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Autore: Rigel und Betelgeuse    06/05/2012    4 recensioni
Fabian era tremendamente su di giri e non si teneva. Frank - che in quei due mesi aveva avuto modo di constatare che i fratelli Prewett si esaltavano spesso per cose tremendamente strane o tremendamente pericolose - non sapeva se esserne incuriosito o preoccupato.
Finire la scuola durante la guerra, diventare Auror durante la guerra, mettere su famiglia durante la guerra: sono un po' i punti di cui mi interessava scrivere, e di cui provo a scrivere.
Genere: Azione, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia Black, Famiglia Weasley, I Malandrini, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'Trilogia dei Non Scritti'
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6. Siano queste le caratteristiche: fede, abnegazione e devozione completa




Ai funerali, il cielo piangeva per tutti. Le gocce pesanti e rotonde che rovinavano a terra in un chiacchiericcio rumoroso coprivano i lamenti sommessi e discreti di chi galleggiava nel cordoglio per la scomparsa di Dorea, che lasciava questa terra troppo presto.
Pioveva già quando lasciarono la casa dei Potter per raggiungere il cimitero; pioveva così tanto che si ritrovarono zuppi nel giro di un minuto, così che le lacrime potessero mascherarsi coi rivoli di temporale che bagnavano ogni ciglio e ogni zigomo, rendendo impossibile capire chi piangeva e chi no. Sirius, comunque, sapeva che, non fosse stato per l'acquazzone, gli occhi di James sarebbero stati asciutti. Teneva - il suo amico - lo sguardo basso dietro le lenti imperlate d'acqua, la fronte aggrottata, una ruga dura a segnarli l'incarnato adolescente in un segno d'età adulta che non era mai stato suo, che non doveva essere suo. Black lo guardava senza riserve, senza paura di essere scoperto, senza volerlo nascondere. Lo guardava con occhi attenti e penetranti, afferrandone ogni secondo di immutato silenzio, unendosi a quel silenzio, tenacemente ma senza disturbare.
Accanto a sé coglieva, con la coda dell'occhio, i saltuari movimenti di Remus - ora per scostarsi i capelli bagnati dalla fronte, ora per abbassare il capo a proteggere gli occhi da uno scroscio più violento del solito. In quei frammenti di gesti, Sirius trovava - assieme ad un certo disagio - tutto quel malessere che avrebbe potuto essere di James ma che, per il momento, non era. Poteva immaginarsi Lunastorta evitare di posare gli occhi sulla bianca lapide, cercare di guardare altrove, scoprire -infine - che nulla aveva senso guardare, non fosse quella lapide.
Remus e le sue empatie.
La cosa che più di tutte lasciava stupito Sirius era quanto fosse poco impreparato alle reazioni dei suoi amici ad un circostanza come quella. Come se non avessero fatto altro, da quando si conoscevano, che andare ai funerali delle reciproche madri. Trovava la fermezza granitica di James esattamente come avrebbe potuto aspettarsela se fosse stato in grado di prevedere un evento del genere - eccettuata la piccola ruga adulta sulla fronte, che un po' lo confondeva; ritrovava Remus nei movimenti spossati e tristi di Remus; conosceva Peter nel suo unire le sopracciglia in un'espressione bambina di agitazione, come quando ci si prepara a scoppiare in lacrime - anche se Peter non scoppiava in lacrime.
Fraternamente prevedibili, anche se Sirius non avrebbe mai potuto ipotizzarne prima le reazioni.
Tagliò corto con le elucubrazioni quando Charlus - lui sì che piangeva - si fece avanti verso il tumulo e, inginocchiatosi nel fango - le spalle che crollavano arcuate sotto un peso immenso, che nel giro di giorni lo aveva invecchiato di un tempo incalcolabile - costrinse rose bianco neve a bocciare da terra, sotto l'acqua gelida di novembre, sotto gli occhi duri del figlio.
Quasi fossero cocci di un solo cimelio, Sirius capiva la voragine dietro l'impassibilità di James, ma era sicuro di non poterne che percepire vagamente le dimensioni. Ciò che sopra ogni stupore lo stupì, fu il capire una punta d'invidia verso il suo amico. Sirius era infatti sicuro che, nemmeno col più grande sforzo d'immaginazione di tutti i tempi, avrebbe mai potuto provare per sua madre un dolore tanto grande. Né un dolore alcuno, si diceva ora.



Lily aveva visto l'ombra di un cervo al limitare della Foresta Proibita. Lo aveva detto ad Alice, che l'aveva guardata come se non afferrasse il punto nelle sue parole, mentre Emmeline l'aveva contraddetta ricordandole quanto la foresta fosse luogo inadatto a selvaggina di quel tipo.
«Improbabile fosse un vero cervo» aveva commentato temperata e lenta, com'era sempre «Di certo era un centauro»
La discussione presto si perse, poiché non era di troppo interesse, ma a Lily restava la convinzione che l'animale galoppante che cercava rifugio - da chi? da cosa? - nelle polle boschive dovesse essere per davvero un cervo. Non che fosse importante, ma trovava la cosa sufficientemente curiosa da trovarsi un paio di volte - nel divagare annoiato o stanco della mente durante l'ora di Storia della Magia o nel dopocena in Sala Comune - a ricordarsene e a pensarvi sopra. Se ne dimenticò in fretta, più o meno quando le fecero notare che James Potter latitava da lezione - e da ogni luogo di socialità - da qualche giorno.
«Ecco cos'era questa gran pace» aveva commentato con un sospiro, riscuotendo lo scetticismo e le frecciatine di Mary, i sorrisi velati di Emmeline, i risolini divertiti di Alice.
L'ennesimo palesarsi dei soli Black, Lupin e Minus al tavolo Grifondoro dopo il fine settimana - facce lunghe e un po' ombrose, in tutte le sfaccettature del grigio, come Lily non ne aveva mai viste sui loro volti - acuì le curiosità sulla mancanza della loro quarta parte. Mary - un solco giovane a sottolineare la piega preoccupata delle sopracciglia - esplicitò i propri timori in tono basso, senza distogliere gli occhi dai tre, che si sedevano abbastanza lontani dalle ragazze da non poterne recepire le occhiate.
«Che musi» bofonchiò la McDonald, ritirandosi tutta sulla panca quasi volesse nascondersi dietro la selva di calici «E Potter ancora non c'è…»
Lily esordì con uno sbuffo di noncuranza.
«Avrà preso un'influenza» commentò, il tono caricato appositamente per fare intendere a tutte quanto quell'argomento fosse di poca rilevanza «Con questo tempo, nulla di più probabile»
Lasciò che le sue amiche commentassero gli eventi senza intromettersi, ostentando una completa mancanza di interesse a riguardo, fin quando le opinioni sulla questioni non si esaurirono e non si fece l'ora di andare a lezione di Incantesimi. Nonostante la caparbietà nel fingersi estranea alla faccenda, Lily sentiva un pizzicore curioso agli angoli degli occhi e alle tempie, che la spingevano ad osservare - di tanto in tanto e con mosse molto discrete - gli atteggiamenti dei tre compari di Potter, come se cercasse di trovare confermata, nelle loro mosse, la sua tesi sui malanni stagionali.
Lo scoprire che quel lunedì iniziava con una lezione introduttiva sull'Incanto Patronus fu tuttavia sufficiente a dissipare ogni solletico investigativo.
«Allora avete capito bene» il professor Vitious, abbarbicato sulla cattedra, ripeté serafico un movimento del polso «Un bel pensiero felice e poi la formula! Avanti, esercitatevi»
Il vociare sovrapposto di una ventina di diciassettenni fu l'unica cosa a riempire l'aula per la restante ora e mezza. Lily non si era mai sentita più frustrata di così - non in tempi recenti, per lo meno. Stavano lì come un branco di invasati, a roteare polsi e a vociare formule, che non portavano a nulla che non fossero cori di eco rimbalzanti sui muri alti del locale. Quando dalla bacchetta di Sarah Palmer di Corvonero ruzzolò giù una lacrima di materia argentina - che subito si vaporizzò nell'aria come una manciata di cenere - calò un silenzio talmente profondo da risultare drammatico. Lasciando l'aula di Incantesimi, quando ormai Lily aveva dimesso ogni ricordo circa l'assenza di Potter, sentì Minus commentare:
«Che forte! Se ci fosse stato James…»



Peter faceva sempre un po' fatica a stare dietro agli altri - alla falcata lunga di Sirius, all'incedere spedito ed egocentrico di James, al passo rapido di Remus - specialmente quando c'era del fermento in giro. Era bello, però, perché qualcuno che rallentava per aspettarlo alla fine c'era sempre, e lo rimbeccavano con quel rituale Ehi Coda! Non farci far tardi e uno scappellotto tra i capelli biondi che tanto sapeva di fratellanza. A Peter non pesava non riuscire a cavalcare una scopa - Lunastorta non gli era certo secondo in termini di goffaggine sportiva -, non essere in grado di preparare un Distillato della Morte Vivente - anche Ramoso ci si era inciampato un paio di volte, pur preferendo sorvolare sulla questione - o avere dei problemi a sedare la Mandragola - pur non avendo mai raggiunto il livello di nevrosi di Felpato che, nel 1974, aveva scaraventato senza troppi complimenti la sua radice in mezzo al banco da lavoro, uscendosene coi nervi a fior di pelle dalle Serre e causando una perdita di punti dieci a Grifondoro. A Peter non pesavano queste cose perché in ogni occasione, in qualsiasi circostanza, sapeva che agli occhi dei Malandrini sarebbe sempre rimasto Codaliscia - piccolo, gracile e sbadato Codaliscia, ma fidato, inaspettatamente ridente e dal cuore tenero.
Per lui c'erano sempre stati, ci sarebbero stati sempre. Ne aveva avuto la certezza nel momento in cui, al secondo anno - quando avevano scoperto, attoniti, delle noie di Remus con il plenilunio - James aveva proposto a lui e a Sirius di lanciarsi nell'improbabile impresa d'inventarsi Animagi dal nulla, tutto per star vicino all'amico. S'erano consolidate le sue convinzioni quando, durante quel processo faticosissimo di trasfigurazione umana, Ramoso lo aveva riempito di pacche sulle spalle e parole fiduciose - Dai Codaliscia, sei perfettamente in grado di farlo, non fare il timido! - e, a trasformazione compiuta, Sirius non aveva perso tempo a snocciolare con tono esaltato tutte le qualità incredibili e assolutamente utili del topolino. Sempre, comunque, in ogni circostanza.
Ora si trovava, Peter, nelle condizioni di dover essere di supporto a uno di quei tre fratelli, forse quello che tra i tre gli era più caro. Ma gli risultava difficile avere a che fare con quel tipo di malessere: il lutto, soprattutto quando non suo, era una delle tante cose con cui Minus aveva difficoltà a rapportarsi. Dunque, ora come ora, aveva l'impressione di non aver fatto un gran lavoro in termini di supporto emotivo. Aveva passato la veglia in casa Potter con gli occhi bassi, lo sguardo ansioso, ad alternare sospiri a sorrisini tristi quando qualcuno lo guardava, a dispensare tocchi lievi sulle braccia e sulle spalle di James, senza trovare mezza parola giusta da rifilargli - anche se, forse, Ramoso non avrebbe saputo che farsene di parole, in quel frangente.
Peter s'era sentito impotente come mai prima nella vita, ed era rientrato ad Hogwarts con una strana ansia addosso, quasi avesse il dubbio di avere deluso il suo migliore amico. Così, s'era segretamente ripromesso che avrebbe trovato il modo per riparare, non appena Ramoso fosse tornato in Scozia.
Quando Lily Evans, prima di cena, lo avvicinò per porgergli quella domanda, Peter si sentì come fosse un acrobata inesperto in bilico su un filo sottilissimo, sospeso su una gola di profondità indicibili. Come se la sorte stesse cercando di mettere alla prova le sue capacità di rimediare.
«Ehi Minus» Lily che si avvicinava con aria distratta, come se nulla fosse «Scusa sai, ma non è che Potter ha l'influenza? Dicono sia un po' che non si vede e…» risatina ironica «…non prendermi per un'ipocondriaca ma, ecco, se c'è qualche virus in giro, meglio prendere precauzioni, no?»
Peter era talmente assorbito dalla sua missione - l'importante è aiutare James, essergli di supporto in qualche modo, non sbagliare niente - che non fece quasi caso alla stranezza della situazione. L'unica cosa che gli riempì la testa in seguito alla domanda di Lily fu un solo, grande interrogativo: James cosa vorrebbe le dicessi?
Ci pensò molto, ma alla fine la decisione la prese d'istinto, talmente d'istinto che la stessa risposta che rifilò alla Evans risultò inaspettata alle proprie orecchie.
«È morta la sua mamma»
Entrambi rimasero come sospesi nell'attimo esatto in cui uno Schiantesimo ti colpisce. Si guardarono increduli a vicenda - quasi che lo stesso Minus avesse trovato, nelle proprie parole, qualcosa di incredibile - e fu uno sguardo lungo ed immenso. Poi Peter si sentì avvampare. L'impressione di aver fatto esattamente la cosa sbagliata lo travolse completamente, il cuore che accelerava e una voglia immensa di squagliarsela da lì.
«Scusami, io…» bofonchiò, prendendo tempo per trovare una scusa che non trovò mai «…ci vediamo di sotto»
E così si defilò oltre il ritratto della Signora Grassa, con i sensi di colpa che gli galoppavano alle calcagna.



Arrivò il mercoledì, ed arrivò la fine degli allenamenti.
Regulus non ebbe difficoltà a trovare un pretesto per attardarsi, poiché i suoi voraci compagni di squadra non persero troppo tempo a proporsi di attenderlo, spinti com'erano dall'appetito. Attese non più di dieci minuti, durante i quali rimase, con fare annoiato, a sfogliare un vecchio numero della Gazzetta del Profeta dimenticato da qualcuno su una panca. Non riteneva necessario - né tanto meno utile - arrovellarsi ancora sulla propria decisione, poiché si riteneva assolutamente sicuro di quello che voleva per sé stesso. Aveva anzi trovato abbastanza irritante il congedo di Severus Piton al termine del loro incontro ad Hogsmade, quel suo consigliargli tra le righe di non prendere decisioni avventate. Con tutta franchezza, in realtà Regulus provava una certa frustrazione nel dover pendere dalla bocca di quel Mezzosangue - poiché, era risaputo, di Mezzosangue si trattava - per arrivare al termine di quella fondamentale operazione, così come trovava fastidioso essergli rimasto indietro di un passo così importante. Tuttavia, mai nella vita avrebbe potuto transigere circa un consiglio dispensatogli da Bellatrix che, per quanto sottilmente folle a volte potesse sembrare, certamente era quella che in termini di alleanze oscure più era affidabile.
Piton entrò nello spogliatoio avvolto in un manto d'acqua piovana. Regulus - che non aveva fatto caso ai primi scrosci temporaleschi - alzò gli occhi dal giornale per cercare lo sguardo dell'altro, ma si perse nelle profondità del cappuccio che questo teneva calato fin sulla gobba del lungo naso.
«Alla buon'ora» il commento di Black fu puramente circostanziale - non gli era pesato poi così tanto aspettare per quella manciata di minuti - buttato lì con fare annoiato, giusto per rompere il ghiaccio.
«Allora, ci hai pensato?» pratico e con poca voglia di sprecare del tempo, Piton non considerò neppure quell'osservazione. Si calò il cappuccio, e Regulus poté osservarne le occhiaie scure e profonde appollaiate sotto i suoi occhi neri.
«Non ne avevo bisogno» spiccio al pari di Severus, Black tagliò corto, caricando un po' della sua irritazione nella voce. L'altro lo guardo per un istante poi, con quella che parve vagamente dura rassegnazione, annuì.
«Come credi. Suppongo saprai già cosa comporta la tua decisione»
«La vogliamo smettere di tirarla per le lunghe, Piton?» sospirando, Regulus si alzò dalla seduta, facendo un passo verso l'altro mentre si scopriva il braccio sinistro. Gli occhi di Severus si riempirono di perplessità, prima che sulle sue labbra sottili si disegnasse un sorrisetto a metà tra l'intenerito e il canzonatorio.
«Non essere stupido, Black» sussurrò divertito «Non posso certo essere io a farlo»
Colto in fragrante nella sua ingenuità, Regulus si sentì avvampare mentre ritirava bruscamente il braccio, e si sentiva stupido e arrabbiato con sé stesso.
«Certo» bofonchiò contrito, fattosi scurissimo in volto «Naturalmente…»
«Lui è disposto ad incontrarti» Piton parve prendersi il tempo di godere di quel particolare imbarazzo di Black, prima di dirgli quello che aveva da dirgli «Da solo, e in un luogo segreto. Ci andrai nel fine settimana; tua cugina ti scriverà una lettera in cui ti chiede di rincasare per questioni di famiglia, ma non tornerai a casa»
«Come faccio a sapere dove…»
«Prendi il treno per Londra. Nell'atrio della stazione di King's Cross, vicino alla biglietteria, troverai Lestrange. Fa tutto quello che ti dice, e tornerai a scuola con responsabilità nuove»
Silenzioso e attento, Regulus annotò mentalmente ogni singolo passaggio descrittogli dal compagno. Si chiese se fosse veramente così necessario architettare operazioni tanto macchinose, se fosse effettivamente più sicuro prendere tornare a Londra via treno piuttosto che utilizzare una Passaporta, e altre cose di questo genere - interrogativi che presto decise di lasciar cadere nel nulla. Si accorse, tuttavia, che il parlare così sicuro ed esperto di Piton - che non era poi così tanto più grande di lui - metteva il suo interlocutore sotto una luce un po' diversa e, per un secondo, Black provò quasi riverenza nei suoi confronti.
«Una volta che tutto sarà fatto» continuò Severus dopo una breve pausa, il tono monocorde e a ritmo cadenzato che aveva avuto fino ad allora «manterrai il segreto in ogni circostanza. Devi impedire a tutti i costi che qualcuno sospetti, soprattutto finché sei ad Hogwarts. Tutto va tenuto coperto»
«Per chi mi hai preso, Piton?» spinto a riacquistare le proprie maniere da quelle troppe raccomandazioni, Regulus lo guardò con aria beffarda.
«Per un sedicenne, Black» lo rimbeccò l'altro, senza vacillare per un attimo «E, credimi, anche se sembrano tutte cose ovvie, non sempre sono così facili da attuare»
Così dicendo, Severus gli concesse il barlume di un sorrisetto provocatorio, prima di girare i tacchi, chiaramente intenzionato ad andarsene senza di lui.
«Con questo, credo di averti detto tutto quello che dovevo» concluse, aprendo l'uscio. Il rumore diretto d'acqua che cadeva a catinelle dal cielo riempì lo spogliatoio. Per farsi sentire, Regulus regolò la propria voce in tonalità appena più alte rispetto al solito.
«Ehi Piton» lo richiamò e, una volta raccolto un segno d'udienza, si prese un secondo prima di continuare «Fa…davvero così male?»
Per un attimo Severus parve non capire la domanda. Poi, per la terza volta quel pomeriggio, Regulus lo vide sorridere freddamente.
«In tutta la mia vita, Black» disse, una calma nel tono di voce da mettere i brividi «Non ho mai sentito dolore più grande»



Fabian era tremendamente su di giri e non si teneva. Frank - che in quei due mesi aveva avuto modo di constatare che i fratelli Prewett si esaltavano spesso per cose tremendamente strane o tremendamente pericolose - non sapeva se esserne incuriosito o preoccupato. Per stare dietro all'allampanata figura del rosso doveva trottare parecchio - lui che, nonostante tutto, non era poi nemmeno un soldo di cacio - il che non contribuiva di certo a sedargli i nervi, indecisi circa il guizzargli o meno a fior di pelle.
Quando finalmente Fabian si fermò, Frank per poco non gl'inciampò addosso, tant'era la rincorsa che aveva preso lungo il tragitto.
«Eccoci!» nella voce del rosso, tenuta bassa in toni spifferati, vibrava una certa euforia «Godric's Hollow, Paciock. E quella è la casa di Albus Silente»
Frank restò a guardare la casetta con aria incerta, deglutendo.
«Siamo sicuri che siamo stati invitati?» domandò dubbioso, passandosi una mano sulla nuca mentre sentiva gli occhi di Fabian - uno verde e uno castano - ruzzolargli addosso in tutta la loro scandalizzata immensità.
«Scherzerai!» commentò Prewett «Io vengo sempre invitato. E comunque non c'è festa senza gli imbucati, dico giusto?» Fabian aggiunse quest'osservazione con la faccia e il tono furbo di chi si diverte a pungolare il fianco del suo vicino, lasciandolo nel dubbio delle situazioni.
rimasto interdetto da questa risposta, Frank si prese un attimo di tempo per interpretarla ma, mentre elaborava di che ribatterne, l'altro lo afferrò per un lembo del mantello e se lo trascinò letteralmente dietro.
«Dai, che siamo in ritardo»
Paciock si sentiva decisamente intruso anche solo ad avvicinarsi così tanto a quella che era la casa natale di Albus Silente. La soggezione arrivò al culmine quando, una volta bussato alla porta, vi si aprì uno spioncino e un occhio ipertiroideo dall'iride blu elettrico si piantò come un fanale su di lui. Il ragazzo ebbe il tempo di deglutire a vuoto - gli occhi sbarrati fissi su quella pupilla agghiacciante - prima che, dall'altra parte dell'uscio, una voce roca e burbera li aggredisse.
«Cos'è grigio, polveroso ed innocuo?»
«Un vampiro a mezzogiorno» la pronta risposta di Fabian squillò con una sicurezza che avrebbe potuto fargli da lasciapassare anche se la risposta fosse stata sbagliata. Si udì lo schiocco di una serratura che si apre, poi la porta si dischiuse lenta, cigolante, lasciando apparire la figura storta di quello che Frank riconobbe essere Alastor Moody.
«Alla buon'ora» bofonchiò l'Auror senza troppo complimentarsi, mentre il suo occhio blu roteava da Prewett a Paciock, da Paciock a Prewett «Entrate, coraggio»
Frank lasciò il primo passo al compare, dietro il quale si accodò prontamente, cercando di distogliere l'attenzione dallo sguardo spaiato di Moody.
«Un filo razzista, come domanda lasciapassare» commentò - sottovoce, per farsi sentire solo dal rosso - più che altro per convincersi a fare altro che non fosse pensare alla tensione che la situazione gli metteva addosso.
«Naaa» Fabian replicò ludico, un'alzata di spalle a sottolineare la sua posizione «Sai com'è Silente: ha la sua bella scorta di senso dell'umorismo»
Una volta superato il sottoscala si ritrovarono in un ambiente ligneo e illuminato da un caminetto e una manciata di lanterne che buttavano ovunque una calda luce gialla. Frank, improvvisamente memore di dove si trovassero e perché, allargò gli occhi con fare nervoso, mentre Fabian si spostava dalla sua visuale per introdurlo alla sparuta platea che popolava il salotto.
«Oh, giovane Prewett!» la voce tranquilla di Albus Silente bastò a scatenare in Paciock una sensazione di déjà vu e ricordi d'infanzia «Stavamo giusto aspettando te»
«Buonasera a tutti» allegro, Fabian alzò la mano in cenno di saluto, prima di piantarla dritta contro il petto di Paciock «Scusate il ritardo. Per farmi perdonare ho portato la nuova recluta, come promesso»
Abbastanza stordito da quell'appellativo, ma ancor più da tutte quelle paia d'occhi che gli si puntavano addosso, Frank non riuscì a far nulla di meglio che esibirsi in un sorrisino trascinato, che lo fece sentire tremendamente stupido e ancor più fuori luogo. Una rapida occhiata all'utenza della stanza, e si rese conto di essere in assoluto il membro più giovane, lì dentro. Quasi senza accorgersene, si passò il dorso della mano sul mento, quasi a sincerarsi di non essere completamente imberbe - ed in effetti non lo era, poiché era sempre stato piuttosto precoce negli sviluppi, e le prime pelurie gli erano spuntate all'alba dei dodici anni. Mentre Fabian lo spingeva a stringere mani a destra e a manca, Frank maledisse prima il compare per averlo trascinato lì, poi sé stesso per avere accettato. Quale contributo definitivo avrebbe mai potuto portare, a quello che gli era stato accennato essere un'organizzazione segretissima, una matricola dell'Accademia Auror, appena uscita da Hogwarts? Nel far la conoscenza dell'atavico Elphias Doge - che doveva avere pressapoco l'età di Silente - e nel riconoscere tra sé e Dedalus Lux e Dearborn Caradoc una differenza di almeno trent'anni d'età - mentre Benjy Fenwick poteva avere intorno ai trentacinque anni, il che probabilmente era sufficiente a farne presumere una qual certa esperienza sul campo - le incertezze di Frank si acuirono in modo orrendo, tanto che cominciò a sudare freddo. Era talmente preso dalle sue ansie di prestazione che gli ci volle un po' per mettere a fuoco la realtà dei fatti, ovvero che, in quella stanza, oltre a tutte quelle mature personalità presenziavano anche esponenti più giovanili e conosciuti.
Gideon Prewett lo accolse con una pacca sulle spalle amichevole, mentre Dorcas Meadowes - già conosciuta ai tempi della scuola, Grifondoro anche lei e più grande di lui di appena due anni - gli riservò un sorriso di benvenuto dal quale Paciock si sentì incredibilmente capito.
«Dunque eccoci» Silente si schiarì la voce, dopo aver richiamato un paio di sedie per gli ultimi arrivati tramite un incantesimo d'appello «Minerva si scusa per l'assenza, ma come sapete è incauto lasciare incustodita la scuola, di questi tempi. Anche Hagrid non può presenziare, è in giro per certe commissioni che gli ho affidato»
«Aberforth?» Lux, il viso luminoso d'ometto piccolo, interrogò Silente quasi fossero due comari sedute a sorseggiare il té delle cinque. Il professore sospirò, stringendosi nelle spalle.
«Delega il signor Edgar Bones, qui, a riferirgli notizie»
Frank doveva aver stretto la mano ad Edgar senza farci caso. Si voltò a guardarlo - due posti più in là, alla sua destra - e riconobbe il suo viso come conosciuto, da qualche parte. Doveva essere stato studente ad Hogwarts più o meno negli stessi anni di Dorcas, anche se probabilmente non a Grifondoro, poiché Paciock non ricordava di averlo mai visto in Sala Comune.
Senza alcun tipo di introduzione, la riunione cominciò. Si parlò di sospetti, di rischi, di pattugliamenti. Si citò Voldemort omettendo gli appellativi riverenti che spesso si sentivano quando la gente parlava di lui - niente Lord o Signore - e se ne riportarono, senza tremori della voce o delle mani, le recenti nefandezze.
«Il Ministero dovrebbe mettere delle pattuglie a custodia delle piccole comunità non magiche» commentò Caradoc con una certa contrarietà, dopo che furono riportati gli ultimi avvenimenti riguardanti gli attacchi di Mangiamorte ai villaggi gallesi di Anniewick e Holly Park.
«Improbabile lo facciano» commentò Lux con una certa rassegnazione «Sono troppo cauti e ripiegati su sé stessi»
«Dovremmo occuparcene noi, allora» suggerì ancora Dearborn, risoluto «I Babbani non hanno i mezzi né le conoscenze per difendersi da attacchi del genere. Non possiamo abbandonarli a loro stessi come nulla fosse»
«È necessario trovare il modo di prevenire cose del genere» Silente, con la sua voce profonda, si impose come i due punti nell'introduzione di un discorso «E per farlo, bisogna tenere occupato l'avversario. Non deve avere il tempo né il modo di occuparsi della distruzione della popolazione Babbana. Bisogna attaccare»
Frank, che conosceva Silente come uomo calmo e pacato, rimase stordito da quelle sue parole. Gli aveva sempre attribuito pensieri pacifisti, ma il tono con cui il professore esplicitò le sue idee lo fece per un attimo vacillare nelle sue convinzioni.
Accanto a lui, Frank poté cogliere, con la coda dell'occhio, entrambi i gemelli Prewett annuire. Con molto giudizio, Dorcas prese la parola.
«Con tutto il rispetto» cominciò con voce sicura «A mio avviso siamo pochi. Se non ho travisato le sue parole, Signore, l'idea non è quella di muoversi come istituzione, ma come Ordine…»
«L'idea è quella di muoversi come maghi, signorina Meadowes» replicò pacato Silente «e per farlo è necessario agire come Ordine»
Frank capì in quell'istante quanto di poco legalizzato ed ufficialmente approvato ci fosse in quell'organizzazione.
«Dorcas ha ragione, Professore» Fabian si riattaccò al discorso, risoluto «I nostri numeri sono bassi. Per quanto in gamba sia ognuno di noi…»
«Mi trovate d'accordo, su questo punto» Silente mise fine al dibattito, annuendo «Ma sapete anche quanto delicata sia la questione degli arruolamenti. Dobbiamo essere assolutamente sicuri circa la fedeltà e l'abnegazione di ogni parte dell'Ordine. Per cui, ecco cosa faremo: che si cerchino nuovi membro, ma che lo si faccia con estremo scrupolo e buon senso»
Si lasciarono con il compito comune di valutare nuove entrate nell'associazione da proporre alla prossima riunione. Entrate che avrebbero dovuto avere le caratteristiche imprescindibili citate da Silente poco prima. Quando Frank si ritrovò a pensare a chi avrebbe ciecamente affidato la propria vita, il viso luminoso di Alice gli balenò davanti agli occhi vivo come se ce l'avesse avuta di fronte in carne ed ossa.



Doverose note d'autrice: Chiedo venia per il clamoroso ritardo, ed effettivamente non ho idea di come abbia fatto a tirar fuori questo capitolo con i tempi che corrono. È con una certa cognizione di causa che il prossimo capitolo si farà aspettare lungamente (almeno un paio di mesi), ma spero salterò fuori un po' più lustro di questo qua, che mi convince non troppo. Parto con le note...

• Penso mi si dirà (ragionevolmente) che da questo capitolo non escono fuori grandi cose. Già quello prima era stato un po' introduttivo, questo ne è un pallido strascico. Purtroppo però, non ho potuto far nulla di meglio. Si sa che quando si sta troppo (e troppo male) sulle cose, alla fine non ci si cava più i piedi. Quindi lo pubblico lo stesso, perché comunque mi servono alcune cose che ci sono scritte (seppure sicuramente avrei potuto sintetizzare e infilare tutto in qualcosa di più avvincente)

• Ho cercato in giro quando, come e perché uno dovrebbe imparare ad eseguire un Incanto Patronus, e ho trovato cose che mi sono state poco d'aiuto. Ancora una volta ho deciso di fare di testa mia, basandomi solo sul fatto che sia un Incantesimo di grado avanzato e che quindi, in mancanza di un Esercito di Silente anteguerra (si legga nel senso figurato del termine), sia accettabile che venga insegnato all'ultimo anno.

• Punto Peter (zanzanzanzaaan): mh, non so, davvero no. Tra tutti, è quello che forse fatico di più a figurarmi nelle vesti di scolaro Malandrino. Staccarsi dai preconcetti, tra l'altro, no è mai troppo facile. Non so quanto risulti veritiero, perciò chiedo scusa a priori.

• Ho deciso di fare incontrare l'Ordine a Godric's Hollow semplicemente perché non mi veniva in mente altro. La domanda lasciapassare boh, ci ho pensato un po' e non mi è venuto niente di meglio. Così, anche se mi pareva un po' razzista, ho lasciato questa, ma non potevo non sottolineare il suo carattere discriminatorio!

• Ho immaginato che Frank, in quanto appena entrato all'Accademia, non avesse mai avuto direttamente a che fare con Moody prima di allora.

• La mia sciocca mentalità post-adolescenziale mi ha spinto a creare rapporti immaginari tra i personaggi. Per cui chiedo in anticipo scusa per le strane accoppiate che verranno fuori in corso d'opera (tuttavia, mi spezzo una lancia in favore asserendo che avranno avuto una vita privata pure i membri dell'Ordine, giusto?)

Infine ringrazio vivamente chi ha recensito nell'ultimo periodo (ho letto tutto, apprezzato infinitamente tutto, e prometto che risponderò il prima possibile - ci tengo davvero - appena avrò tempo)

Ultima cosa, giusto per tentare di metter della curiosità a caso: ho avuto l'illuminazione per l'epilogo, quindi l'ho scritto. Ma ci manca ancora molto (molto) tempo.

EDIT: scordavo una cosa, se si può. Faccio pubblicità al progetto di wingardium Chiedi e ti sarà dato. Iper interessante.
  
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