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Autore: __Stella Swan__    22/04/2012    1 recensioni
Chiusi gli occhi e sospirai. «Okay,poniamo che Blood sia un vampiro... Perché gli davi la caccia? Non credo sia stato solo perché aveva allungato le mani sulla tua migliore amica», dissi. Kimberly sembrò irrigidirsi,serrando le labbra ed ingoiando la saliva. Avevo forse detto qualcosa che poteva averla ferita? Si avvicinò a me,osservando con occhi dolci la foto che,senza accorgermene, avevo preso in mano.
Erano proprio identiche.
«Sheila non sarebbe stata la sua prima vittima», sussurrò fissando la foto,lasciando comparire un semi sorriso sulle sue labbra,innalzando gli angoli. Guardai prima la sua espressione,poi la donna nella foto. E solo allora capii.
«T- tua madre è...», balbettai. Le sue dita si serrarono in una presa forte e salda intorno alla foto che tenevo in mano,rischiando di spezzarla in due.
«E’ ancora viva », m’interruppe subito,disincantandosi dall’immagine e fissandomi negli occhi, «se si può davvero chiamare vita».
(Estratto dal secondo capitolo).
Storia revisionata, modificata e ri-postata col titolo "Ice Heart - Cuore di ghiaccio". Se siete interessati leggete la versione aggiornata!
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Ice Heart Saga.'
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Kim - Sentimenti



Ero fin troppo agitata per essere appena tornata da una pattuglia. Forse perché ero cosciente del fatto che Gabriel era ancora lì,dietro di me,con i suoi magnifici occhi azzurri sulla mia schiena. Eppure sapevo benissimo che non c’era motivo per tremare in quel modo. Tirai un sospiro di sollievo appena chiusi la porta alle mie spalle. Prima di tutto perché quella sera era filato tutto liscio come l’olio ed in secondo luogo... Beh,non lo sapevo,sinceramente.
Da dove diavolo era uscito quel “lui è mio”? Certo,come scusa era perfetta e la mia spiegazione che erano creature particolarmente gelose non faceva una piega. Ma a quello ci avevo pensato solo dopo. Io mi ero parata davanti a Gabriel e avevo detto quelle parole perché... Era quello che pensavo veramente,in quel momento.
Non credevo nemmeno se ne ricordasse,dopo la sbandata presa a causa dell’immortale e la botta alla testa. Speravo da un certo lato che non se ne fosse ricordato. La sua vita sarebbe stata più semplice.
Con mio stupore,mi ero sentita troppo gelosa di una creatura così – era da dire – fantastica. E cos’ero io,semplice umana? Non c’erano paragoni,sicuramente. Non avevo quella camminata leggiadra,degna di una modella,non avevo quel fisico perfetto,non avevo quegli occhi ingannevoli,o quella voce vellutata. Ero Kim,solo e semplicemente Kim.
Guardai fuori dalla finestra e vidi Gabriel che si stava allontanando molto lentamente,come se avesse voluto prolungare la sua presenza vicino a casa mia. Sorrisi sotto i baffi,senza un perché.
Mi tolsi il giaccone e posai la balestra sul ripiano della cucina. Andai poi in laboratorio: mio padre,come sempre,alzò solamente gli occhi,per un minimo secondo. Si concentrò poi di nuovo sulla sua fialetta fumeggiante,verde fosforescente.
«Com’è andata?», domandò.
«Bene», dissi mentre posavo la giacca sull’attaccapanni, «è andata meglio di quanto credessi e sperassi»confessai.
Sorrise senza togliere gli occhi dal piccolo calice di vetro. «Davvero?».
«Sì,diciamo che mi è stato di grande aiuto».
«Che cos’avete trovato?».
Mi strinsi nelle spalle,irrigidendomi. Cercai di essere comunque il più sciolta possibile. «Un bambino...», iniziai.
«Un altro?», chiese ora guardandomi. Aveva gli occhi stanchi e dispiaciuti,quasi quanto i miei.
«Sì. Conosceva l’altra vampira bambina che avevo trovato, Alice,avrà avuto sì e no la sua stessa età», ringhiai a denti stretti.
«Perché credi stiano facendo dei vampiri così giovani?».
Scossi la testa,sospirando per il nervoso e l’ira. Mi sentivo andare a fuoco. «Non lo so,Gabriel crede sia per usarli come esca. Così avrebbero potuto attirare gli umani più facilmente».
Assunse quell’aria pensosa,facendolo sembrare più vecchio di quel che fosse. O forse era semplicemente l’aria stanca a tradirlo. «Mi pare una teoria molto ragionevole,non ha tutti i torti. Potrebbe sempre essere».
«Indagherò». Avrei potuto chiedere a... Chi? Non vedevo mamma da più di un anno e non avrei potuto sperare sui suoi pochi e piccoli ricordi da umana,per non farmi ammazzare. Oppure un vampiro adulto,poco prima di ucciderlo. Ma dubitavo che mi avrebbe risposto,senza prima tentare in mille modi di farmi cadere ai suoi piedi e,chissà forse, riuscire ad uccidermi. A volte la mia lingua era più veloce del mio cervello. «Poi abbiamo trovato un uomo,probabilmente il padre del ragazzino,una donna che ha tentato,e ci è quasi riuscita,ad incantare Gabriel ed un altro vampiro,che ha ucciso lui colpendolo alle mie spalle. E’ stato molto veloce e preciso». Mi mostrai fiera del lavoro che avevo fatto. Certo,il merito non era tutto mio,ma la maggior parte sì. Non nascosi un sorriso compiaciuto a mio padre.
Subito papà non rispose e continuava a fissare il liquido. Poi sembrò collegare il cervello alle orecchie. «Una vampira?»,chiese. Annuii,alzando un sopracciglio. Cosa c’era di tanto speciale? Poi mi venne in mente: papà aveva il ricordo di mamma come vampira ormai. «In che senso ci è quasi cascato?».
Strinsi i pugni nel ricordare quella scena. Mi sembrava di tornare completamente invisibile,davanti a quella bellezza della natura infernale. «Lei ha cercato di fargli credere che fosse una ragazza in pericolo e gli diceva cose sdolcinate. Gabriel sembrava esserci cascato...».
«E poi?», continuò impaziente.
«Mi sono messa davanti e l’ho fatta... arrabbiare», spiegai in poche parole.
Irvine sembrava confuso. Tornò a muovere la fialetta a destra e sinistra,facendo uscire ancora di più il fumo bianco inodore. Molto meglio in confronto a quello delle ceneri. «E come hai fatto a farla arrabbiare? L’hai istigata?».
Sospirai. «In un certo senso. Le ho detto che Gabriel era mioe non ci ha più visto». Ero completamente in fiamme,anche se la mia voce era pacata come sempre. Le guance,le mani sudate,la fronte,il petto,le braccia,le gambe erano un fuoco unico. Sperai che mio padre fosse abbastanza distratto da non accorgersene,ma non ne ero del tutto convinta. Era sempre stato un buon osservatore,come me.
«Davvero lo hai detto?», chiese stupito,come se avesse avuto qualcosa da nascondere.
«S – sì», mi scappò balbettando.
Lasciò comparire un minuscolo,quasi invisibile,sorriso sulle sue labbra. «E perché lo avresti fatto? Intendo,sapevi che avrebbe funzionato?».
Domanda fatidica. Tradotto: lo hai detto perché lo pensavi o perché volevi difenderlo? Tutte e due,avrei potuto rispondere. Ma la principale era la prima. Mi presi le mani l’una con l’altra. «I vampiri sono esseri gelosi,sapevo che si sarebbe arrabbiata. Credeva di essere tutto per lui,invece non è affatto così», spiegai in tono innocente. Ero piuttosto brava a dire le bugie,anche se non ne dicevo molte. Erano comunque a fin di bene. Del mio,in questo caso. Irvine non sembrò esserne troppo convinto,perché continuò col suo interrogatorio.
«E sei sicura che lui ci tenga a te?».
Quanto sarebbe durato il terzo grado? Si stava andando ben oltre all’argomento pattuglia. Qui si iniziava a parlare dei miei sentimenti e non ne ero molto abituata. Anzi,non lo ero affatto. Tanto meno con mio padre,benché fosse stata una delle poche persone a cui avevo rivolto la parola negli ultimi tre o quattro anni.
«Sì,ne sono sicura. Mi fido di lui. Te l’ho detto,è stato davvero in gamba questa sera», dissi nel tentativo di riportare il discorso all’argomento principale.
Tenevo gli occhi bassi,cercando di calmarmi e di sbollentarmi. Ora anche la fronte era sudata. Papà non si sarebbe lasciato scappare nemmeno questo particolare.
«E invece oggi che hai fatto?», chiese.
Sospirai per aver cambiato argomento. «Sono andata in giro con Sheila a fare acquisti. Ovviamente non ho comprato niente».
Sorrise ancora. «Non hai trovato un vestito adatto al ballo?».
«Papà», dissi irritata, «vado a quella maledetta festa solo per uccidere,non per divertirmi». Quante volte avrei ancora dovuto dirlo?
«Beh,potresti anche pensare un po’ per te,una volta ogni tanto». Quant’era dura fare il padre,pensai. Da un lato,speri che tua figlia non incontri nessuno,per paura che te la porti via. Dall’altro,non vuoi nemmeno che stia sempre da sola,chiusa in casa. Capivo quello che stava passando.
«Comunque ho trovato un bel vestito,in un negozio», dissi per rilassarlo un po’. Si voltò con un sorriso luminoso sul viso. Ricordavo ora come aveva fatto innamorare mamma. Sebbene era avanzato anche lui con gli anni,al contrario di Hilda,papà era sempre stato un bell’uomo.
«Perfetto. Allora andremo a prenderlo». Non m’imposi,anche perché era già nei miei piani. Ma non volevo spiegare che lo avrei comprato semplicemente perché così avrei potuto nascondere più facilmente un pugnale sulla coscia. Non mi pareva il caso di farlo preoccupare più di quanto non lo fosse già stato.
«Okay», dissi, «adesso è meglio che mi riposi un po’».
Mio padre alzò gli occhi,confuso e poco convinto. «Sei già stanca?».
«Oggi è stata una giornata non molto leggera», spiegai.
«Va bene».Mi voltai per andarmene in camera e lasciarmi cadere senza forze sul letto,cosa che immaginavo già da almeno un’ora. «Ah,quasi dimenticavo». Mi voltai mentre avevo già la mano sulla maniglia,intenta ad abbassarla. Attesi una risposta. «C’era un po’ di sabbia che esce da sotto la porta,da quella dell’allenamento intensivo».
Sbattei le palpebre per qualche volta. «Oh», riuscii solo a dire. «A proposito,perché lo hai fatto?».
Si strinse nelle spalle,l’aria innocente. «Ho fatto cosa?».
«Perché hai mandato Gabriel nella stanza? Come facevi a sapere che ero lì?», continuai scotendo la testa. Papà sorrise,facendo muovere i baffetti.
«Kim,sono tuo padre,ti conosco fin troppo bene. Posso capire dove sei e cosa fai in qualsiasi momento della giornata. E’ come se vivessi in simbiosi con te».
Abbassai la testa,confusa. Non capivo il significato delle parole ed ero troppo stanca per poter richiedere spiegazioni più dettagliate e meno contorte.
«Pulirò,non ti preoccupare», dissi a suon di promessa. Non oggi però,pensai.
«Non mi preoccupo,non mi preoccupo. Buona notte Kim».
«Notte papà».
Uscii dal laboratorio e passai accanto alla stanza dell’allenamento. Qualche granello di sabbia usciva dalla fessura che c’era sotto la porta. Cercai di immaginare,per quel che ricordavo,in che stato l’avevo lasciata. E invece non volevo pensare a quando avrei dovuto ripulirla da cima a fondo. Che strazio.
Tonai a prendere la balestra in cucina ed andai nell’armeria. Avevo avanzato due boccette di acqua santa e qualche freccia con la punta bagnata. Ma quando stavo posando la balestra mi accorsi che mancavano le pistole. Mi toccai la cintura ed i fianchi,ma non sentii niente. Lasciai poi cadere la testa all’indietro,mentre imprecavo in silenzio: le avevo lasciate a Gabriel. Guardai l’ora: l’una e mezza di notte. Era troppo tardi per presentarmi a casa sua e farmele ridare. Gliele avrei chieste il giorno dopo,a scuola. Intanto potevo fidarmi di lui.
Con un sorriso stanco,mi diressi prima a fare una doccia fredda,poi in camera mia. Mi pettinai i capelli con poca voglia,lasciando dov’erano la maggior parte dei nodi che si erano formati a causa del vento. Quando mi accovacciai avevo ancora la testa bagnata e subito caddi in un sonno profondo.
Ma poco dopo aver chiuso gli occhi,mi sembrava di essere di nuovo sveglia. Mi trovavo in mezzo ad una strada,buia e deserta,da sola. Mi ricordava molto la pattuglia che avevo appena fatto,ma la differenza sostanziale era che non avevo armi e nemmeno Gabriel era lì.
Vidi il volto di mia madre,in piedi di fronte a me. Era davvero bellissima,esattamente come la ricordavo:i capelli lunghi leggermente più scuri dei miei,il sorriso bellissimo e solare. Solo gli occhi erano di un azzurro mare,incredibilmente chiari. La sua pelle era bianca e, benché fossi stata lontana,vedevo che era liscia,dura come la madreperla.
Si avvicinò poi a me,a passo leggiadro e lento,facendo strisciare il vestito bianco,troppo lungo per lei,dietro i suoi piedi. Sembrava quasi un fantasma,incantevole. Si fermò a pochi centimetri da me e mi sorrise amichevole. Non riuscii a non ricambiare.
«Mamma?», la chiamaiinnocente.
«Sì sono io», rispose con uno squillo di campane. Sentii poi il suo profumo,di lavanda e fresia. Incredibilmente dolce,che mi faceva girare la testa.
«Mamma,perché non torni a casa?», chiesi ora,con triste. Vidi il suo volto perfetto corrugarsi,ma senza perdere un minimo della propria bellezza.
«Sono venuta a prendere te,Kim cara».
Scossi la testa,confusa. Dietro le mie spalle vidi Gabriel che chiacchierava con degli amici. Il mio cuore iniziò a battere più forte,prima un po’ meno,poi veloce come un treno. «No,non voglio venire», replicai testarda,dopo che il mio compagno mi sorrise dolcemente.
Hilda piegò la testa su un lato,avvolgendomi sempre più col suo buon profumo. «Come no? I tuoi amici ti aspettano». Arrivarono poi Sheila ed Arthur Blood,mano nella mano. Rimasi stupita,non perché non ricordavo il viso impeccabile di Arthur,ma per la straordinaria bellezza di Sheila. Era anche lei dalla pelle diafana,i capelli biondi lunghissimi e lisci come la seta,gli occhi penetranti che avrebbero dovuto incutermi timore. Mi guardavano con aria amichevole,sorridendo.
«Amici?», chiesi acida,guardando Sheila. «Loro non sono miei amici».
«Andiamo», s’intromise Arthur,lasciando la mano della sua ragazza e prendendo la mia,avvicinandosi pericolosamente al mio viso, «o che tu vuoi seguirci». La sua voce era sensuale,troppo sensuale. Mi mancò il fiato per qualche secondo,probabilmente a causa del suo fascino e del suo profumo pungente. Girandomi ancora,vidi Gabriel che mi stava guardando di sottecchi,come se avesse voluto tenermi sotto controllo. La cosa buffa era che eravamo tutti in mezzo ad una strada desolata in piena notte.
«No,io non voglio invece. Voglio rimanere qui con loro», dissi indicando i ragazzi alle mie spalle. Arthur nemmeno alzò lo sguardo,troppo impegnato a riflettersi nei miei occhi e nella mia mente. Era così che si era sentito Gabriel,quando la vampira aveva tentato di rubarmelo?
«Tua madre ha proprio ragione», il suo fiato stava scendendo dal mio orecchio sul mio collo,troppo in mostra per essere da me. Sentii un brivido lungo la schiena,seguito da una piacevole sensazione di pienezza. «Sei proprio testarda», aggiunse. Mi lasciai stringere dalle sue braccia,talmente tenero da dimenticare il perché io avrei dovuto ucciderlo. Mi arresi ed il mio corpo si modellò sui suoi muscoli,facendomi inarcare lentamente all’indietro. Arthur avvicinò le sue labbra al mio collo. «Addio Kim», mormorò ancora dolce. Non mi sentivo così a mio agio da moltissimo tempo.
«Kim!», urlò improvvisamente Gabriel. Riaprii gli occhi e sentii Arthur Blood ringhiare. Il mio amico stava correndo verso noi,tirandomi via dalle grinfie del vampiro.
«Gabriel,ma cosa...», iniziai irritata. Ma era troppo tardi. Il bellissimo vampiro gli era addosso,coi canini conficcati nella spalla. Rimasi immobile davanti a quella scena,impallidita. «Fermati!», gridai buttandomi su di loro.
Improvvisamente,Hilda comparve davanti al mio naso,sorridente. Un sorriso sinistro,quasi un ghigno. «Mamma...», mormorai alle lacrime. Mi attaccò ed iniziò a portarmi via tutto il sangue che avevo in corpo. I suoi canini penetrarono con così tanta facilità nella mia gola,lasciandomi senza fiato ed avvolta solamente da dolore.
Mi svegliai di colpo,ripentendo con un urlo disperato l’ultima parola che avevo detto nel sogno. Rimasi seduta sul letto,col cuore sottosopra. Mi portai una mano al petto e cercai di far tornare i miei battiti ed il mio respiro regolari. Sentii una lacrime scorrermi sul viso,lasciando una scia umida e fastidiosa sulla pelle. L’asciugai immediatamente,cercando di non pensare al sogno.
Guardandomi ancora intorno mi assicurai che tutto fosse al suo posto: la finestra era chiusa ed attraverso le tende riuscivo a vedere le chiome degli alberi scossi dal forte vento che fischiava.
Sperai che mio padre non mi avesse sentita,altrimenti sarebbe stata la fine. Avrebbe potuto credere che mamma era qui,in camera,quando era solamente un brutto sogno.
Erano le quattro passate.

Per fortuna non ero abituata a dormire molto,perché altrimenti quel giorno,a scuola,sarebbe stato un vero inferno. Strisciavo da una classe all’altra,senza che nessuno badasse a me. Come sempre,ero invisibile agli occhi dei miei compagni. Le poche persone che mi guardavano facevano delle smorfie di disprezzo. Non m’interessava,intanto.
Ma la cosa che mi sorprese di più è stato il trovare due ragazze che spettegolavano su di me,mentre stavo sistemando i libri nell’armadietto. Rimasi ferma,in silenzio: «Ieri a pranzo ho visto Kimberly Drake e Gabriel Vixen parlarsi», disse una.
«Come,quello tanto figo dell’ultimo anno?», chiese l’altra.
«Esattamente», rispose l’amica,sogghignando. Probabilmente erano due delle tante primine che sbavavano dietro a Gabriel. Come dar loro torto.
«Maledizione,ma perché? Lui starebbe benissimo con me mentre che ha lei? Nessuno la considera e non è nemmeno una cima per quanto riguarda la bellezza. E’ troppo maschile». Sorrisi sotto i baffi. Sempre meglio che essere una snob come te,avrei voluto dirle. Ma non si erano ancora accorte che le stavo origliando,quindi non fiatai.
«Magari a lui piace per questo motivo. Comunque,dicevo che li ho visti parlare in privato ed erano molto,molto vicini per trattarsi di un semplice discorso tra amici». Forse era perché stavamo discutendo dei fatti nostri?, avrei detto ancora. Strinsi un libro nella mano e muovendomi un po’ per non dar troppi sospetti.
«Secondo me lui non è interessato a lei. Insomma,guardala». Ci fu un momento di silenzio,nella quale ero più che sicura che le due ragazze mi stessero squadrando a puntino. Le lasciai fare tranquillamente,senza voltarmi verso loro.
«Scusa se te lo dico,ma a me pare invece che sia proprio una bella ragazza. Mi piacciono molto i suoi occhi ed i suoi capelli». Trattenni una risata.
«Preferisco i miei occhi color nocciola,i suoi sono inespressivi», rispose la smorfiosa,sbuffando.
«Mi dispiace, te lo dico da amica,ma credo che tu non abbia possibilità con lui».
«E perché mai?», domandò con aria altezzosa. Ci fu di nuovo silenzio. Inizialmente non capii il perché,perciò tesi l’orecchio,approfittando dell’armadietto per nascondermi. Non fiatavano,erano semplicemente in silenzio. Non si erano accorte di me,non di certo. Ma allora perché avevano interrotto bruscamente il loro discorso?
«Ciao», disse una voce al mio orecchio. Mi voltai di scatto,spaventata. Alzai una mano,in segno di difesa e Gabriel me la fermò velocemente,tenendomela in aria. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio e non appena vide che avevo tentato di aggredirlo,si scostò un pochino. «Ehi,svegliata dal lato sbagliato del letto?», chiese ridendo.
Ero ancora sotto shock ed il battito era poco regolare. «Simpatico», mormorai mentre prendevo fiato.
«Cosa stavi facendo? Mi sembravi distratta,non credevo di spaventarti». Mi voltai e vidi che le due ragazze si stavano gustando la scena in rigoroso silenzio. Una sorridendo,l’altra digrignando qualcosa di incomprensibile tra i denti. Anche Gabriel guardò esattamente cosa stavo fissando io e le ragazze si dileguarono velocemente,la smorfiosa in parte rossa per la vergogna, in parte verde per la gelosia. Era una sensazione strana quello dell’avere una persona gelosa di me. Mi avesse conosciuta sul serio non lo sarebbe stata.
«Ti da fastidio che si parli di noi?», chiese. Non sembrava affatto dispiaciuto,anzi.
Lo guardai perplessa,ad occhi spalancati. «Lo sai anche te?».
Mostrò un sorrisetto sghembo,adorabile. «Sì mi è giunta voce. Sai,Leonard è uno dei più gettonati della scuola ed ha molte conoscenze. Le ragazze adorano parlare con lui e ho saputo che si ritiene ci sia una storia tra noi in giro. Hanno parlato per caso di ieri a pranzo?».
Arrossii spudoratamente,tanto che non riuscii a rispondere se non con un piccolo cenno col capo. Rimase a studiarmi per qualche secondo. «Le voci corrono», disse.
«Spero anche abbiano le gambe corte», sussurrai irritata.
Inarcò un sopracciglio castano scuro. «Perché?», chiese confuso.
«Perché non mi piace quando si parla di me. Potrebbero uscire troppe cose e mi sento a disagio. Preferisco passare inosservata,come sempre».
Si avvicinò,sfiorandomi il braccio con la punta delle dita. Se ci avessero visti in quel momento,avrebbero avuto tanto da raccontare. E chissà,col girare delle voci,in cosa si sarebbe trasformato. «E dov’è finita la Kim che ho conosciuto,fredda e sicura di sé?». Lo guardai con occhi sgranati,rigorosamente in silenzio. Aveva ragione infondo,non mi sentivo più come una settimana prima. E,detto francamente,non mi piaceva sentirmi così inerme. «Tu non passi inosservata,Kim», aggiunse dolcemente. Sentii il suo profumo delizioso,vicino al colletto della camicia.
«Come no,ci sono riuscita fin’ora», sbuffai nervosa.
«Te l’ho detto», disse sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, «Leonard ha molte conoscenze. Ed io so molte più cose che tu non puoi nemmeno immaginare».
Lo guardai circospetta. «Che genere di cose?».
Sospirò e guardò in aria. «Ad esempio cosa pensano di te molti ragazzi qui,al liceo».
Mi trattenni dal ridere,ero molto nervosa. E a disagio,sebbene mi sentissi felice così vicina a lui. «Non ci credo», dissi.
«Non ti fidi di me?», chiese quasi intristito.
Lo guardai negli occhi,rischiando di rimanere elettrizzata da quel blu oceano. Mi sentivo coccolata dalle ondate che mi lanciavano. «Io sono sempre passata inosservata e le uniche persone che mi abbiano mai considerato siete tu,Sheila e Leonard. Basta».
«Kim,Kim,Kim», ripeté sospirando e giocherellando con un mio ricciolo, «quanto sei testarda. Perché non ti vuoi fidare di me?».
«Io mi fido di te», confessai abbassando gli occhi. Di nuovo quella strana sensazione: mi sentivo indifesa,sensibile. Non ero un genio nell’esprimere i miei sentimenti.
«Ma non in questo caso», puntualizzò.
«Mi conosco bene,so che gli altri hanno paura di me. Mi considerano pericolosa e pazza,specialmente».
Rise con gusto. «Ma io so che non lo sei,nessuna delle due. Certo,potresti essere pericolosa per creature leggendarie di cui solo io sono a conoscenza,tra tutti i normali studenti del liceo. Ed oltre a Sheila,ovviamente».
«E allora dimmi perché mi evitano tutti,allora», lo sfidai. Mi fissò negli occhi,mentre cercava una risposta adatta. Vinsi io la gara di sguardi.
«Sinceramente,io so che ad alcuni ragazzi incuti... soggezione. Molti credono che accanto a te potrebbero sentirsi dei tali idioti...».
«Cosa?», chiesi alzando la voce,incredula.
«Fai uno strano effetto su tutti,Kim. E non dirmi che non te ne rendi conto», sussurrò sorridendo. I suoi occhi erano talmente dolci da farmi sciogliere come il cioccolato nel latte bollente. Ed io,in quel momento,mi sentivo come il latte: bollente.
«L’unico effetto che faccio è quello di far credere di essere una ragazza da evitare. Tranne con te,stranamente», dissi inarcando le sopracciglia.
Lo vidi irrigidirsi e le sue mani iniziarono a sudare freddo. Per un momento pensai che si sentisse male,ma il suo viso sembrava essere in ottima forma. «Quello che fai a me è ben diverso», mormorò al mio orecchio,mentre si allungava per prendermi il libro di biologia,ancora nell’armadietto. Sentii brividi ovunque. Rimasi immobile,mentre mi sfiorava le spalle e mi faceva il solletico sul collo col la sua camicia.
«Quindi piaccio così tanto alle primine?», chiese ridendo. Sentii in suo fiato sulla mia fronte e per l’ennesima volta il mio cuore iniziò a correre come un treno. Non ero abituata a tanta intimità.
«Non ne hai la più pallida idea di che effetto faccia tu a loro. E non dirmi che non te ne rendi conto», risposi imitandolo con una smorfia.
Chiuse l’armadietto e mi guardò,piegando la testa su un lato. Quanto avrei voluto spiegargli quanto era bello in quel momento,davanti a me. Anche se l’istinto di avvinghiarmi a lui sorgeva sempre,di fronte al suo volto,mi trattenni.
«E lo faccio anche a te?», chiese improvvisamente.
M’irrigidii. Il treno stava per uscire dai binari. «Non ne ho idea di come si sentano loro. E poi,non sono una primina», mi scusai. Avessi dovuto dirgli tutto ciò che pensavo di lui,il mio cuore non ne sarebbe uscito vivo.
Vide la mia espressione,persa sulle mattonelle fredde del corridoio. Avrei voluto coricarmi a faccia a terra per rinfrescarmi un po’,dato che ormai ero un rogo vivente – senza puzza di bruciato per fortuna. Probabilmente rimase in parte divertito ed in parte deluso,perché mi diede un buffetto sulla mano,per attirare la mia attenzione. Come se non ne avesse già avuta troppa,a sua insaputa.
«Non hai risposto alla mia domanda», mi provocò. Sospirai,guardandolo negli occhi e perdendomi ancora. Dimenticai di respirare e per un momento mi girò la testa.
«Quello che fai a me è ben diverso», risposi imitandolo ancora,come poco prima. Mentre mi guardava,circospetto,la campanella della terza lezione suonò. «Andiamo in classe», dissi prendendogli il libro di biologia dalle mani e sorpassandolo. Rimase immobile per qualche istante,con lo sguardo perso nel vuoto. Poi mi seguì,in silenzio.
Benché fossi consapevole che durante biologia era dietro di me,assolutamente tranquillo,non riuscivo a non rimanere tesa ed agitata. Anche questa era una sensazione nuova: preoccuparsi delle persone che mi stavano attorto. Paura di fare un passo falso,o dire qualcosa di sbagliato. E poi continuavo a pensare alle parole di Gabriel: “Fai uno strano effetto su tutti,Kim. E non dirmi che non te ne rendi conto”. Che assurdità,ero sicura al duecento per cento che ero un fantasma,in quella scuola. Fossi morta,nessuno se ne sarebbe accorto.
Vidi che alcuni miei compagni mi sbirciavano da dietro le spalle,oppure da sotto i capelli. Mi guardavano con aria sospetta,spostando rapidamente gli occhi da me a Gabriel,seduto nel banco dietro il mio. Poi si voltavano e parlavano a bassa voce con le persone che avevano accanto. Quanto avrei voluto alzarmi e dir loro di smetterla. Peccato non ne avessi il potere.
Ero talmente distratta che non mi accorsi della domanda della professoressa Mires. «Signorina Drake?», chiese impaziente. Gabriel mi diede un calcio alla sedia,facendomi avanzare di qualche centimetro.
«Come?», chiesi spaesata. Era la prima volta che mi facevano una domanda ed io non avessi nemmeno sentito di cosa stavano parlando.
«Le ho chiesto qual è la più grossa stella del sistema solare», ripeté.
«Il sole», risposi prontamente.
Corrugò la fronte. «Ma il sole è un pianeta», mormorò. Tutti mi guardarono,sogghignando.
Li ingannai io,facendo finta di assumere un’espressione indecisa. «No professoressa,il sole è una stella», confermai decisa.
La prof mi sorrise. «Bentornata tra noi,signorina Drake». E riprese a spiegare qualcosa sul sistema solare.
Sentii Gabriel ridacchiare tra sé,ma non mi voltai. Dovevo ricordarmi di ringraziarlo,a pranzo. Rimasi divertita,comunque,degli sguardi insoddisfatti dei miei compagni alle mie risposte sicure e certe alla professoressa. Per un momento,mi venne il sospetto che il mio amico avesse avuto più ragione di quanto gliene avrei voluta dare.
Non ero completamente invisibile agli occhi degli studenti,ma dubitavo fortemente che si fossero accorti di me nel modo in cui mi aveva detto Gabriel. Ne ero certa.
Mi sembrava già un miracolo avere Sheila come amica,Leonard per congruenza e Gabriel per chissà quale motivo. E specialmente il fatto che il ragazzo mostrasse fin troppo interesse nei miei confronti.
Negli ultimi giorni,puntava a domande più personali,il contatto fisico avveniva sempre più spesso e non indugiava nel sorridermi o nel sussurrarmi qualcosa di dolce all’orecchio. Mi sembrava di vivere in una fiaba... costellata da vampiri demoniaci.
Fino alla fine dell’ora cercai mille tentativi per restare attenta,in caso di un’altra domanda a sorpresa. Ma non riuscivo a convincermene di nessuno. La presenza di Gabriel a pochi centimetri dietro di me mi faceva sentire una piccola scarica elettrica,in continua tensione. Era come una colla,alla quale non riuscivo a scappare.
Quando suonò la campanella,schizzai fuori dall’aula senza esitare un secondo. Era l’ora di pranzo e mangiare mi avrebbe aiutata a pensare più lucidamente. Presi un vassoio e mi misi in coda,studiando tutti i piatti che c’erano quel giorno. Ma non riuscivo a concentrarmi nemmeno su quello,perché continuavo a pensare a Gabriel e a quello che ci eravamo detti.
«A cosa stavi pensando?», chiese apparendo improvvisamente alle mie spalle. Cercai di non spaventarmi troppo,ma non ero sicura di averlo nascosto bene. Lui era davanti a me,in attesa che aprissi bocca. O perlomeno,di dare qualche segnale di vita.
«Tante cose», dissi rimanendo sul vago. «A proposito,grazie per avermi... avvertita».
Sorrise sghembo,ancora. «Diciamo che è stato divertente». Non chiesi spiegazioni. Passai avanti,prendendo i primi piatti che mi passavano sotto il naso. Quando le nostre mani si sfiorarono mentre cercavamo di prendere lo stesso piatto,sentii di nuovo la scossa elettrica. «Mangi così tanto?», chiese indicando il mio vassoio. Avevo preso come minimo quattro piatti,una dose con la quale avrei potuto fare colazione,pranzo e cena.
Feci spallucce. «Oggi ho particolarmente fame», mentii. Gabriel,invece,prese pochissima roba da mangiare,meno della metà di ciò che avevo preso io. Appena uscimmo dalla coda,ci guardammo intorno per vedere se Leonard,Sheila e compagnia erano già al tavolo.
«Pranzi con me oggi?», chiese in tono innocente.
Corrugai la fronte. «Siamo nello stesso tavolo di solito», osservai ridendo.
Si sciolse in un sorriso spontaneo. «Intendo da soli».
Restai a fissarlo,in mezzo alla mensa. «Ah», farfugliai arrossendo, «okay». Ci avviammo in un tavolo vuoto,seguiti dagli occhi di metà corpo studentesco. Sheila rideva sotto i baffi e Leonard cercava di attirare la sua attenzione,inutilmente. Ci sedemmo tranquillamente, mentre io tenevo la testa bassa. Per qualche minuto rimase in silenzio,come me,a guardarmi.
Poi mi feci coraggio ed aprii la bocca per prima: «Come mai mangiamo da soli?», chiesi.
Afferrò la mela ed iniziò a sgranocchiarla con gusto. Teneva gli occhi fissi sui miei,sulle prime senza rispondere. «Dovevo dirti una cosa e gli altri non potevano sentire».
Iniziai ad agitarmi. «Che genere di cosa?».
Ingoiò un pezzo. «Ieri sera mi sono dimenticato di darti le pistole», disse abbassando la voce. Feci fatica io a sentirlo,in mezzo a tutto quel baccano. Sicuramente non l’aveva sentito nessun altro. «Te le porto questa sera».
«Oh già», dissi guardando il piatto,per non rimanere troppo elettrizzata dai suoi occhi, «me ne sono accorta ieri sera,ma alle due di notte non mi pareva il caso di presentarmi alla porta di casa tua. I tuoi genitori mi avrebbero insultato in tutte le lingue del mondo».
Sorrise,continuando a mangiare. «Avrei potuto spiegare».
«Cosa? Il perché di una visita notturna o il fatto che avevi due pistole in casa?», chiesi ironica. Gabriel non ripose,limitandosi a guardarmi perplesso. Sapeva che avevo ragione da vendere. Dopo un minuto buono,sorrise e riprese a sgranocchiare la mela,rubandomi ogni tanto le patatine dal vassoio.
«Comunque volevo farti vedere una cosa», disse tornando serio. Non mi agitai più di tanto e continuai a mangiare come se non fosse successo niente. Tirò poi fuori dalla tasca un pezzo di carta piegato. Aveva un colore sbiadito,marroncino chiaro.
«Cos’è?», domandai guardandolo bene.
«Un articolo sul giornalino della scuola di domani», ripose sorridendo. Lo guardai confusa. Da quando doveva interessarmi degli scoop della scuola? Me l’allungò,cautamente. Lo presi tra le mani ed osservai la pagina che aveva aperto. Spalancai gli occhi e nello stesso tempo sentii il sangue iniziare a scorrere più velocemente,come se fosse impazzito.
Sulla pagina di giornale c’era una foto mia e di Gabriel,accanto agli armadietti quella mattina,mentre lui mi stava sistemando i capelli dietro l’orecchio. Per qualche secondo dimenticai di respirare. Non sapevo se scoppiare a gridare per la rabbia o piangere. “Amori in corso” era il titolo dell’articolo.
«In poche parole,credono davvero che ci sia una storia d’amore tra noi due», disse sereno. Io non riuscivo ancora a parlare,avevo paura di come sarebbe potuta uscire la mia voce.

Sembra che la primavera abbia scatenato già un nuovo amore. Per quanto insolito possa essere. A quanto pare,il giovane Gabriel Vixen e la misteriosa Kimberly Drake,entrambi all’ultimo anno e compagni nel corso di biologia, hanno deciso di mostrare il loro amore nei noiosissimi corridoi del liceo.
Prima un atteggiamento intimo all’ora di pranzo,il martedì,e poi carezze ed effusioni tra una lezione e l’altra,ieri mattina. Si decideranno a confessarsi l’uno con l’altra?
Quel che sarà,sarà....


Strinsi il foglio tra le mani,rischiando di distruggerlo. Gabriel cercò ti attirare la mia attenzione piegando la testa. «Kim?», mormorò indeciso, muovendomi il gomito. Non risposi,stavo ancora pensando al nome del redattore del giornalino,per potergli staccare la testa. «Kim,qualcosa che non va?».
Lo guardai torva e risi isterica. «Qualcosa che non va? Secondo te come fa ad esserci qualcosa che va bene dopo questo», ringhiai facendo svolazzare il foglio davanti al suo naso. Probabilmente non si era fatto tutti i problemi che mi ero fatta io,perché inarcò un sopracciglio,confuso. «Odio quando le persone parlano di me. Non ne hanno alcun diritto», aggiunsi con tono basso.
Gabriel riprese l’articolo e,dopo averlo riappallottolato,lo infilò nella tasca dei jeans. «Non capisco perché tante storie. Non lo leggerà nessuno intanto», disse fiducioso.
«Questo è poco ma sicuro». Aveva il suono di una minaccia.
Mi fissò a lungo,senza muoversi. Io avevo lo sguardo perso nel vuoto,mentre creavo un piano per far scomparire ogni traccia di quello che sarebbe comparso sul giornale,il giorno dopo. «Che cosa intendi dire?», chiese circospetto.
«Chi è l’editore del giornale?», risposi ignorando la sua domanda.
Guardò per un momento il soffitto. «Mi pare sia Steve Garrett,ma...».
«Bene». Mi alzai velocemente dal tavolo,lasciando il vassoio lì dov’era.
«Kim aspetta», disse Gabriel seguendomi. Sentivo gli occhi di tutti gli studenti che si trovavano a mensa,mentre attraversavo la sala. Probabilmente pensavano che avessimo appena litigato. Altro scoop,pensai irritata. Gli occhi di Sheila,Pam e Dalila non si staccavano da noi,mentre scomparivamo dietro l’angolo.
Camminai a passo deciso fino all’aula messa a disposizione per il giornalino della scuola. Di solito quei ragazzi lavoravano anche durante l’ora di pranzo,quindi non avrei fatto fatica a trovare il responsabile.
Mi ricordai che Steve Garrett seguiva il mio corso di storia. Era un secchione dall’aria innocente,non molto bravo negli sport e poco fortunato con le ragazze.
Man mano che camminavo l’ira si placava,ma appena mi trovai davanti al cartello “Redazione giornalino del liceo” sentii i miei nervi spezzarsi. Aprii la porta violentemente,guardandomi bene intorno. I ragazzi che stavano lavorando mi degnarono di uno sguardo di al massimo due secondi,poi tornarono alle loro faccende. Mettendo bene a fuoco,vidi il colpevole dietro ad una scrivania,in una stanza accanto a quella,con le vetrate a posto dei muri. Puntai verso di lui.
Gabriel,nel tragitto,non aveva fiatato o cercato di farmi ragionare. Sapeva che non ci sarebbe stato alcun verso per impedirmi di fare quello che avrei fatto. Nessuno poteva intromettersi nella vita di Kimberly Drake,non senza permesso.
Quando aprii la porta,Steve ebbe un sussulto,ma mi sorrise. Mi fermai con sguardo atroce davanti alla sua scrivania,mentre il secondo protagonista dello scoop richiudeva con calma la porta alle nostre spalle.
«Kimberly Drake,qual buon vento ti porta qui?», chiese amichevole.
Il mio sguardo iniziò a socchiudersi come una fessura. «Avviso che non è una visita di cortesia», risposi sgarbata.
Annuì cautamente. «Raccontami», m’invitò prendendosi le mani l’una con l’altra ed appoggiandosi coi gomiti sul legno liscio,sicuramente in mogano. La stanza era piccola,senza condizionatore,e l’ira mi faceva sentire ancora più calda e claustrofobica. Perlomeno la finestra era aperta.
«Sono qui per parlare dell’articolo di domani».
Steve sembrò spaesato,come se non sapesse di cosa stessi parlando. «Non capisco,di quale articolo...».
«Senti», lo fermai sbattendo le mani sul tavolo,facendolo arretrare, «questi giochetti con me non funzionano. Voglio che tu non pubblichi l’articolo su me e Gabriel,domani. E non è una richiesta». Il mio grado di maleducazione stava toccando le stelle,ma non m’importava. Intanto,non potevo incutere più terrore di quanto avessi già fatto. Gabriel,alle mie spalle,si avvicinò e mi prese dolcemente per un braccio,rimanendo però in silenzio.
Steve era impallidito e notevolmente a disagio. «Ehm,n- non so s- se sia p- possibile», rispose balbettando.
Gli sorrisi maliziosa. «Sono sicura che tu riuscirai ad impedirlo».
«M- ma non ci sono articoli interessanti in questi g- giorni,il vostro mi sembrava perf...».
«Ti ho detto che non m’interessa», ringhiai cupa.
«Kim,posso parlarti un momento?», s’intromise Gabriel.
«Lasciami finire», dissi scrollandomi la mano che aveva messo sul mio braccio.
«Kim,per favore», insistette. Lo guardai da dietro la spalla. Era immobile,serio,con la mano verso di me. Sbuffai e mi voltai,ancora più irritata. «Dacci un minuto», disse al ragazzo.
«Vi pare...», rispose Steve,ancora mezzo terrorizzato.
Io e Gabriel ci avvicinammo alla porta molto silenziosamente. Mi guardava con occhi strani,come se per tutto il tempo l’unica domanda che si era posto era il motivo del mio comportamento. A me risultava evidente,perché a lui no?
«Kim,ragiona un attimo», cominciò calmo e pacato.
«Ragionare cosa? Te l’ho detto,meno la gente parla di me,meglio è».
«Ascolta», continuò chiudendo gli occhi,segno che la sua pazienza stava per finire, «stanno già comunque parlando tutti di noi,no?». Annuii,senza fiatare. Dove voleva arrivare? «Bene,perché non lasciarli fare? Intendo,venerdì sera saremo al ballo,quindi s’insospettiranno che stiamo veramente insieme. Potrebbe essere la nostra copertura».
Alzai un sopracciglio,ben attenta ad ogni parola che usciva dalla sua bocca. Ma non capivo bene il suo ragionamento. «Spiegati meglio», lo invitai.
Sorrise,felice per avermi fatta calmare un po’. «Arthur Blood di sicuro sa che saremo al ballo. Se ti vedrà da sola,capirà perfettamente le tue intenzioni e le probabilità di riuscita nel piano saranno poche,per non parlare che potrebbero essere coinvolte anche altre persone. Se noi facciamo credere di avere una storia ed andremo al ballo insieme,nessuno sospetterà di niente. Passeremo per una semplice coppia normale e a Blood non verrebbe mai in mente,vedendoti volteggiare sulla pista,che tu hai intenzione di ucciderlo. Penserà magari che la sua è stata semplicemente fortuna,o sfortuna,dipende dai punti di vista». Ad ogni parola che diceva,gli angoli della sua bocca s’inarcavano sempre più,come se fosse stato entusiasta del proprio piano. Stava ragionando come un assassino,non c’era da dubitarne.
«Aspetta,chi te lo dice che al ballo volteggerò in mezzo alla pista?», chiesi. Non mi andava di fare di nuovo il discorso di quando eravamo tornati dalla pattuglia,ma non riuscii a trattenermi dal chiederlo.
Mi sorrise allegramente e complice. «Allora,hai capito il piano?». Come resistere a quegli occhi dolci e a quella voce delicata? Non appena mi sentii di nuovo catturata dalle ondate delle sue iridi,il caldo che sentivo nascere dentro era ben altro dell’ira. Era qualcosa di più forte e coinvolgente.
Mi riavvicinai alla scrivania,dove Steve ci stava attendendo con impazienza. Appena appoggiai le mani sul legno,arretrò istintivamente. Mi trattenni dal ridere,ripensando alla paura che gli avevo fatto poco prima.
«Chesia il primo e l’ultimo in cui appare il nostro nome,sono stata chiara?», chiesi con tono più educato. Steve si mise la mano sul cuore.
«Te lo garantisco».
Sorrisi educatamente. «Buona giornata», ed uscii dalla stanza insieme a Gabriel.
  
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