Anime & Manga > Death Note
Segui la storia  |       
Autore: redseapearl    20/04/2012    13 recensioni
Vide chiaramente un rosario oscillare come un pendolo all’altezza del petto e la croce dorata all’estremità, brillante alla luce del sole pomeridiano, le gelò il sangue nelle vene e le provocò un senso di vertigine che minacciava di farla rovinare per terra. Sbarrò gli occhi terrorizzati verso quell’oggetto innocuo simbolo universale del cristianesimo a cui i fedeli attribuivano ogni significato buono e sacro di questo mondo; ma per Sayu la croce e in particolare quel rosario era il segno di riconoscimento del suo rapitore.
Lui era lì, a pochi metri da lei. Era forse tornato per rapirla di nuovo?
{Mello x Sayu}
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mello, Sayu Yagami
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

My scary savior

 

Verità

 

 

 

 

Per quanto Sayu tentasse di dimenticare le sue disavventure, proprio non riusciva a scacciare dalla mente l’immagine del suo giovane rapitore. Il rosario che pendeva del suo collo era stato completamente sostituito dal viso sfregiato del ragazzo.

Il seme del dubbio era germogliato in lei fino a sbocciare in un fiore carnivoro che le dilaniava l’animo e il cuore. Se lui era la stessa persona meschina che aveva tentato di abusare di lei la prima volta, perché in quel loro secondo incontro non l’aveva sfiorata neanche con un dito? Anzi, l’aveva persino salvata da un tragico incidente automobilistico.

Nel buio della notte, rannicchiata in posizione fetale sotto le lenzuola, le pareva di scorgere i suoi occhi azzurri brillare nel buio come due zaffiri lucenti: lo sguardo di un felino predatore.

Si girò dall’altro lato nella vana convinzione di dare le spalle a quel miraggio, il quale prontamente si materializzò ancora una volta davanti a lei.

Si alzò: decise di prepararsi una camomilla che le conciliasse il sonno. Si diresse in cucina in punta di piedi per non svegliare sua madre. Tante volte l’aveva destata dal suo sonno per colpa degli incubi che l’avevano assillata nei mesi precedenti e non voleva certo recarle disturbo quando non era strettamente necessario.

Mise l’acqua a bollire e si concentrò sull’ipnotico sibilo del gas che bruciava sotto il pentolino. In fondo la notte era davvero bella per certi versi. La quiete che infondeva con il suo silenzio era un balsamo per la mente di Sayu: per troppo tempo, invece, era stata sua nemica. Osservò sovrappensiero la fiamma del fornello accesso: celeste, proprio come gli occhi di lui.

Distolse lo sguardo repentinamente come se si fosse bruciata le pupille. Perché continuava a pensarlo così? Perché ogni cosa che la circondava sembrava cospirare per farglielo ricordare? Stranamente non veniva più assalita da quel cieco terrore che aveva provato il giorno prima, quando aveva visto il rosario al collo del motociclista.

L’acqua iniziò a bollire e Sayu se ne accorse solo quando vide traboccare la schiuma che bagnò il piano cottura di acciaio. Girò la manopola del fornellino per spegnere il fuoco. Le bolle si rassettarono. Versò il liquido fumante nella tazza e vi mise la bustina in infusione.

E poi c’era quella frase che aveva detto poco prima di lasciarla andare via: “Se la cosa può consolarti, da dopodomani puoi stare certa che io non sarò più una minaccia per te.” Cosa aveva voluto comunicarle?

C’era qualcosa che non quadrava in quella storia. Lui non poteva essere l’uomo che cercò di violentarla tre mesi prima. Pensandoci, in effetti, come era riuscita a salvarsi? La sua verginità non era stata violata: che l’uomo avesse desistito per pietà? Ne dubitava. Allora cosa era accaduto?

Forse sarebbe diventata davvero pazza se non avesse trovato la soluzione a quel rompicapo.

Di certo il ragazzo dai capelli biondi sapeva le risposte, ma la frase che le aveva riferito sembrava preannunciare la sua imminente morte. Ma no, forse stava solo facendo delle tragedie per niente. Tuttavia, era certa che non l’avrebbe mai più rivisto.

Dopodomani…

Aveva solo un giorno di tempo, dunque. Un’idea malsana affiorò alla sua mente con una spontaneità tale da farle credere di essere veramente impazzita. Se avesse ritrovato il suo appartamento, avrebbe potuto parlargli e chiedergli di raccontarle quella verità che per troppo tempo le era stata negata.

Il dottor Myabe lo diceva sempre: ‘Per sconfiggere la propria paura bisogna affrontarla’. Quel ragazzo era la personificazione della sua fobia. Se fosse andata da lui di sua spontanea volontà, sarebbe guarita e avrebbe esorcizzato le proprie paure per sempre. Inoltre, voleva sapere cosa le era capitato. Voleva riempire quel vuoto di memoria che a lungo era stato occupato dalla sola immagine di uno scintillante e inquietante rosario dorato.

Soffiò sulla camomilla ormai pronta e bevve a piccoli sorsi il soporifero decotto, cullando dentro di sé ogni buon proposito per il giorno dopo. Era rischioso, ma era l’unica occasione che aveva per scoprire la verità e se non ci fosse riuscita, avrebbe vissuto il resto della sua vita a tormentarsi per la sua vigliaccheria e a macerare nei propri dubbi e domande senza risposta.

 

 

Non era stato difficile trovarlo. Si era ricordata del negozio abbandonato, ‘Fashion ‘n rock’, proprio al piano terra del palazzo in cui viveva il suo rapitore. Era bastato fare una ricerca su internet per scoprire il vecchio indirizzo in cui era ubicato l’esercizio.

Aveva detto a sua madre che sarebbe uscita con un’amica per fare una passeggiata. In effetti, Minako le aveva mandato uno dei suoi soliti sms sgrammaticati per rimproverarla del bidone che le aveva fatto il giorno prima. Lo spavento provato alla vista del rosario al collo del motociclista misterioso, le aveva fatto dimenticare ogni cosa, compreso l’appuntamento con Minako. Si era scusata in modo sbrigativo, dicendo che aveva avuto un contrattempo che le aveva impedito di avvisarla. L’amica aveva scherzato maliziosamente supponendo che ci fosse di mezzo un ragazzo: nella burla non avrebbe potuto immaginare quanto vicina alla realtà fosse andata.

Sayu non aveva più risposto e Minako aveva tradotto il suo silenzio come una conferma dei propri sospetti, tanto che le aveva tempestato il cellulare di messaggi per sapere chi era, come si chiamava, se era carino o meno. Frivolezze di poca importanza per lo più.

Dopo essersi allontanata abbastanza da casa (Sayu aveva il netto sospetto che qualche volta sua madre la seguisse per timore che venisse colta da un nuovo attacco di panico), fermò un taxi e gli disse dove voleva essere portata.

L’uomo la guardò attraverso il riflesso dello specchietto retrovisore con un cipiglio perplesso. “È sicura di voler andare lì? È una zona parecchio pericolosa per una ragazza!” le aveva detto.

Sayu avrebbe voluto dirgli di farsi gli affari propri, ma la sua buona educazione ebbe il sopravvento come sempre. Gli rispose in modo cordiale: “Grazie per l’interessamento, ma non si preoccupi. Mi devo vedere con una persona appena arrivo lì: non mi accadrà nulla.” Lo disse in un modo abbastanza convincente da rassicurare l’uomo che subito partì. Avrebbe tanto voluto credere anche lei alle proprie parole, ma le risultò alquanto difficile.

Le strade piene di negozi, pedoni, mamme con le carrozzelle e coppiette che passeggiavano mano nella mano furono sostituite da marciapiedi desolati, degrado e facce losche che sbucavano dalle finestre dei palazzi.

Cosa sto facendo?

Si pentì amaramente della propria decisione, ma la lingua le si era incollata al palato e non trovò la forza di dire al tassista di fare inversione di marcia e riportarla indietro.

Quando la macchina si fermò, il cuore parve frenarsi assieme ad essa. Sentiva che non appena avesse messo piede fuori, un’orda di male intenzionati l’avrebbe assaltata come un branco di lupi su una cerbiatta.

L’uomo al volante notò il suo turbamento. Quella ragazza era tanto giovane: poteva avere su per giù l’età di sua figlia, per cui provava un senso di protezione paterna. “Vuole che la porti da qualche altra parte?”

“No!” esclamò Sayu prima che potesse ripensarci e accettare l’allettante proposta. Pagò e scese dalla macchina. Persino il venticello che le scompigliò i capelli pareva ostile.

Il taxi alle sue spalle partì solo dopo una buona manciata di minuti. Quando il rombo del motore fu fuori dalla portata del suo orecchio, la giovane realizzò di essere completamente sola e indifesa.

Si avvicinò al portone, ma non c’era nessun nome sul citofono, solo otto targhette bianche accanto ad altrettanti pulsanti. Che sciocca! si disse: non sapeva nemmeno come si chiamava il ragazzo biondo.

Forse era un segno del destino quello: magari le stava lanciando un esplicito segnale per scappare finché era in tempo.

Le gambe erano cementate al suolo. Si guardò attorno furtiva, temendo di essere notata da qualche sguardo molesto.

“Che ci fai qui?” La voce metallica le trapanò l’orecchio e per lo spavento la ragazza lanciò persino un gridolino facendo un passo indietro. Non c’era nessuno.

“Io… i… io… voglio…” Le parole stentavano ad uscire.

Dal citofono fuoriuscì un suono molto simile ad uno sbruffo. “Aspetta” disse la voce robotica.

Un minuto dopo, Mello aprì il portone, palesandosi agli occhi della ragazza. La sua vista, inspiegabilmente per Sayu, le diede un senso di sollievo, come se adesso fosse al sicuro.

Era un pensiero paradossale, ma la sua mente lo aveva formulato con una naturalezza sconvolgente. Notò che non portava al collo il rosario che tanto l’aveva terrorizzata. Si illuse che lui lo avesse tolto per rendere la propria immagine meno minacciosa e paurosa agli occhi di lei: non avrebbe mai saputo se fosse stato così o meno.

“Allora, che sei venuta a fare?” la incalzò a parlare il ragazzo, evidentemente infastidito. Sembrava che lo avesse disturbato in un momento poco opportuno.

“Sono venuta per conoscere la verità.” Sayu si sorprese di se stessa e di come, adesso che il ragazzo era davanti a lei, fosse riuscita a parlare fluidamente e senza balbettare in modo imbarazzante.

“La verità” le fece eco Mello. “Immagino quello che vuoi sapere e devi essere davvero molto motivata o molto pazza per essere venuta qui da sola. Credevo avessi paura di me.”

“Ne avevo, ma se avessi voluto farmi del male avresti potuto farlo ieri.”

L’ombra di un sorriso appena visibile guizzò sul volto di Mello. “Osservazione acuta.” Si fece da parte per farla passare. “Se vuoi sapere la verità devi entrare.”

Era chiaramente una sfida e ormai Sayu pareva guidata da una volontà estranea alla sua. Avanzò fino a superare la soglia del portone. Mello lo richiuse alle sue spalle sbattendolo con forza: la vibrazione del tonfo rischiò di far rovinare la ragazza per terra tanto aveva le gambe molli.

Mello salì per le scale e lei lo seguì, in silenzio. Giunti al secondo piano entrarono nell’appartamento che era stato il teatro del loro incontro del giorno prima. Non era mutato nulla, tranne che per dei fogli poggiati su un tavolino davanti ad un divano. Da quel po’ che Sayu riuscì a scorgere, sembravano delle mappe di Tokyo su cui erano state tracciate due linee: una rossa e una blu. Che fossero dei percorsi? Vide anche una tavoletta di cioccolata sbocconcellata a metà. Mello si apprestò a girare le carte e ad ammassarle per nasconderle alla vista della sua ospite inattesa, poi prese il dolciume e vi tirò un morso. Infine si sedette sulla poltrona che Sayu riconobbe essere la stessa della volta precedente.

La ragazza fece guizzare lo sguardo attorno per trovare una seduta per lei. Dietro il tavolino c’era un divano polveroso, squarciato in più punti da cui fuoriuscivano pezzi dell’imbottitura spugnosa. Vi si adagiò con garbo, rimanendo un po’ in tensione per evitare di poggiarsi troppo e sporcarsi tutta. Era l’unica sistemazione che le permettesse di rimanere un po’ distante dal giovane straniero: il timore per lui non l’aveva abbandonata del tutto. Non osò parlare per prima.

“Ho fretta” disse Mello, addentando il cioccolato staccandone un pezzo consistente. Il suono che ne scaturì era simile a quello di un osso che si rompa in seguito ad una forte pressione.

Sayu rabbrividì a quell’associazione mentale involontaria. “Cosa successe di preciso quando venni imprigionata?” chiese titubante. Aveva paura che la sua curiosità la portasse a scoprire una realtà che era meglio ignorare. Si domandò se non sarebbe stato più saggio rimanere all’oscuro di tutto.

Mello diede un ulteriore morso alla barretta, quindi iniziò a raccontare.

 

Sono stato io ad ordinare ai miei uomini di rapirti. Come figlia di Soichiro Yagami eri la merce di scambio ideale per ottenere quello che volevo. Ti facemmo rinchiudere in una stanza sotterranea, dove delle telecamere di sorveglianza ti riprendevano 24 ore su 24: motivi precauzionali in realtà, anche se per come eri spaventata dubitavamo fortemente che avresti trovato il coraggio di ribellarti e scappare.

Non vi era alcun interesse nel farti del male. Come detto, eri solo merce di scambio, ma sicuramente era meglio restituirti a tuo padre sana e salva per evitare inutili lamentele.

Erano proprio quelle telecamere a tenerti al sicuro. Finché saresti rimasta alla portata del loro occhio, nessuno ti avrebbe toccata. Avevo messo un veto assoluto al riguardo e in quegli ambienti tutti sanno cosa succede ai trasgressori. – Mello tracciò una linea immaginaria con il pollice da un lato all’altro del collo: l’antifona era molto chiara alla sua ascoltatrice.

Accadde però che un giorno, il tizio che veniva a portarti regolarmente i pasti ricevette una chiamata mentre era all’interno della tua stanza. Si distrasse e quando uscì dimenticò di chiudere la porta a chiave.

La tua fame di libertà ti fece notare subito quella distrazione e altrettanto presto pensasti di approfittarne.

Che ingenua sei stata!

Uscendo dalla tua cella ti sei esposta al pericolo. Nessuno poteva più vederti, sorvegliarti e questo ti rese vulnerabile.

Camminasti per i corridoi in penombra del bunker alla ricerca della via d’uscita, ma non la trovasti. Più precisamente ti perdesti, ma qualcuno ti trovò.

L’uomo che ti si parò di fronte sapeva che non dovevi essere toccata con un dito, ma sapeva anche che senza nessuna telecamera a registrare il misfatto, nessuno lo avrebbe mai scoperto. Iniziò a… – “Ti prego” lo interruppe Sayu con un fil di voce, “tralascia questi dettagli.”  Per tua fortuna riuscii ad arrivare in tempo. Avevo visto la tua stanza vuota dai monitor di sorveglianza e sono andato personalmente a controllare.

In pratica avevi girato in tondo, sicché ti eri ritrovata a pochi metri dalla porta della tua cella. Udii le tue urla e i grugniti del mio sottoposto che voleva violentarti. “Jhon, per caso i miei ordini non sono stati abbastanza chiari?” gli dissi alle spalle e lui, terrorizzato, si voltò verso di me. Un energumeno grande e grosso che in quel momento aveva gli occhi spauriti di un bambino colto con le mani nella marmellata. Mi viene da ridere al ricordarmelo.

Fisicamente avrebbe potuto sopraffarmi in qualsiasi momento, ma c’era una gerarchia da rispettare e se solo mi avesse torto un capello, il boss, di cui ero il braccio destro, gliela avrebbe fatta pagare cara.

Mi disse che voleva solo riportati in cella e che tu stavi opponendo resistenza. “Dovresti vergognarti: farti mettere in difficoltà da una ragazzina così minuta” lo beffai e lui, consapevole di essere stato beccato mentre disobbediva agli ordini, mi chiese scusa, pregandomi persino di non dirlo al boss. Gli dissi che gli avrei dato una possibilità per riscattarsi e farsi perdonare. Alla fine, dopo questa patetica scena, andò via.

Mi avvicinai a te. Dire che eri terrorizzata era solo un eufemismo. Tremavi come se ti trovassi nuda al Polo Nord. In ginocchio per terra, con le mani premute contro il petto, la testa chinata e il viso bagnato di lacrime. No, non provai pietà se è quello che stai pensando. Ti avevo salvata, ma a quanto pare tu hai completamente dimenticato tutto questo. Il tuo cervello non ha memorizzato nulla di ciò che avvenne: spirito di autoconservazione, suppongo. Probabilmente un simile ricordo ti avrebbe annichilita del tutto, portandoti al suicidio, chi lo sa.

“Alzati” ti dissi.

Ma tu non ti muovesti. Con un filo di voce, però, mi rispondesti: “Non ci riesco.”

Non potevo certo lasciarti lì. Così mi chinai per prenderti in braccio. È stato in quel momento che avrai di certo visto il mio rosario scintillare alla debole luce della lampadina. Questo è tutto ciò che la tua mente ha memorizzato di quell’evento, portandoti quindi a credere che questa croce apparteneva all’uomo che voleva abusare di te.

Ti adagiai sul letto. La cosa curiosa era che tu sembrasti quasi dispiaciuta nel vedermi andare via. Dentro di te sapevi che io ero il tuo salvatore, l’unico che anche senza le telecamere o il divieto di toccarti non ti avrebbe fatto del male comunque.

Ma hai dimenticato anche questo.

 

Al termine del racconto, molte cose divennero chiare per Sayu. Per esempio, quando Mello l’aveva salvata dall’incidente per strada, lei aveva percepito il suo profumo dolce, il suo aroma al cioccolato, e lo aveva subito associato a qualcosa di rassicurante, anche se non riusciva a capirne il motivo. Adesso lo capiva.

Forse era solo una sua impressione, ma le parve di scorgere sul viso del ragazzo un velo di amarezza, come se lui fosse dispiaciuto del fatto che Sayu non abbia riconosciuto da subito il suo salvatore, identificandolo invece come una minaccia.

“Dunque è andata così. Questo è tutto.” Cosa avrebbe dovuto fare, ringraziarlo forse per averle salvato la vita in ben due occasioni? No, in fondo, se lei si era ritrovata in pericolo era stato per colpa sua, quindi non gli doveva nessun ringraziamento. “Perché mi hai detto che da domani non sarai più una minaccia per me? Cosa accadrà domani?”

Mello parve titubare. Non immaginava che la curiosità della ragazza potesse raggiungere simili livelli. “Domani il regno di Kira inizierà a sgretolarsi.”

Kira? Sgretolarsi?” gli fece eco Sayu. “Tu… tu lavori per catturare Kira?” Quel nome era diventato portatore di disgrazia in casa sua. Suo padre era morto per contrastare quel pericoloso criminale e suo fratello rischiava la vita ogni giorno come il loro genitore. “Ma perché allora mi hai fatto rapire? Mio padre anche voleva catturarlo. Se tu eri dalla sua stessa parte perché…”

“Basta con le domande” la rimproverò il ragazzo. “Volevi delle informazioni e te le ho date. Il resto non sono affari che ti riguardano.” I suoi occhi si incupirono. Il cobalto delle sue iridi si scurì fino a sembrare blu.

“Morirai, non è vero?” domandò Sayu. Ormai non vedeva più una minaccia nel giovane che aveva davanti. Vedeva solo un ragazzo solo, triste, trascinato dalla corrente degli eventi come un fantoccio senza volontà.

“Sembra che la cosa ti dispiaccia” rispose Mello con un lieve sorriso ironico. Anche se non lo aveva confermato direttamente, le sue parole lasciarono chiaramente intendere che la sua morte era vicina.

Un'altra vittima di Kira, pensò Sayu. “Mio padre è morto per colpa sua. Quel criminale ci ha rovinato la vita.” Strinse i pugni in grembo e la tensione muscolare li faceva vibrare come sassi scossi da un terremoto.

Mello ricordava cheSoichiro Yagami era un brav’uomo: gli era dispiaciuto enormemente che fosse morto. Fino all’ultimo aveva sperato che potesse sopravvivere, ma ormai era giunta la sua ora. Non si era mai sentito realmente colpevole della sua dipartita, perché era Kira il vero boia, lui, Mello, era stato solo l’ascia.

Tuttavia, davanti lo sguardo triste di Sayu non poté evitare di sentire un senso di colpa affiorargli al cuore. Adesso lei lo vedeva come un ragazzo giusto, buono: se le avesse rivelato di essere l’assassino di suo padre, quello sguardo si sarebbe dissolto… lo stesso sguardo colmo di riconoscenza e ammirazione che gli aveva rivolto il giorno in cui l’aveva salvata dalle grinfie del suo stupratore.

Erano belli gli occhi di Sayu quando lo guardavano così. Lo facevano sentire bene, una panacea per il suo animo pieno di affanni e delusioni.

“Adesso devi andare” le disse. Avrebbe voluto riaccompagnarla a casa sua, ma sentiva che non era saggio, che sarebbe stata una distrazione che in quel momento non poteva assolutamente permettersi.

“Sì” rispose la ragazza, quindi si alzò. Mello non la imitò. Come detto, lei era una distrazione ed era meglio tenerla a distanza.

Sayu si diresse verso la porta, ma prima di uscire si voltò e disse: “Non morire, per favore.”

Che ingenua! pensò Mello. Come se la Morte si fermasse davanti ad un semplice ‘per favore’.

 

 

Quando si vive in un quartiere molto tranquillo e con dei vicini educati, ogni suono che esuli dalla normalità, perché troppo forte o perché poco frequente, viene udito anche a qualche chilometro di distanza. Così, Sayu, mentre era intenta a navigare tra le pagine di internet per distrarsi un po’, sentì l’arrivo di Mello a cavallo della sua moto prima ancora di vederlo fermarsi sotto casa sua.

Si affacciò per verificare che la sua deduzione fosse esatta e qualche secondo dopo lui inchiodò proprio di fronte al cancello, il rombo del motore che inquinava l’aria con il suo ronzio e il casco integrale in testa.

Era chiaro che tutto quel trambusto serviva solo a richiamarla, ma non era solo l’attenzione della ragazza che Mello era riuscito ad attrarre.

Sayu?” La voce di sua madre non si fece attendere dal piano di sotto. Il tono con cui l’aveva chiamata era chiaramente di rimprovero, come se avesse detto anziché il suo nome ‘Spero per te che questo non sia il tuo ragazzo!’. Sayu dovette ammettere che se fosse stata nei panni della madre, avrebbe pensato la medesima cosa.

Si affrettò a scendere. Il cuore le galoppava nel petto, ma non era paura, affatto. Era una sensazione strana, piacevole e disagevole al contempo. Avrebbe persino osato dire che era felice di vedere quel ragazzo un’altra volta ancora.

Sayu!” ripeté la madre e la giovane le rivolse un sorriso tirato ma rassicurante.

“È solo un… amico” aveva esitato, ma in effetti non poteva dire a sua madre la verità sull’identità del motociclista e al contempo nemmeno lei sapeva di preciso come definirlo.

Sachiko non sembrò molto convinta della risposta: in fondo era stata giovane pure lei e sapeva bene quale potere ammaliante aveva una bella e pericolosa moto sulle ragazzine. Si fidava di sua figlia e non le aveva mai dato alcuna delusione in nessun campo, ma stava crescendo ed era come se solo in quel momento la mamma si fosse accorta che davanti a sé non aveva più una bambina, ma una ragazza in procinto di sbocciare nella donna che sarebbe diventata in futuro.

Sayu uscì di casa e si premurò di chiudere la porta, anche se sapeva che sua madre avrebbe potuto vedere tutta la scena dalla finestra del soggiorno. Si avvicinò a Mello e questi nel frattempo spense il motore della moto e si tolse il casco, rivelando così quella chioma color grano che tanto affascinava Sayu. Abbassò persino gli occhi, come se temesse che da essi potesse trasparire qualche sentimento inopportuno: non poteva negare che fosse davvero un bel ragazzo, nonostante tutto.

“Ciao” esordì lei. Se avesse potuto si sarebbe schiaffeggiata da sola: sembrava una scolaretta alle prese con la sua prima cotta.

“Ieri non ti ho detto una cosa molto importante, una cosa che è giusto tu sappia.”

Sayu sollevò di scatto la testa a quelle parole che non presagivano nulla di buono. Il ragazzo le porse una lettera e lei con mani tremanti l’afferrò. Prima che potesse aprirla, Mello la fermò posando la mano sinistra sulle sue. Avrebbe voluto togliersi i guanti per godere a pieno di quel contatto fugace. “Dopo che me ne sarò andato.”

O-ok.”

“Ieri mi hai chiesto di non morire: perché?”

La domanda colse la ragazza talmente alla sprovvista che lei sussultò come se fosse stata attraversata da una piccola scossa elettrica. “La mia risposta cambierebbe qualcosa?”

“No, ormai ho deciso e non ho intenzione di tirarmi indietro. Consideralo l’ultimo desiderio di un condannato.” Ogni sillaba suonava tetra come il rintocco di una campana che suoni ad un funerale. Sayu avrebbe voluto piangere, ma le lacrime avrebbero trasformato quell’addio in qualcosa di più orribile di quanto già non fosse.

Se era il suo ultimo desiderio, allora non aveva nulla di cui vergognarsi o temere. “Perché mi hai salvato la vita due volte e perché sei disposto a sacrificarti per catturare Kira e così mio padre verrà vendicato e questo vuol dire che sei un ragazzo buono e…” frenò la fiumana di parole, titubante se aprirsi completamente a lui o meno, infine decise di lasciare liberi i suoi pensieri senza più arrestarli, “… e perché mi piaci, un po’, e io non voglio vederti morire per colpa di Kira, l’assassino che ha ucciso anche mio padre: non potrei sopportarlo.”

Mantenne gli occhi fissi sulla punta delle proprie scarpe marroni in attesa di un qualsiasi responso da parte del ragazzo.

Per la prima volta in vita sua, Mello si sentì bene.

Avrebbe voluto dirle grazie, ma lei non avrebbe compreso. Le afferrò il mento tra l’indice e il pollice, le sollevò il viso fino ad incrociare i loro sguardi. Le si avvicinò e Sayu, benché stupita e un po’ timorosa, non si scansò. Il profumo del cioccolato l’aveva stregata e il sapore che percepì sulle labbra di lui era sublime.

Non era il suo primo bacio, ma non aveva mai provato una sensazione così intima e avvolgente in vita sua. Un formicolio le saettò lungo la spina dorsale.

E poi il giovane straniero si allontanò, si infilò il casco, riaccese il motore e ripartì.

Anche se era rimasta preda del languore, Sayu era riuscita scorgere un sorriso felice sul viso di Mello. Osservò il tratto di strada che aveva percorso prima di svoltare l’angolo e svanire dalla sua vista. Si ricordò della busta che ancora stringeva in mano. L’aprì e le poche righe che vi lesse le fecero così male da liberare finalmente quelle lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento.

 

Avrei dovuto dirti questo già ieri, ma non avrei sopportato di vedere nei tuoi occhi il disprezzo e l’odio che di certo questa verità susciterà in te.

Tuo padre è morto per colpa di Kira, ma sono stato io a ucciderlo.

Penserai che sono un vigliacco a dirtelo ora e in questo modo così brutale, ma tuo padre non è morto invano e se sono sopravvissuto è solo per assicurare Kira alla giustizia con il mio sacrificio.

Odiami pure e non avere più paura da oggi in poi.

Addio.

 

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 

Note dell’autrice

Ultimamente non riesco più a scriverli i finali XD Di fatti speravo di concludere un’altra long ma ahimè mi sono accorta che mi occorre ancora un capitolo per farlo e anche questa ha rischiato di allungarsi troppo ma alla fine ho trovato il modo di rispettare i tre capitoli, anche se questo è venuto leggermente più lungo dei precedenti.

Alla fine forse sono andata un po’ in OOC con Mello, ma ci tenevo troppo a concludere così la storia, quindi perdonatemi se ho stravolto il suo carattere coriaceo >.<

Francamente non mi aspettavo un tale successo per questa minilong, insomma la coppia non è certo tra le più gettonate del fandom, anzi, ma le vostre recensioni sono state meravigliose, dico sul serio *.* Avete fatto la gioia di questa autrice :3

Ringrazio immensamente le 2 persone che l’hanno inserita nelle preferite, le 9 nelle seguite e l’1 delle ricordate e non dimenticate di lasciarmi il vostro parere per quest’ultimo capitolo! Grazie a tutti! Alla prossima fanfic spero ;D

 




Questa fic partecipa alla challenge indetta da starhunter Vitii et Virtutis, i vizi e le virtù.

Image and video hosting by TinyPic
   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: redseapearl