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Autore: Miss Moony    28/04/2012    2 recensioni
Un tempo aveva una vita. Aveva amici, parenti, giochi, emozioni, sentimenti, gioie e dolori. Ma era ormai un tempo lontano. Quel giorno, davanti ai suoi ricordi grigi di tempo, quel che gli rimanevano erano solo effimere ombre di memoria, trasparenti e impalpabili, pronte a sparire alle prime luci del presente. La sua vita era ormai fatta di ombre. Sotto un cielo scuro di pioggia, il ragazzo bianco fissava con i suoi impenetrabili occhi neri altri occhi, altrettanto neri e impenetrabili, quelli del ragazzo dai capelli biondi. Poi cominciò a parlare.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Near, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Near si fermò per prendere fiato e per pensare a quello che raccontava. Era molto doloroso, per lui, ricordare questi fatti.
 
< Mello, io non penso che L sia un perdente. Ma non posso fare a meno di ricordarmi di Rain: quando a nessuno importava di lei le ha dato un posto nel mondo, quando era sola e abbandonata le aveva dato uno scopo per cui vivere; e all’improvviso le aveva tolto tutto questo, tutto d’un colpo.
E’ venuta a trovarmi poche volte alla Wammy’s House, dopo la morte di L, ma non era più lei. Era l’ombra di mia sorella, non le era rimasto più niente, se non un’ossessione che la tormentava: trovare l’assassino di L, e ucciderlo, a costo della vita. Probabilmente solo io riuscivo a vedere quanto fossero falsi e tristi i sorrisi che faceva nelle poche occasioni in cui veniva a trovarmi, e quanto lei fosse distrutta, fisicamente e nell’animo.
Alla fine nemmeno L ha finito il puzzle: ha perso il sorriso più bello del mondo, e così l’ha perso per sempre.
 
Erano passati così degli anni, e Rain non aveva smesso di darsi da fare in quella piccola parte dell’FBI che ancora si osava opporre a Kira: era, per la precisione, una degli ultimissimi agenti che non avevano rinunciato all’indagine. In quei giorni si trovava in Giappone, in una città non troppo distante da Tokyo, e stava maneggiando dati importanti, molto importanti. Sembrava che tutta la sua genialità e bravura come detective fosse emersa in quegli anni, nella determinazione furiosa e disperata di portare a termine il caso.
La ragazza era in quel momento uscita dal suo ufficio per prendere un po’ d’aria e riposarsi dopo giorni di lavoro quasi ininterrotto: aveva scelto come meta un piccolo parco, proprio dietro al luogo dove lavorava. Una sosta veloce, e poi avrebbe ripreso con le indagini: non poteva permettersi di perdere molto tempo. Era una fresca mattina di metà ottobre e gli aceri del parco erano tinti di splendidi colori arancio-rossi. I viali, solitamente molto affollati, erano quasi vuoti, perchè da giorni il cielo era coperto da grosse nuvole scure che promettevano temporale. Rain annusò l’odore umido dell’aria che annunciava pioggia: anche dalle foglie già a terra saliva un sottile sentore di bagnato. Si tirò su il colletto, perchè il vento era leggero ma pungente.
Camminava, semplicemente, guardando prima i sassi scuri del viale, poi le rosse foglie degli alberi e infine il cielo sopra di lei, con i lampi che si scorgevano in lontananza.
Respirò a fondo.
Poi accadde qualcosa che non si sarebbe mai aspettata: non riuscì a prendere un secondo respiro, perchè qualcosa, dentro di lei, si era infine bloccato. Il cuore.
Ciò che i suoi sensi percepirono prima di sprofondare nel buio fu il tocco gentile e delicato di mille gocce d’acqua che la salutavano per sempre.
 
Quando era venuta a trovarmi all’orfanotrofio, due mesi prima, di fretta, con le occhiaie profonde quasi come il suo L, allora fu l’ultima volta che la vidi , che la vidi sorridere, che la vidi parlare, mangiare, dormire, vivere. Non so, durante le sue indagini, fino a che punto si fosse scoperta, o quali documenti abbia maneggiato, tanto da diventare così vicina alla verità da costituire una minaccia per quel falso Kami che tentava invano di dominare il nostro mondo.
Come potevo, io, riuscire dove loro avevano fallito? Forse, però, mi dissi, coloro che amavo avevano perso la vita per sistemare, quasi fino all’ultimo, i pezzi del puzzle. Proprio per quello a me toccava mettere gli ultimi, per non lasciare il puzzle incompleto e inutili le loro morti e le loro vite. Non mi voglio prendere il merito di un’opera che ho solo aiutato a finire. L’ultimo pezzo l’ho messo io a nome di tutti quelli che avevano composto il resto: Mello, vorrei solo dirti che non sei mai stato un pezzo del mio puzzle. Puoi addirittura pensare che io sia stato un pezzo del tuo. O forse entrambi non siamo stati altro che piccoli ingranaggi che hanno portato a compimento quell’opera che non è nè mia nè tua, ma di tutto il mondo.
 
Qui finisce il mio racconto. Tutto si è risolto alla fine, vedi? Tutto è finito bene. Io, però, mi ritrovo ancora una volta da solo. >>
 
Tacque.
Distolse il suo sguardo dai freddi occhi celesti dell’amico: freddi perchè di essi non rimaneva che un’immagine, l’unica foto esistente.
Near si chinò per lucidare con la manica il vetro sopra quella foto, e le sistemò davanti un mazzo fresco di tulipani neri; poi si alzò, e si avviò tra le grigie tombe sulla ghiaia dei quel piccolo cimitero, sotto i nuovoloni scuri.
Non percorreva da solo quel viale.
Intorno a lui c’erano le ombre di tutti quelli che l’avevano lasciato solo, solo e vuoto: Rain, L, Mello, Matt, Watari...
Camminava bianco in mezzo al grigio.
 
Un tempo aveva una vita. Aveva amici, parenti, giochi, emozioni, sentimenti, gioie e dolori. Ma era ormai un tempo lontano. Quel giorno, davanti a quelle tombe grigie di tempo, quel che gli rimanevano erano solo effimere ombre di memoria, trasparenti e impalpabili, pronte a sparire non appena, da dietro le nuvole gonfie di pioggia, fosse apparso il sole.




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Grazie ancora a chi ha letto fino in fondo, alla prossima ^.^

  
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