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Autore: Angel666    20/04/2012    4 recensioni
“E’ solo un gioco per te?” chiese lei.
“Esatto. Non è nient’altro che una partita; e io sono disposto a tutto pur di vincerla.”
Il caso del Serial Killer di Los Angeles raccontato dal punto di vista di un ostaggio molto speciale. Cosa lega la ragazza all'assassino? Quali piani ha in mente per lei? Quando giochi in nome della giustizia si trovano sempre pedine sacrificabili, l'importante è conoscere le regole del gioco e non venire eliminati. Please R&R!
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, Beyond Birthday, L
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Aprì gli occhi di scatto, dopo l’ennesimo incubo che aveva tormentato il suo subconscio; era dai tempi dell’orfanotrofio che non le capitava di averne così tanti. Faceva un caldo terribile, i capelli erano attaccati alla fronte e la gola secca reclamava acqua, eppure Rumer non fece nulla per afferrare la bottiglia tiepida accanto al suo ginocchio.
Era sdraiata sul pavimento sporco immobile, intenta a fissare il soffitto bianco ripensando al suo sogno: ogni volta finiva con un paio di occhi rossi che la scrutavano nel buio.
Una settimana era passata, e ancora non era accaduto nulla di significativo che potesse farle intendere che Ryuzaki avesse ucciso la terza vittima. Aveva fatto male i suoi calcoli, eppure non poteva dirsi davvero pentita per la scelta che aveva preso.
Per tutta la vita, fin da quando ne aveva memoria, non aveva fatto altro che seguire passivamente il corso degli eventi, senza mai prendere una decisione o combattere per qualcosa. L’unica volta che era successo era stato a quattordici anni, quando era scappata da quel posto orribile che non era mai riuscita a chiamare casa.
Anche quella volta, quando era partita per gli Stati Uniti, non aveva in mente un piano preciso: si sarebbe trovata un lavoro qualsiasi e dopo un po’ si sarebbe spostata in un altro posto e avrebbe ricominciato tutto da capo.
Costruirsi una vita comportava non solo energie, ma anche parecchie responsabilità. E poi per cosa? Aveva già perso tutto una volta e non voleva ricascarci ancora. Faceva troppo male. Se non possiedi nulla non puoi perdere nulla.
Eppure adesso le era venuta una terribile voglia di fare qualcosa di importante, senza più scappare. Che senso aveva avuto rinunciare a tutto se era finita dov’era ora? Se mai fosse uscita viva da quella situazione, non avrebbe più avuto paura di niente. Forse per questo avrebbe dovuto ringraziare Ryuzaki, pensò sarcastica.
Un rumore la distolse dai suoi pensieri, l’assassino doveva essere rientrato. Dopo l’episodio del bacio si erano comportati come se nulla fosse successo, vedendosi solo per lo stretto necessario e parlando ancora meno.
Rumer si era imposta di non pensarci: le veniva la nausea anche solo all’idea del sapore delle fragole.
Era quasi del tutto certa che quel pazzo stesse pensando a suo fratello mente la baciava.
Allora perché le era sembrato che ci fosse quasi rimasto male quando lei lo aveva allontanato? Non poteva dirlo con certezza, dal momento che Ryuzaki era espressivo quanto un muro bianco, eppure aveva scorto come una scintilla di delusione nei suoi occhi. Forse era dovuta al fatto che avesse perso in qualche modo il suo autocontrollo. Più ci rifletteva, più si rendeva conto che quel gesto era stata una semplice violenza nei suoi confronti; Ryuzaki voleva tracciare nuovamente i confini e ricordarle quel’era il suo posto. Lei gli apparteneva, aveva osato sfidarlo confidando che non l’avrebbe uccisa e lui l’aveva umiliata, dimostrandole quanto fosse debole in realtà. Per lui Rumer era un semplice surrogato di L, e questo lei non riusciva a sopportarlo.
Il soggetto dei suoi pensieri fece il suo ingresso in quel momento. L’odore ferroso e nauseante del sangue le colpì subito le narici, facendole girare la testa.
Stava per chiedergli se fosse per caso ferito, anche se all’apparenza sembrava stare benissimo, quando un particolare agghiacciante le bloccò il fiato in gola.
Tra le mani Ryuzaki reggeva quello che a tutti gli effetti era un braccio umano.
Il killer seguì lo sguardo sconvolto della ragazza e le rivolse un mezzo sorriso “Ti presento Backyard Bottomslash. Vuoi forse stringerle la mano?”
Stava davvero scherzando su una cosa del genere? “Tu sei completamente pazzo.” Sussurrò Rumer, reprimendo a forza un conato di vomito.
“Pensavo che questa fosse una cosa appurata da tempo ormai.” Rispose lui non curante.
“Che diavolo vuoi farci con quel braccio?” chiese con voce strozzata, mentre lui ficcava l’arto in una busta di plastica nera.
“Ho intenzione di disfarmene al più presto, tranquilla. Non potevo lasciarlo sulla scena del crimine e così ho pensato di portarmelo dietro; ma di certo non posso metterlo in frigorifero. Quello è un comportamento più alla Hannibal Lecter, non ti pare?”
“Ah certo, tu invece oggi ti sei ispirato a Jack lo Squartatore!” strillò.
“No, non direi. Lui faceva fuori prostitute, invece la signorina Bottomslash era una rispettabilissima impiegata.”
Rumer non riusciva a staccare gli occhi da quella busta nera dall’altro lato della stanza. Aveva fatto in tempo a notare che al polso era legato un bell’orologio in metallo, eppure Ryuzaki non lo aveva preso, lasciandolo invece al suo posto.
Più andava avanti con gli omicidi, più questi venivano commessi con una violenza inaudita.
Quella povera ragazza le face quasi più pena di Quarter Queen; chissà che altro aveva combinato al suo cadavere quel pazzo maniaco!
Ryuzaki sembrava di ottimo umore.
“Che bisogno c’era?” lo apostrofò la ragazza con rabbia.
“Oramai dovresti conoscere il mio modus operandi, Rumer. Questo non è nient’altro che un indizio. Se i miei calcoli sono esatti, da domani l’uomo mandato da L dovrebbe farsi vivo: a questo punto non dovrebbero esserci più dubbi sui collegamenti degli omicidi. Questo implica che tra poco ci dovremo salutare.”
Un brivido corse lungo la schiena della ragazza.  E se fosse stata lei la prossima vittima?
Ryuzaki aveva detto che le serviva viva, ma non aveva specificato per quanto le sarebbe servita.
Scacciò in fretta quel pensiero e guardò in silenzio l’uomo uscire di casa con quella busta nera, senza che le venissero fornite ulteriori spiegazioni.
 
Quando Ryuzaki rientrò, la notte era già calata da un pezzo. Le portò della pizza su un cartone e si accucciò di fronte a lei, come non faceva da parecchio tempo.
“Non ho molta fame, lo spettacolo di prima mi ha leggermente chiuso lo stomaco.” Sibilò la ragazza.
“Come preferisci.” Rispose tranquillamente lui, afferrando un pezzo e addentandolo con gusto.
“Che c’è?” chiese, di fronte allo sguardo curioso della prigioniera.
“Credevo che mangiassi solo marmellata di fragole.”
Lui ridacchiò leggermente “A quest’ora sarei morto, non credi?”
Effettivamente era stato un pensiero stupido.
“Non mi chiedi i particolari dell’ultimo omicidio? Magari potresti provare a salvare la prossima vittima.” La canzonò.
“E se la prossima vittima fossi io?” decise di dare voce ai suoi dubbi.
Ryuzaki smise improvvisamente di masticare “Che cosa te lo fa pensare?”
“Hai detto che tra un po’ dovremo separarci, mi è sembrato piuttosto logico.” Rispose rivolgendo lo sguardo verso la grande finestra. “Cosa mi farai, mi sparerai? O magari mi farai morire di stenti? Non penso sarai così magnanimo da avvelenarmi coi sonniferi.”
“Non sono discorsi da fare mentre si mangia.” Disse Ryuzaki storcendo la bocca.
“Come diavolo fai?” Rumer si accorse di avere la voce incrinata dalla rabbia “Dimmi come riesci a far finta di nulla! A cosa pensavi mentre la facevi a pezzi eh?” non avrebbe pianto, non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di vederla così vulnerabile per la paura.
“A niente. E’ stato un semplice esperimento.” Disse lui serio.
“Stiamo parlando di una vita umana!”
L’uomo la guardò in silenzio, come per dire ‘tanto tu non capiresti’.
“Non spararmi la solita storia del fatto che tanto sarebbe morta comunque.” Sibilò.
“Non posso e non voglio convincerti del contrario.”
“Non sarebbe certo morta così…”
“Che importanza ha il modo in cui si muore, se tanto bisogna morire lo stesso?” chiese Ryuzaki.
“Bè, se io potessi scegliere preferire non essere tagliata in pezzi!”
“Lo terrò a mente. E dimmi, se potessi sapere il giorno preciso in cui morire, lo vorresti sapere lo stesso?” la stava mettendo alla prova, ne era certa. Aprì la bocca, ma la richiuse subito dopo guardando fissa nel vuoto.
“No, non credo che vorrei saperlo. Perché, tu me lo diresti in ogni caso?” sussurrò.
“No. E’ una cosa che non ho mai detto a nessuno, ma ero curioso di sapere la tua risposta.”
“Per quale motivo? Tanto hai detto che se una persona è destinata a morire quel giorno non si può fare nulla per cambiare le cose.”
“Nessun uomo è in grado di vivere una vita normale sapendo il giorno in cui morirà. Non solo potrebbe essere attanagliato dalla paura, ma vivrebbe ogni momento pieno di intensità, come se fosse l’ultimo. E’ una cosa che può farti andare fuori di testa.” Spiegò.
“Questo lo vedo.”
Ryuzaki fece un sorriso amaro “Avere a che fare con la morte da quando si è nati non è una bella cosa, credimi. Sapere in quale istante preciso sarai costretto a perdere le persone che ami condiziona terribilmente il tuo rapporto con la gente. Io l’ho imparato a mie spese.”
Non le faceva mai confessioni di questo genere, per questo Rumer rimase colpita dalle sue parole. Nonostante il suo viso fosse come al solito una maschera di cera, il suo sguardo tradiva una tristezza infinita, in grado di risucchiarti nel suo baratro.
“Dimmi perché, voglio provare a capire.” Insistette.
Ryuzaki la guardò a lungo con quei suoi occhi rossi sangue, come a voler prendere realmente in considerazione la sua proposta. Sospirò.
“Quando sono nato ero un bambino piuttosto normale sai? Avevo una bella casa e una famiglia che mi voleva bene. Anche se a scuola avevo pochi amici, le maestre mi adoravano per la mia intelligenza spiccata.
In tutto questo quadro di perfezione, l’unica nota stonata erano i miei occhi.
All’inizio credevo che fosse normale vedere nomi e numeri fluttuare sopra la testa delle persone, ma quando mi resi conto che gli altri non potevano vederli iniziai a spaventarmi. Non ne capii immediatamente il senso, fino a che una mattina mi accorsi che i numeri sulla testa di mia madre erano pericolosamente vicini allo zero.
Come un conto alla rovescia, hai presente? Ebbi un terribile presentimento quel giorno, ma mi resi perfettamente conto di non poterle spiegare razionalmente le mie paure, così la lasciai andare al lavoro. Non tornò mai a casa.*
Il treno su cui viaggiava deragliò e lei perse la vita in quell’incidente. Come puoi immaginare la notizia mi sconvolse parecchio, perciò quando qualche anno dopo mi accorsi con terrore che i numeri sulla testa di mio padre stavano calando vertiginosamente mi imposi di salvarlo, e feci di tutto per non farlo partire per un viaggio di lavoro piuttosto importante che aveva programmato da mesi.
Ma i numeri non si fermarono, continuarono a scendere lo stesso. Morì per mano di un rapinatore, al negozio all’angolo della strada dove vivevamo. Lo stesso identico giorno in cui avrebbe dovuto trovarsi dall’altra parte del Paese.
Adesso capisci che cosa intendo quando ti dico che se una persona è destinata a morire tu non puoi fare nulla per cambiare la sua sorte? Credo che tu possa accorciare una vita umana, ma non allungarla.
Non guardai più in faccia nessuno per molto tempo. La gente credeva che fossi impazzito e mi rinchiusero in un istituto psichiatrico per un periodo, fino a che non venne a prendermi Wammy per portarmi in quella sua scuola di fenomeni da baraccone. Il mio posto insomma. Se non altro avevo un nuovo obiettivo per vivere: incarnare la giustizia e vendicare la morte di mio padre. Ironico, se pensi a come sono finite le cose.” La sua risata gelida riempì l’aria.
Rumer non seppe cosa dire, ogni volta che credeva di essersi fatta un’idea su di lui, questa veniva puntualmente sgretolata, come sabbia bagnata. Sapeva che Ryuzaki non le aveva raccontato quelle cose in cerca di pietà, ma solo perché lei capisse la questione.
Certo, il suo passato non giustificava l’uomo che era diventato adesso; ma lei come avrebbe reagito al suo posto? Avrebbe retto tutto quello che il ragazzo aveva dovuto affrontare senza cedere? Probabilmente no.
Restarono in silenzio qualche minuto, ognuno perso nei propri pensieri, finché Rumer decise di cambiare argomento.
“Come fai ad essere tanto sicuro che proprio domani interverrà L?” chiese.
“Te l’ho detto, in tutti questi anni ho imparato il suo modo di ragionare. Anche se tu non te ne sei accorta, c’è stata una sequenza precisa nei giorni in cui sono avvenuti gli omicidi, e vari indizi che ho lasciato stanno ad indicare quanti ancora ne mancano.
L è rimasto per troppo tempo ad aspettare nell’ombra, e il delitto di oggi gli ha dato tutte le conferme di cui aveva bisogno. Sono piuttosto ottimista al riguardo, l’attesa stava diventando sinceramente estenuante. Ad ogni modo, domani vedremo chi ha ragione.”
 
Com’era prevedibile Rumer non riuscì a chiudere occhio tutta la notte. Nelle narici aveva ancora impregnato il forte odore di sangue, e ogni volta che provava a dormire, l’immagine del braccio mozzato la coglieva a tradimento. Maledetto Ryuzaki!
Il ragazzo era uscito prima dell’alba, come al solito, senza degnarla di uno sguardo.
Rumer pensò al detective che avrebbe scelto L per risolvere il caso. Sarebbe stato abbastanza sveglio da cogliere tutti gli indizi seminati dall’assassino? Probabilmente si.
Suo fratello non era uno stupido, e come tale si circondava solo di persone estremamente intelligenti.
Si era chiesta per quale motivo non avesse voluto intervenire di persona in un caso così delicato: in fondo l’assassino era pur sempre un ex allievo della Wammy’s House, e se a lungo andare la stampa (sicuramente interessata alla serie di omicidi che tingevano di rosso la torrida estate californiana) avrebbe scoperto qualche cosa in più del dovuto, ci sarebbe andato sicuramente di mezzo anche il detective.
La ragazza era dell’idea che i panni sporchi vanno sempre lavati in casa, e in fretta anche.
Ma poi aveva ripensato a quello che Ryuzaki le aveva detto una delle prime volte che le aveva parlato di L: se gli fosse successo qualcosa, la criminalità nel mondo sarebbe salita almeno del 10%, ed era un rischio che lui di certo non avrebbe potuto correre. Evidentemente riteneva Ryuzaki un avversario abbastanza periocolo.
Doveva anteporre la sua incolumità a qualsiasi cosa, dal momento che in fondo L, per quanto geniale, era pur sempre un essere umano in grado di correre pericoli come tutti, se non di più. E poi essendo il detective numero uno al mondo, probabilmente stava seguendo in parallelo parecchi altri casi oltre a quello. Sospirò, era ancora difficile per lei far coincidere l’immagine di suo fratello con quella di L.
Dopo alcune ore si accorse di bruciare dalla curiosità per quello che stava accendo alle indagini. In fondo Ryuzaki era l’unica finestra che aveva sul mondo esterno, e parlare con lui era l’unica distrazione nelle sue monotone giornate.
Dovette aspettare fino a sera per vederlo rientrare.
Lo vide afferrare in fretta il classico barattolo di marmellata e raggiungerla. Al contrario di quello che si aspettava, non si accucciò davanti a lei, ma prese a misurare la stanza a grandi falcate.
“Sapevo che L non mi avrebbe deluso!” esordì eccitato “Naomi Misora, agente dell’FBI in congedo momentaneo. E’ perfetta per questo compito: ha carattere e cervello, mi piace.”
Una donna? Non seppe spiegarsi perché la notizia la infastidì di colpo, ma fu ben attenta a non mostrare segni di disappunto all’esterno.
“Che cosa ha scoperto?” chiese invece.
“Ha praticamente risolto il primo omicidio, anche se l’ho aiutata in alcuni passaggi. Ho persino sentito che parlava al telefono con L. Non sospetta di me però, anche se non devo averle fatto un’ottima impressione.” Ridacchiò “Tutto sta procedendo secondo i piani: nella peggiore delle ipotesi L si sarebbe potuto servire di più di una persona, invece in questo modo mi sarà molto più facile manipolarla.” Un  ghigno malvagio gli si dipinse sul viso “Dopodomani la incontrerò di nuovo nell’appartamento di Quarter Queen. Ho tutto il tempo necessario per studiare le mie prossime mosse.” Rumer distolse lo sguardo amareggiata.
Il ragazzo allora si inginocchiò davanti a lei e le accarezzò piano una guancia, lasciando una scia rossa e appiccicaticcia al suo passaggio “Non fare quella faccia, tu sei stata molto più brava di lei. Hai indovinato tutto senza neppure vedere la scena del crimine e i rapporti della polizia.”
Se era un modo per rincuorarla, stava fallendo miseramente. Ruotò di scatto la testa, ignorando il suo complimento. “Quante possibilità ci sono che risolva in fretta il caso?”
“Meno del 40%, anche se è aiutata da L.” Rispose lui dopo averci pensato un po’.
“Come, ma non è quello a cui stai mirando?” chiese sorpresa.
“Ti sbagli. Io sto puntando ad un caso irrisolvibile. Voglio che Misora capisca i collegamenti che ci sono tra i primi omicidi, ma non che sia in grado di mettere insieme tutti i pezzi alla fine.”
Rumer non riusciva a seguirlo:e tutta quella storia sulla vendetta allora che fine aveva fatto?
“Non guardarmi in quel modo, non ti fa sembrare intelligente.” La rimproverò Ryuzaki, portandosi altra marmellata in bocca.
“Hai detto di voler far sapere ad L che ci sei tu dietro a tutta questa storia!” sbottò, ignorando il suo commento poco carino.
“Esatto. Lui già lo sospetta, per inciso. Quello che al momento non sa, o che comunque non può dimostrare, è che il detective privato e l’assassino sono la stessa persona.” Spiegò.
“E quanto pensi che ci metterà a capirlo?” chiese sarcastica.
“Non molto ma non potrà dimostrare nulla. Ho avuto 5 anni per organizzare perfettamente questo piano. Pensi che sia stato così stupido da lasciare dettagli in giro? Mi sono fatto regolarmente assumere dalle famiglie delle vittime per indagare sulle loro morti.”
Rumer lo guardò orripilata. Le famiglie avevano riposto tutte le loro speranze nell’assassino dei loro cari?
“Sei davvero senza scrupoli.”
“Mi fa piacere sentirtelo dire.” Ghignò.
“Quindi tu vuoi collaborare con Misora e aiutarla nelle indagini senza farle capire che sei l’assassino. Ma allora perché parli di caso irrisolvibile? Se continuerai ad uccidere loro se ne accorgeranno prima o poi.”
Ryuzaki diede un ultima lappata al suo dito “Non manca molto in realtà. Sono sicuro che se ti sforzi ci arrivi anche da sola; in fondo hai tutti gli elementi per capirlo.”
 
Rumer provò a rifletterci nelle ore seguenti, ma non riusciva a concentrarsi davvero.
Il nome di Naomi Misora continuava a ritornare a galla nella sua mente.
Che diavolo le stava succedendo? Era forse gelosa?
Aveva sentito parlare di Sindrome di Stoccolma, ma non pensava di essere talmente cretina da cascarci in pieno.
In quei casi la vittima provava un forte attaccamento emotivo nei confronti del proprio carnefice, soprattutto se l’agonia era prolungata nel tempo, perché si veniva a creare un rapporto di dipendenza esclusivo, che garantiva la sopravvivenza del prigioniero.
Esattamente quello che era successo a lei: era incatenata in quella stanza da più di quindici giorni, e per quanto Ryuzaki l’avesse torturata, se era ancora viva era solo grazie a lui.
Razionalmente sapeva di non essere più che una mera pedina nelle sue mani, che lui la stava manipolando psicologicamente per prendersi gioco di L; però poi c’erano momenti d’intimità come il discorso del giorno prima sui suoi genitori o il bacio che lui le aveva dato, e il suo orgoglio si rifiutava di accettare una simile spiegazione.
Forse stava finalmente impazzendo, oppure questo processo era totalmente normale da dimostrare che lei in fondo era del tutto sana.
Sospirò.
Doveva tenere la mente occupata il più possibile per evitare di porsi domande scomode.
 
 
*il fatto che la madre di B sia morta per un incidente ferroviario e il padre venne ucciso da un rapinatore è scritto in Another Note.

   
 
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