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Autore: TwinStar    20/11/2006    4 recensioni
Sirius si è convinto per chissà quale assurdo ragionamento che la maniera migliore di esprimere ciò che prova sia una lettera d’amore, anche se la stesura non sembra delle più semplici: complici amici, conoscenti nonché una naturale incapacità di fondo.
Una trama sentita chissà quante altre volte.
Del resto è solo un’altra banale dichiarazione d’amore.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ho pensato molto se postare o meno questo capitolo, essendo in sciopero (chi ha dato un'occhiata al mio account l'avrà immaginato, ho cancellato tutto! XD).

Però per rispetto verso le persone che mi leggono, lo faccio.

C'è pur sempre qualcuno che aspetta un aggiornamento, fosse anche una persona sola, e non mi pare corretto farlo tribolare! ^_^

 

Lettera 5 – De Commutatione (Lily Evans)

Non è mai stato in una biblioteca, Sirius.

Nemmeno in quella che ha a casa sua.

E’ ad Hogwarts solo da pochi giorni, le materie sono ancora tutte a livelli così elementari (per mettere in pari quegli sciocchi Figli di Babbani, pensa disgustato) da annoiarlo, e non ha ancora sentito il bisogno di un luogo in cui studiare. A volte sfoglia pigro un volume, tanto per non restare tutto il giorno con le mani in mano, sulla comoda poltrona della Sala Comune, ma si appisola quasi subito come sotto l’effetto di un incantesimo soporifero. Spesso deve svegliarlo quel ragazzino scemo con gli occhiali e quella buffa zazzera selvaggia di cui va tanto fiero.

Non voleva neanche venirci.

Odori imperscrutabili hanno guidato i suoi passi durante una delle tante escursioni senza meta, talmente vivi da sentirli addensarsi piacevoli come zucchero sulla punta della lingua. Odori rassicuranti e ovattati di polvere che danza pigra al sole tiepido d’autunno, di un caldo tepore che appanna i vetri di larghe finestre, di chiuso e protetto.

Sorride languido.

Di sicuro qui nessun lo verrà a cercare, nemmeno sua cugina che s’è tanto arrabbiata solo perché le ha sollevato la gonna davanti a tutti per poi scappare a gambe levate al fine di evitare una sonora battuta. Reprime un brivido al pensiero. Narcissa fa tutta la delicata per piacere ai ragazzi ma ha le mani pesanti di un Troll e nessuna paura di usarle. A casa hanno una stupenda libreria, l’invidia di ogni studioso dice suo padre, ma lui non è mai stato uno studioso.

I libri gli danno l’orticaria.

Qui però è bello.

Questi sono odori che sanno di casa.

Ed è strano pensare questo perché casa sua ha un profumo diverso. Non ha aroma né anima, come i suoi abitanti: è fredda e sterile nel suo essere un incantevole, perfetto nulla.

Non solletica seducente i sensi come questo luogo.

Passeggia soppesando lento ogni passo, le mani allacciate dietro la schiena che ogni tanto scioglie a sfiorare coi polpastrelli il dorso ruvido di un tomo che ha attratto la sua attenzione, tra corridoi tortuosi e tutti uguali. Lancia occhiate distratte alle teste chine sui libri, ai lunghi rotoli di pergamena: nelle orecchie suoni smorzati di placidi bisbigli e il secco grattare delle piume d’oca sulla carta ruvida.

Ma non è quello ad attirare la sua attenzione.

C’è ancora qualcosa da trovare, lì.

Segue ancora l’effluvio dei libri, quel vago sentore di carta vecchia e sfrangiata contando i passi che lo separano da uno spigolo, gli scaffali in ogni stretto passaggio, i numeri di volumi che gravano su ogni scansia. Ogni tanto una nicchia appartata cela allo sguardo una coppia d’amanti, ma lui tira dritto senza degnarli d’attenzione.

E cerca ancora.

Si addentra sempre più in quel dedalo di casellari incantevoli, finché, giunto nell’ultima nicchia dell’ultimo vicolo cieco dell’ultimo passaggio, non c’è più una traccia da seguire.

Non è solo.

C’è un ragazzo di fronte a lui che nemmeno si accorge di avere compagnia. Legge da una pergamena col mento poggiato alla mano, i fini capelli castani che si accendono d’oro e di luce a coprirgli lo sguardo. Canticchia sommesso, seduto ad un vecchio scrittoio scuro: quello che i ragazzi più grandi gli hanno sempre detto di non adoperare perché è piccolo e scomodo, zoppica al minimo spostamento e nel corso degli anni piccoli fori di termite gli hanno dato una forma incompleta e sgangherata.

Sirius pensa, maligno, che non esiste posto più adatto per quel ragazzo dall’aria dimessa e lascia che lo sguardo corra alla toga di seconda mano che lo avvolge malamente, le maniche troppo corte e il colletto liso, giù lungo i pantaloni che hanno visto troppi incantesimi di rammendo e a quei mocassini sfatti. Ma c’è una calma, nobile dignità nei modi che lo incanta e gli inchioda i piedi al suolo anche se lo trova un ragazzo per nulla interessante, o di cui valga la pena fare la conoscenza. Forse è quel motivo insistente che canticchia sommesso a rapirlo: Sirius non riconosce la musica che fluisce via dalle labbra sottili, ma sente che dovrebbe.

Ha il sapore di ciò che l’ha portato lì.

La traccia di quell’uggioso pomeriggio d’autunno.

Ed è quello il momento in cui il canto cessa. Il ragazzo solleva lo sguardo e il grigio plumbeo si mescola con l’ambra splendente. Dura appena un istante, il tempo di un battito di ciglia o di un frullio d’ali di boccino: c’è a malapena il tempo di rendersi conto che il ragazzo non sta guardando lui, ma lo trapassa da parte a parte come fosse un idolo d’aria, e il contatto visivo è interrotto. Neanche un cenno del capo in segno di saluto, e il ragazzo torna ad occuparsi di quel pezzo di inutile carta.

Sirius si scrolla nelle spalle e torna sui suoi passi, ma dentro vorrebbe gridare. Come fa il suo corpo a mantenere un tale controllo, a palesare un così cieco distacco? Come fa a non sentire il dolore che lo deturpa? Non gli piace venire ignorato a quel modo.

Quel ragazzo non dovrebbe guardare che lui.

Non sa perché, ma è così.

Fa male…

 

Non è il dolore a svegliarlo.

Le fitte acute ed insistenti all’avambraccio, punture inflitte con la punta d’acciaio di una piuma d’oca da una mano dispettosa, si sono fuse in maniera indissolubile con lo strazio al petto che l’aveva afflitto nel sogno al punto da confondersi nella mente.

Non è stato il suono del suo cognome pronunciato da labbra piene e morbide, a riportare i suoi sensi alla realtà.

E’ l’odore a scuoterlo. Ancora.

Dischiude gli occhi mentre la realtà si fa strada, sfocata, dietro le palpebre pesanti e sgradevolmente cispose, e aggrotta le sopracciglia infastidito. Alle volte il suo istinto di cane si azzuffa con la lucidità di mente umana: sono quelle le volte, sospese tra sogno e veglia nel buio degli occhi serrati, in cui l’odorato si impunta e pretende di far passare il mondo attraverso quei due minuscoli fori di carne in fondo al naso. Cataloga pignolo, riconosce, ricorda. Nessuna meraviglia che la sua forma Animagus sia quella di un cane.

Solo quando apre gli occhi tutto si attenua.

Ma l’odore è ancora là a tormentargli i giudizi, piacevole e impenetrabile.

 

***

 

Sirius si ridestò nel peggiore dei modi possibili: con i timpani perforati da una vocetta acuta e insistente a ripetere il suo nome a macchinetta, sotto i colpi di lunghe dita appuntite (artigli affilati come falcetti da druido) e pizzichi inferti senza meta sulle braccia nude, le guance e la nuca.

Un vero e proprio assalto offensivo da denunciare al Ministero.

“La biblioteca non è posto per dormire, Black!”

Quel trillo vivace stemperato di malizia fu la goccia che fece traboccare l’ampolla: con uno scatto che si sarebbe potuto definire solo “animale” l’Animagus prese con forza quel polso sottile che gli dava noia e spalancò gli occhi in quello che avrebbe voluto fosse un ringhio feroce. Ne uscì una smorfia penosamente assonnata e stordita che non avrebbe impaurito nemmeno Peter. La ragazza scoppiò in una risatina malcelata.

“Evans, che palle, sono stanco!”, gridò a voce decisamente più alta del consentito, guadagnandosi un’occhiata tutt’altro che cordiale dai pochi presenti e da Madama Pince, che molto signorilmente ignorò: le spinse via il braccio con uno scatto secco. “Ho passato tutta la notte ad occuparmi di questa schifezza con le foglie, dammi tregua!”, aggiunse in un sibilo scortese, indicando con un gesto stizzito della mano la pianta rachitica e sofferente che gli stava davanti, sul tavolo.

Lo sguardo della ragazza si fece cupo e la bocca si atteggiò ad una smorfia di incredulo disgusto nell’istante in cui si accorse di quel povero ammasso informe di foglie rinsecchite che troneggiava in tutta la sua pochezza sul tavolo davanti al compagno di classe.

“Per Morgana, cos’è questa cosa?”

“Un Luniolo.”, ringhiò Sirius piccato, come se fosse evidente e fosse Lily la stolta che non riusciva a vedere l’ovvio.

Peccato fosse una delle migliori del suo corso.

“Un… Luniolo?”, gli fece eco la ragazza in un gemito soffocato, in un disperato tentativo di non ridergli impietosamente in faccia, mentre il viso dell’Animagus per l’umiliazione s’andava tinteggiando di un’interessante gamma di colori che andava da un tenue grigio “cencio-per-cessi” a un brillante verde “stendardo-di-Serpeverde” (difficile pensare a quale immagine risultasse più ributtante). “Sul nostro libro di Erbologia c’è una foto un po’ diversa. Dovrebbe essere un…”

 

 

“… Denso cespuglio eretto e molto ramificato con grandi foglie di un lucido verde smeraldo cupo dalla base a forma di cuore. Produce fiori profumati di forma pentalobata i quali, schiusi all’imbrunire, emettono un tenue lucore bianco azzurrino. Produce semi fertili, legnosi, neri e a forma di uovo, che opportunamente trattati rappresentano l’ingrediente principale di molte pozioni d’amore più o meno efficaci.”

“E’ carino, no?”

Le labbra del ragazzo che leggeva si storsero in una smorfia poco convinta non appena chiuse con un tonfo secco il pesante tomo che l’altro gli aveva messo tra le mani.

“Carino non è esattamente la parola che cercavo…”

“Non va bene?”, chiese l’altro, sinceramente stupito.

“Sirius, è una pianta così effeminata che anche le ragazze si vergognerebbero a presentarla come progetto di Erbologia, perché dovremmo farlo noi?”

Sirius si strinse nelle spalle con fare fintamente distaccato, quando dietro moriva di vergogna per se stesso. Non poteva certo confessargli che l’aveva scelta perché gli ricordava troppo l’idea di loro due insieme! “Non lo so, è stata un’intuizione: mi sembrava bella, delicata e difficile da curare. Pensavo che ci avrebbe fatto guadagnare un buon voto per i progetti a coppie di fine anno.”

Il licantropo, gettato con malgarbo il libro sulla scrivania a cui era seduto, afferrò di nuovo tra le dita la piuma d’oca e tornò a scribacchiare qualche riga del suo tema di Storia della Magia come stava facendo prima di venire bruscamente interrotto, non senza prima lanciare in direzione del suo compagno di studi un’occhiata tutt’altro che fiduciosa.

“A te non interessano i buoni voti.”

“Ma a te sì.”, insistette l’altro sorridendo. “Mi hai scelto per farti da compagno, voglio impegnarmi.”

“Non ti ho scelto, mi sei stato affibbiato.”, sbottò l’altro con le guance imporporate per lo sdegno, e la punta della penna premuta con troppa forza sulla carta schizzò una larga macchia d’inchiostro che gli fece mormorare un’imprecazione tra i denti. “Sono entrato in classe in ritardo quando si erano già decise le coppie ed eri rimasto libero solo tu, perché sei talmente un disastro in quella materia che nessuno vuole avvicinarti.”

A fatica Sirius riuscì a non ribattere a tono a quella battuta come faceva di solito.

In genere si partiva con un rimando poco gentile al fatto (tra l’altro vero) che secondo lo stesso metodo c’era un certo licantropo di sua conoscenza il quale, a causa di una sua incapacità biologica nel tenere in mano fiale e ampolle, finiva immancabilmente a fare coppia con lui a Pozioni. Remus replicava con qualcosa di altrettanto acido e si finiva a battute sarcastiche e a musi lunghi tenuti fino all’ora di cena.

Mordendosi la lingua ingoiò l’orgoglio e chinò umilmente la testa, trovandosi improvvisamente molto interessanti le punte delle scarpe.

“Voglio solo fare del mio meglio.”, mugugnò con voce a malapena udibile, e alle proprie orecchie apparve a tal punto lagnosa e isterica che lottò con tutte le proprie forze per non scappare in lacrime dalla stanza come ogni brava femminuccia che si rispettasse.

Dopo questa Remus l’avrebbe preso in giro a vita.

Invece, contro ogni previsione, il licantropo gli aveva sorriso.

“D’accordo, Sirius.”, aveva detto dopo un istante di stranita quanto giustificata perplessità. “Portiamo questo Luniolo come progetto di Erbologia, voglio fidarmi della tua intuizione.”

 

 

Passarono lunghi istanti di silenzio teso durante i quali Sirius fu indeciso tra il ridere di se stesso di quella situazione, che se fosse accaduta ad un altro sarebbe risultata davvero spassosa,  o il prendersi a pugni da solo fino a cambiarsi i connotati. Di nuovo.

Scartò la prima ipotesi perché non stava accadendo a un altro.

Scartò la seconda, ma solo perché sarebbe stato un delitto per l’intero mondo magico rovinare un viso così bello. In preda allo sconforto più totale si prese la testa tra le mani e un rantolo disumano gli scaturì dalle labbra pallide.

“Evans, ho combinato un casino.”

Lei non riuscì proprio a negarsi quello sbuffo stizzito.

“Vorrei dirti che provo compassione per te, Black, ma non sono una bugiarda.”, sentenziò pedante la ragazza con la solita lingua venefica che la contraddistingueva, quella che faceva chiedere spesso all’Animagus cosa mai ci trovasse in lei il suo migliore amico. Era una persona talmente noiosa e inquadrata da dare la nausea. Si sarebbe trovata meglio di lui in casa Black se non fosse stata, per dirla con le parole di sua madre, una sudicia Sanguesporco.

Non paga di quell’accanimento incrociò le braccia e lo squadrò da capo a piedi con uno sguardo di biasimevole superbia. “Solo tu potevi fallire in un compito che avrebbe potuto eseguire perfino il Troll più stupido della compagnia: quello cieco, sordo, bendato e con le mani legate dietro la schiena. Scommetto che hai passato la serata a sognare sconcezze invece di tenere al riparo i fiori del Luniolo dalla luce diretta della luna piena.”

“Non è così!” sbottò l’Animagus sostenendo il suo sguardo a riprova della sincerità delle sue affermazioni. “Stavolta mi sono impegnato davvero!”

“E i risultati si vedono, infatti.”, ghignò la ragazza indicando i brutti petali neri, ormai irrimediabilmente inceneriti.

Sirius tacque.

Che pensasse quello che le pareva, lui aveva fatto davvero del suo meglio. Assieme a Remus aveva passato giorni ad innaffiare le radici contando le gocce al millimetro e notti insonni a dosare la luce lunare, si era sporcato le mani di concime e si era fatto appiccicare addosso l’odore di quei fiori al punto che anche le ragazzine del primo anno avevano cominciato a prendersi gioco di lui. Si era fatto persino mordere senza che se ne rendesse conto, da un cucciolo di Dixie che fuggito dall’aula di Difesa contro le Arti Oscure aveva trovato riparo tra le sue foglie, finendo in infermeria.

E gli aveva dedicato ogni momento libero della notte precedente, quando per la prima volta Remus si era fidato a lasciargliela accudire da solo, senza la supervisione di Peter, dietro le sue ripetute insistenze.

Non gli aveva neanche mai levato gli occhi di dosso, tranne i rari istanti in cui un ululato lontano e disperato l’aveva fatto istintivamente sobbalzare: in quei momenti correva a perdifiato alla finestra spalancata per poi sporgersi pericolosamente aggrappato al cornicione di pietra antica, nel vano tentativo di scorgere tra le chiome incolori degli alberi le sagome dei suoi amici.

Che cavolo avrebbe potuto fare più di così?!

Sirius chinò la testa tra gli avambracci, soffocando un rantolo frustrato e collerico.

Possibile che non ne combinasse mai una giusta?

Voleva comportarsi in maniera perfetta…

Che Remus lo apprezzasse…

“Non posso dirglielo.”, borbogliò. “Mi ucciderà.”

“Beh, non è che tu abbia molta scelta.”, sbuffò la ragazza atteggiando le labbra ad un broncio. Una mano sottile salì a scostare dagli occhi verdi una lunga ciocca di capelli rossicci con quel fare naturalmente civettuolo delle ragazze della sua età. “Cosa conti di fare, tenergli nascosta la verità fino al giorno della consegna, dove cercherai di convincere la Sprite che il vostro Luniolo è di una specie invisibile sperando che la beva e vi dia un Oltre Ogni previsione e un abbraccio affettuoso?”

“Certo che no, che idea balorda!”, sbottò il ragazzo cancellando mentalmente il piano A dalla lista delle trovate da mettere in atto per risolvere la situazione.

“E poi forse Remus ti perdonerà.”

“Tu che faresti al suo posto?”

“Ah, io ti ucciderei.”, replicò pronta la ragazza, ignorando il gemito strozzato dell’altro. “Ma io non sono Remus. Conoscendolo, probabilmente si darà la colpa di tutto l’accaduto per aver permesso a uno come te di mettere le mani sul suo compito di Erbologia di fine anno.”

Un’ipotesi che Sirius trovò decisamente realistica.

“Questo non mi consola…”

“Oh, Sirius, insomma, smettila di fare tutte queste scene. Non ti è mai interessato avere buoni voti in Erbologia, si può sapere…”

 

 

“… Cosa c’è sotto stavolta?”

L’Animagus sollevò lo sguardo genuinamente sorpreso dal libro che aveva recuperato quel pomeriggio dalla biblioteca per incontrare quello falsamente svagato dell’amico. James gli si stagliava davanti nella sua tipica posa da combattimento, con le gambe larghe ben piantate a terra e le braccia incrociate in grembo. Gli occhiali rifrangevano la luce tremolante del camino attiguo, nascondendo gli occhi e creando un inquietante gioco di luce.

“Come, prego?”

“Ma guardati!”, sbottò l’altro indicando l’amico con un gesto stizzito della mano. “Ti impegni nello studio anziché russare dietro qualche libro di testo durante le lezioni, fai guadagnare punti a Grifondoro invece di farcene perdere a secchiate, diserti le nostre immancabili punizioni di gruppo settimanali per andare in biblioteca a farti sotterrare dalle pergamene.” Il ragazzo si passò le dita nell’intrico dei suoi capelli indomabili dopodichè batté il pugno con violenza contro la spalliera della poltrona su cui stava seduto l’amico, facendolo sobbalzare.  “E come se tutto ciò non bastasse passi ogni momento libero a leggere o ad occuparti di quel fiore da finocchi!”

Sirius scosse la testa con paziente commiserazione, chiudendo con calma il tomo e posandolo sul tavolinetto che aveva accanto, di fianco al vaso col Luniolo appena sbocciato, da cui difficilmente in quei giorni, in un momento così delicato della sua crescita, si separava. Se fosse bastato quel fiore a renderlo un finocchio le cose sarebbero state davvero troppo semplici.

Decise di evitare lo sguardo collerico dell’amico.

Invece reclinò la testa all’indietro contro la soffice spalliera cremisi e chiuse gli occhi, mentre un sorriso tronco salì a increspargli le labbra.

“Ti rode solo perché ti sto dedicando meno attenzioni.”

“Certo che mi rode!”, gridò l’altro a voce decisamente più alta del necessario. Un paio di ragazzini del primo anno attardatisi in Sala Comune si affrettarono a prendere la via dei dormitori. Nessuno badò loro. “Uno dei più grandi figli di puttana che abbia mai messo piede ad Hogwarts ridotto a una larva di Vermicolo, è un’empietà! Prima a cena tuo fratello ti ha dato della fioraia e non hai neanche risposto a tono. Te ne sei stato a fissarti il piatto tutto il tempo, ci mancava solo che lo ringraziassi!”

“Non meritava una risposta.”

“Non…”, tentò di fargli eco James, ma la frase gli rantolò in gola per poi morirci tra atroci sofferenze. Fissò l’amico come se avesse di fronte un estraneo, o una specie di mostro. Un mostro particolarmente composto ed educato, spaparanzato su una delle comode poltrone della Sala Comune col naso ficcato tra vecchie pagine ingiallite quando avrebbe potuto essere in giro con lui a combinarne di tutti i colori.

Di fronte a quello spettacolo indecoroso levò la mani al cielo emettendo un rantolo di resa.

“Perduto… L’abbiamo irrimediabilmente perduto.”, gemette con una disperazione acuta nella voce che aveva del comico mentre la testa ciondolata con forza da un lato all’altro agitava scompostamente le ciocche nere, dando alla testa del giovane Potter un’aria ancor più dimessa. “Sei diventato noioso come Lunastorta. Senza offesa naturalmente.”, aggiunse subito dopo, voltandosi verso l’altra poltrona, quella alle sue spalle.

“Naturalmente…”, sorrise Remus dal suo posto senza distogliere lo sguardo dalle fiamme vive, rivolto più a se stesso che all’amico che già era tornato a rivolgere la propria attenzione all’altro, il quale continuava a murarsi dietro le ciglia serrate in un ostinata fissità.

Il respiro era calmo e controllato, e la testa leggermente china di lato lasciava presupporre che Sirius si fosse abbandonato al sonno. Le sopracciglia accartocciate in una smorfia a metà tra il fastidio e il disgusto, i pugni premuti sulle cosce stretti fino a far diventare le nocche bianche e l’incavarsi quasi impercettibile delle guance strette tra i denti, però, tradivano il suo nervosismo.

In altri frangenti il suo amico sarebbe scattato su da un pezzo, irritato dalle troppe chiacchiere, e gli sarebbe saltato alla gola pronto a cominciare una “rissa per la supremazia del territorio”. Roba da maschi, come le chiamava bonariamente Remus. In altri sarebbe saltato su dalla poltrona agitando le mani come un folle e avrebbe inforcato la via dei dormitori sciorinando la sua forbita sequela di imprecazioni. Quella calma non era decisamente da lui.

Era irritante…

“Felpato, si può sapere che succede?”

Gli occhi di un freddo grigiore metallico, innaturale in quello sguardo solitamente così vivo, si spalancarono nei suoi all’improvviso, cogliendolo di sorpresa, e un sospiro stanco di cupa rassegnazione vibrò nel petto del ragazzo, scivolando a fatica fuori dalle labbra.

“Sai, a volte le persone possono aver semplicemente voglia di cambiare.”

 

 

“Si può sapere perché continui a seguirmi?”

“Si dà il caso che abbia lezione di Aritmanzia e l’aula sia da questa parte.”

“Aritmanzia ce l’hai tra un’ora.”

“E tu come lo sai?”, chiese lei, stupita. “Potter ha recuperato di nuovo i miei orari di lezione per farsi trovare casualmente lì?”

“No.”, sbuffò l’altro scuotendo la testa. “Anche Remus frequenta quel corso.”

“Ah, già… E tu sai sempre tutto di Remus, vero?”, inquisì la ragazza con un ghigno sardonico.

Sirius si fermò nel bel mezzo della strada, rischiando un tamponamento con un ignaro passante e si voltò nella sua direzione, fissandola torvo. “Sì, so tutto, perché si dà il caso che siamo amici.”, mentì, sperando di risultare convincente. Se non gli fosse piaciuto non avrebbe saputo neanche il suo nome. Per dirne una, James aveva continuato a frequentare le lezioni di Cura delle Creature Magiche (Merlino solo sapeva il perché), e ogni volta che tornava pesto e livido, nonchè sporco di ogni sorta di fanghiglia, immancabilmente Sirius gli chiedeva dove fosse stato.

“Amici ma non per molto.”, ridacchiò ancora lei, per nulla intimorita dal ringhio istintivo che vibrò nella gola del ragazzo a riprova della sua irritazione. “Aspetta che veda questo capolavoro senza foglie, ti toglierà anche il saluto.”

L’Animagus, trattenendo a stento tra la lingua e i denti uno degli improperi più memorabili della sua illustre carriera di individuo scurrile e ribelle riprese a camminare di scatto ma Lily pronta gli trotterellò dietro senza fatica.

I due continuarono a spalleggiarsi e insultarsi lungo i corridoi affollati sorpassando ignari studenti e professori nel disinteresse generale.

Non era strano veder battibeccare la Evans con uno dei Malandrini.

“Dove stiamo andando?”

“Ai dormitori.”

“Come fai ad essere così sicuro che sia lì?”

Dove dovrebbe essere dopo una notte di luna piena?

Sirius non rispose e accelerò il passo ma venne nuovamente affiancato dalla ragazza con una facilità che aveva dell’irritante. Bella forza! Con quel vaso stretto tra le braccia e la borsa piena di libri appesa malamente al collo a sbattergli contro le cosce non era facile attraversare corridoi gremiti di gente perdigiorno che sembrava non avere altro scopo nella vita che quello d’intralciargli la strada. Lei invece saltellava leggiadramente sulle scarpette lucide, appesantita solo da un paio di luridi fogli di pergamena e un testo di Difesa contro le Arti Oscure ben stretti al petto, quasi temesse che qualcuno potesse essere interessato a rubarglieli.

Stupida femmina…

“Come mai hai tanta fretta di andarglielo a dire?”

“Evans, ma non hai proprio niente di meglio da fare?”

“Meglio che assistere alla sistematica distruzione della tua dignità? Proprio no.”

Su per le rampe l’Animagus si ritrovò a pregare che le scale impazzissero e modificassero il loro assetto di modo che loro due avrebbero girato in tondo per una settimana buona, ma quel giorno stranamente (perché stupirsi?) sembravano tranquille, immote scale babbane. Quando invece aveva fretta lui veniva sbattuto nell’ala opposta del castello.

Stupide scale

Un paio di volte l’Animagus tentò di fare lo sgambetto alla ragazza come faceva sempre con Regulus quando aveva la malsana idea di fare la spia di qualcosa che aveva fatto con la madre, ma lei, temprata da anni di simili dispettucci e tirannie da parte della sorella maggiore, aveva risposto a tono con un sonoro pestone sul piede che l’aveva fatto zoppicare per venti gradini buoni.

Arrivati al settimo piano Sirius schiacciò intenzionalmente la coda a Mrs. Purr palesando una svista sotto lo sguardo di biasimo di Lily.

Non visto, sorrise.

 

 

“Stupido gatto del custode!”

Il ruggito furibondo del ragazzo riecheggiò nella piccola infermeria incurante che madama Chips, probabilmente nei paraggi, potesse sentirlo e cominciare una ramanzina chilometrica a riguardo del suo turpiloquio da osteria. Sirius sbuffò, reprimendo un sibilo di dolore nel momento in cui l’osso della mascella scricchiolò in maniera preoccupante: i felini non li aveva mai sopportati e il sentimento era reciproco da parte di quelle bestiacce demoniache, specie da quando era riuscito a dominare la sua trasformazione in Animagus.

Ma li sopportava ancora meno quando questi si mettevano d’impegno con la loro malefica esistenza a rovinare uno dei momenti più belli della sua vita.

Maledetta sfiga sempiterna e maledettissimi gatti pulciosi!

Fece per alzarsi ma venne spinto nuovamente contro il cuscino da due mani salde: tutta la delicatezza del mondo non sarebbe bastata ad evitare all’Animagus una fitta acuta di dolore per tutto il corpo, figuriamoci quella premura sbrigativa da Troll.

Emise un guaito di dolore.

“Non te lo ripeterò un’altra volta, Sirius.”, ordinò Remus sollevando lo sguardo dalla copia della Gazzetta del Profeta che stava sfogliando. “Sta’ fermo o sarò costretto a immobilizzarti.” Aggiunse, brandendo a riprova delle sue parole la bacchetta e rigirandosela tra il pollice e l’indice.

Remus sembrava davvero di pessimo umore.

L’animagus si affrettò ad obbedire.

“Scusa.”, deglutì intimidito, ma l’altro era già tornato ad immergersi nella lettura e non gli prestava più attenzione.

Volse lo sguardo al soffitto e si permise un sospiro.

“Hai avvertito Ramoso che sono in infermeria?”

L’altro scosse la testa. “Non mi sono mosso da qui.”

“Lo specchio…”, tentò di dire, ma venne malamente interrotto.

“L’hai lasciato in dormitorio.”

Sirius annuì stancamente senza neanche chiedersi come facesse a saperlo. Doveva avergli frugato nelle tasche e nella borsa coi libri mentre era incosciente. Era un vero sollievo, rammentò dopo un primo momento di terrore al pensiero che nella borsa c’era la bozza della sua lettera, che solo pochi giorni prima avesse imparato quegli incantesimi di sigillo per impedire a chiunque non fosse lui di vederne il contenuto, altrimenti sarebbe morto di vergogna.

Il che era paradossale dal momento che lo scopo di quegli aborti scrittori era proprio farglieli leggere. Sottomesso alla stupidità delle sue stesse elucubrazioni deliranti si arrese all’evidenza di essere un caso disperato e non gli parve più tanto strano l’essere finito in infermeria nella maniera più ottusa possibile. Gli uomini, i veri uomini, ci finivano per le ragioni più svariate: dopo un incontro di Quidditch o una virile scazzottata (con o senza l’uso di poteri magici era poco importante). C’era chi ci finiva per un incantesimo sbagliato o una pozione malriuscita.

Alcuni, come Remus, per una maledizione.

Lui ci finiva inciampando nella coda di una gatta spelacchiata.

“Certo che potresti anche essere più gentile.”, mormorò demoralizzato.

L’altro si accartocciò il giornale tra le dita con un gesto stizzito, del tutto inaspettato, e se lo appallottolò ai piedi, capendo che non sarebbe proprio riuscito a leggere in pace. Non che non se lo aspettasse, naturalmente. Sirius tendeva a detestare quegli incantevoli momenti di silenzio in cui era costretto a fare i conti con i suoi pensieri.  Lo costringevano a ragionare, e la cosa lo riempiva di sgomento.

“Certo che per essere lo stupido che è rotolato giù come una Pluffa per due rampe di scale parli decisamente troppo.”

“Io non sono caduto!” sbottò l’Animagus a voce alta. Ripensare a quella scena era davvero imbarazzante, anche se non ricordava poi granché.

Era stato tutto molto rapido: la sensazione che il mondo stesse rotolando su se stesso; un gran dolore dappertutto nel momento in cui membra, tronco e nuca avevano cozzato impietosamente contro la dura pietra; imbarazzanti strilli da ragazzina che gli echeggiavano ancora nelle orecchie e quella caduta di faccia finale, così improvvisa da non aver avuto nemmeno il tempo di farsi scudo con le mani. Era stato Remus a portarlo in infermeria.

Erano tutti in Sala Grande per il pranzo.

Loro si erano attardati perché Sirius non riusciva a sistemarsi i capelli.

“E’ stato quell’animale deficiente a farmi inciampare, si è messa in mezzo!”

“Non dare la colpa alla povera Mrs. Purr della tua imbranataggine.”, rispose tranquillo Remus, incrociando le braccia al petto e reclinandosi all’indietro contro la parete di fianco al giaciglio dell’amico, quella vicino alla quale aveva sistemato lo scomodo sgabellino dell’infermeria, la testa piegata di lato in un’adorabile movenza canina, con quel sorriso obliquo a fendergli il viso. C’era da incantarsi a guardarlo.

“Lei stava dormendo acciambellata accanto al muro, sei tu che le sei finito addosso di peso. Di sicuro lei è conciata molto peggio di te. Devi averla spaventata a morte.”, aggiunse con un ghigno. Di sicuro trovava tutta la faccenda molto divertente.

Non c’era lui a contarsi i lividi e a chiedersi se domani a lezione avrebbe ancora avuto il naso gonfio e rosso come quello di Hagrid.

Sopraffatto da quel pensiero orribile e spaventoso si portò istintivamente la mano (quella che non si era rotto, la quale era guarita ma gli dava ancora qualche noia) al naso per sincerarsi dei danni, ritraendola subito con un sibilo. Non che sentisse dolore, anzi, la zona era completamente insensibile, ma al tatto gli sembrava d’avere in mezzo alla faccia un inguardabile ammasso poltiglioso di sangue raggrumato e lividi. Non aveva il coraggio di rendersi conto coi propri occhi del risultato.

Anche con tutti gli Incantesimi di Guarigione del mondo sarebbero passati dei giorni prima che la sua faccia riacquistasse le sue normali (meravigliose) fattezze. Frustrato strinse le labbra in una linea esangue, ma il bordo scheggiato dell’incisivo recise la pelle tenera delle labbra, facendolo desistere.

Questo perché ovviamente la Chips aveva terminato la Pozione Crescidenti.

In quel momento era nelle serre a chiedere alla professoressa Sprite quanto ci avrebbero messo a maturare i baccelli di Citrococcalo, l’ingrediente fondamentale.

Con la sua fortuna, minimo un mese.

Però, naturalmente, Remus non provava la benché minima compassione.

Lui sarebbe andato in giro invidiando persino la faccia di Mocciosus e lui si preoccupava del gatto.

Invaso da un cupo senso di irritazione si voltò su un fianco di modo da dare le spalle all’altro, pentendosene subito amaramente nel momento in cui venne colto dalle vertigini. Ora capiva perché gli dicevano tutti di stare immobile.

Ma era roba da poco.

“Certo che è davvero strano, Remus John Lupin che prende le difese di qualcuno che non sono io.” Un ghigno mestamente sarcastico, di segreta soddisfazione, gli piegò le labbra al pensiero dello sguardo infastidito del licantropo, che detestava essere chiamato col suo nome completo. Lo trovava troppo altisonante per una persona come lui. “Mi sarei meravigliato di trovare un po’ di appoggio da parte tua, anche se dovrei essere grato di questa tua aperta manifestazione di dissenso: di solito preferisci voltarti dall’altra parte.” Sputò su quelle parole tutto il suo disgusto e il suo dolore.

Essere ignorato era una cosa che mal sopportava persino quando ancora non provava niente per lui.

Ora era uno strazio.

“Sai qual è la vera stranezza in questa storia?”

La voce di Remus non era irritata quanto avrebbe sperato.

Anzi sembrava divertito, quasi stesse assistendo allo sfogo di un bambino.

Sirius si chiese dove sarebbe andato a parare. Conoscendolo, a niente di buono per lui.

Uno sbuffo stizzito gli gonfiò comicamente le guance congestionate, e nel lanciarsi alle spalle un’occhiata interrogativa gli occhi grigi e lucenti incontrarono quelli castani e freddi dell’altro.

“Qual è?”

Il licantropo si portò una mano al mento, assumendo un’aria meditabonda. “Vedi, tu hai talmente in odio i felini che in genere anche in forma umana li fiuti, ma soprattutto li eviti, a un miglio di distanza. Per cui mi domando…” Storse la bocca in un sorriso sardonico, sprezzante di fronte alla crescente agitazione dell’altro. “Cosa ti ha portato a ignorare la presenza di un grosso gatto come Mrs. Purr al punto da inciamparci addosso? A che stavi pensando?”

L’Animagus gli lanciò un’occhiata atterrita.

Mica poteva dirgli che aveva preso in pieno lo “stupido gatto del custode” mentre era impegnato a scannerizzargli di nascosto il sedere da sotto le pieghe della divisa e a domandarsi se avrebbe potuto per caso declamare quello nella sua lettera d’amore!

“A Ynette Paynter di Corvonero.”, deglutì pronto il ragazzo con la voce insolitamente acuta, cercando la salvezza al rossore che gli aveva imporporato le gote nella stoffa del cuscino. “Sai… Quella con le…”, sollevò una mano mimando col palmo aperto il gesto di un seno prominente.

Su Ynette si era fatto tante di quelle fantasie, a suo tempo…

In fondo non era del tutto una bugia.

“Ah, sì, la Paynter.” gli fece eco l’altro, la voce vibrante di un divertito, prevedibile disgusto. “Avrei dovuto immaginarlo…” Sirius sapeva che il licantropo conosceva Ynette dal momento che era stata Prefetto al quinto anno, quando lo era stato anche lui, ma quello bastava a non averla in grande considerazione. Poteva avere tutta la scaltrezza e l’intelligenza che Cosetta Corvonero cercava negli appartenenti alla sua casa, gli aveva confidato una volta quando Sirius gli aveva chiesto informazioni personali a riguardo, restava un’oca idiota.

Sirius era rimasto stupito da quelle parole.

Era raro che Remus esprimesse apertamente le sue antipatie.

“Difficilmente una persona poco seria come te potrebbe invaghirsi di un tipo diverso da lei.”

Era normale per i Malandrini tacciare Sirius di superficialità, specialmente per quanto riguardava le questioni di cuore. Le battute si era sempre sprecate, e in genere era lo stesso Animagus ad incoraggiarle, facendone un vero e proprio motivo di vanto.

Quella volta, però, le parole del licantropo gli fecero scattare qualcosa dentro.

A dispetto della debolezza causata dalle pozioni che gli avevano somministrato per riposarsi riuscì a sollevarsi a sedere con uno scatto improvviso e furibondo, ignorando la fitta di dolore lancinante alle costole. Artigliò le lenzuola tra i palmi fino a sentirli penetrare il tessuto sotto le dita tremanti, deboli e formicolate, il respiro ansante e gli occhi lucidi.

“Io non sono una persona poco seria!”, ansò pazzo di collera.

E poi si lasciò scappare le parole più imbarazzanti della sua vita.

“Sono innamorato davvero!”, gridò prima che il cervello potesse fermarlo.

Subito si premette i palmi delle mani contro la bocca, ma era troppo tardi per ricacciarsi in gola di forza quelle parole fino a morirci soffocato. I grandi occhi innaturalmente spalancati si fissarono contro quelli placidamente sorpresi dell’altro, e fu grato di poter mascherare il rossore e l’imbarazzo dietro i brutti lividi scuri. Passarono lunghi momento di gelo durante i quali nessuno dei due osò proferire parola.

Se avesse potuto, e se il suo orgoglio non gliel’avesse impedito con tutte le proprie forze ricordandogli che benché si stesse atteggiando a tale lui non era una femminuccia lacrimevole, Sirius sarebbe scappato via ululando per la vergogna e si sarebbe andato a nascondere in un angolo buio.

Sfortunatamente non poteva. Tra le altre cose Madama Chips avrebbe preferito spezzargli le gambe piuttosto che farlo andare in giro senza il suo esplicito consenso (non che ci tenesse a camminare alla luce del sole con quella faccia inguardabile). D’altronde non poteva certo restare lì, squadrato dall’amico come se gli avesse appena confidato di essere anche lui un lupo mannaro.

E se avesse capito?, si chiedeva.

No, non lì. Non così.

Non in quella situazione idiota dopo tutta la fatica di quei mesi. Senza la benché minima poesia, durante un litigio infantile, con la sua faccia ridotta a una poltiglia informe.

Per fortuna ci pensò la naturale predisposizione di Remus a voltare il viso dall’altra parte a toglierlo da quell’impaccio. Con gratitudine osservò il licantropo alzarsi dallo sgabello e, dopo aver preso la borsa coi libri, spolverarsi meccanicamente una macchia di sporco immaginario dai pantaloni. “Devo andare.” La voce era dura, informale nella sua freddezza. “Se la Chips torna e ci vede in queste condizioni penserà che stia attentando alla tua salute.” Si permise un sorriso nella strada dal letto alla porta, ma suonava falso. “E poi sono in ritardo per Erbologia, oggi si decide del progetto di fine anno.”

Non attese nemmeno una risposta prima di raggiungere la porta e chiudersela alle spalle, lasciando Sirius da solo pervaso da un’infinità di timori e spaventose realizzazioni.

Era letteralmente terrorizzato.

Non tanto dall’idea che Remus potesse aver capito tutto (anche se il pensiero che potesse accadere non lo metteva di certo a suo agio) quanto dall’aver ammesso apertamente, a viva voce, di essere davvero innamorato.

Era assurdo.

Ridicolo e grottesco.

Com’era volubile la mente umana.

Come gli erano potute sfuggire quelle parole quando solo poche settimane prima si era quasi convinto dell’assurdità di un sentimento poco serio?

Dirlo non era tanto una realizzazione, perché se quel modo di rendersi idiota non era amore non capiva proprio cosa potesse essere, ma rendeva ciò che provava così reale da dargli il capogiro, da fargli pensare alla vacua stupidità di quanto fatto finora, alla poca convinzione che aveva spinto le sue azioni. Gettò un’occhiata patetica ai fogli che scivolavano fuori dalla sua borsa, e si sentì ridicolo.

Nessuna meraviglia che Remus avesse un’opinione così bassa di lui.

Difficilmente sarebbe riuscito a farsi amare almeno un po’.

Ma le cose potevano cambiare…

 

 

Fu solo davanti alla porta dei dormitori, sul far dell’uscio, che Sirius decise di farla finita con gli scherzi.

Doveva dirlo subito a Remus, prima che recuperasse completamente le forze in seguito alla luna piena (ovvero, prima che avesse la forza di fargli una paternale immensa, o peggio ancora di fargli male sul serio. Sapeva che Remus sarebbe stato in grado, volendo, di mandarlo in infermeria per tutto il resto dell’anno scolastico), e ogni secondo che passava era uno in meno che lo separava dalla guarigione.

Non poteva perdere tempo con una ragazzina noiosa e impicciona.

Né poteva lasciare che assistesse alla scena.

Un Remus opportunamente indebolito poteva affrontarlo, ma due secchioni impenitenti nella stessa stanza a dargli addosso gli avrebbero dato lo sprone supremo a gettarsi dalla finestra più vicina. Perché era quasi matematico che si sarebbe intromessa.

Se non l’avesse fatto non si sarebbe chiamata Lily Evans.

E con tutta probabilità le sarebbe stata decisamente più simpatica.

“Guarda che questo è il dormitorio maschile.”, le fece notare il ragazzo.

“Ne sono perfettamente conscia.” L’altra sollevò un sopracciglio con fare che definire costernato sarebbe stato un pallido eufemismo. “A meno che tu non stia cercando di farmi intendere che Remus è una donna.”

Sirius decise di ignorare quell’uscita decisamente infelice, ingoiando una sfilza di risposte sarcastiche e incollerite che l’avrebbero fatta scappare via in lacrime. “E se si stesse spogliando?”, sottintendendo in realtà un assai poco rassicurante Penso che potrei azzannarti al collo se lo vedessi nudo. ”Lo sai che è una persona riservata.”

“Beh, allora bussiamo.”

“E’ malato, non si alza dal letto da ieri.”

“Allora perché dovrebbe farlo per spogliarsi?”

Annientato da tanto pragmatismo Sirius si arrese.

“Bene, allora, goditi pure lo spettacolo se mi detesti così tanto!”

Lily spalancò gli occhi, sorpresa. “Io non ti detesto affatto.”, sbottò piccata, con le mani a puntellarsi i fianchi e i piedi ben piantati a terra. La sua posizione da combattimento preferita. “Ti trovo solo un insopportabile spaccone stupido e superficiale, e quando cerchi di fare la persona seria e intelligente per farti bello agli occhi della Paynter ti rendi ancora più ridicolo del solito.”

Fu il turno di Sirius di rimanere sconvolto.

“Che c’entra Ynette?!”

“Andiamo, non fare il finto tonto.” Le labbra della ragazza si piegarono in un sorriso incerto e timido. A dispetto dell’orrore che gli era gravato addosso il primo pensiero del ragazzo fu che quella pudicizia le stava bene addosso come un fiocco stretto all’arnese di un centauro. “Lo sanno tutti che hai una cotta per lei e che è per conquistarla che hai messo in atto tutta questa sceneggiata dello studente modello.”

“Non è per lei!”, abbaiò duro, furente, troppo sconcertato dalla notizia che gli studenti di Hogwarts avessero talmente poco da fare da sparlare di lui e delle sue presunte cotte per chiedersi come diavolo facessero a sapere di Ynette se non ci aveva mai neanche provato con lei perché felicemente fidanzata da tre anni almeno con il capitano della squadra di Quidditch dei Tassorosso.

Però in effetti ora si spiegavano tutte le criptiche battutine di quell’infame di Ramoso a riguardo di cuscini e di un fantomatico “rincitrullulirsi”.

Bastardo…

“E’ per Remus che mi sto comportando come un coglione!”

“Ti piace Remus?!”, strillò lei incredula con la sua voce acuta e penetrante da Arpia, ed ebbe dell’incredibile la rapidità con cui l’Animagus poggiò a terra il vaso e le tappò la bocca con la mano, sbattendole le spalle contro la porta producendo un tonfo che rimbombò per le scale.

Sirius si bloccò di botto. Passarono lunghi secondi di atterrita immobilità, infranta solo dalla solita voce nella sua testa che continuava a dargli dell’idiota per essersi lasciato scappare quella frase infelice, e dai mugolii soffocati della ragazza che stringeva tra le sue braccia e il legno scuro (del tutto incurante del fatto che le stesse perforando le costole con il libro di Difesa contro le Arti Oscure e le stesse quasi disarticolando un paio di vertebre premendole la schiena contro il chiavistello d’acciaio con tutto il proprio peso), durante i quali non accadde assolutamente nulla.

Nessun rumore dall’interno.

Niente passi.

Nessuna voce che li invitasse ad entrare.

Pressò con più forza la mano sulle labbra di lei, per attutire anche quel poco rumore che produceva ancora, e si concentrò solo su ciò che accadeva al di là della stanza, incurante delle unghie affilate come lame che gli si andavano conficcando sul dorso.

Forse Remus dormiva.

Per fortuna…

Un morso ben indirizzato all’indice lo riportò bruscamente alla realtà con un grido rauco. Confuso, chinò la testa in direzione della ragazza, la quale lo fissava furente, con le guance congestionate, il respiro affannoso e gli occhi lucidi.

Una situazione ambigua.

“Dico, sei diventata matta?”, sibilò il giovane Black.

“Mi stavi soffocando, imbecille.”, fu la replica sdegnata.

“Beh, non sarebbe stata una gran perdita per il mondo magico!”, sbottò esasperato l’altro, allontanandosi da lei con un gesto brusco. “Devi essere completamente impazzita, metterti a strillare come una Banshee davanti alla porta del dormitorio. E se Remus ti avesse sentito?”

“Hai ragione.”, bisbigliò lei avvicinandoglisi all’orecchio con fare cospiratorio. “Dobbiamo mantenere il segreto con il povero Lupin. Ora che non è al pieno delle forze l’idea di averti come pretendente potrebbe ucciderlo!”

“Io non sono un suo pretendente!”

“Certo che no. Stavo scherzando.”, soffiò la ragazza sollevando gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Quindi ovviamente era naturale che Sirius non avesse afferrato. “La sola idea che tu possa fargli la corte con fiori o poesie mi rivolta.”

“Sono d’accordo!”, biascicò Sirius cercando di celare la propria afflizione dietro un deciso gesto d’assenso del capo, mentre il pensiero correva a quelle pergamene stropicciate che giacevano in fondo alla sua borsa. Era umiliante, ma non poteva biasimarla. Anche lui aveva sempre trovato l’idea talmente ridicola da dargli il vomito.  “Insomma, è disgustoso il fatto che un uomo possa…”

La vide sollevare una mano con un gesto indispettito, interrompendo quel suo sfogo amaro (e anche piuttosto deprimente). “Guarda che un uomo può fare tutto quello che gli pare finché non gli viene la malsana idea di ficcarsi nel tuo letto il giorno del tuo compleanno come mamma l’ha fatto con un cartello al collo con su scritto Scartami.”

Fu impossibile per Sirius non pensare al povero Ramoso che veniva catapultato fuori dalla finestra del dormitorio femminile fino ad incastrarsi nei rami dell’enorme conifera che si stagliava poco distante. I due si scambiarono un sorriso complice.

“Puoi anche innamorarti di un uomo se è quello che vuoi.”, aggiunse poi lei, recuperando la serietà. “Ma potresti essere la donna più ordinaria del pianeta e intraprendere la più normale e stabile relazione eterosessuale che mago o strega abbia mai visto, Black, resta il fatto che l’idea stessa di veder far coppia due come voi, con caratteri diametralmente opposti, sarebbe come vedere un Elfo Domestico emancipato. E’ un qualcosa di contro natura, dà i brividi solo pensare all’ipotesi.”

E a riprova delle sue stesse parole si abbracciò stretta, come a ripararsi da una folata gelida.

“Ma…”, balbettò il ragazzo, incerto se dar voce a quel dubbio infelice e patetico. “Se cambiassi…”

“Cambiare?”, ghignò sardonica la ragazza sollevando un sopracciglio e squadrandolo con fare decisamente dubbioso. “Non riusciresti a comportarti diversamente da quello che sei nemmeno se ne dipendesse delle tue parti basse. Ti piace troppo essere così. Puoi atteggiarti quanto ti pare a bravo studente nella vana speranza che una persona come Remus apprezzi qualcosa che non sei realmente, ma rimane un fatto.”, sentenziò sollevando un indice nell’aria con la stessa aria supponente che assumeva quando si trattava di togliere punti a Grifondoro per qualche scherzo innocente dei loro.

“Resti lo stesso di sempre; il borioso bugiardo spaccone degno compare di Potter che piuttosto che ammettere di essere davvero innamorato contesta l’ovvio facendo la figura del buffone; lo stupido totalmente negato in Erbologia, convinto di aver seccato una pianta a causa di una propria mancanza quando è notorio che il Luniolo dopo la sua seconda notte di luna piena muore.”

 

Fine capitolo 5

 

Note di Fine Capitolo: Alla fine di questo capitolo piuttosto lungo e sofferto (interrotto in un punto piuttosto infelice, me ne rendo conto) ci sarà qualche nota in più del solito, chiedo venia! XD Avevo scelto di far affrontare Lily a Sirius per ultima (beh, penultima a voler essere pignoli) da quando ho deciso la stesura prima di questa storia: Lily ha quella sensibilità femminile che permette di leggere tra le righe, quindi che leggesse i segni del suo comportamento era scontato. Non è legata a Sirius da vincoli d’amicizia o altro, anzi, per cui da lei non avrebbe mai ottenuto parole di confronto o mezze misure. L’uso dei flashback non era preventivato all’inizio, ho solo pensato che sarebbe stato simpatico vedere qualcosa in più su Remus.

Tanto per non trattarlo come l’uomo angelicato sul piedistallo.

- De Commutatione: In latino la Commutatio è il cambiamento, la mutazione. Questo ha la duplice valenza di riferirsi ad un mutamento caratteriale di Sirius, qui nelle vesti del bravo ragazzo. Sia a un mutamento fisico (anche se temporaneo), ovvero la caduta dalle scale.

- Luniolo: la pianta è una mia invenzione completa. Le sue proprietà sono totalmente inventate da me, il suo aspetto l’ho preso in prestito da un fiore che io personalmente amo molto, la Bella di Notte (Nome scientifico Mirabilis Jalapa, ma io preferisco il nome giapponese, Yuna), che oltre a fiorire di notte ha i fiori a forma di stella ed è molto bello a vedersi, fa molto WolfStar. ^_^

Se volete sapere come mi sono immaginata questa pianta guardate questo piccolo montaggio fotografico eseguito da me con grande impegno e dedizione in 2 minuti scarsi, QUI.

Il nome, Luniolo, è stato “rubato” a Final Fantasy X, dove il Luniolo altro non è che un simpatico globo di luce (che potete vedere QUI, è molto carino), è lo spirito di una persona morta con dei rimpianti o dei rimorsi che non riesce a trovare la pace e vaga sulla terra. Una specie di fuoco fatuo, se vogliamo. Ma più fashion.

- Citrococcalo: Totalmente inventato il nome di questo fiore, da citros, in greco antico è il limone. Coccalos è l’osso in greco moderno. Mi piaceva l’accostamento delle due parole e il rimando alle ossa visto che Sirius deve farsi ricrescere un dente! XD

- “Stupido gatto del custode!”: Questa frase non viene pronunciata casualmente da Sirius. Trattasi infatti di un rimando a un altro famosissimo cane del mondo della fantasia (No! Volete dire che Sirius non è reale?!). Vale a dire Snoopy, che ce l’aveva sempre a morte con lo “Stupido gatto dei vicini”. ^_-  Tra l’altro Sirius me lo sono sempre visto un sacco JOE COOL (Joe Falchetto in italiano)

- Rincitrullulirsi: Non è un errore di battitura (ne faccio già abbastanza di mio per non aggiungerci anche questo! XD), ma un rimando al lungometraggio Bambi, di Walt Disney, in cui gli animali della foresta quando si innamoravano si rincitrullulivano. Non è casuale il fatto che una persona dica questa frase.

 

Passo ai commenti individuali, che stavolta mi porteranno via poco tempo, sono solo due! Pochi ma buoni. XDD

 

Mixky: Sì, è vero, me l'hai già detto che Sirius ti assomiglia, ma è bello sentirtelo ridire! ^.^ Dà l'aria di una persona più vera se qualcuno ci si ritrova tanto come te, per cui mi fa molto piacere. Anche perchè io questo uscir di testa non l'ho mai provato (non sono il tipo! XD), per cui che mi si venga a dire che è realistico mi fa ballare dalla gioia! XDDD Anche a me quella frase che ti ha colpita piace molto! ^____^ Grazie ancora per i complimenti, coraggio, manca poco, il prossimo capitolo è l'ultimo, Sirius soffrirà ancora per poco per mano mia (poi lo lascio a Remus e vedrà lui cosa farne)! ^.^

 

Skiblue: Fiuuuu' sospiro di sollievo. Questo capitolo è quello che più mi aveva preoccupata perchè era veramente cupo (leggevo il primo capitolo, poi quello e mi dicevo "ma è la stessa fic?" XDDD Lo ammetto, in questo episodio lì con Ramoso io ero molto Sirius, che si stufa e nemmeno poco a sentir declamare le virtù di Lily mentre io poveretto languo e soffro! XD Sono riuscita a farlo apprezzare un pochetto anche a un paio di amiche mie che non lo riescono a sopportare nemmeno di vista (Ramoso) per cui triplamente felice! XDDD Aaaah, hai notato l'ironia di quando ho parlato della torre. Lo ammetto, ho voluto strizzare un po' l'occhio a quelle migliaia di fic in cui la torre di astronomia diventa il postribolo di zia Poppea. Nulla contro queste fic, è solo che mi piace parodizzare i clichè, è una mia fissa strana, dove più dove meno lo faccio in ogni fic che scrivo! XD Inizi a pensare che Sirius sia masochista? Ma lo è! XD Quale innamorato non è un po' (tanto) masochista in fondo? XDDD Mettiamo caso che riesca nel suo intento di conquistare Remus.... Povero licantropo! XDDDDD Un bacio anche a te! ^_-

  
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