Quello stupido cretino deficiente!! Come poteva comportarsi
così?!?
Dopo la sua grandiosa uscita di scena avrei voluto
sotterrarmi. E il peggio era che non riuscivo a trattenermi io stessa dal
rispondere come una scema alle sue provocazioni! Era più forte di me, nessuno
riusciva a mandarmi in bestia come lui.
Tornai a casa di pessimo umore. Entrai sbattendo la porta e
buttando con malagrazia lo zaino in un angolo non precisato della casa. Con un
sospiro, mi lasciai cadere sul divano e mi misi un braccio davanti agli occhi,
come facevo sempre quando ero stanca.
- Ehi! – chiamai da quella posizione – c’è qualcuno?
Nessuna risposta. Strano, eppure sia Davide che Sara
sarebbero dovuti essere a casa.. non feci nemmeno in tempo a finire di pensare,
che mi ritrovai schiacciata contro il divano da una specie di bue.
- Aaaaahia!!! – gridai, divincolandomi – spostati,
cerebroleso.
Sentii la sua risata nelle orecchie e questo mi fece
arrabbiare ancora di più.
- Grr, spostati, ho detto! – ordinai, cercando di sembrare
autoritaria.
Questo sembrò divertirlo ancora di più, tanto che cominciò a
farmi il solletico:
- Come sta la mia sorellina, oggi? – mi gridò nelle orecchie,
facendomi mio malgrado ridacchiare.
- Come vuoi che stia, mi sembra di aver sempre più cose in
comune con le sogliole e di poter sbranare anche mia madre, tanta è la fame.
Finalmente, quel peso morto si decise ad alzarsi e ripresi a
respirare.
- Dai vieni che è pronto, piagnona – disse, porgendomi la mano
per aiutarmi ad alzarmi.
- Ottimo! – esultai – che si mangia?
- Lasagne – ghignò lui, perfido.
- Cosa?! – esclamai, orripilata.
Okay, probabilmente mi prenderete per matta, ma è così.
Credo di essere l’unica italiana –in realtà, l’unica in generale, esclusi i
vegetariani- a non sopportare le lasagne. Non riesco a spiegarmi il perché di
quest’odio, dato che adoro alla follia la pasta al ragù, ma quell’ammasso
informe di pasta, carne e besciamella mi dà il voltastomaco. Forse è proprio
perché è così complicata che non riesco a mangiarla: preferisco di gran lunga
le cose più semplici.
- Eh già, mi dispiace – scrollò le spalle quel bastardo che mi
ritrovavo per fratello, mentre si sedeva a tavola e tagliava un quadro di quel
cibo tanto odiato per sé e per mia sorella, che sarebbe arrivata a momenti.
Restai a guardarlo, allibita ed arrabbiata. Continuai a
fulminarlo, mentre lui mi ignorava con intenzione, portandosi con studiata
lentezza un boccone alla bocca e masticandolo con soddisfazione.
- Mmm, che bontà! – mugolò, ad occhi chiusi con un sorrisetto
bastardo a increspargli le labbra.
- Io ti odio – sbottai, stringendo gli occhi a fessura.
Perfetto, ci mancava anche questa. Ora mi tocca pure farmi
il cibo da sola.
Mi diressi in cucina, borbottando tra me e me e lanciando
contro Davide quanti più anatemi possibili. Gli stavo ancora inveendo contro
quando notai un piatto poggiato sull’isola della cucina, con un altro piatto
capovolto sopra, come si fa quando si vuole tenere al caldo qualcosa. Lo
scoperchio in fretta e un sorriso mi illumina il volto: spaghetti al pomodoro.
Ve l’ho detto che sono una che ama le cose semplici, no?
Corsi in sala e saltai letteralmente addosso al mio
fratellone:
- Grazie Dave! Ti voglio bene! – esclamai, schioccandogli un
grosso bacio sulla guancia.
- Sì, sì – borbottò lui, con un mezzo sorriso – ruffiana.
Proprio in quel momento la porta si spalancò nuovamente,
facendo entrare mia sorella Sara, la piccolina di casa e l’artista di famiglia.
- Ehi ragazzi! Che si mangia? – esclamò, entrando in sala con
il suo solito sorriso tranquillo e i ricci castani ad incorniciarle il volto.
Di noi tre era di sicuro quella più calma e timida. Certo,
con noi non si faceva problemi ovviamente, ma con gli altri era molto pacata,
ci voleva un po’ prima che si sciogliesse e –anche quando lo faceva- non esagerava
mai, per sua propria indole.
Un po’ il contrario di me e Davide, che eravamo molto più
esuberanti.
- Lasagne, dolcezza – annunciò Davide, facendole segno di
sedersi – a parte la pecora nera di famiglia, ovviamente – aggiunse.
Gli risposi con un linguaccia, ulteriore dimostrazione della
mia maturità, che lo fece ridacchiare.
Sara, a dimostrazione di quanto fosse diversa da me, prima
si tolse il cappotto e lo appese ordinatamente nell’armadio, ripose lo zaino
all’inizio del corridoio e poi si diresse a passo tranquillo verso di noi,
accompagnata dal suo solito sorriso da Monna Lisa.
- Beh, buon appetito! – augurò Dave, cominciando a
strafogarsi.
Dopo nemmeno cinque minuti, i piatti erano lucenti come se
non fossero mai state usate. Una delle caratteristiche della famiglia Terreni
era quella di essere delle fogne (per essere buchi senza fondo, non per la
puzza o, almeno, si sperava).
- Allora, com’è andata oggi? – chiesi, tanto per fare un po’
di conversazione.
- Oh, il solito – rispose Sara, sbuffando – siamo ancora alla
teoria.
Mia sorella frequentava il secondo anno della scuola d’arte.
Aveva un enorme talento, e le mani perennemente macchiate d‘inchiostro e l’aria
sempre un po’ svagata propria di tutti gli artisti, che le donava un fascino
incredibile. Certo, anche io avevo quell’espressione spesso e volentieri, ma di
solito la mia era sbadataggine e non il concepimento di qualche grandiosa
opera. In più, la mia aria sognante ricordava più quella di un merluzzo al
bancone del pesce, mentre quella di Sara –grazie ai suoi ingenui occhi blu-
sembrava più quella di una bambina indifesa. Questo solitamente attivava nel
DNA dei ragazzi il loro gene da cavalier servente, e infatti cadevano tutti ai
suoi piedi.
- Dai, vedrai che tra poco passerete alla pratica – cercai di placarla.
Mia sorella odiava studiare la teoria delle tecniche di
disegno e smaniava per passare subito alla pratica, dicendo che era inutile e
che l’arte bisognava sentirla, non studiarla. Anch’io ero d’accordo con lei,
anche se capivo che lo studio aveva la sua importanza.
- Lo spero – sbottò lei, scura in volto.
- A te invece com’è andata? – chiese, rivolta a nostro
fratello.
Mio fratello era al primo anno di università e studiava
architettura, materia che per me aveva dello fantascientifico.
- Il solito – disse con una scrollata di spalle – non sto qui
a spiegartelo perché ho come l’impressione che altrimenti il neurone di tua
sorella farebbe harakiri – aggiunse, provocatorio.
Davide ed io ci punzecchiavamo sempre, in continuazione,
mentre Sara faceva da calmante, scongiurando così l’avvento di eventi
catastrofici, come tsunami o terremoti di magnitudo sette.
- Il mio neurone, insieme alla sua numerosa prole, potrebbe sì
fare harakiri, ma solo per la noia – risposi, velenosa – sai, a sentirsi sempre
ripetere le tabelline e le sottrazioni ci si stufa – aggiunsi, con un sorriso
dolce come fiele.
Davide stava per rispondere con una delle sue, quando il
citofono misi fine a quella piccola diatriba familiare.
- Chi è? – chiese Sara, rispondendo al telefono – è.. Jessica?
– sussurrò rivolta verso di noi, con aria interrogativa e un po’ confusa. In
effetti, nemmeno io sapevo chi fosse quella ragazza, anche se qualche sospetto
già ce l’avevo – è per te – aggiunse infatti lei, rivolta verso Dave.
Dave la guardò scarsamente interessato:
- Dille che non ci sono – disse, lanciandomi poi addosso un
pezzo di pane.
Scattai immediatamente, saltandogli addosso e rovinando per
terra con lui, iniziando una lotta all’ultimo sangue. Sara ci guardò, per poi
sospirare rassegnata e spiegare gentilmente alla ragazza dall’altro capo del
filo che in quel momento nostro fratello non era a casa.
Dopo aver appeso, marciò a passo di carica verso di noi e si
fermò davanti alla massa informe che avevano preso i nostri corpi,
attorcigliati in una strana, contorta posizione.
- Dave, non puoi fare così – cominciò, battagliera, facendomi
tirare un sospiro di sollievo per non essere io la causa delle sue filippiche,
almeno stavolta.
- Non ho fatto niente! – esclamò lui, da un punto imprecisato
vicino al mio piede – è lei che è più appiccicosa di una cozza allo scoglio!
- Non puoi comunque comportarti in questo modo! – sbottò lei,
arrabbiata – così le illudi e basta.. – proseguì, guardandomi negli occhi,
evidentemente convinta di parlare con Dave. La nostra posizione doveva essere
strana forte.
Sara si lanciò nella sua arringa femminista, mentre io
lasciai la sua povera vittima al suo destino, parcheggiandomi davanti alla tv.
- Grazie mille, eh! – sbottò lui, lasciandosi cadere accanto a
me sul divano e fregandomi il telecomando. Cambiò immediatamente canale, tanto
per rispettare il suo istinto viscerale di darmi fastidio, ma poi tornò sui
Simpson, dato che li adorava anche lui.
- E di cosa? Io condivido le opinioni di della Sira. Non vedo
perché dovrei difenderti e non vedo nemmeno il motivo di faticare nel
lamentarmi del tuo comportamento, dato che lo fa già lei egregiamente al posto
mio – esclamai soddisfatta, sistemandomi meglio sul divano.
Davide era praticamente il contrario di Sara. Dannatamente
bello e consapevole di esserlo, aveva una fila di ragazze che gli morivano
dietro più lunga della Muraglia Cinese. Con i suoi occhi verdi e il sorrisetto
sfrontato avrebbe fatto sciogliere anche un gelato in Alaska. Questo era,
ovviamente, quello che proclamavano a gran voce le mie amiche. Io, in qualità
di sorella e consapevole della sua natura cerebrolesa, non potevo essere
iniziata a certi misteri. Accidenti, che sfortuna.
- Vado a prepararmi – esclamai, alzandomi.
Davide non mi degnò nemmeno di uno sguardo, totalmente assorto
nel guardare Homer fare una delle sue cretinate, probabilmente cercando
l’ispirazione per emularne qualcuna.
Andai in camera mia e calzai il body nero e le calze,
infilandomi poi una tuta. Mi fece uno chignon e preparai il borsone. Stavo per
uscire, quando il grido di Sara mi fece tornare indietro di corsa.
- Che è successo?! – esclamammo in coro io e Davide,
accorrendo.
Inutile dire chi fosse la beniamina della famiglia.
- Agamennone sta male! – gridò lei, mostrandoci la boccia in
cui teneva il suo dannato pescerosso. Sorvoliamo sulla scelta del nome, per
favore. Non oso nemmeno immaginare come debba sentirsi il glorioso eroe greco
nel sapere che il suo nome è stato affibbiato ad uno stupido pesce.
Probabilmente si starà rivoltando nella tomba, ammesso e non
concesso che l’abbia avuta. Non venivano bruciati..?
- Ma che cos’ha? – chiese Dave, fissando la boccia.
Il pesce aveva degli strani scatti, da cui uscivano piccole
bollicine.
- Sembra quasi che abbia.. il raffreddore – esclamai, basita,
osservando Agamennone sputare un'altra fila di bollicine.
Davide scoppiò a ridere:
- Non dire cretinate, Dede! I pesci non hanno il raffreddore!!
- Oh, ma tu che ne sai? Sei un veterinario? – sbottai,
irritata – comunque, Sira, dallo a me, lo porto dal veterinario.
- Oh, grazie! Ti prego fa in fretta!!
Mentre sistemavo il pesce sulla moto, in modo che non
cadesse, sentii la voce di mia sorella gridarmi:
- Guarda che il nostro veterinario ha chiuso! Vai in quello
vicino alla tua palestra!
- Uffa, che palle – borbottai fra me e me – ci mancava solo
questa!
Nel giro di dieci minuti, avevo deposto Agamennone al
veterinario, un arzillo e simpatico vecchietto dai brillanti occhi azzurro
scuro, ero arrivata in palestra e avevo cominciato a scaldarmi.
Se c’era qualcosa in cui ero veramente portata e che mi
faceva stare veramente bene era la ginnastica ritmica. Faticavo come una
disperata, ma l’allenarsi fino allo sfinimento, fino a sentire i muscoli
urlanti e i tendini che chiedevano pietà mi riempiva di soddisfazione.
Sembrerò anche masochista, ma è la mia valvola di sfogo e
non l’avrei cambiata per niente al mondo.
Due ore e una doccia più tardi, avevo finito. Stavo per
uscire dalla palestra, quando venni fermata da Nicoletta, la donna che insieme
alla sua amica Marcella aveva fondato la nostra scuola di danza: lei sbrigava
le faccende economiche e burocratiche, mentre Marcella insegnava.
- Ehi Fede – mi chiamò, sorridendo.
Tra me e lei c’era un ottimo rapporto, la consideravo ormai
come una seconda madre.
- Dimmi.
- Avrei un problema.. Alexandra –hai presente la ragazza russa
che insegna ginnastica nel secondo corso?- è dovuta tornare a casa perché sua
madre non si sente bene, e adesso non riesco a trovare un rimpiazzo. Saresti
disponibile per qualche lezione?
Mi fermai e riflettei per un secondo: il secondo corso era
quello delle bambine, non mi avrebbe fatto faticare tanto e mi avrebbe portato
via solo un paio di ore alla settimana, quindi non vedevo preblemi.
- Certamente! – risposi, con un sorriso.
Vidi immediatamente il viso di Nico distendersi per il
sollievo.
- Grazie a Dio che ci sei! Non sai da quanti impicci mi hai
tolta!
- Ma figurati.. piuttosto, quand’è la prima lezione?
- Domani, dalle quattro e mezza alle sei. Devi solo mostrare
le basi e fare qualche gioco propedeutico, davvero, non farai alcuna fatica.
- Okay, va bene. A domani, allora! – salutai, aprendo la
porta.
- Ah Fede! – mi chiamò – per il compenso..
- Nico – la richiamai, arrabbiata – non ci pensare nemmeno.
- Ma..
- Niente ma. Ciao, ci vediamo domani.
Mi diressi velocemente verso la mia vespa e tornai dal
veterinario per vedere se Agamennone stesse meglio.
- Permesso – mormorai, spalancando l’uscio che si aprì con un
tintinnio – sono venuta per il pesce.. ancora tu?!
Ebbene sì, davanti ai miei occhi altri non c’erano se non il
mio incubo personale, la persecuzione fatta persona: Filippo Lombardi stava
leggendo un libro, bellamente stravaccato su una sedia dietro il bancone. Al
mio grido, alzò gli occhi e, non appena mi riconobbe, sorrise.
- Ehi, ci incontriamo sempre noi due, eh? Dev’essere il
destino – esclamò, mettendo da parte il libro che stava leggendo per venirmi
incontro.
- Già, l’importante è crederci – ringhiai – dov’è il
veterinario?
- Oh, non c’è –fece lui, innocente – ci sono io, per il
momento.
- E tu che cosa ci fai qui? – esclamai, alzando un
sopracciglio accigliata.
- Forse ci lavoro? – disse lui, ironico.
Mmm. Non ci credevo nemmeno se mi pagava. Non era il tipo da
lavorare in posti come questo, piuttosto avrebbe potuto fare il pierre per
qualche discoteca.
- Ma fammi il piacere. Non ci credo nemmeno se mi fai vedere il contratto che
lavori qui – ribattei – sei più il tipo che lavora in qualche bar o discoteca,
se proprio deve faticare.
- Non ti facevo così acuta, poliglotta – mi prese in giro lui,
avvicinandosi ulteriormente e facendomi innervosire non poco – mi hai fregato.
Mio nonno è il proprietario, e io ogni tanto vengo qui.
Stavo per chiedergli come mai, ma riuscii a tenere a freno
la lingua. Dopo tutto, che cosa mi interessava? Cercai di allontanarmi, ma lui
non me lo permise, schiacciandomi tra il mangime per i cani e quello per le
galline.
- Ma li tratti tutti così i clienti? Fallirete in poco più di
un mese, se è così! – sbottai, irritata.
- Come siamo acidi.. – mi riprese lui, scherzoso,
accarezzandomi una guancia e ricevendo un pollo di gomma in testa.
- Devo vedere un pesce – esclamai in fretta, liberandomi dalla
sua presa e girandomi a fronteggiarlo.
I suoi occhi azzurri si spalancarono ancora di più e
sembrarono quasi ridere, maliziosi e divertiti, ma anche terribilmente affascinanti.
- Perché, il tuo ragazzo non te lo fa vedere? – rise,
divertito, scoccandomi un’occhiata densa di sottintesi.
Lo guardai e mi resi conto del doppio senso: che cretina che
ero, con un maniaco simile in che situazioni mi andavo a cacciare!
- Deficiente – esclamai, cercando di mantenere la calma – questo non ti
deve interessare. Devo vedere il pesce di mia sorella, Agamennone.
- Scommetto che è una sardina – esclamò lui, con aria di
sfida.
- No, è un normale pesce rosso – dissi io, guardandolo in modo
strano. Perché si metteva a fare queste domande assurde?
- Parlavo del pesce del tuo ragazzo – ghignò lui.
Spalancai gli occhi e, incavolata come una biscia, gridai:
- Potrebbe anche essere un pesce spada, per quello che ti
riguarda, razza di maniaco pervertito! Come ti permetti? A malapena sai il mio
nome! – ringhiai, facendo d’istinto un passo verso di lui.
- No, non è vero – ribattè rapido, facendo a sua volta un
passo avanti – so che ti chiami Federica Terreni, che hai diciassette anni ma
ne fai diciotto a dicembre, hai una madre francese, un fratello maggiore di
venti e una sorella minore di quindici con un pessimo gusto nel dare il nome
agli animali; so che sei in quarta C, che ami la vespa, che ti piace leggere e
fare ginnastica ritmica e che non ti piace perdere tempo con dei rompiscatole, anche
se qui sono un po’ dubbioso, dato che stai con quell’Alex che, a proposito, non
ha di sicuro un pesce spada in dotazione – concluse lui, con un ghigno – quindi,
direi che ci conosciamo abbastanza bene, no?
Rimasi a bocca aperta, con il respiro corto e il battito
cardiaco accelerato in modo inspiegabile. Ero davvero sorpresa: come faceva a
ricordarsi tutto? Ero completamente nel pallone, non avevo la più pallida idea
di cosa dire, dato che mi aveva colto totalmente alla sprovvista; per fortuna,
a quanto pare Dio non si era dimenticato d me, perché accorse in mio aiuto.
- Fil! – esclamò una voce gioviale – non ci starai mica
provando con questa bella ragazza? – aggiunse, facendomi l’occhiolino.
Okay, forse avevo parlato troppo in fretta.
- Ciao nonno – ridacchiò Filippo, stringendomi a sé – stavamo facendo
una piacevole chiacchierata, vero Fede?
- Ehm.. già – balbettai io, divincolandomi e fulminandolo con
lo sguardo – potrei vedere Agamennone? Mia sorella è preoccupatissima.
- Certamente! L’ho messo nella boccia con Dolly. Sta benissimo,
tranquilla. Non mi era mai capitato di vedere un pesce raffreddato, sai?
Pescò con il retino il pesce, che non voleva saperne di
staccarsi dalla pesciolina dalle pinne azzurre:
Ecco a te, e tranquilizza pure tua sorella, il suo pesce sta
benissimo.
- Grazie mille, signore. Quanto le devo?
- Oh, nulla cara, non ho fatto niente! Chiamami pure Giovanni!
Siete compagni di scuola? – disse allegro, sventolando una mano.
- Sì – rispose Filippo, prima che potessi intervenire – e frequentiamo
un corso di orientamento al lavoro insieme.
- Oh, molto bene! Prima cominciate meglio è! Torna pure quando
vuoi o ti serve qualcosa, cara – mi salutò affettuosamente Giovanni, che
evidentemente mi aveva preso in simpatia.
- Grazie mille – sorrisi – arrivederci! Ci vediamo a scuola –
aggiunsi, molto meno calorosa, verso Filippo.
Stavo per partire, quando lui mi si parò davanti.
- Che c’è ora? – sbuffai.
- Niente. Mio nonno mi ha detto di darti questo – disse,
ficcandomi in mano del mangime per i pesci – fai attenzione mentre torni a casa.
Prima che potessi impedirglielo, si chinò veloce verso di me
e mi diede un bacio sulla guancia. Una strana sensazione di calore, data dalla
sua vicinanza, mi pervase, lasciandomi spiacevolmente raffreddata quando si
allontanò da me, con un sorriso soddisfatto a incorniciargli il volto – ci vediamo
a scuola – sussurrò, tornando poi dentro al negozio.
Restai scossa per tutto il viaggio verso casa.
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Bello lungo questo capitolo, eh?
Ma dovevo pur farmi perdonare.
Ecco i primi componenti della famiglia, che sono apparsi
quasi normali u.u
Filippo è ancora odiato o sta prendendo quota? :D
Comunque, io vi adoro! VI ADORO! Volete farmi morire, 6
preferiti, 2 ricordate e 13 seguite con 2 soli capitoli?!? Mi volete
sicuramente morta :D
Ditemi se questo capitolo vi è piaciuto, per favore!
Baci riconoscenti
watereyes