per cosa?"

"Lo saprai, vai ora, respira a fondo ed entra...questo è il tuo grande giorno!"

Castiel entrò nella stanza e la persona che vide non rispecchiava nessuna delle sue fantasie. Infatti si trovò di fronte un uomo sui trentacinque, con una barba corta e corti capelli neri. Sembrava un uomo buffo e normale e non l'uomo imponente che aveva sempre immaginato potesse essere Dio.

Il Signore lo invitò a sedersi e cominciò a guardarlo attentamente, perché stava per affidargli una delle missioni più importanti mai capitate all'Agenzia da quando era stata istituita.

"Gabriele ti procurerà i documenti e le istruzioni necessarie per il perfetto svolgimento delle operazioni delle quali sarai il solo responsabile..."

Non aveva margine di errore e il tempo era contato...

Aveva sette giorni per portare a termine il suo compito.

"..Devi dare prova di immaginazione, di talento, ne hai parecchio, lo so. Dovrai essere molto discreto, so anche che sei molto efficiente."

Nonostante la sua immagine, Dio sapeva essere un uomo profondamente imperioso, non era mai successo che un'operazione esponesse così tanto l'Agenzia. Lui stesso non ricordava in che modo si fosse lasciato coinvolgere in una sfida così incredibile.

"Sì, credo di saperlo!" Aggiunse.

Tenendo conto della gravità della situazione avrebbe avuto come unico referente Gabriele e, in caso di estrema necessità o della sua indisponibilità, avrebbe dovuto rivolgersi direttamente a lui. Quello che stava per rivelargli non sarebbe dovuto uscire da quella stanza. Aprì il cassetto e gli porse un testo scritto a mano in calce al quale apparivano due firme. Erano elencati in dettaglio gli estremi della strana missione che l'aspettava:

Le due forze che regolano l'ordine universale non hanno mai smesso di affrontarsi dalla notte dei tempi. Constatando che nessuna delle due arriva a influenzare il destino dell'umanità secondo la propria indole, ognuna si riconosce ostacolata dall'altra nel perfetto compimento della propria visione del mondo...

Dio interruppe Castiel durante la lettura e commentò: "dal giorno cui gli è andata di traverso la mela, Lucifero non riesce ad accettare che affidi all'uomo la terra. Non ha mai smesso di dimostrarmi che la mia creatura non è degna."

Gli fece segno di continuare e Castiel ricominciò:

...Le analisi politiche, economiche e climatiche dimostrano che la Terra sta diventando un inferno. Il concetto di umanità è radicalmente diverso a seconda dei due punti di vista . Dopo eterne discussioni abbiamo accettato l'idea che l'avvento del terzo millennio debba consacrarsi con una nuova era libera da antagonismi. Da sud a nord, da est a ovest è arrivato il momento di sostituire la nostra coabitazione forzata con un modus operandi più efficiente. Per questo invieremo tra gli uomini per sette giorni colui o colei che consideriamo i migliori tra i nostri rispettivi agenti. Colui che riuscirà a traghettare l'umanità verso il bene o il male porterà la vittoria alla sua parte, preludio all'unione delle nostre istituzioni. Al vincitore sarà rimesso il potere di amministrare il mondo.

Il testo era firmato da Dio e il Diavolo.

Castiel alzò lentamente il capo. Avrebbe voluto rileggere tutto dall'inizio per capire il perché del documento che aveva tra le mani.

"E una scommessa sciocca," disse Dio, un po' confuso. "Ma ormai quel che è fatto è fatto." Castiel riprese la pergamena ed Egli colse lo stupore che tradivano i suoi occhi.

"Considera questo scritto come fosse la postilla al mio testamento. Anch'io invecchio. Per la prima volta sono impaziente, quindi fai in modo che il tempo passi velocemente," aggiunse guardando fuori della finestra, "non dimenticare che è contato, lo è sempre stato, è stata la mia prima concessione."

Gabriele fece segno a Castiel che era arrivato il momento di alzarsi e andarsene. Castiel eseguì immediatamente, ma vicino alla porta non poté frenare il desiderio di voltarsi.

"Signore?"

Gabriele trattenne il fiato, Dio voltò lo sguardo verso il ragazzo e il viso di Castiel si illuminò.

"Grazie," disse.

Dio gli sorrise.

"Sette giorni per l'eternità...conto su di te!"

lo osservò mentre lasciava la stanza.

Rimasto solo, Dio si sedette in fondo al tavolo e fissò il muro di fronte. Si schiarì la gola per annunciare con voce squillante: "siamo pronti!"

"Anche noi!" rispose beffarda la voce di Lucifero.

Dondolandosi sulla sedia sotto l'occhio attente del Presidente, Dean aveva appena letto lo stesso documento di Castiel. Benché le tende fossero tirate, Lucifero non si era tolto gli spessi occhiali da sole che gli mascheravano lo sguardo. Lo sapevano tutti, ogni minima luce gli occhi un tempo bruciati dai troppi raggi.

Circondato dai membri del gabinetto, il Presidente dichiarò sciolta la seduta. Poco prima che anche Dean lasciasse la stanza, Lucifero gli fece segno di avvicinarsi e gli mormorò qualcosa che nessun altro poté udire. Appena uscito dall'ufficio, Dean fu raggiunto da Meg, che era una specie di responsabile della comunicazione, che lo accompagnò agli ascensori.

Durante il tragitto verso l'uscita, Meg raccomandò Dean di tenerla costantemente aggiornata sulla missione, cosa che lui non avrebbe fatto per nessuna ragione al mondo. Poi, poco prima di separarsi, la donna porse al biondo una carta platino e li disse: " piano con la nota spese, non te ne approfittare!"

Con un gesto veloce e provocatorio, Dean si impadronì del rettangolino di plastica e fece per andarsene, ma Meg lo fermò e gli chiese di rivelargli ciò che gli aveva detto il Presidente, ma quest'ultimo la squadrò con disgusto e se ne andò senza rispondere.

Dopo essere usciti dalla stanza delle riunioni, Castiel e Gabriele si diressero in una piccola saletta e qui dopo che si furono seduti intorno ad un tavolino, il ragazzo al padrino tutti i suoi dubbi.

"Dimmi, da dove pensi che debba cominciare questa missione?"

"Parti con un piccolo svantaggio, Cassie. Guardiamo in faccia la realtà, il male è ormai ovunque e quasi altrettanto invisibile di quanto lo siamo noi. Tu giochi in difesa, il tuo avversario in attacco. Per prima cosa, devi identificare le forze che coalizzerà contro di te. Trova il luogo in cui comincerà ad agire. Forse è meglio lasciarlo muovere per primo, in modo da cercare di capire quali sono i suoi progetti. Solo quando lo avrai neutralizzato avrai l'occasione di mettere in atto il tuo progetto. La tua carta è la conoscenza del territorio. Hanno scelto San Francisco come teatro delle operazioni...e per puro caso."

Appena Castiel ebbe finito di ascoltare il suo padrino, lo guardò dritto negli occhi e gli assicurò che non lo avrebbe deluso. Poi i due uscirono in corridoio, Gabriele lo accompagnò fino all'ascensore e prima che le porte si richiudessero gli sussurrò: "Per loro la scommessa può essere solo un'altra battaglia, ma per noi è questione di sopravvivenza. Contiamo su dite."

Qualche istante più tardi, il ragazzo, riattraversò l'atrio. Bobby guardò i monitor di controllo, la strada era libera. La porta si aprì e Castiel si ritrovò di nuovo sulla strada.

Nello stesso momento, Dean usciva dall'altra parte della Torre. Un ultimo lampo strisciò il cielo, lontano sopra le colline di Tiburon. Dean chiamò un taxi e salì in fretta sull'auto che si era fermata davanti a lui.

Sul marciapiede opposto, Castiel correva verso la sua auto mentre un vigile le stava facendo una contravvenzione.

"Bella giornata, tutto bene?" Disse Castiel alla donna in uniforme.

La donna voltò lentamente la testa per assicurarsi che Castiel non la stesse prendendo in giro.

"Ci conosciamo forse?" Chiese l'agente Tolm.

"No, non credo."

Con aria molto dubbiosa, mordicchiava la penna guardando Castiel. Staccò il biglietto dalla matrice.

"E lei sta bene?" Chiese la donna mentre sistemava la contravvenzione sotto il parabrezza.

"Si, grazie." Rispose Castiel prendendo il foglio.

Mentre il moro stava aprendo la portiera per entrare, il vigile lo fermò e gli chiese: "non cerca nemmeno di negoziare la multa?"

"No."

"Lo sa che dall'inizio dell'anno coloro che guidano le auto governative devono pagarsi da soli le multe."

"Si, credo di averlo letto da qualche parte. Dopotutto mi sembra logico."

"A scuola sedeva in primo banco?"

"Francamente non me ne ricordo...ora che mi ci fa pensare credo che fossi seduto un po' dove capitava."

"E' sicuro di stare bene?"

"Stasera ci sarà un tramonto meraviglioso, non se lo perda! Dovrebbe vederlo con la sua famiglia. Da Presidio Park lo spettacolo sarà abbagliante. Ora la devo lasciare, mi aspetta molto lavoro," disse Castiel salendo in macchina.

Quando la Ford fu lontana, l'agente sentì un brivido scorrerle lungo la spina dorsale. Ritirò la penna ed estrasse il cellulare dalla tasca. Lasciò un lungo messaggio sulla segreteria telefonica del marito. Gli domandò se avrebbe potuto ritardare di una mezz'ora l'entrata in servizio mentre lei avrebbe fatto il possibile per rientrare prima. Gli propose una passeggiata al tramonto a Presidio Park, sarebbe stato bellissimo! Glielo aveva detto un impiegato della CIA. Aggiunse che lo amava e che da quando vivevano con gli orari sfasati non aveva trovato il momento per dirgli quanto le mancasse.

Qualche ora più tardi, mentre faceva la spesa per un picnic improvvisato, si rese conto che se stava per fare qualcosa di romantico con suo marito, dopo tanto tempo, lo doveva a quello strano agente.

Castiel parcheggiò l'auto lungo il marciapiede. Salì gli scalini della bella casa vittoriana affacciata su Pacific Heights. Aprì la porta e incrociò la proprietaria.

"Sei rientrato dal tuo viaggio, come sono contento," disse la signora Milton.

"Sono uscito solo in mattinata!"

"Sei sicuro? Mi sembrava che ieri non ci fossi. Oh, lo so che m'impiccio in affari che non mi riguardano, ma non mi piace quando la casa è vuota."

"Sono rientrato tardi e lei già dormiva. Ho semplicemente lavorato più del solito."

"Tu lavori troppo! Alla tua età dovresti pensare a divertirti."

"Devo cambiarmi, ma prima di andare, passerò a salutarla, Anna, promesso."

E dopo aver saluta la sua padrona di casa, Castiel salì al primo piano e fece girare la chiave del su appartamento, chiuse la porta con un piede e gettò il mazzo sulla mensola. Buttò la giacca nell'atrio, si tolse la camicia nel salottino, attraversò la camera da letto togliendosi i pantaloni ed entrò in bagno. Aprì i rubinetti della doccia e le tubature cominciarono a gorgogliare. Diede un colpo secco sul pomello e l'acqua gli inondò i capelli. Dall'abbaino aperto sui tetti che scendevano fino al porto arrivava il suono delle campane di Grace Cathedral che annunciavano le sette di sera.

"No, di già!" disse.

Uscì dalla stanza che profumava di eucalipto e ritornò in camera. Aprì l'armadio, prese una camicia verde scuro e un paio di vecchi jeans. Mise il cellulare nella tasca e s'infilò un paio di scarpe da ginnastica saltellando verso l'entrata per tirare le stringhe senza doversi abbassare. Prese il mazzo di chiavi, decise di lasciare le finestre aperte e scese le scale.

"Torno tardi stasera. Ci vediamo domani, se avesse bisogno di qualcosa può chiamarmi sul cellulare, d'accordo?"

Miss Milton borbottò qualcosa che Castiel sapeva ben interpretare, qualcosa tipo: "lavori troppo, mio caro, si vive una volta sola."

Era vero, Castiel lavorava continuamente per il prossimo, le sue giornate erano senza sosta, neppure una minima pausa per mangiare e per bere, visto che gli angeli non si nutrono mai. Per quanto generosa e intuitiva, Anna non poteva certo immaginare quella che Castiel stesso faticava a chiamare la mia vita.

Imbottigliato nel traffico del quartiere finanziario, Dean sfogliava una guida turistica. Aspettava che l'autista riuscisse finalmente a raggiungere Nob Hill, in modo che potesse prendersi una meritatissima suite al Fairmont.

Quando finalmente il taxi raggiunse la sua meta, il biondo scese e si diresse all'albergo, dove chiese la suite lusso.

Le pesanti campane suonarono il settimo e ultimo rintocco. Grace Cathedral, arroccata sulla sommità di Nob Hill, era proprio di fronte alle finestre della suite di Dean.

Questi s'alzò dal divanetto posto di fronte alle finestre, si aggiustò i vestiti, infilò la giacca e uscì dalla camera.

Scese i gradini della scala della scala che conducevano al maestoso ingresso, fece un'ammiccante sorriso alla receptionist e lasciò l'albergo.

Prese un taxi e chiese al conducente di potarlo alla banchina numero 46. Li ne avrebbe rubata una di suo gusto.

Appena arrivato al porto mostrò al guardiano un tesserino e la barriera a righe si alzò. Si diresse al parcheggio e lì si procuro una bellissima Chevrolet Impala nera del 1967.

Dean scelse una chiave dal suo mazzo e come per magia l'auto si aprì e dopo esserci salito sopra la mise in moto. L'auto risalì il viale centrale attraversando tutte le pozzanghere che si erano formate in ogni buca. Sporcò ogni container che si trovasse da un alto o dall'altro della sua strada rendendo tutte le matricole illeggibili.

Alla fine della strada tirò il freno a mano con un colpo secco e l'auto scivolò di traverso e si fermò a qualche centimetro dell'entrata del Fish's Dinner.

Dean uscì fischiettando, salì i tre gradini in legno dell'ingresso e spinse la porta d'entrata. La sala era quasi vuota. In genere gli operai si dissetavano qui dopo una lunga giornata di lavoro ma oggi, per via del cattivo tempo che aveva imperversato per tutta la mattina, cercavano di recuperare le ore perdute. Questa sera avrebbero finito tardi, rassegnandosi a lasciare le macchine al turno di notte che non avrebbe tardato ad arrivare.

Dean si sedette, fissando Jo che asciugava i bicchieri dietro il bancone. Turbata da quello strano sorriso, lei si affrettò ad andare a prendere l'ordinazione. Dean non aveva sete.

"Vuole mangiare, magari?" Chiese.

Solo se lei gli avesse tenuto compagnia. Jo declinò l'invito con gentilezza, le era proibito sedersi in sala durante l'orario di lavoro. Il biondo aveva tempo, non aveva fame e la invitò in un altro locale, diverso da questo che trovava terribilmente ordinario.

A Jo il fascino di Dean non la lasciava indifferente. Inoltre, in quella parte della città era raro vedere persone che indossavano vestiti di marca.

"Lei è molto gentile." disse la donna, nello stesso istante udì due colpi di clacson. "Ma non posso accettare. Stasera esco con un mio caro amico. Ha appena suonato il clacson. Sarà per un'altra volta."

Castiel entrò ansimante e si diresse verso il bancone dove Jo era tornata al bancone facendo finta di niente.

"Scusa il ritardo, ho avuto una giornata assurda," disse Castiel, sedendosi su uno degli sgabelli di fronte a lei.

Una decina di uomini del turno di notte entrarono nel locale, e la cosa diede fastidio a Dean. Uno degli scaricatori si fermò vicino a Castiel, dicendogli che senza uniforme lo trovava molto bello. Lui arrossendo lo ringraziò e poi si voltò verso Jo alzando gli occhi al cielo.

La cameriera si sporse verso l'amico per chiedergli di guardare con discrezione il cliente con la giacca nera, seduto in fondo alla sala.

"L'ho visto...lascia perdere!"

"Subito parole grosse!" Bisbigliò Jo.

"Jo, la tua ultima avventura in ordine di tempo ti è quasi costata la vita, questa volta se potessi evitarti una cosa anche peggiore, sarei più contento!"

"Non capisco perché tu dica così."

"Perché la cosa peggiore è proprio quel genere lì."

"Quale genere?"

"Chi fa lo sguardo tenebroso."

"Tu spari veloce, eh! Non ti ho nemmeno visto caricare la pistola!"

"Ti ci sono voluti sei mesi per disintossicarti da tutte le schifezze che il tuo ex divideva generosamente con te! Vuoi mandare in rovina la tua seconda occasione. Hai un lavoro, una stanza, e sei pulita da diciassette settimane. Ci vuoi già ricascare?"

"Il mio sangue non è pulito."

"Datti un po' di tempo e prendi le medicine."

"Quel tipo è davvero carino, però."

"Si, ma se guardi oltre la bellezza sembra un coccodrillo davanti ad un succulento filetto!"

"Lo conosci?"

"Mai visto prima."

"Allora perché questo giudizio a prima vista?"

"Dammi retta, il mio è un dono."

All'improvviso la voce affascinante di Dean gli soffiò severa nell'incavo del collo e Castiel sussultò.

"Dal momento che ha prenotato la serata della sua graziosa amica, sia così gentile da accettare che le estenda l'invito in uno dei migliori ristoranti della città, nella mia Chevrolet ci si sta comodi in tre!"

"Lei è molto intuitivo. Infatti nessuno è più gentile di Castiel!" Sottolineò Jo, nella speranza che l'amico fosse accomodante.

Castiel si voltò con l'intento di ringraziare e congedarsi, ma improvvisamente fu gelato dagli occhi che lo stavano osservando. I due si guardarono a lungo senza riuscire a dirsi una parola. Dean avrebbe voluto parlargli ma dalla bocca non usciva nessun suono. In silenzio, scrutava i tratti di quel viso sconvolgente e nello stesso tempo sconosciuto. Castiel aveva la bocca completamente asciutta e cercò il bicchiere a tentoni, mentre l'altro appoggiava la mano sul bancone. Un incrocio di gesti maldestri fece rovesciare il bicchiere che, dopo essere scivolato sul piano, cadde al suolo rompendosi in soli sette pezzi. Castiel si abbassò per raccogliere con cautela tre pezzi di vetro e Dean si inginocchiò per aiutarlo e si appropriò di altri quattro pezzi. Anche mentre si rialzavano i loro sguardi non si erano lasciati un secondo.

Jo li aveva osservati a turno e, infastidita, intervenne dicendo: "prendo la scopa!"

"Togliti il grembiule e andiamo. Siamo molto in ritardo," rispose Castiel distogliendo lo sguardo.

Salutò Dean con un cenno del capo e senza riguardo trascinò fuori l'amica. Nel parcheggio, Castiel accelerò il passo.

Dopo aver aperto la portiera a Jo si sedette e partì in quarta.

"Che ti prende?" Chiese Jo interdetta.

"Niente!"

Jo ruotò lo specchio retrovisore.

"Guarda la tua faccia e ora ridimmelo!"

Dopo un momento di silenzio, il ragazzo si decise a rispondere con un sussurro: "quell'uomo è estremamente grave!"

"Ne ho conosciuti di grandi, grossi, belli, brutti, buoni e cattivi. Ma di 'gravi' mi lascia interdetta."

"Allora ti chiedo di avere fiducia in me, non so nemmeno come spiegarlo a me stesso. È triste e sembra tormentato...non ho mai..."

"Ecco vedi, è il candidato perfetto per te, che vai matto per salvare le anime in pena."

"Non essere sciocca!" Esclamò Castiel contrariato.

Il resto del viaggio dei due amici continuò in un pesante silenzio.

"Se lei alzasse la mano potrei ripulire il banco!"

il padrone del Fish's Dinner risvegliò Dean dai suoi sogni ad occhi chiusi.

"Scusi?"

"Ci sono dei vetri rotti sotto le sue dita, se non sta attento si taglierà."

"Non si preoccupi per me. Chi era?"

"Una donna piuttosto carina."

"No, non ha capito. Non mi interessa la ragazza, voglio sapere chi era il ragazzo che è venuta a prenderla."

"Mi spiace ma non do informazioni che riguardano il mio personale. Se vuole sapere chi era il suo amico torni domani e lo chieda direttamente a lei. Il suo turno inizia alle dieci."

Dean battè la mano sul bancone e i pezzi di vetro si frantumarono. Il barista indietreggiò.

"Me ne frego della sua politica di rispetto della privacy. Mi dica chi era il ragazzo che andato via con la sua stupida cameriera."

"E' un suo amico, lavora al porto, al servizio di sicurezza, è tutto quello che so."

Con un gesto brusco, Dean sfilò il canovaccio dalla cintura del proprietario e si ripulì la mano, che stranamente non aveva alcun graffio. Il proprietario del locale lo guardò perplesso e allora il biondo rispose: "non preoccuparti vecchio mio, c'è il trucco, come camminare sui carboni ardenti!"

Poi andò verso l'uscita e si diresse verso la macchina che aveva rubato. Aprì la portiera e da fuori tolse il freno a mano. La splendida macchina si mosse lentamente verso il bordo della banchina e precipitò. Quando la gente si radunò per vedere i fari posteriori dell'Impala che si inabissavano, Dean era già lontano sul viale, con le mani in tasca.

"Credo di aver trovato una perla rara," mormorò allontanandosi. "Se non vinco, è colpa del diavolo."

Castiel e Jo, dopo aver fatto pace dopo la discussione in macchina, stavano tranquillamente cenando in uno stupendo locale, gestito dal suo amico Balthazar, sito di fronte alla baia,

quando il viso tranquillo del ragazzo si trasformò. Afferrò il polso dell'amica, sollevandola quasi di peso dalla sedia.

"Esci di qui, corri verso l'uscita!" Urlò Castiel.

Jo era paralizzata. Dagli altri tavoli, gli avventori sconvolti fissavano Castiel che urlava, guardandosi intorno, a caccia di una minaccia fantasma.

"Uscite tutti, fate più in fretta possibile e allontanatevi di qui, presto, muovetevi!"

La gente lo guardava esitando, e domandandosi il perché di uno scherzo di così cattivo gusto. Il gestore corse incontro a Castiel con le mani giunte in gesto di supplica, ma Castiel lo afferrò energicamente per le spalle e lo supplicò di fare evacuare la sala, senza indugiare oltre.

Lo scongiurò di avere fiducia in lui e poiché Castiel non aveva mai fatto scenata del genere si fidò e fece evacuare la sala. Mentre la sala si stava svuotando, Balthazar rimase al centro della sala che si stava svuotando, Castiel cercò di trascinarlo verso una delle uscite con lui, ma l'uomo oppose resistenza indicando Jo, pietrificata poco lontana da loro. Non si era mossa.

"Esco per ultimo," disse Balthazar nello stesso istante in cui l'aiuto cuoco correva fuori dalla cucina urlando.

Un'esplosione di una violenza inaudita squassò il locale.

Il monumentale lampadario si spostò per l'onda d'urto che aveva devastato la sala e cadde pesantemente a terra.

Il mobilio sembrava essere stato aspirato dalla vetrata i cui frammenti polverizzati si sparpagliarono al suolo. Migliaia di frammenti colorati piovvero sulle macerie. Il fumo acre che aveva invaso la sala da pranzo si alzò in spesse volute sulla facciata spalancata. Al boato che aveva accompagnato l cataclisma seguì un silenzio soffocante. Parcheggiato in strada, Dean chiuse il finestrino dell'auto nuova che aveva rubato solamente un'ora prima. Odiava la polvere e ancor di più che le cose non andassero come aveva previsto.

Castiel spinse via la pesante credenza che si era coricata su di lui. Guardò il disordine che regnava tutto intorno. Sotto lo scheletro del lampadario, ormai completamente distrutto, giaceva il proprietario del ristorante.

Cstiel si precipitò verso di lui. Balthazar si lamentava, stravolto dal dolore. Castiel lo pregò di tenere duro.

"Sei davvero inestimabile, Castiel." Sussurrò Balthazar. "Grazie di tutto, ma smettila di preoccuparti di me e cerca la tua amica."

L'angelo si guardò intorno ma non vide traccia di Jo né di altri corpi.

"Vicino alla porta sotto la piattaia," mormoro Balthazar.

"Come fai a saperlo?" Chiese Castiel mentre l'uomo stava lentamente morendo.

"Lo scoprirai tra un attimo." Il viso dell'uomo morente si rasserenò un'ultima volta e poi prima di morire sussurrò: "grazie per la fiducia."

Castiel accarezzò un'ultima volta la fronte di Balthazar , poi raggiunse la sua amica incosciente e aspettò accanto a lei fino a quando non furono raggiunti dai soccorsi.

Nel frattempo Dean che era rimasto fuori a guardare tutto, seguì con attenzione l'ambulanza che trasportavano Castiel e Jo.

"Se la caverà?"

Per la seconda volta in una sera la voce di Dean lo fece sobbalzare.

"Lo spero," rispose, squadrandolo da capo a piedi. "Ma chi è lei esattamente?"

"Dean, dispiaciuto e nello stesso tempo felice di conoscerla," disse tendendogli la mano.

Era la prima volta che Castiel sentiva la fatica abbandonarlo. Si alzò per dirigersi verso il distributore di caffè.

"Ne vuole uno anche lei?"

"Non bevo caffè," rispose Dean.

"Nemmeno io," disse, guardando la moneta che si rigirava in mano. "Che ci fa qui?"

"Quello che fa lei, sono venuto a vedere come vanno le cose."

"Perché?" Chiese Castiel rimettendo la moneta in tasca.

"Perché devo stendere un rapporto e, per il momento, nella casella vittime ho messo il numero 1. Così devo verificare se sia il caso oppure no di correggere l'informazione. Mi piace stillare i resoconti giornalmente, detesto essere in ritardo."

"E' quello che dico sempre anch'io."

"Avrebbe fatto bene ad accettare il mio invito a cena. Non saremmo qui!"

"Lei è privo di tatto."" Rispose indignato l'angelo.

"Non uscirà dalla sala operatoria che ha notte inoltrata, una forchetta per anatre fa dei danni seri se piantata in un filetto umano. Per ricucire ci vorranno delle ore, posso invitarla alla caffetteria qui di fronte?"

"No, certo che no!"

"E va bene, come vuole, aspetteremo qui, è meno accogliente ma se desidera così...che peccato!"

Erano seduti schiena contro schiena, sulle sedie della da d'attesa da più di un'ora quando il chirurgo apparve in fondo al corridoio e Castiel gli corse subito incontro per avere notizie di Jo.

Il dottore gli disse che Jo era fuori pericolo, l'arteria non era stata toccata. La radiografia aveva messo in evidenza un trauma cranico e due fratture non scomposte, una alla gamba destra e una al braccio sinistro. Ci sarebbe voluto un po' di tempo, ma Jo si sarebbe rimessa completamente. Castiel più tranquillo, prima di congedarsi, diede al dottore il suo numero di cellulare.

Uscendo, il moro passò di fronte a Dean, senza nemmeno guardarlo, gli comunicò che non c'era bisogno di rettificare il verbale. Sparì nella porta girevole. Dean lo raggiunse nel parcheggio deserto mentre cercava le chiavi.

"Se lei la smettesse di spaventarmi gliene sarei molto grato," disse.

"Credo che abbiamo cominciato male," esclamò Dean con voce suadente.

"Iniziato cosa?"

"Diciamo che qualche volta sono un po' tropo diretto, ma sono sinceramente contento che la sua amica stia bene."

"Almeno abbiamo condiviso qualcosa oggi, il che dimostra che tutto è possibile! Ora se lei fosse così gentile da lasciarmi aprire la portiera..."

"E se le offrissi di dividere un caffè?"

Castiel rimase senza parole.

"Brutta scelta!" Proseguì Dean. "Lei non beve e neppure io! Magari un tè? Qui di fronte c'è un bar specializzato."

"Mi spiega perché a così tanta voglia di dissetarsi in mia compagnia?"

"Perché sono appena arrivato in città e non conosco nessuno. E non mi interessa bere, voglio solo conoscerla meglio. Le ho detto la verità. Sarebbe carino da parte sua accettare."

Castiel guardò l'orologio esitante. Sorrise e accettò l'invito. Attraversarono la strada ed entrarono nel bar.

Il piccolo locale era molto tranquillo e carino. Si sedettero di fronte alla vetrata ed pordinarono. Castiel non mangiava ma guardava Dean, perplesso. Aveva ingurgitato sette dolci in meno di dieci minuti.

"Tra i peccati capitali la gola non la spaventa a quel che vedo!"

"La storia dei peccati è così ridicola...

Rispose lui succhiandosi le dita, "roba da eremiti. Una giornata senza dolci è peggio di una giornata di bel tempo!"

"Non le piace il sole?" Domandò Castiel stupito.

"Ma certo! Scottature, cancro alla pelle, gli uomini che crepano di caldo strangolati dalle cravatte, le donne terrorizzate all'idea che il trucco si sciolga per colpa dei condizionatori che alimentano il buco nell'ozono. Ah, no mi scusi! Il sole non è proprio l'invenzione di chi crediamo noi."

"Lei ha uno strano concetto delle cose."

Castiel si interessò con più attenzione agli argomenti di Dean quando questo disse con voce grave che bisognava essere onesti quando si definivano il male e il bene. L'ordine dei termini incuriosì Castiel. Più volte Dean aveva detto il male prima del bene...mentre di solito la gente faceva il contrario.

A Castiel venne in mente che potesse essere l'Angelo Verificatore venuto a controllare il buon svolgimento della missione. E più Dean parlava più l'ipotesi sembrava verosimile, tanto era provocatorio. Sul finire del decimo dolce, a bocca piena, annunciò che avrebbe voluto rivederlo. Castiel sorrise.

Il biondo pagò e uscirono dal locale. Arrivati al parcheggio Dean alzò la testa.

"Fa fresco, ma c'è un cielo meraviglioso, non trova?"

Castiel aveva accettato un invito a cena per il giorno dopo. Se, per qualche strano gioco del destino lavoravano per la stessa agenzia, colui che era venuto a testarlo avrebbe avuto quello che desiderava. Contava di darsi alla pazza gioia.

Castiel prese l'auto e rientrò.

Parcheggio di fronte a casa e fece attenzione a non fare rumore mentre saliva i gradini. Non c'era luce in entrata e la porta di Anna Milton era chiusa.

Prima di entrare alzò gli occhi, in cielo non c'erano né nuvole né stelle.

E fu sera e fu mattino...

Continua...

  
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