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Autore: Laura Sparrow    21/04/2012    1 recensioni
Quarto capitolo della saga di Caribbean Tales. - Tortuga. La roccaforte dei pirati, il porto preferito di ogni bucaniere sta radicalmente cambiando, trasformata nel rifugio ideale per gli intrighi di un uomo infido e spietato: Robert Silehard. E, quando anche l'ultimo porto franco non è più sicuro per un pirata, nessuno può più sfuggire alla mano di Silehard. Nemmeno capitan Jack Sparrow e la sua ciurma.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 17
Eredità.



Ripensandoci, potrei dire che quel giorno facemmo davvero i pirati nel senso più reale del termine.
Ritornammo a Tortuga a spron battuto, lasciandoci alle spalle lo Squalo Bianco e i sopravvissuti, e sbarcammo nel porto con tutti quelli che ancora se la sentivano di impugnare un'arma come se fossimo stati un piccolo esercito. Probabilmente era la prima volta che una città di pirati veniva presa d'assalto dai pirati.
Nessuno si sognò di fermarci, per la strada, e quando sfondammo il portone del quartier generale della gilda, trovammo ciò che ci aspettavamo: nella sua sfacciata sicurezza, Silehard aveva portato con sé tutti i suoi uomini validi, e a presidiare la gilda non era rimasto che un gran numero di uomini e donne qualunque; ladruncoli di bassa lega, tagliagole, puttane e ragazzini rissosi.
Del resto, con l'intera Tortuga completamente soggiogata a lui, Silehard non aveva da temere nessun attacco interno. Salvo che da parte nostra.
Non fu versata neanche una goccia di sangue, e fu un sollievo considerato il massacro che ci lasciavamo alle spalle: la corte cenciosa di Silehard era troppo spaventata per opporre resistenza.
Saccheggiammo il quartier generale, lasciando perdere cose come viveri, legname e altre merci che da sole avrebbero costituito un fenomenale bottino, e andammo a colpo sicuro nei depositi privati sotterranei. Jack aveva avuto molti giorni per studiarsi i quartieri della gilda e intuire a che cosa servissero tutte quelle stanze interrate.
Forzammo la porta, e i pirati sciamarono nei sotterranei come topi in una cambusa.
C'erano casse ovunque, casse che i nostri uomini non si fecero pregare per scassinare con sbarre di ferro, fino a romperne le serrature e rivelare il contenuto.
Grida deliziate si levarono da ogni angolo della cantina, ed io stessa non riuscii ad evitare di rimanere a bocca aperta. Mi feci largo, e i miei uomini mi fecero passare perché potessi toccare il contenuto delle casse con le mie mani. Monete, una quantità inimmaginabile di monete: moneta sonante di rame, d'argento, d'oro. Non avevo mai visto così tanto denaro in tutta la mia vita. E non c'era solo quello: altre casse vennero scoperchiate, e per poco non mi commossi davanti allo splendore di un mucchio di gioielli di ogni genere: perle, diamanti, rubini, bracciali, rosari e diademi incastonati di ogni tipo di gemma preziosa.
C'era tanta di quella roba da lasciarmi stordita. Perfino i pirati erano prossimi alle lacrimi davanti a tutto quel ben di dio, eppure non osavano toccare neppure una moneta finché io e Jack non avessimo dato un ordine preciso. Guardavano l'oro come se bruciasse e avessero paura di toccarlo, tuttavia non riuscivano a distoglierne lo sguardo.
Dopo avere esaminato il contenuto delle casse, Jack ed io ci ritrovammo nel mezzo delle cantine: sulle nostre facce c'era la stessa identica espressione estatica ed allibita.
Era quasi troppo da immaginare. Là dentro c'era un capitale, e sapevo che buona parte doveva provenire direttamente dalle casseforti dei Mercanti: nient'altro avrebbe potuto spiegare un così nutrito traffico di ricchezze tra le mani di Silehard.
Forse, se avessimo restituito il loro denaro, ci saremmo potuti guadagnare un occhio di riguardo da parte della corporazione dei Mercanti: una fruttuosa alleanza. Forse sarebbe bastato per rimettere le cose a posto in città, una volta scomparsa la violenta occupazione della gilda. Forse tutta Tortuga avrebbe finito per acclamarci per la nostra generosità.
Guardai Jack. Lui inarcò un sopracciglio.
Oppure...

*

Alcune ore dopo, la stiva della Perla Nera era così zeppa di tesori che la linea di galleggiamento si era alzata di almeno tre spanne.
Le casse erano state ben chiuse: Jack si arrampicò sopra l'unica che era ancora aperta e si sedette direttamente sul tesoro, facendosi scorrere le monete tra le dita. Non lo avevo mai visto così euforico, e non era neppure tanto per il denaro in sé: era più l'idea che fossimo veramente riusciti a soffiare un tesoro del genere sotto il naso di tutti.
Noi eravamo lì, gli unici a cui ora fosse permesso entrare in quella stiva delle meraviglie: io, Faith, Ettore, Gibbs, Barbossa, Elizabeth e William.
Faith fissava il tesoro come se non credesse ai suoi occhi. - Non posso credere che lo stiamo facendo davvero. - ripeté per l'ennesima volta.
- Che cosa: scappare con l'intero tesoro della gilda?- risi. - Non è una cosa incredibilmente arrogante? Siamo pirati. E ci piace. Niente sensi di colpa, per una volta che ci va così bene!-
- Non sono tranquillo. - Barbossa non abbandonava il suo portamento arcigno nemmeno adesso. - È rischioso andare in giro con tante ricchezze a bordo: inoltre non dobbiamo nemmeno fare aspettare la ciurma. Adesso sono euforici, ma presto si agiteranno, se non riceveranno la loro parte il prima possibile. L'oro dà alla testa agli uomini. -
Jack si sistemò più comodamente, incrociando le gambe. - Non temere, lo so benissimo: c'è gente che arriverebbe perfino ad ammutinarsi per una cassa piena d'oro, pensa un po'. Comunque, voglio solo arrivare fino al porto più vicino nel minor tempo possibile, poi ogni uomo avrà la sua parte e chiunque potrà restare o lasciare la ciurma, a suo piacimento. Ho anche un po' di spesucce da fare. Ma non sono così pazzo da farlo qui: se uno qualunque di noi dovesse mettere piede a Tortuga adesso, si troverebbe la gola tagliata e le tasche vuote, temo. No, ci conviene stare alla larga da qui finché la storia di questo meraviglioso bottino non sarà diventata soltanto una voce. - prese una moneta e la fece rotolare sulle nocche delle dita con abilità consumata. - Inoltre, ho qualche nome falso che ho usato di tanto in tanto in Inghilterra: credo di poter mettere un po' di denaro in una di quelle banche inglesi. Sarà divertente: un pirata che si fa amministrare il denaro dagli stessi a cui lo ruba! Oh, sarà perfetto. -
- Quando leviamo l'ancora?- domandò William.
- Subito, Will. Il più “subito” possibile, appena avremo finito con le piccole faccende che ci tengono ancora in questo porto. - Jack si alzò dalla cassa e la richiuse. - Voi tornate sulla Sputafuoco e siate pronti a seguirci: entro mezz'ora al massimo voglio che salpiamo, e sarà meglio se restiamo vicini. Suvvia, lasciamo questo dannato porto. Non voglio più sentir parlare di Tortuga per almeno qualche mese!-
Obbedimmo e cominciammo ad uscire dalla stiva: vidi Barbossa incamminarsi insieme ad Elizabeth e Will, anche se la cosa non mi sorprese più di tante. Era da quando si erano incontrati che lui e Jack si guardavano in cagnesco, ed era evidente che la presenza del vecchio capitano sulla Perla non avrebbe portato nulla di buono. Forse finalmente si sarebbe deciso a togliere il disturbo?
Io e Faith eravamo fianco a fianco, ridanciane e allegre come non mai. Ettore era alle nostre spalle, ma ad un tratto lo richiamò la voce di Jack.
- Ettore, rimani. - era ancora nel mezzo della stiva, appoggiato alla cassa chiusa. - Ho bisogno di parlare con te. -
Il pirata sembrò vagamente sorpreso, ma tornò indietro di buon grado per rimanere col capitano. Io mi guardai indietro, e Jack mi rivolse un piccolo cenno per dirmi che potevo andare.
Uscimmo, richiudendo la porta della stiva, e non seppi rispondere allo sguardo interrogativo che Faith mi rivolse: anch'io, come lei, non avevo idea di cosa potessero avere da dirsi quei due. Tuttavia, in quel momento avevo la testa da un'altra parte: la riuscita del piano e l'immenso tesoro avevano catturato la mia attenzione fino a quel momento, ma c'erano ancora alcune cose che avevo lasciato irrisolte. La prima, ovviamente, era riportare il bambino di Daphne alla Lanterna Fioca: avevo già detto a Will che me ne sarei occupata personalmente, anche perché volevo assicurarmi che Daphne stesse bene. Poi c'era un altro particolare ben più grave, di cui avevo volutamente evitato di occuparmi fino a quel momento. Presto o tardi, avrei dovuto parlare con Valerie.

*

Will si fermò ad un passo dalla passerella tesa tra la Perla e la Sputafuoco, voltandosi verso Barbossa che aveva camminato al suo fianco fino a quel momento.
- Allora, capitan Barbossa. - fece, senza preamboli e con un curioso sorrisetto. - Venite con noi?-
Il capitano inarcò le sopracciglio come se pensasse ad uno scherzo; la scimmia sulla sua spalla si guardava attorno, fissando ora la Perla ora la Sputafuoco.
- E questo cosa vorrebbe essere, “capitano Turner”?- lo schernì. Elizabeth, al fianco di Will, rise sommessamente: entrambi stavano fissando Barbossa, il quale si sentiva sempre di più al centro di qualche scherzo di cui era l'unico a non sapere niente. Poi la giovane donna si ravviò i capelli biondi dietro le spalle e lo guardò: - Un invito, mi pare. -
Cominciando ad intuire dove sarebbe finita quella conversazione, lui si voltò verso Will e gli puntò addosso l'indice. - Mettitelo bene in testa: tu non sarai mai il mio superiore, caro il mio William Turner junior, e io non sarò mai il tuo secondo. -
- E invece, mio ospite?- rincarò William, senza lasciarsi intimidire. - Andiamo, conosciamo tutti il vostro valore ed è per questo che vi sto offrendo un posto sulla mia nave. Non sono obbligato a prendervi a bordo. Ah, e lo sapete che Jack ha ordinato di buttarvi fuoribordo se vi trova ancora sulla Perla prima della partenza?-
Un sogghignò tremò sulle labbra di Barbossa. - Questa vorrei proprio vederla. - lo sfidò, ma sembrava riderne fra sé.
- Sulla Perla non vi lasceranno stare. - insistette Elizabeth, a braccia incrociate. - E non è nel vostro interesse rimanere a terra: veniamoci incontro. -
Barbossa li squadrò entrambi come se li stesse silenziosamente valutando, quindi fece un cenno col capo per esortarli ad andare avanti. - Le condizioni, signor Turner?-
Will si fece sfuggire un sorriso. - Non tenterete di impossessarvi della Perla Nera, né della Sputafuoco. E non tenterete mai di fare del male a Jack, o a chiunque altro membro di entrambe le nostre ciurme. -
- Per chi mi avete preso?- sbottò il capitano in tono oltraggiato.
- Su questa nave io ed Elizabeth siamo i capitani. Voi sarete parte della nostra ciurma, ma collaborerete direttamente con noi: a bordo non sarete secondo a nessuno. -
Il capitano si prese tutto il tempo per rispondere, anche solo per il gusto di fare aspettare un po' i due audaci coniugi Turner che avevano avuto il fegato di proporgli un patto del genere. Se sperava di vederli spazientirsi, però, rimase deluso, perché quelli attesero in perfetto silenzio e senza distogliere gli occhi da lui come se già conoscessero la risposta. Questo un po' lo punse nell'orgoglio: stava forse diventando prevedibile? Forse, prima o poi, sarebbe stato il momento di fare qualcosa di inaspettato, anche solo per disturbare un po' le coscienze di amici e nemici. Ma non oggi, e non con quei due. Al momento, l'offerta gli piaceva.
Ridacchiò lentamente, di gusto, mentre sollevava una mano per dare una grattatina alla scimmietta. - Per ora mi va bene, capitani Turner. - rispose, ridendo. - Fate strada. -

*

- Dite, capitano. - lo invitò Ettore. Il pirata sorrideva: erano salvi, erano in possesso di un tesoro favoloso; sembrava che nulla più potesse andare storto.
Jack tentennò per qualche momento prima di dirgli: - Siediti. -
Si sedettero sulle casse chiuse, uno di fronte all'altro: Jack aveva un'espressione strana e sembrava restio a guardarlo negli occhi. Questo Ettore lo notò, e si accigliò.
- Qualcosa non va? C'è qualcosa che dovrei sapere?-
- C'è senz'altro qualcosa che dovresti sapere. - il viso del capitano si rilassò un po'. - Sai, ho parlato con la strega, Imogen: una volta mi ha fatto il nome di Beatrix Barbossa. -
L'espressione di Ettore ebbe un tremito quasi impercettibile a quel nome, ma il pirata conservò la sua compostezza.
- L'aveva vista nei miei ricordi, quando sognavo, ed è così che ha assistito alla sua morte. Non le importava molto di lei, ma la conosceva, comprendi? Mi ha raccontato alcune cose del suo passato, incluso quando a tredici anni venne a cercarti e ti offrì di imbarcarti insieme a lei. -
Il pirata alzò il capo, sorpreso. - Sì, è così. - ammise. - Fu allora che ci incontrammo per la prima volta... io non sapevo niente di lei, e lei non sapeva niente di me: credo che sapesse soltanto che c'era un ragazzo giovane e robusto che lavorava dal falegname, e probabilmente mi ha cercato per quello. -
Jack schioccò le labbra: sembrava imbarazzato. - Non è del tutto vero. In effetti, Beatrix sapeva esattamente chi tu fossi, il giorno che venne a cercarti. Imogen viveva già a Tortuga da un pezzo quando voi eravate ragazzi: Beatrix andò da lei perché aveva appena saputo di avere un fratello, e voleva che lei la aiutasse a scoprire chi era. -
Ad Ettore mancò il fiato.
- Cosa?- mormorò, con gli occhi sgranati.
- Gemelli. - continuò Jack, in tono piatto. - La madre era una prostituta di nome Gabrielle Dubois, il padre era Hector Barbossa. Ne era sicura perché il suddetto era stato suo ospite fisso per un certo periodo di tempo. Lei cercò di dare via subito la bambina perché per ovvie ragioni non voleva tenerla nel bordello, ma la famiglia del falegname volle il maschio... te. Beatrix restò per qualche anno nel bordello, prima che Gabrielle riuscisse a dare via anche lei, ma in questo modo lei riuscì a restare in contatto con sua madre e a sapere delle proprie origini: l'unica cosa di cui le sia mai importato. -
Ora Ettore aveva cessato definitivamente di parlare, e fissava Jack con una sorta di muta incredulità. Era strano vedere un uomo così massiccio stare perfettamente immobile, le labbra con una piega spaventata, da bambino, sotto la barba ispida. Sedeva, e beveva le parole di Jack una ad una, per quanto sembrassero avvelenarlo.
- Lei si era ossessionata col pensiero di essere Beatrix Barbossa, un nome che per lei valeva più di ogni altra cosa, e aveva già cominciato ad andare per mare. Quando tornò, seppe quasi per caso che sua madre era in fin di vita per una malattia, e sempre quasi per caso accettò di vederla e si sentire le sue ultime parole: Gabrielle le rivelò che aveva un fratello gemello, e probabilmente la cosa la mandò fuori dai gangheri. Poi però decise che aveva bisogno di te, così si rivolse alla strega per sapere dove fosse finita la famiglia del falegname che ti aveva adottato tredici anni prima... e ti trovò. Ettore Barbossa... anzi, in realtà sarebbe Hector, ma credo che il falegname fosse italiano. -
- Sì. - fu la prima parola che uscì dalla bocca di Ettore, quasi in un soffio. - Sì, è vero. -
- Sei stato con lei fin da allora. - continuò Jack, e il pirata si limitò ad annuire. - Possibile che non ti abbia mai... detto niente?-
Ettore si passò stancamente una mano tra i capelli scuri e ricciuti: fissava il vuoto davanti a sé e sembrava stordito.
- Niente. Anche se, ora che ci penso, molte cose adesso hanno senso... - si interruppe, scosse il capo, riprese. - Le sono stato a fianco per anni, sai cosa vuol dire? Ero il suo braccio destro. Un tempo ho anche creduto di amarla, come avrei potuto amare una qualsiasi donna... anche se sentivo che tra me e lei c'era qualcosa di strano, diverso. Lo sentivo. E lei per prima mi ha sempre respinto: rideva, diceva che non avevo idea... oh, ecco di cosa non avevo idea. Dio, mi sento così stupido... -
Chinò il capo, strofinandosi il viso con le mani. Osservandolo, Jack non riusciva a capire se fosse prossimo alle lacrime o all'ira, perciò nel dubbio se ne restò in silenzio a guardare le sue reazioni.
- Dopo, ho cominciato quasi ad odiarla. Era diventata stupida e crudele, eppure io le correvo sempre dietro in ogni cosa che faceva. - a meno che non si sbagliasse di grosso, gli occhi arrossati di Ettore erano davvero diventati umidi? - Aveva perfino incontrato Barbossa, suo padre: lo sapevo. A forza di sbandierare a destra e a manca il suo nome, aveva finalmente ottenuto quello che voleva. Aveva attirato la sua attenzione. So che si incontrarono e parlarono molte volte, in segreto, lontano da tutti... Ci credi che questa è la prima volta che io lo vedo in carne e ossa?-
- Non voleva dividerlo con nessuno. - confermò Jack, a voce bassa. Dentro di sé, si stava chiedendo se fosse il caso di fare qualcosa di confortante, che so, appoggiare una mano sulla spalla di Ettore. Ma preferì continuare a parlare. - La conoscevo anch'io: ci siamo incontrati e abbiamo avuto i nostri momenti, più o meno piacevoli o spiacevoli. Mi spiace dire che non ricordo se io e te ci siamo mai visti, prima che mi prendesse prigioniero... -
- Io mi ricordavo di te, un po'. Anch'io però non ho mai prestato molta attenzione: non eri il primo che passava ogni tanto per il suo letto... o per la sua spada. - finalmente il guizzo di quello che poteva assomigliare ad un sorriso balenò sulle labbra del pirata, per un brevissimo istante.
- Eh già... A scanso di equivoci, non sono passato per il suo letto. Ci sono solo passato molto vicino, molte volte. Comunque, credo che lei abbia sempre cercato di essere degna di suo padre, o più grande di suo padre. Tutto ciò sempre con un unico scopo: attirare la sua attenzione, in qualsiasi modo. Si fidava di te, ma non ti avrebbe mai permesso di farle ombra. -
- Lo so. - ora il tono di Ettore era duro. - Lo avevo capito da molto tempo, ma semplicemente non potevo lasciarla. Non sapevo dove altro andare. Pensa che quella notte, sull'Isla de Muerta... è stata la prima volta che ho capito che lei mi avrebbe ucciso, se io le fossi stato d'intralcio. Eppure avrei dovuto saperlo da molto... molto tempo. - un altro lungo silenzio, poi un sospiro carico di rimpianto e di rancore. - Se solo me lo avesse detto. -
Il capitano non disse altro: annuì una volta, poi rimase in silenzio, seduto con lui nella stiva deserta. Dopo istanti che sembrarono durare per ore intere, Ettore sollevò ancora lo sguardo: non c'erano più lacrime nei suoi occhi, però c'era un'aria di stupita rassegnazione.
- Jack. - disse, secco come un colpo di pistola. - Perché mi hai detto questo? Perché mi hai fatto sapere che il tuo peggiore rivale di sempre è mio padre?-
Stavolta, Jack si piegò un poco in avanti e afferrò saldamente la spalla di Ettore, fissandolo negli occhi. - Perché ti dovevo la verità. - rispose, semplicemente. - E perché non era rimasto più nessuno che potesse raccontartela... forse. -
Ettore meditò su quell'intenzionale “forse” e su tutto ciò che poteva comportare, quindi sospirò di nuovo e scosse il capo come per chiarirsi le idee. In quel momento Jack sussultò, con l'aria di essersi ricordato improvvisamente qualcosa, e si mise a frugare nelle tasche della giacca: quando ebbe trovato quello che cercava, si avvicinò e lo porse ad Ettore.
Era un medaglione dorato: un oggettino piccolo, molto raffinato. Il ciondolo si apriva e si chiudeva come una conchiglia, ed era decorato con sottili volute che ad Ettore ricordarono delle foglie, o forse delle onde. Jack continuava a porgerglielo: lo prese in mano, stupendosi di quanto fosse leggero, e fece scattare la chiusura per aprire il ciondolo.
All'interno c'era un piccolo ritratto colorato: il viso di una donna. E sotto c'era inciso un nome: Gabrielle.
Per un attimo, il pirata ebbe un fremito. Non avrebbe saputo dire se in senso buono o cattivo: la vista di quell'oggetto era confortante e dolorosa insieme. Per qualche momento ebbe anche dei seri dubbi sulla sincerità del capitano: quel medaglione, tirato fuori ad arte proprio al culmine del loro discorso, sembrava un tocco di classe troppo elegante e insperato per essere vero.
- Questo era in cabina da un sacco di tempo. - spiegò Jack. - Ho sempre pensato che risalisse a quando quella cabina la occupava Barbossa, ma solo adesso sono riuscito a ricostruire tutta la storia. -
Il nome era giusto. Gabrielle. E, quando ebbe guardato con attenzione il ritratto, il pirata non ebbe più nessun dubbio: era la figura di una donna dai lunghi capelli castani, che le scendevano fin sotto le spalle in grandi riccioli. Anche i suoi occhi erano di un castano intenso, e chiunque l'avesse ritratta aveva catturato una strana luce, un'energia che traspariva dal cipiglio di quegli occhi e dalla bocca sorridente. Era una bellezza, ma una bellezza da donna alta e forte, da selvaggia amazzone: non c'era niente di delicato in lei. Ed Ettore seppe per certo di stare guardando il riflesso della verità, perché quella donna somigliava a Beatrix in modo impressionante. E a lui stesso, dovette ammettere. Per quanto tempo era volontariamente rimasto cieco davanti ai loro identici capelli ricci, gli stessi occhi, spesso lo stesso cipiglio? All'epoca pensava che le loro somiglianze facessero parte del loro legame, della vita simile che conducevano: ora sapeva che era semplicemente dovuto al sangue.
Chiuse il medaglione nella mano, con rispetto, quasi con tenerezza. Gabrielle Dubois. Sua madre.
- Ho voltato le spalle a Beatrix, ma solo perché mi ha dato più di un motivo per farlo. - continuò, serio. - Non volterò le spalle a te. Sono un uomo della Perla Nera, e il nome Westley, per me, è più importante di qualsiasi Barbossa. -
Jack prima sorrise, poi ridacchiò per davvero, scrollando le spalle. - Mi fa piacere, ma non mi interessa. Comprendi?-
Gli diede una pacca sulla spalla e gli fece un cenno, per poi alzarsi e dirigersi verso la porta della stiva, chiudendo definitivamente quella conversazione.

*

Daphne scoppiò in lacrime quando ebbe di nuovo il suo bambino tra le braccia, e quando riprese fiato riuscì soltanto a dirmi: - Grazie. - e a ripeterlo senza sosta.
Eccetto il neonato eravamo solo donne, riunite nella camera di Daphne: io, Faith, Valerie, Daphne, Dorothy, che si era occupata di lei da quando Silehard era venuto a portare via il suo bambino, miss Bondies, alla quale avevo chiesto personalmente di seguirci, e la giovane donna portata via dallo Squalo Bianco, che si chiamava Mary.
- William Turner ti manda i suoi saluti: è stato lui a portare in salvo il bambino. - dissi, stringendo amichevolmente la spalla di Daphne. - Devo dire la verità: non sappiamo se Silehard sia morto. Si è tuffato in mare con una mano maciullata, ma non abbiamo trovato lui né il suo corpo. Quindi, in ogni caso, vi consiglierei di stare in guardia... -
- Se vedo il brutto muso di Silehard sulla porta del mio bordello, gli faccio ingoiare la mano che gli resta!- sbottò miss Bondies, arrossandosi in viso per la rabbia. - Perdio, come sono contenta che la gilda sia caduta! I miei buttafuori avranno di che divertirsi, se gli schifosi ratti di fogna che seguivano Silehard osano farsi vedere ancora da queste parti!-
Sorrisi. - Ne sono felice, miss Bondies. A proposito, ho dei regali per voi. Daphne, il primo è per te. -
Mi accostai alla giovane donna, che sedeva ancora sul bordo del letto col bimbo tra le braccia, e le porsi una borsa di tela: lei la prese con una mano, e sussultò nel sentire quanto fosse pesante. Incuriosita, slacciò i cordoni e la aprì quel poco che bastava per darci un'occhiata dentro... vidi i suoi occhi allargarsi quando notò lo scintillio dell'oro.
- Ma questo... - mi guardò, sbalordita. Io non avevo smesso di sorridere.
- È un regalo, te l'ho detto. - dissi, stringendomi nelle spalle. - Mary. Questo è per te. - allungai alla donna un'altra piccola borsa, e lei la afferrò, allargando gli occhi di gioia nel sentire il tintinnio delle monete. Poi alzò di nuovo lo sguardo su di me e mi chiese, in tono ansioso: - Capitano, il nostro patto?-
- Certo. Miss Bondies, Mary faceva la sguattera nella gilda di Silehard, e avrebbe bisogno di un posto dove stare. Certo, ora ha una piccola somma di denaro, però vorrebbe pagarsi vitto e alloggio qui alla Lanterna Fioca come cuoca. Pensate che sia possibile?-
La padrona del bordello squadrò Mary da capo a piedi, poi però la sua espressione granitica si addolcì in un sorriso, e lei annuì. - Certo che è possibile, qui c'è sempre bisogno di una mano per mandare avanti la baracca. Però non posso non notare, mia signora capitana, che nel dispensare i vostri regali vi siete dimenticata di me!-
Feci del mio meglio per non ridere, anche se con scarso successo: non potevo farci niente, ero di buon umore.
- Non mi sono affatto dimenticata. Faith, Valerie, non avevamo portato qualcosa?-
Le due ragazze colsero l'occasione e spinsero in mezzo alla stanza un pacco avvolto in un telo, che ci portavamo dietro da quando eravamo entrate nel bordello. Sotto gli occhi di tutte le presenti svolsero il telo, rivelando un cofanetto di legno scuro che porsero a miss Bondies. Sulle loro facce c'erano gli stessi sorrisi inequivocabili, e intuii che io dovevo avere la stessa espressione.
La donna non si fece certo pregare, e fece scattare la chiusura del cofanetto: per poco non cacciò un urlo quando lo trovò pieno di monete, inclusa qualche pietra preziosa giusto per arricchire un po' il tutto.
- Per il bordello. - dissi. - Perché mi avete salvato la vita e ci avete coperti: forse non ce l'avremmo mai fatta senza il vostro aiuto. Lo so che è strano chiedere ad un bordello di pensare al bene delle ragazze, ma... -
Miss Bondies era sull'orlo delle lacrime. - So cosa intendete, signora. - disse, con la voce rotta dalla commozione. - Non vi deluderemo. E, sotto questo tetto, chiunque sia un amico degli Sparrow troverà sempre protezione. Sempre. -
- Vi ringrazio. -
In quel momento, qualcuno si fece sentire con un colpetto di tosse volutamente sonoro. Naturalmente era Dorothy, che era rimasta impalata accanto al letto, fissando le borse e lo scrigno come un cane a cui avessero portato via l'osso. Non disse niente, ma mi guardò con i begli occhi sgranati finché non mi decisi di dare segno di essermi accorta di lei.
- Oh, giusto!- esclamai, cercando di mascherare il mio divertimento. Feci apparire un'altra piccola borsa: avevo riempito anche quella con alcune monete e qualche gioiello. - Dorothy, sei stata preziosa e hai fatto bene il tuo lavoro. Questa è per te. -
La ragazza cacciò un gridolino e mi corse accanto, prendendo la borsa che le porgevo. Mentre lo faceva, le afferrai il polso e la guardai negli occhi.
- Ah, Dorothy?- aggiunsi. - Se allunghi ancora le mani su Jack, giuro che te le taglio. -
Lei mi guardò con una faccia talmente mortificata che non ce la feci più: scoppiai in una gran risata, lasciandola andare. Dalla sua espressione, la mia reazione sembrò spaventarla ancora più delle mie parole di prima... tuttavia, non riuscivo a fermarmi. Faith e Valerie mi guardarono di sottecchi, con l'aria di chiedersi se stessi esagerando o se fossi semplicemente impazzita. Forse non erano troppo lontane dalla verità.
Cercando di smettere di ridere e di darmi un contegno, mi congedai da tutte quante e il nostro terzetto uscì dal bordello, scendendo in strada. Ma, oh, era troppo bello poter camminare per le vie di Tortuga alla luce del giorno e sapere che non avevamo più niente da temere. Che la gilda era andata in pezzi, e con essa tutto il male che ci aveva fatto. Che noi eravamo più forti di tutti loro, e lo saremmo sempre stati.
Certo, proprio per lo stesso motivo, per un bel pezzo avremmo fatto meglio a non farci neanche vedere, a Tortuga. Ma ora, nel poco tempo prima di salpare, prima che la notizia della sconfitta di Silehard e del magnifico bottino di cui ci eravamo impossessati facesse il giro di tutte le locande, Tortuga era tornata ad essere il posto che avevo sempre conosciuto.
Pensai a tutte queste cose, mentre camminavo per le sue strade e le davo il mio temporaneo addio.
Tuttavia, avevo un'ultima visita da fare: ci fermammo davanti all'Albatro; la porta come al solito non era chiusa, quindi entrammo senza alcun problema. Non c'era molta clientela, a quell'ora, e i pochi che si radunavano attorno ai tavoli e al bancone per mangiare un boccone o tracannare qualche pinta di rum non ci degnarono neppure di uno sguardo, quando facemmo il nostro ingresso.
Bill Night invece ci riconobbe, e quando ci vide tutte e tre in piedi sulla soglia sembrò sul punto di lasciar cadere il calice che stava pulendo, tanto era lo stupore. Portandomi un dito alle labbra gli feci segno di non fare baccano, e noi tre ci avvicinammo al bancone come se niente fosse.
E pensare che era cominciato tutto proprio lì, quasi nello stesso punto su cui stavo poggiando i piedi. Quello laggiù era il tavolo dove eravamo seduti quando gli uomini di Silehard erano venuti ad attaccar briga con noi. Il tavolo che allora era stato occupato dal signore delle gilda e dai suoi scagnozzi era vuoto. Lì, invece, aveva freddato gli ubriachi senza la minima esitazione. Ancora mi domandavo che cosa avesse in mente, all'epoca: si era accorto che i suoi balordi avevano infastidito dei personaggi interessanti, e si era alzato per imbastire quello spettacolino -nonché dimostrazione di forza- davanti ai nostri occhi, apposta per noi?
Ebbene, ora finalmente potevo dire che aveva arruffato le penne con le persone sbagliate.
Però, sarei stata molto più tranquilla se l'avessi visto morto.
Con o senza una mano, avevo il pessimo presentimento che fosse ancora vivo e vegeto, e di certo la cosa non ci avrebbe portato bene. Anche per questo era meglio sparire. Per dove, non ne avevo idea, ma diavolo, avevamo un tesoro o no?
- Perdio, che cosa ci fate qui?- sibilò a bassa voce Bill Night una volta che io, Faith e Valerie fummo accanto al bancone. Ancora non sapeva! Probabilmente aveva solo sentito quel che si ripeteva in città: che eravamo tornati di gran carriera, che avevamo fatto irruzione nella gilda, ma ancora nessuno sapeva esattamente cosa fosse successo alla nave di Silehard, o alla gilda stessa.
- Aspetta che venga sera, Bill, e ne sentirai di novità. - replicai con un sorriso. - Ma per allora, noi non saremo qui. Jack ti manda i suoi saluti. Ah, e puoi smettere di lasciare che la gentaglia della gilda si prenda il tuo rum gratis... non dovrai più preoccupartene. -
Gli occhi del locandiere si allargarono, e quando puntò il dito verso di me non avrei saputo dire se fosse meravigliato o sconvolto. - Sentite... Se anche solo metà delle voci che ho sentito sono vere... - di nuovo la sua espressione che lottava tra la gioia e la paura, e la sua voce divenne un sussurro appena udibile. - Per mille balene... la gilda, caduta? Silehard...?-
- Sht. - gli feci di nuovo cenno di fare silenzio. - Come ti ho detto, ne sentirai di storie. Comunque, sì. A dargli una lezione ci abbiamo pensato noi, ma adesso voi fate in modo che una cosa del genere non possa mai più ripetersi. Ci siamo lasciati dietro abbastanza scompiglio da scongiurare il rischio, ma non si sa mai... Ora, dov'è il tuo prete?-
Frate Matthew occupava una stanzetta dietro le cucine della locanda. Andai ad incontrarlo da sola, e lo trovai seduto ad una piccola scrivania: dava le spalle alla porta, e leggeva un libricino rilegato in pelle. La stanza era piccola e spoglia, come se il frate si fosse ricreato attorno la sua cella personale: non c'erano che il letto, la sedia e la scrivania, più una piccola cassa priva di coperchio che doveva contenere tutti i suoi averi. Vidi sbucare la borsa lisa che conteneva i suoi strumenti da chirurgo, e rabbrividii pensando a Michael steso sul tavolo della locanda deserta, con frate Matthew che gli apriva la pancia.
E i libri. Aveva un bel po' di libri, ammucchiati uno sull'altro.
Quando udì il rumore della porta che si richiudeva ebbe un piccolo sobbalzo: non mi aveva sentita entrare. Si voltò verso di me, e per un attimo quasi non sembrò riconoscermi, poi il suo volto dai tratti duri si illuminò di stupore e... sollievo? Sembrava qualcosa di molto simile.
- Oh, grazie a Dio, siete voi!- esclamò, abbandonando il libro sullo scrittoio e alzandosi. Io non dissi niente, ma lui venne da me e si piegò appena per guardarmi in faccia: mi prese addirittura le mani tra le sue. - Non so dirvi quanto sono contento che ce l'abbiate fatta! Va tutto bene? In città parlano di voi da ore, la nave di Silehard è salpata questa mattina e... Ma di certo sapete tutto meglio di me. State tutti bene? O... avete dei feriti? C'è bisogno del mio aiuto?-
Io ancora non dicevo niente, limitandomi a guardarlo. Il mio silenzio sembrò disorientarlo, poi, lentamente, un'espressione più seria scese sul suo viso.
- Non ho tradito. - mi disse, con voce ferma. - Mai. Non vi ho mai venduta a nessuno: quella sera, quando vi ho fatta uscire dalla locanda, stavo davvero cercando di salvarvi. Non ho messo gli uomini della gilda sulle vostre tracce. Vi avevo fatta uscire credendovi al sicuro, ma è probabile che alcuni di loro conoscessero il passaggio, o immaginassero l'esistenza di qualche uscita segreta. Se cercate un traditore, quello non sono io. Avete la mia parola. -
Avevo temuto anche quello, quando ero sgattaiolata fuori dall'Albatro per il passaggio segreto e mi ero trovata davanti gli scagnozzi di Silehard... e Jack. Però probabilmente stava dicendo la verità. Lui forse era rimasto quello che sembrava: un uomo buono, nonostante tutto. E alla fine, importava davvero qualcosa, adesso?
- Avete salvato Michael. - dissi, infine. - E vi credo, comunque. Noi stiamo bene. La Perla sta per salpare, e non torneremo più per un bel pezzo... volevo lasciarvi questo. - gli misi in mano una piccola borsa di denaro in tutto e per tutto simile a quelle che avevo appena consegnato alle donne nel bordello. Frate Matthew, al contrario di loro, non si fermò ad aprirla e ad ammirarne il contenuto: come sentì il peso delle monete tra le dita, sbarrò gli occhi e scosse il capo con fermezza.
- No, non posso accettarlo. -
Non ero dell'umore di ascoltare polemiche. - Se non lo volete voi, datelo a Bill Night. È per voi in ogni caso, per la locanda, per aiutare o curare tutti quelli che vorrete. Fatene quello che vi pare. - mi toccai la tesa del cappello in segno di saluto. - Vorrei poter restare qui a chiacchierare, ma siamo a corto di tempo. Vi devo salutare. -
Frate Matthew rimase per un attimo titubante, con la borsa tra le mani, ma poi sembrò arrendersi e risolversi ad accettare il mio regalo. - Va bene. Vi... Vi ringrazio molto. Avrei voluto poter fare di più. -
- Avete fatto abbastanza. - feci per uscire, ma proprio mentre ero sulla soglia mi fermai e mi voltai. - Frate Matthew? Posso farvi una domanda?-
- Certo. -
- Esattamente, che valore ha un matrimonio celebrato da un frate a bordo di una nave?-
Quella domanda parve davvero lasciarlo sconvolto e imbarazzato come niente prima di allora. Per un lunghissimo istante mi fissò, impacciato, cercando più volte di iniziare una frase, per poi lasciarla cadere in un tenue balbettio. Alzai gli occhi al cielo e ridacchiai. - Guardate che non mi offenderò. - assicurai.
Il frate sembrò finalmente ritrovare la voce e, ancora con un certo imbarazzo, ammise: - È... difficile da stabilire, ecco. Capite bene che un frate è un servo di Dio, certo... ma la verità è che neanche a terra ce li avrebbe, certi poteri! C'è da considerare, poi, che un semplice frate non rappresenta l'autorità a bordo, e... ecco... -
Al contrario di quello che sicuramente temeva, gli sorrisi di nuovo e gli feci cenno che poteva bastare.
- Non vi preoccupate: la mia era semplice curiosità. -
Lui si ricompose, e si schiarì la voce. - Miss Sparrow? Se posso dire la mia... credo che in questo caso abbia il valore che voi decidete di dargli. Ecco cosa penso. -
Questa sì che fu una sorpresa. Il mio sorriso si allargò, e gli feci un cenno riconoscente prima di andarmene e chiudere la porta dietro di me.

  
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