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Autore: Gringoire97    17/04/2012    1 recensioni
E se Quasimodo non fosse così buono? E se Frollo mentisse per espiare le sue colpe? Una versione alternativa del famoso romanzo di Hugo che tenta di unire il serio al divertente con uno strano matrimonio...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3° Capitolo

Violazione e salvezza

 

Se una delle stanze di questa triste dimora aveva vissuto un espisodio alquanto strano ma piacevole, nella stanza adiacente stava per assistere ad una azione triste ed orribile quanto la facciata distrutta di se stessa. La storpia figura di Quasimodo si aggirava inquieta per la rocca. Era tormentato da una sensazione sconosciuta. Percorreva il corridoio dal quale si accedeva alle stanze avanti e indietro fermandosi sempre ad un passo da una di quelle porte. La sua mano sfiorò una maniglia di ottone ma presto la tirò di nuovo indietro come spaventato. La sua mano tramava come una foglia di un albero in pieno inverno ma come essa esitava a staccarsi dall'ottone lucente. Quella foglia e quella mano rappresentavano il suo stato d'animo. Egli rimembrava la sua infanzia, per quanto poteva ricordare. Lui era stato abbandonato, povera anima, e raccolto dal suo arcidiacono, l'unico al quale era rivolta la sua devozione oltre a Dio. L'arcidiacono era stato uno di quei padri intransigenti ma gli aveva insegnato tutto ciò che poteva nascondendolo dalla vita, dall'amore e anche dalla scienza portandolo dalle sue campane, i suoi amori di ferro. Seppur l'arcidiacono non fu il padre migliore quantomeno lo salvò dall'annegamento che gli sarebbe stato operato se non fosse stato preso. A questi pensieri qualche lacrima cadeva solitaria dall'unico suo occhio. Continuava a percorrere il corridoio e intanto pensava. Egli era rimasto lontano da tutti i desideri dell'uomo, senza escluderne alcuno. Non desiderava imparare, non desiderava possedere alcuna donna, né in senso affettivo né in senso fisico. Era un prete senza tunica, proprio come l'aveva allevato l'arcidiacono. Tutto si estinse quando giunse La Esmeralda. Questa creò problemi a tutte le famiglie di Parigi i cui uomini volevano possederla a tutti i costi. Quasimodo non fu escluso e la forza magnetica della zingara catturò anche lui come il suo padrone. Quasimodo voleva averla per se, strapparla dalle cattive e sporche mani degli altri uomini. Ora che finalmente l'aveva per se pensava di aver raggiunto lo scopo della sua vita ma aveva anche preso contatto violentemente con la realtà. Quella da cui era sempre scappato sotto ordine di Frollo era entrata violentemente in lui come l'aria gelida da una finestra aperta in inverno. L'aveva congelato, l'aveva reso dubbioso. È risaputo che ogni uomo libero si sporca la coscienza, si è puri solo da neonati. Ora, ogni volta che gli capitava di scorgere la zingara sentiva uno strano fuoco avvampare dentro di lui e pervaderlo tutto. Quella sera in particolar modo, dopo le occhiate gentili rivoltegli dalla zingara non riusciva a dormire. Sentiva una forte attrazione verso quella stanza in cui regnava il sonno delle due donne, era come una calamita attratta dalla forza opposta, era infatti questa la situazione: dietro la porta di quella stanza regnava l'orrore esteriore di Quasimodo, all'interno la candida purezza di una creatura mai violata dalla prima infanzia. L'ingenuità e la troppa consapevolezza dell'odio. Gli occhi del Gobbo erano accesi di quella stessa luce che si notò negli occhi di Frollo nel bosco. Queste due creature infatti era d'animo molto simile. Bruciato dalla voglia di osservare da vicino la zingara e di accarezzare le sue perfette forme, Quasimodo entrò nella stanza. Si mosse con quella silenziosa agilità che è presento solo in chi deve passare sempre inosservato, chi deve essere quasi invisibile. Scivolò sulle pareti e arrivò al giaciglio di una delle due donne, quella scarna. Si stentava a credere che fosse la madre di quella creatura formosa e perfetta che le dormiva accanto. Quasimodo superò quella figura e si diresse silenzioso e agile senza svegliarla verso l'altro giaciglio. Si piegò su stesso fino ad inginocchiarsi, come per pregare quella creatura e il suo protettore di perdonarlo per ciò che stava per fare. Si rialzò prese su di se la scarna figura, portandola fuori. La depose sul corridoio e rientrò nella stanza, sempre silenziosamente. Abbassò le sue immense mani deformate dal troppo suonare le sue campane, con le sue ossa sporgenti, verso la zingara sino quasi a toccarla. La punta delle sue dita sfiorava appena la leggera tela che costituiva l'abito di quella creatura. Faceva passare le mani su tutto il corpo, con una leggerezza difficile da credere se operata da un gigante come il gobbo campanaro. Quando arrivò ai polpacci le sue dita portarono qualche cresta sull'abito che si cominciò a sollevare. Quasimodo, colpito dalla purezza di quella carne intatta scoprì un'altro dei desideri che costituiscono la nostra vita: la curiosità. Continuò a sollevare la gonna con delicatezza mentre la donna continuava ad agitarsi. Egli era quasi in trance mentre contemplava ciò che pian piano si scopriva sotto le sue mani. Era arrivato al suo seno quando la sua mano bagnata da sudore freddo prese contatto con la pelle. La zingara al solo contatto con quella mano viscida ed umida si svegliò di soprassalto ed allora tutto ciò che Quasimodo aveva sempre represso, la passione, il desiderio di potere e anche l'amore bruciarono in lui, come se un fuoco fosse stato accesso su foglie secche. La sua figura era come la legna in un caminetto nel quale è acceso un fuoco. Stese di nuovo a terra la zingara che cominciava a tremare colta da paura con un misto di forza e amore. Cominciò però una dura lotta fra la zingara ed il sordo. Esmeralda tuttavia non urlava, infatti la paura le aveva spento la voce. Cercava di respingere con le sue braccia quelle forti e più grandi del gobbo che però resisteva senza battere ciglio e continuando ad ammirare il candido seno semi-scoperto della donna. Egli non aveva mai visto nulla di così perfetto, anzi non aveva mai visto il corpo di una donna. Intanto al di fuori della stanza e della rocca dove si compivano questi strani eventi si aggirava una losca figura, che si sarebbe potuta scambiare per l'ombra di uno quegli alberi se solo non si fosse mossa.

-Aiuto!- Un grido squarciò l'aria ma nessuno nella rocca sentì, infatti ognuno era perso nella propria vita o nel proprio sonno. Solo quella figura si fermò come colta da paralisi, e assunse la forma di una statua.

-Aiuto!- Un altro grido, un poco più potente.

La statua allora, come un felino che avverte l'odore di una preda, alzò la testa e con un balzo fu alla porta della rocca. Entrò e si diresse velocemente nella stanza violata. Appena giunto notò Quasimodo e il suo abuso sulla zingara e la sua figura si irrigidì di nuovo. Anche egli, forse abituato al silenzio, scivolò lungo le pareti e giunto alle spalle del gobbo gli si gettò sopra, come il felino sulla preda. 

  
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