Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Laura Sparrow    07/05/2012    2 recensioni
Quarto capitolo della saga di Caribbean Tales. - Tortuga. La roccaforte dei pirati, il porto preferito di ogni bucaniere sta radicalmente cambiando, trasformata nel rifugio ideale per gli intrighi di un uomo infido e spietato: Robert Silehard. E, quando anche l'ultimo porto franco non è più sicuro per un pirata, nessuno può più sfuggire alla mano di Silehard. Nemmeno capitan Jack Sparrow e la sua ciurma.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 18
Che tu sia felice.

Quebrada Costillas.
Neanche ad un giorno di navigazione da Tortuga, e altrettanto vivace e rifornita di osterie e bordelli: un minuscolo porto, ma era esattamente ciò di cui avevamo bisogno.
Non appena approdammo, la divisione del bottino portò via ciò che restava della serata: a notte fonda, l'intera ciurma si disperse per tutte le vie della città, con le tasche piene come non mai. Molti si sarebbero fatti pelare dalle prostitute o dagli osti, non importava. Molti non sarebbero tornati: avevamo guadagnato abbastanza bottino da autorizzare ogni membro della ciurma a prendere congedo, quindi sarebbe stata l'alba a rivelarci chi avrebbe scelto di restare.
Saputo che Barbossa era ancora a bordo della Sputafuoco con Elizabeth e Will, Jack aveva insistito perché le navi ormeggiassero in punti diversi: precauzione quasi inutile, dato che il porto di Quebrada Costillas era ridicolmente piccolo, ma non ci fu verso di fargli cambiare idea.
Così, nel cuore della notte, ci ritrovammo io e lui da soli in una tavernetta piccola e affollata, praticamente gomito a gomito con una folla di avventori beatamente ubriachi e ridanciani. Avevamo deciso che anche noi avevamo diritto ad una notte di festa, come il resto della nostra ciurma.
Con la scusa che i posti scarseggiavano, mi ero seduta sulle ginocchia di Jack e non avevo nessuna intenzione di scendere. Con un braccio gli cingevo le spalle e con la mano libera tenevo il mio boccale: la locanda era rumorosa, c'era caldo e il rum era fin troppo forte ma, per una volta, tutto quello non mi dispiaceva affatto.
Jack si protese a darmi un bacio sulla guancia, facendomi il solletico con la barba. La sua presenza mi era mancata più di quanto ritenessi dignitoso ammettere.
- Non hai ancora parlato con Valerie, vero?- mi disse all'orecchio, ad un un certo punto. Quello mi mise un po' a disagio, ma cercai di non darlo a vedere.
- No. - ammisi. - Lo sai che avrei voluto farlo, è solo... abbiamo dovuto fare un sacco di cose molto in fretta; non ho trovato il momento giusto. -
Jack mi guardò, inarcando un sopracciglio. - Capisco. Però, tesoro, essendo che non hai ancora avuto modo di parlarle, io stavo suggerendo di non parlarle affatto. -
- Stai dicendo che dovrei... ignorare la cosa? Lasciar correre?-
- Esattamente. -
- Ma... - appoggiai il boccale sul tavolo, fissando il vuoto davanti a me. - Lei ha disobbedito ad un mio preciso ordine. Ha lasciato scappare Donovan quando sapeva benissimo quanto fosse importante prenderlo prigioniero. Poteva mandare a monte tutto il piano: dovrei ignorare tutto questo?-
Jack fece un profondo sospiro, alzando gli occhi al cielo, poi mi avvolse la vita con le braccia per farmi girare verso di lui.
- Valerie è una giovincella che si è presa una sbandata. - mi disse, sottolineando le sue parole con un sorriso malizioso. - Se vuoi il mio parere, lei lo sa benissimo che cosa ha fatto e perché, comprendi? Però ha anche fatto il suo dovere nel nostro scontro con lo Squalo Bianco, e non si è ulteriormente dimostrata indegna di fiducia. -
Non ero ancora convinta, e di certo me lo si leggeva in faccia. Il capitano rise e mi diede un altro bacio. - Lo sa, quello che pensi. - continuò, senza smettere di sorridermi con l'aria di chi la sa lunga. - Me lo hai raccontato tu stessa come vi siete guardate in quel momento, no? Lo sa benissimo. Ma siamo sani e salvi, alla fine, o no? Per me possiamo graziarla e dimenticare l'accaduto. -
- Come siamo misericordiosi, capitano. - commentai, in un tono di rimprovero che era scherzoso solo per metà. - Sicuro di non stare sottovalutando la cosa?-
- No: sto sopravvalutando la mia ciurma. - rispose. - Non facciamoci illusioni, cara: potremmo ritrovarci con meno di metà ciurma, domattina, e dobbiamo tenerci stretti tutti quelli che resteranno. Ah, a proposito, Jonathan se ne va. Non te l'hanno detto? Forse lui per primo non era tanto contento della piega presa dalla sua dolce compagna. -
A quello non avevo pensato, e in effetti era vero. Però il tarlo rodeva ancora. Alla fine, che cosa avevo tanta urgenza di dire a Valerie? Non facevo che ripetermi che dovevo parlarle, ma ogni volta che ci pensavo poi mi mancava il coraggio di farlo, anche perché non sapevo cosa dirle. Che mi aveva disobbedito, che aveva fatto il gioco di Donovan e non il mio... e poi? L'avrei cacciata dalla ciurma? No, io volevo che restasse. E allora? Da quel momento non ci eravamo più rivolte la parola, se non quando avevo chiesto a lei e a Faith di accompagnarmi da Daphne: eppure, anche allora non avevo avuto il fegato di affrontarla a quattrocchi, comportandomi esattamente come se nulla fosse successo.
Però, lei aveva fatto il suo dovere senza esitare, in battaglia. Non mi aveva tradita una seconda volta: forse era questo quello che contava.
Imbronciata e con i sensi di colpa, mi appoggiai a Jack e lo abbracciai, e lo sentii ridacchiare ancora.
- Niente muso!- mi prese in giro, appoggiandomi un dito sulle labbra. - Non è proprio serata per i musi lunghi. Siamo ricchi, comprendi? E la ciurma dimezzata non sarà un problema, vedrai: viaggeremo più leggeri e più veloci verso mari che non avevi neanche sognato di vedere!-
Sorrisi a mia volta. - Davvero? E dove saremmo diretti?-
- Ma ad est, naturalmente! La prima volta che abbiamo attraversato l'Atlantico non lo abbiamo fatto come si deve. Che cos'è una traversata, se ci si limita a toccare le coste dell'Africa e poi correre indietro? Stavolta dai un bacio d'addio ai Caraibi, tesoro, perché ce ne andiamo via per un pezzo. Prima in Portogallo, direi. Poi risaliamo dritti dritti e ti porto a Londra. -
Lo guardai per cercare di capire se stesse scherzando, ma aveva il sorriso spiritato di quando si metteva in testa un'idea. Gli brillavano gli occhi.
- Stai dicendo sul serio?- mormorai: il pensiero mi riempiva di ansia e mi eccitava al tempo stesso. L'Inghilterra! Londra! Posti di cui sentivo parlare da tutta la vita, ma che non avevo mai visto con i miei occhi.
- Te lo assicuro, gioia. Ah, e Parigi. Sarei un vero villano se non ti portassi a Parigi. -
- Se neanche lo parli, il francese... -
- E che c'è da parlare? Vin, femmes, chambres libres... Semplice ed elegante, per le prime necessità!-
- Bello... dato che, con quel vocabolario, si prospetta una visita per bordelli, io posso stare a casa?-
- Scema. - Jack rise e mi abbracciò stretta, strofinando il viso contro il mio collo. - Su, dammi un po' di soddisfazione. Altre farebbero i salti di gioia se proponessi di portarle a Parigi. -
- Io sto facendo i salti di gioia, Jack... lo do solo meno a vedere. - proprio mentre ero a metà frase, però, lui iniziò a giocare sporco baciandomi la gola, e non potei neanche togliermi lo sfizio di rendergli le cose più difficili, perché mi teneva avvinghiata. Mmm. Be', tanto meglio. Mi rilassai contro di lui, affondando le mani nei suoi capelli. - E poi dove andiamo, Jack?- mormorai, chiudendo gli occhi.
- Dove vuoi. - sussurrò lui, con le labbra contro il mio collo. - Forse per la prima volta, non ci sono davvero limiti a quello che possiamo fare. Andiamo a vedere i posti più belli del mondo. Andiamo a vedere come vive quella gente. Andiamo a bere, parlare, brindare e ballare con loro. Di giorno ce la spasseremo da gran signori, e di notte faremo festa nelle taverne del porto. -
- La cosa mi interessa molto. - sorrisi, mentre lo tenevo abbracciato. - Però, come mai questa fretta di lasciare i Caraibi? Dobbiamo temere qualcosa? A parte tutti i vecchi membri della gilda, e tutti quelli che cercherebbero di mettere le mani sul tesoro... -
A quelle parole, Jack si fece improvvisamente più serio e si scostò un po' da me, fissando il vuoto con aria corrucciata.
- Non lo so, in verità. - ammise, mentre mi prendeva una mano e intrecciava le dita con le mie. - So che la gilda non ritornerà, e non temo una ricomparsa di Silehard: lo abbiamo sbeffeggiato abbastanza da far sì che a Tortuga nessun uomo vorrebbe prendere di nuovo le sue parti. Però mi preoccupa che si sia potuto arrivare a questo. Forse Silehard era solo l'inizio di qualcosa di più grosso... non lo so. Sento un sacco di venti cambiare, e non so se ho voglia di stare a vedere da che parte soffieranno. -
- Perciò vuoi che partiamo. -
- Sì. - mi sorrise, facendo brillare i denti d'oro. - Allora, che cosa ne dici? L'Europa si merita la nostra magnifica presenza?-
- Direi proprio di sì. - annuii, soddisfatta. - Ah, ti ricordo che c'è ancora quell'inquietante libro di stregoneria aperto sul tavolo della cabina. Non avrai mica intenzione di tenertelo?-
- E perché no?-
- Non hai più bisogno di pasticciare con le pozioni e i riti voodoo! La strega è morta. - gli carezzai la barba, soprappensiero. - Dormirai bene, questa notte?-
- Dipende da quanto mi stanco prima. - rispose, scoccandomi un sorriso inequivocabile.
Ridacchiai, per poi abbracciarlo di nuovo e tenerlo stretto.
- Mi sei mancato. - mormorai, con un'improvvisa e inaspettata punta di malinconia. - Mi sei mancato veramente tanto. -
- Guarda che non ero andato da nessuna parte. - bisbigliò lui, mentre mi stringeva a sua volta. - E tu te la sei cavata perfettamente... Se vi avessi tradito davvero, ce l'avresti fatta. Avresti salvato la ciurma e gli altri. Sono contento che tu sappia cavartela anche senza di me. -
L'indesiderata punta di malinconia si fece sentire un po' più forte.
- Ho capito che cosa volevi dirmi; però non dire così, ti spiace?-
- È la verità, tesoro. - insistette lui, perfettamente tranquillo. - Mi fido di più di te, ora che so che puoi anche metterti contro di me. -
- Basta. - lo zittii, in tono improvvisamente duro, divincolandomi dalla sua stretta. - Non è stato facile per me, d'accordo? Sto ancora male se ci ripenso. Ho avuto paura di te come non mi era mai capitato prima, e ho vissuto nell'ansia per giorni. Non voglio che debba mai, mai, mai più capitare, hai capito? E forse sì, ho fatto quello che c'era da fare, ma crederci è stato orrendo. Non voglio mai più avere così tanta paura. -
Jack sembrò sorpreso, e addolcì il tono. - Scusami. Non volevo sminuire la cosa... e, tra l'altro, non è che io mi sia divertito, comprendi? Volevo dirti che sono fiero di te. -
- Grazie. - replicai, forse in tono un pochino troppo freddo. Lui però non se la prese, anzi, si fece una risatina per alleviare la tensione.
- Allora, dove preferisci che cominciamo a smerciarlo, il contenuto delle cantine di lord Silehard?- mi domandò in tomo amabile.
- Oh, dovunque ci paghino... aspetta, hai detto “delle cantine”?-
- Non ci siamo portati via solo l'oro, no? Tutti i suoi preziosi liquori dovevano pur trovare qualche onesto acquirente. -
- I preziosi liquori?- ripetei, allibita. - Abbiamo le stive piene di bottiglie di Kaav?-
- Precisamente. - ora Jack stava chiaramente facendo tutto il possibile per non scoppiarmi a ridere in faccia.
- Non ce la voglio quella robaccia a bordo!-
- Scherzi? Sai in quanti porti ci pagherebbero bene tutte quelle belle bottiglie e il loro contenuto? Non hai il senso degli affari, dolcezza. -
- Sì, lo conosco il tuo “senso degli affari”... Se ti vedo stappare anche una sola di quelle bottiglie... -
Jack si mise a ridere sul serio, senza riuscire a trattenersi. - Smettila di rimproverarmi, suorina di clausura. E stai tranquilla, non intaccherò il carico. -
- A chi hai dato della suorina di clausura, cretino?-
- A voi, madre badessa. -
- Sta un po' zitto. - gli passai un braccio attorno al collo e lo baciai, chiudendogli la bocca per un po'. Avrei potuto dirgli che ero ancora preoccupata per Valerie. Avrei potuto dirgli che non mi andava giù il fatto che avessimo lasciato scappare Silehard vivo, e temevo che potesse rispuntare fuori quando meno ce lo saremmo aspettato. Avrei potuto dirgli che secondo me eravamo stati fin troppo gentili perfino con Connor, sebbene farlo saltare fuoribordo era stata una gran soddisfazione. Avrei potuto dirgli che sapevo che non era contento di avere Barbossa tra i piedi, ma che lui era stato innegabilmente d'aiuto, e che ancora non sapevo come ce la saremmo cavata senza di lui. E invece gli dissi: - Lo sai che il nostro matrimonio, ufficialmente, non è valido?-
Jack inarcò un sopracciglio. - È un problema?-
- No. Trovo anzi che renda il tutto decisamente divertente. - sogghignai, con le labbra contro le sue. - Allora? Portogallo, Londra e Parigi?-
- Per cominciare. - confermò Jack, con un sorriso trionfante.

*

Quella sera, capitan Barbossa non era sceso a terra a festeggiare come tutti gli altri. La sua fida scimmia era andata a scorrazzare libera in giro per la nave, come le piaceva fare a quell'ora. Il tesoro era stato diviso equamente tra la ciurma delle due navi gemelle; per quella sera, ogni uomo dell'equipaggio aveva tutto ciò che poteva desiderare: un mucchio di denaro e tutta la notte per spenderlo.
Anche lui, in quel momento, si sentiva molto vicino ad avere ciò che poteva desiderare. Era su una nave, in una cabina tutta per lui, seduto alla scrivania con la sola luce baluginante di una candela a mostrargli la mappa ingiallita che lui continuava a lisciare con le dita per distendere le pieghe. Quella curiosa mappa di forma circolare, le carte dei confini del mondo, come le chiamavano, era ormai quasi irriconoscibile. Le listelle di legno scricchiolavano, e quando faceva ruotare le varie sezioni della mappa doveva farlo con infinita cautela, perché non si spezzassero sotto le sue dita.
Quando Jack si era ripreso la Perla, dopo il loro fallimentare ritrovamento della tanto decantata fonte della giovinezza, le carte erano rimaste a lui.
Frustrato, senza nave e senza ciurma, non se ne era certo rimasto con le mani in mano: aveva studiato ogni centimetro di quelle carte alla ricerca dei molti altri segreti che celava. Ne aveva anche svelato qualcuno. Si era imbarcato ed era andato a caccia di misteri come ai vecchi tempi, sebbene non sempre in veste di capitano. Aveva viaggiato con una ciurma di pirati scadente, ma con una nave accettabile: dopo pochi mesi era stato facile convincere la ciurma ad ammutinarsi e passare sotto il suo comando. Un piccolo divertimento, più che un vero atto di forza. Gli aveva permesso di godere dell'ebbrezza di comandare di nuovo una nave per un po' di tempo e, quando le sue peregrinazioni lo avevano soddisfatto, era tornato nei Caraibi, aveva congedato la ciurma e venduto la nave, che non era niente più che un guscio di noce buono solo per condurlo da un posto all'altro.
Sì, dopotutto erano stati anni piacevoli. Poteva addirittura definirli stimolanti.
Rimettere piede sul ponte della sua sempre amata Perla era stata un'emozione, una che non aveva creduto di potere riprovare. Tuttavia, sperare di tornare ad esserne il capitano era un altro discorso: non poteva contare sull'ennesimo ammutinamento, e si era guardato attorno abbastanza attentamente da capire che quella ciurma non lo avrebbe seguito.
Il giovane Turner aveva una minima idea del tesoro che aveva messo nelle sue mani, offrendogli il posto di primo ufficiale? Su quel punto, i suoi pensieri erano contrastanti. Da una parte si ripeteva che, no, il ragazzo non poteva sapere cosa significava per lui essere di nuovo in mare, avere di nuovo un posto, e non un posto qualsiasi. Dall'altra parte aveva la fastidiosa sensazione che il giovane William lo avesse capito più di quanto non gli piacesse ammettere.
Diventava vecchio. Questa era un'altra verità. Il posto di primo ufficiale era quanto di più gradito, per ora, gli potesse offrire il destino. Ed era più che deciso a tenersi stretto quel posto, e a sistemarcisi comodamente, prendendosi tutto ciò che gli spettava.
Sentì dei passi che si avvicinavano dal corridoio di sottocoperta: strano, sapeva che a bordo non era rimasto quasi nessuno. Poi i passi si fermarono proprio vicino alla sua cabina, e qualcuno bussò energicamente alla sua porta.
- Chi è?- sbottò, vagamente infastidito per l'interruzione.
- Ettore Westley, signore. -
Barbossa esitò un momento, con le sopracciglia aggrottate, prima di replicare: - E chi diavolo dovresti essere?-
Una pausa anche dall'altro lato della porta, poi un'altra risposta in tono secco. - Sono un membro della ciurma di Sparrow. Sono venuto perché voglio parlarvi. -
- Ebbene, entra. -
Lui entrò. Barbossa spostò appena la seggiola per girarsi e guardarlo mentre si avvicinava: l'uomo era alto e robusto, non abbastanza per poter essere definito massiccio, ma quanto bastava per indurre alla prudenza. Era in abiti semplici, da marinaio. Aveva una selva di capelli castani e ricciuti, legati con un laccio, e la barba mal rasata. I suoi occhi e il suo viso erano cupi, quasi turbati. Barbossa lo squadrò attentamente, badando di osservare ogni dettaglio. Portava un unico anello, grosso e vistoso, all'anulare della mano sinistra. Non aveva la spada, ma teneva una pistola infilata tra la cintura e la fusciacca. Si era armato apposta per venire a parlare con lui, o era semplicemente abituato a portarsela addosso?
Troppo silenzio in quella cabina. E troppo turbamento nell'espressione di quel giovane uomo.
- Allora, mi sbaglio o avevi detto di volermi parlare?-
- Volevo, infatti. - il pirata continuava ad abbassare gli occhi: a dispetto della sua imponenza, non era affatto tranquillo né determinato. - Voi siete il capitano Hector Barbossa. -
- Lo sono, e ancora non capisco che cosa tu sia venuto a fare qui. -
- Di certo dovete ricordare vostra figlia, Beatrix Barbossa. Lei vi adorava, non ha fatto che vivere per eguagliarvi... -
- Sì che la ricordo, la mia selvaggia figlia bastarda. Un cannone caricato con troppa polvere, se vuoi il mio parare. - Barbossa distolse lo sguardo. - So che è morta. Non mi stupisce. -
Un altro lungo silenzio: gli occhi di entrambi erano sul pavimento. Il respiro di Ettore cambiò leggermente di tono.
- L'avete mai amata?- domandò con voce più bassa, carica di trepidazione. - Anche solo per un momento, l'avete mai amata per ciò che lei era? Vostra figlia?-
Il capitano rialzò lo sguardo. - Perché dovrei dirlo a te?- replicò, ma lo disse in modo strano: più che acido, il suo tono suonava ironico.
- Perché facevo parte della sua ciurma, e l'ho servita fino a quando lei non è diventata troppo pazza e crudele. Ero il suo secondo e il suo braccio destro, un tempo... e forse l'unico vero amico che lei avesse avuto in moltissimo tempo. -
- E dimmi, sei rimasto ad assistere in silenzio mentre la uccidevano, o stavi convenientemente guardando da un'altra parte?-
Quella fu una vera e propria lama nel cuore di Ettore; di colpo dovette voltarsi e distogliere gli occhi dal capitano, da quella cabina, dalla luce della candela che gettava ombre lunghe e sinistre sui lineamenti di quell'uomo sconosciuto... Non sarebbe dovuto venire. Non poteva aspettarsi che quell'uomo capisse.
- So che eri il suo secondo: mi ricordo di te. - aggiunse Barbossa, lapidario. - Ti ho visto con lei. Più di una volta. -
- E ancora mi chiedete perché sono venuto a cercarvi?- per un attimo, Ettore fu quasi divertito da quella sensazione di incertezza. Chissà se lo sapeva. Chissà se le sue parole erano state volutamente così insinuanti. Gli occhi azzurri del capitano lo fissarono con un'intensità quasi dolorosa, quindi lui incrociò lentamente le braccia e lo squadrò. Chissà come faceva a dargli la sensazione di starlo squadrando dall'alto in basso, pur stando seduto.
- Guarda che lo so. So chi sei. Beatrix può averlo scoperto in ritardo, ma io sapevo benissimo di avere avuto due figli. -
Quello fu il momento in cui Ettore dovette imporsi di non tremare, non crollare, non mostrare niente del dolore sordo che sentiva da qualche parte dentro al petto. Era consapevole del tremito del proprio viso, della pena nei propri occhi, ma sapeva anche come sarebbe finita quella conversazione.
- E allora, perché non hai mai detto niente? Ti sei rivelato a Beatrix, quando lei ti ha cercato. -
Un lampo di collera illuminò lo sguardo del vecchio capitano. - Per lei, il nome di suo padre importava più di ogni altra cosa. A te è mai importato qualcosa?-
- Mi importa adesso. -
- Perché?- alzò le spalle: era una domanda sincera. - Se tutto quello che cercavi era una conferma, te la posso fornire ora senza esitazione. Sono tuo padre. Tu sei mio figlio. Così stanno le cose. Ma, in tutta sincerità, non vedo come o perché questo fatto dovrebbe essere significativo, o cambiare qualcosa tra di noi. -
Ettore non mosse un muscolo, mentre lo fissava. - Ah. - un sospiro, e l'ombra di un sorriso triste. - Ecco, padre. Era esattamente questo che ero venuto a chiederti. Per essere sincero, non ho mai provato nessun interesse particolare per te... Però so che sei mio padre, e non posso semplicemente ignorare la cosa. -
- Non puoi o non vuoi? Ti sei convinto di dovermi qualcosa, o di poter pretendere qualcosa da me?-
- Niente di tutto questo. - lo strano sorriso a metà tra la derisione e la tristezza non lasciava le labbra di Ettore. - Però, lascia che ti dica che io ho conosciuto Beatrix, l'ho conosciuta davvero, e le ho voluto bene finché lei me lo ha permesso. Ancora adesso sono convinto che sarebbe stata una persona molto migliore, se solo non fosse stata ossessionata dal pensiero di essere come te. -
Il capitano non replicò, e nemmeno abbassò lo sguardo. I due rimasero ancora in silenzio per istanti insopportabili, poi Barbossa riprese la parola: - Hai finito, o senti l'urgenza di dire altro?-
- No, credo di avere finito. Solo una cosa. - con uno scatto febbrile, il giovane pirata si portò una mano al petto e prese qualcosa che portava attorno al collo, sfilandoselo in un unico gesto. Si avvicinò di tre passi fino a raggiungere lo scrittoio, e lì depositò con malagrazia l'oggetto. - Questo lo ha ritrovato Jack nella sua cabina, e lo ha dato a me. Puoi riaverlo, se lo vuoi. -
Barbossa mosse soltanto gli occhi mentre posava lo sguardo sul medaglione laccato d'oro: lo sportellino ovale era aperto, e la luce della candela illuminava il ritratto di una bella donna bruna, le labbra dischiuse nel sorriso, gli occhi splendenti. Barbossa la guardò. Guardò il ritratto, e ogni singola lettera incisa nell'oro: “Gabrielle”. Poi i suoi occhi tornarono su Ettore.
- Non lo voglio. - disse, semplicemente. - Tienilo tu, lo vedo che ci tieni. Sarebbe sciocco darlo a me. Riprendilo, o lo vendo insieme al resto del tesoro. -
Ettore rimase a guardarlo per un attimo, poi si riprese il medaglione, lo chiuse e se lo mise al collo. - Benissimo. -
Nessuno dei due aggiunse altro. Non avevano nulla da dirsi.

*

Mi svegliai di soprassalto: uno di quei risvegli lampo che ti fanno dubitare di essere stato addormentato solo fino ad un secondo prima.
Strizzai le palpebre: che cosa mi aveva svegliata? Nel buio cercai di muovermi, ma mi trovai bloccata. Jack russò: sentì il suo petto gonfiarsi nel respiro contro il mio. Si era di nuovo addormentato sopra di me.
Per un attimo ebbi una strana sensazione, come di una scena già vissuta, e sentii un groppo d'ansia salirmi in gola. Poi capii: mi ero svegliata esattamente nello stesso modo una delle prime notti in cui Jack aveva iniziato a fare gli incubi.
Lo guardai: c'era ancora buio, ma dalle spesse vetrate filtrava abbastanza luce da immergere la stanza nella penombra. Doveva essere mattino presto. Jack stava dormendo profondamente, con la guancia contro il mio sterno, e sembrava finalmente e completamente tranquillo. Quasi inconsciamente feci un piccolo sospiro di sollievo mentre gli carezzavo piano il viso. Era bello essere di nuovo lì con lui. Anche se mi stava stritolando un'altra volta.
C'era movimento sul ponte, me ne accorsi solo allora: non trambusto, semplicemente dei passi. Ma se era presto come immaginavo, chi era che trafficava là fuori a quell'ora del mattino? Non pensavo che gli uomini si sarebbero ripresi dalla sbronza prima del mezzogiorno.
Per un attimo ebbi il segreto timore che fosse Barbossa, e che lui potesse essere là fuori a preparare qualche brutto tiro per noi proprio adesso che avevamo abbassato la guardia. Quel pensiero mi raggelò: e se i nostri guai fossero appena cominciati? L'anziano capitano si era rivelato un alleato eccellente, ma forse Jack non era stato così esagerato a volerlo tenere lontano.
Ora il dubbio si era insediato, e non se ne sarebbe andato facilmente: facendo il più piano possibile, scivolai di lato, sgusciando sotto il braccio di Jack, e stavolta riuscii a liberarmi senza svegliarlo. Avevo addosso soltanto la camicia: cercai frettolosamente il resto dei vestiti, e uscii che ancora mi stavo allacciando la cintura.
Sul ponte non c'era nessuno. Oltre l'orizzonte, il sole era basso sull'acqua: avevo ragione, probabilmente non erano trascorse nemmeno due ore dall'alba. E, a dirla tutta, cominciavo a risentire dell'alzataccia: mi girava la testa e avrei dato qualsiasi cosa per tornare a letto, ma sapevo anche che non sarei più riuscita a riaddormentarmi se prima non avessi scoperto cosa mi aveva svegliata.
C'era qualcuno sul pontile, però. Qualcuno che stava scendendo dalla nave con una sacca sulle spalle, e capii subito di chi si trattava.
- Valerie. - la salutai, quando l'ebbi raggiunta. Mi dava ancora le spalle. - È una partenza o una fuga, la tua?-
Lei si voltò, scrollando i lunghi capelli neri, e non sembrò affatto sorpresa di vedermi: portava di traverso sulle spalle la sua sacca da marinaio, piena di tutto ciò che possedeva; aveva chiaramente radunato le sue cose, pronta ad andarsene.
- Però, adesso hai deciso di parlare? Credevo che non ci saremmo mai arrivate. -
La sua insolenza improvvisa mi sorprese: magari avrei dovuto esserne irritata, invece mi ferì. Che cosa avevo detto?
- Qual è il problema, si può sapere?-
- So che sai perfettamente che ho parlato con Connor. L'ho avvertito e gli ho detto di andarsene, quella notte. Tu l'hai capito, e comunque non hai fatto niente. - per un attimo mi fissò in modo strano: non capivo, non riuscivo a decidere se la sua espressione era altezzosa o rassegnata. - Credevo che prima o poi lo avresti fatto notare, mi avresti punita, cacciata dalla ciurma o come ti pare. E invece niente. Perché?-
- Perché?- quasi sputai la parola, allibita. - Se proprio vuoi saperlo, ti ho perdonato il piccolo dettaglio di avere spifferato tutto a Connor, quando io avrei voluto catturarlo! Ecco perché non ne ho parlato!-
L'espressione di Valerie divenne dura.
- Tu... sei... - scandì le sillabe, come se faticasse a trovare le parole giuste: mi fissava scuotendo il capo, con un'espressione sconcertante, in bilico tra lo stupore e qualcosa di simile alla compassione. Fu vederla fare quell'espressione, che mi fece più male. - A volte sei davvero insopportabilmente buona, Laura. Sei incredibile. Scateni delle vere e proprie guerre per questioni di poco conto, mentre ad altre persone perdoneresti qualsiasi cosa. Non ti capisco. -
- Volevi che ti punissi? Volevi finire ai ferri per tradimento? È questo che volevi?-
- Senti, forse a te questo è sembrato un bel gesto, anzi, sono sicura che tu sia in buona fede. Ma a me non serve la tua pietà né quella di nessun altro. Adesso è questo, quel che pensate tutti quanti? La povera Valerie, traviata da scelte sbagliate, dobbiamo perdonarla e avere compassione di lei? No, grazie: se l'atmosfera è questa, non voglio più restare in questa ciurma. -
- Non hai capito nulla. - mormorai, scuotendo il capo. - Non è vero, non pensiamo questo di te. - ma, mentre lo dicevo, ricordavo le esatte parole di Jack la notte prima. - Almeno, io non lo penso. È solo che in tutta questa faccenda tu sei quella che ha cominciato a comportarsi in modo strano; prima hai allontanato Jonathan e poi ti sei messa a fare comunella proprio con quello che si è rivelato il doppiogiochista peggiore di tutti. Sì, ci hai confusi tutti, Valerie, me per prima. Ma non vuol dire che devi bandirti dalla ciurma per una sciocchezza del genere. Perfino Connor se l'è cavata con un tuffo dal parapetto. -
- E io, invece, me la cavo coi vostri sorrisi di indulgenza?- non c'era rabbia nella voce di Valerie, né nei suoi occhi: al contrario, mi fissava con tanta franchezza da lasciarmi senza parole. - Ripeto: no, grazie. Non dirmi bugie, per favore: tu e Faith avete cominciato a guardarmi storto da quando ho iniziato a lasciare perdere Jonathan. E questo non dovrebbe interessarvi. -
- Non mi interessa!- protestai. La situazione era a dir poco assurda. Ma era possibile che dovessi sopravvivere agli intrighi più letali, ai malefici di una strega e alle spade dei pirati solo per ritrovarmi a discutere di questioni amorose? - Va bene, lo ammetto: ho cominciato a giudicarti male da quel momento. Ma solo perché un po' mi dispiace anche per Jonathan. Lo so che è solo un ragazzo della ciurma, ma permettimi di dispiacermi per lui dato che lo conosco di persona. Dimmi solo perché te ne devi andare per via di una questione così ridicola. Non posso credere che tu ce l'abbia con me per non averti ripresa. Il fatto che abbia voluto perdonarti non vuol dire niente per te?-
Solo allora lei abbassò lo sguardo, anche se soltanto per un istante.
- Certo che vuol dire qualcosa. Laura, mi dispiace per quel che è accaduto, va bene? Ho agito senza pensare. È solo che Connor mi piaceva, e non mi sembrava giusto non dargli nemmeno una possibilità di squagliarsela, tutto qui. È stato sleale e lo so. Mi dispiace per quello che ho fatto. -
- E allora, perché adesso te ne stai andando?-
Si strinse nelle spalle. - Avete detto voi che ogni uomo della ciurma era libero di fare come preferiva. -
- Certo, ma... - lei era una delle poche donne a bordo della Perla Nera. Eravamo state proprio io e Faith a ingaggiarla quando ancora faceva la cameriera in una locanda di Tortuga. E adesso si preparava ad andarsene, semplicemente, proprio come aveva fatto Anamaria poco tempo prima: era già stato difficile dire addio a lei, mentre se ne andava sulla sua nuova nave, e adesso avrei dovuto lasciare andare anche Valerie?
Ebbi un dubbio. - Te ne vai con Jonathan?-
Per un momento sembrò rabbuiarsi, quasi infastidita. - No. Jonathan non ha più niente a che fare con me... spiacente di deluderti. - aggiunse, ironica, dopo avere scrutato la mia espressione.
- Non ti stavo deridendo. Ho solo saputo che anche lui vuole lasciare la ciurma, ero curiosa di sapere dove volesse andare. -
- Non con me. -
- Se il problema era Jonathan, perché non resti a bordo?-
Lei fece un piccolo sospiro, gettandosi i capelli dietro le spalle: aveva una tale espressione di sufficienza, in quel momento, che cominciai a sentirmi irritata. Era più giovane di me, eppure quando faceva quella faccia riusciva perfettamente nel suo intento di farmi sentire stupida.
- Ti ho già spiegato che il problema non è lui, ma tu non mi ascolti. Semplicemente, ora non c'è più niente che mi leghi a questa ciurma o a questa nave: e, per la prima volta, posso concludere con più denaro di quanto abbia mai avuto. Posso anche stabilirmi qui e fare quello che voglio. Non mi interessa ripartire. -
Non le interessava. La nave, la ciurma, noi, non le interessavamo. Era tutto qui, dunque.
- Be', allora spero che tu sia contenta!- scattai. - Spero proprio che tu sia felice di avere rovinato in un colpo solo tutto quello che avevi. Spero solo che la scopata con Connor valesse il prezzo. -
Al contrario di quanto avrei intimamente sperato, lei non batté ciglio alle mie provocazioni: era abituata a rispondere a ben altro.
- Spero che anche tu sia felice. - replicò, gelida. - Spero che ti goda il tuo posticino di favore col tuo amato capitano, e spero che siate felici con quell'immenso tesoro che vi siete tenuto tutto per voi. -
- La tua parte del bottino ce l'hai in quella sacca. E se solo venissi con noi, ti godresti anche tu tutto quello che potremmo fare con il resto. -
Ero sincera. Volevo che cambiasse idea e che restasse. Stavamo per attraversare l'Atlantico, avremmo visto un sacco di posti meravigliosi... c'era tutto il tempo del mondo per discutere. In fondo non mi importava davvero che avesse rotto con Jonathan -il quale, onestamente, non mi interessava tanto- o che fosse andata a letto con Connor. Quello che avrei voluto veramente era poter avere lei e Faith sulla mia nave, e viaggiare, bere e brindare insieme: noi, le donne pirata della Perla Nera.
Ma a lei questo non interessava più: glielo leggevo negli occhi.
- Non voglio. - mi confermò, annuendo, e faceva quasi male vedere quanto fosse tranquilla. - Non voglio più seguire te e Jack. Voglio semplicemente fermarmi qui. -
Mentre la guardavo, ebbi un dubbio. Un dubbio che cominciò a prendere forma molto rapidamente, e più prendeva forma, meno assurdo mi sembrava. La guardai negli occhi. Chiediglielo. Chiediglielo. Chiediglielo. Non ci sarà un'altra occasione, forse non la rivedrai. Chiediglielo.
Non glielo chiesi.
- Ebbene, non posso chiederti di fare qualcosa che non vuoi. Però non posso dire che non mi dispiace o che non mi mancherai. Valerie... - tentennai. - Siamo mai state amiche? Anche solo per un po' di tempo?-
Sembrò sorpresa.
- Certo. - replicò, in tono quasi stupito: c'era una sorta d'innocenza nel modo in cui lo disse.
- Meno male, perché nonostante tutto non riesco a pensare a te in nessun altro modo. Per me siamo ancora amiche. E mi dispiace. - dovetti inumidirmi le labbra, e faticavo a trovare le parole. - Senti... io spero davvero che tu sia felice. Spero che non debba mai pentirti, se adesso decidi di lasciarci. -
L'ombra di un sorriso sul suo volto. - Anch'io spero che tu sia felice... e spero che ve la caviate. Sempre e comunque. -
Ripensandoci, avrei voluto averla abbracciata, o averle almeno toccato la spalla per colmare quella distanza tra di noi, ma lei non me lo permise: dopo avermi salutata con quell'ultimo, piccolo sorriso, si girò con la sacca sulle spalle e si incamminò lungo il molo, verso la terraferma. Dopo qualche momento anch'io risalii a bordo, ma tornai a voltarmi indietro molte volte, fino a che non vidi la giovane ragazza sparire, inghiottita dalla nebbiolina delle strade del porto.



Note dell'autrice:
Il dialogo tra Jack e Laura prende liberamente ispirazione da una chiacchierata particolarmente divertente con la compare Captain Alwilda: grazie per ispirarmi certi scambi di battute, matey! Come vedi, i nostri faranno veramente rotta per l'Europa. Il resto è storia (nonché il prossimo capitolo)!
Poi: al confronto tra Ettore e Barbossa ci tenevo in modo particolare. Ora posso rivelarlo: quando l'ho creato, non avevo immaginato Ettore come il figlio di Barbossa. È nato come la spalla di Beatrix, un seguace devoto, tradito e deluso dalla sua capitana, ma non avevo ancora scavato abbastanza dentro di lui. Poi, di colpo, mi sono accorta che tutto filava. Che lui e Beatrix erano sempre stati fratelli gemelli, e non poteva essere altrimenti. Certe rivelazioni mi disorientano ancora. 0.o
Tra parentesi, la separazione di Laura e Valerie era già stata programmata e pensata: questa, così come il titolo del capitolo, prendono ispirazione da questa fanart che disegnai tempo fa, e da questa canzone.
Grazie ad Aishia per i complimenti: per risponderti posso dirti che, sì, è previsto un quinto e anche un sesto episodio... e poi vedremo!
Grazie a Fannysparrow, che avviso: ancora un capitolo e anche questo episodio sarà concluso!
E a Sara naturalmente. Sempre!
Wind in your sails.

  
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