Il
Genio della Lampada
–
Inedito.-
Parte Seconda; POV Damon Salvatore.
“Perché
mi
hai fatto pensare male di te all’inizio, e ho avuto paura!
Perché mi hai fatto
male dannazione!”
Il
cielo scuro della mezzanotte non riusciva, in
tutta la sua maestosità, a farmi smettere di pensare; per la
prima volta,
volare con il vento gelido sulla faccia non stava attenuando la mia
rabbia e
nervosismo. Neanche in minima parte la confusione si stava schiarendo.
Quella streghetta non ne voleva sapere di andarsene dai miei pensieri; il suo volto arrabbiato, la voce risentita e quegli occhioni di cioccolato lucidi mentre mi rinfacciava tutto quello che era successo quel pomeriggio.
“Sentivo quel maledetto ghiaccio velenoso ferirmi ad ogni carezza e prendersi qualcosa di me, pezzo per pezzo, fino a svuotarmi. Completamente, e non lo sopportavo perché tu non ti fermavi e ti stavi facendo ingannare! Perché tu lo volevi!”
Ma
cosa pretendeva da me quell’Uccellino? Non
avevo proprio nulla da farmi perdonare, non quella volta che mi ero semplicemente lasciato
andare ad un semplice desiderio.
E non era neanche la prima volta: io volevo, io prendevo. Nulla di
nuovo o
fuori dall’ordinario.
Fermai
bruscamente il mio volo planando sul
cortile della pensione. Da quando, io, Damon Salvatore, desideravo la
strega in
quei termini?
Fin dal primo istante in qui l’avevo conosciuta mi ero sempre
divertito a farla
imbarazzare, a sentire il suo cuore martellarle nel petto ad ogni mio
sguardo;
ma mai, mai, avevo pensato a lei come ragazza.
Era una bambina, fragile e incompetente che la maggior parte delle
volte doveva
essere salvata dai pericoli più disparati. Era sempre stato
così. Mi ero forse
perso qualche passaggio?
Il mio obbiettivo era sempre lo stesso; far diventare Elena Gilbert la
mia
Principessa delle Tenebre, rendere la vita di mio fratello un inferno
per
almeno altri cinquecento anni e dominare
l’oscurità con la donna che amavo.
“Non è vero! Se lo avessi fatto per il tuo Angelo non mi avresti neanche baciato!”
Senza
avere il minimo controllo di quello che
stava succedendo ripensai a quel preciso istante in cui mi ero
ritrovato con le
sue labbra rosse a pochi centimetri dalle mie.
Avevo appena sentito il rumore della porta sbattere, segno che Elena e
la sua
amichetta inquietante se ne erano andate; ero stato completamente
inebriato dal
suo odore che mi ricordava tanto le fragole e la primavera, e poi era
successo:
lei aveva premuto le sue labbra soffici sulle mie.
Mi aveva preso in contropiede. Nonostante sapessi che a guidare i
movimenti di
quel corpo minuto non era la mente della streghetta, ero rimasto
sorpreso
dall’intraprendenza che mi aveva colto di sorpresa.
Sentire sul petto le sue mani bianche e piccole, il suo corpo sul mio e
la sua
lingua giocare maliziosa con le mie labbra mi aveva fatto smettere di
pensare.
Avevo voluto soltanto un altro po’ di quel calore per me e
stringere quel corpo
al mio era stato qualcosa di davvero troppo
naturale.
Mi resi conto in quell’istante, mentre mi versavo un
po’ di Bourbon nel
bicchiere e mi sedevo sul divano del soggiorno della Pensione, che per
l’intera
durata di quei minuti eterni il pensiero di Elena Gilbert mi aveva
lasciato
finalmente libero.
Il fulcro della questione era la ragione per la quale me ne sentissi
talmente
sollevato.
“Damon.”
Mi
voltai neutro verso la figura di mio fratello
e non gli risposi bevendo un altro sorso d’alcol. Quando si
sedette alla
poltrona accanto a me alzai gli occhi al cielo, cosciente che mi
avrebbe
parlato di cose che non avevo voglia di ascoltare.
“Quasi
un’ora fa Bonnie ha chiamato Elena
dicendole che era tutto a posto.” Esordì
“Proprio mentre io avevo capito
cos’era successo. Insolito, non credi? Un incanto decisamente
particolare..”
“Vuoi
sapere cosa c’era scritto sulla boccetta.”
Dissi io, piatto, senza alcuna espressione. Non avevo proprio voglia di
far
conversazione.
“Ammetto
di essere rimasto curioso. In fondo
quest’incantesimo svela il desiderio più profondo
di una persona e mi sarebbe
piaciuto sapere come rendere felice Bonnie.” Lo sentii
sospirare e, quasi di
riflesso a quelle parole, contrassi la mascella. Ero arrabbiato per il
tono che
Stefan aveva usato e non ne avevo ancora compreso la ragione.
Lui continuò la sua arringa, con il chiaro intento di farmi
dire qualcosa in
più. “Ma credo sia un qualcosa di troppo
personale. Sbaglio?”
Tramontai
gli occhi al soffitto “Santo Stefano,
si può sapere quando
smetterai di preoccuparti e comincerai a divertirti un
po’?”
“Bonnie
è una cara amica. Sapere di aver
l’occasione di renderla contenta non ti sembra un buon motivo
per essere
felice?”
“Piantala, Stefan.” Sbottai infastidito. Era tanto difficile capire che di orsetti gommosi e arcobaleni colorati, a me non importava proprio nulla? E comunque la streghetta desidera qualcosa che, io di sicuro, non potrei darle neanche volendo.
Avevo letto la scritta bianca in rilievo
su quella boccetta e ne avevo
compreso il significato; non parola per parola, ovvio, ma il succo
della
questione non era stato difficile da tradurre.
E conoscendo il folletto in questione la mia versione ipotetica non era
affatto
fuori luogo: parlava di forza, determinazione e coraggio,
il desiderio di aver un obbiettivo da portar a termine da
sola con le proprie forze.
Banale e prevedibile, proprio come lei, ma stranamente perfetto
al suo cuore.
“Staremo
a vedere se quest’avventura porterà i
suoi frutti.” Fece Stefan prima di alzarsi e tornare in
camera sua dove, a
detta de respiro calmo che sentivo, riposava beata il mio Angelo.
“Credo che i
risvolti saranno una sorpresa.”
Non
seppi dire quanto tempo rimasi a fissare il
fuoco ma so solo che riuscii ad alzarmi da quel divano solo al sorgere
del
sole.
Quando uscii ero senza meta ma quando arrivai il mio viaggio sembrava
appena
iniziato. La chiacchierata avuta con Stefan aveva avuto il potere di
intorpidirmi,
ovviamente, e mi aveva fatto
sfornare
tante di quelle incognite – alcune davvero irritanti- che me
ne bastavano per
tutta la mia futura esistenza.
Non ne potevo più. Basta pensare o cercare di ragionare su
qualcosa che non è
il mio stile. E quel giorno mi ero ritrovato a fare un’unica
cosa soltanto:
osservare la streghetta dal ramo dell’albero davanti casa
sua, senza rimuginare
ad altro.
Quando
ritornò il buio della notte, finalmente,
tornai a sentirmi a mio agio. Potevo liberamente fare ciò
che più desideravo
senza essere controllato o guardato.
Probabilmente quella giornata usata a seguire la rossa in giro per
Fell’s
Church mi aveva fatto qualche strano effetto, perché, con la
luna alta nel
cielo, mi ritrovai accanto al suo letto, immobile, mentre lei dormiva
inquieta.
Però avevo deciso di non riflettere più su quello
che facevo, quindi non
sprecai molto tempo in domande inutili.
Probabilmente
si sarebbe svegliata presto.
Neanche lei riusciva a dormire.
Con uno scatto nel sonno si era girata verso di me; aveva il fiato
corto, i
capelli scompigliati e il battito del cuore accelerato: probabilmente
stava
facendo un brutto sogno.
Con una mano gelida scostali lievemente l’arruffata chioma
rossa per poterle
scoprire il volto accaldato.
Fu come essere sott’acqua: nessun’altro rumore se
non il battito del suo cuore
che piano, piano si stava calmando e il respiro regolarizzando. Ancora
con la
mano sulla sua guancia, a sfiorare la sua pelle, sospirai per quel
calore.
“Bonnie..”
La
mia voce ruppe l’incantesimo che mi ero
creato da solo e, come fossi ustionato da quel contato, ritrassi la
mano
sparendo immediatamente da quella camera. Sconvolto dalla
facilità con cui il
suo nome era uscito dalle mie labbra in maniera talmente dolce e devota.
Sentii chiaramente la piccola streghetta svegliarsi di scatto e non ero
ancora
troppo lontano da casa sua per evitare di sentirla soffiare il mio nome
in quel modo che riusciva sempre a
spiazzarmi.
Quella
notte non tornai alla pensione: ero
troppo infuriato.
Come si era permessa di parlarmi in quel modo e di far scattare quella
reazione
a catena di eventi incontrollabili?
Chi le aveva dato il diritto di fare quella sfuriata la scorsa notte,
senza
correre il benché minimo rischio di una minaccia da parte
mia, lo spietato e
temuto vampiro della Notte?
Non era diversa da nessun altro, no che non lo era; niente mi impediva
di
trattarla come una qualsiasi ragazza, neanche quei suoi enormi
– davvero troppo
grandi- occhioni da cerbiatto o il suo sorriso sincero o stupido.
Non
aveva il diritto di crepare la pietra che
avevo eretto a muro protettivo attorno al mio cuore fermo e gelido.
Sapevo
che se lei ci avesse nuovamente provato
io sarei scattato e l’avrei probabilmente attaccata senza
nessun rimpianto. (Bugia)
Durante quei pochi anni passati a Fell’s Church
l’avevo salvata fin troppe
volte senza motivo: bene, adesso basta. D’ora in poi quella
piccola streghetta da
me non riceverà nient’altro che odio puro,
esattamente come Mutt o qualsiasi
altro essere umano che non fosse il mio Angelo.
Avevo preso la mia decisione ma lo avevo fatto senza sapere che l’effetto dell’incanto del Genio della Lampada si sarebbe riversato su di me e su tutte le mie convinzioni.
***
Ero
tornato alla pensione che il sole era sorto
già da un pezzo, mi ero subito diretto in soggiorno per
versarmi qualcosa d’alcolico
da bere.
Ero ancora infuriato con la strega e dovevo cercare di calmarmi se
volevo
almeno provare a non sprecare un altro giorno in
quell’assurda cittadina senza
divertimenti.
Imprecai
qualcosa sedendomi sul divano, sentendo
una voce dolce e fin troppo conosciuta che esclamava qualcosa come
‘Non vedo l’ora!’.
Il mio Angelo aveva invitato qui l’unica persona che proprio non mi andava di vedere. Era
contenta, la strega, mentre
raggiungeva il salone. Questo mi irritò ancora di
più.
La goccia che fece traboccare il vaso fu sentire il suo cuore pompare
sangue
improvvisamente più veloce e la sua voce più
acuta del normale quasi strillare “Cosa
ci fai tu qui!?”
Strinsi la presa sul bicchiere dal quale stavo bevendo così
tanto che
probabilmente si sarebbe rotto se non l’avessi poggiato con
stizza sul tavolino
“Ci vivo.” Risposi ironico e duramente mentre mi
dirigevo velocemente in camera
mia.
Il
suo odore di Primavera e fragole mi aveva
stordito. Maledetta. Come osava provocare un tale calore anche senza
contatto?
Ero certo che questa mia debolezza fosse unicamente colpa sua. Dovevo
andare
via da lei, il più presto possibile.
“Avresti
potuto continuare la tua bevuta giù. Lo
sapevi no?”
Probabilmente
qualcuno mi stava facendo pagare
per tutto il Male che avevo provocato dal giorno in cui ero nato
“Nessuno ti ha
invitato qui dentro. Sparisci, rossa.”
“Eh,
no. Si può sapere che hai, Damon?”
Da
dove arrivava la sua determinazione? Era
cambiato qualcosa nel suo tono di voce, qualcosa che non ero riuscito
ad
afferrare e che non volevo conoscere dato che il mio unico desiderio,
al
momento, era quello di stare da solo con la mia irritazione.
Mi voltai e cominciai a camminare verso il centro della stanza, per
mettere le
distanze.
La
sentii mentre prendeva fiato, sicuramente per
continuare a martellare con la sua voce dolce nelle mie orecchie. La
bloccai
con parole dure, arrabbiato.“Niente. Non abbiamo nulla da
dirci. Se permetti,
quella è la porta.”
Sentii
i suoi passi e mi resi conto che, invece
di allontanarsi, si stava avvicinando.
Avrei voluto dirle di non giocare troppo con il fuoco, lanciarle
qualche
minaccia ma il suo borbottio sarcastico “Ma per
favore!” precedette ogni mia
azione.
Sentii una sua mano, calda e fragile, afferrarmi il polso con una forza
che
credevo non avesse e farmi girare verso di lei.
E
poi ancora, lei mi ustionò.
Sentii ancora una volta le sue labbra soffici premute contro le mie e
mi
pietrificai totalmente nonostante fosse poco da Damon Salvatore.
Non era come quello di due giorni prima, quello che stava accadendo era
completamente inaspettato, totalmente diverso da qualunque altra cosa.
In
quello scontro di labbra sigillate c’era una notevole
differenza: a prendere l’iniziativa
era stata Bonnie,
l’imbranata e
perennemente imbarazzata streghetta di sempre, il solito Uccellino
goffo da
prendere in giro per il puro piacere di sentirlo balbettare.. E non era
vittima
di un incantesimo, non più almeno.
Era solo lei. Bonnie. La calda, piccola, tenera Bonnie che mi resi
conto di
desiderare più di quanto avessi mai creduto di poter
agoniare qualcosa.
La volevo.
Mi sentivo bruciare. Lei era fuoco e acqua, poteva spegnere
l’incendio che
sentivo ma ne era anche la causa fondamentale.
Stavo impazzendo, letteralmente.
La
rabbia che avevo provato nei suoi confronti
scomparve e si sciolse come neve al sole, lasciando spazio alla voglia
di aver
ancora quel contatto, di averne di
più
perché era giusto così.
Approfondii
quel contatto con un mezzo ringhio
sentendo il suo sapore dolce combinarsi al mio e impazzendo un pochino
di più
la strinsi ancor più forte.
Sentire la sua fragilità, la sua morbidezza, a contatto con
il mio corpo di
marmo e freddo era qualcosa di unico come un’aurora.
La
baciai con forza e irruenza, sentendola
poggiare le piccole mani sul mio petto e tornare quella che mi
aspettavo di
sentire contro di me.
La sua determinazione e il suo coraggio, la sua pazzia, ci aveva
portato
entrambi in quella situazione. Era una parte di Bonnie che ancora non
conoscevo
ma che mi si era rivelata contro come fosse un’epifania di
sensazioni.
Mi stuzzicava quel lato della mia streghetta ma mi resi conto di preferire quello con cui adesso stava
ricambiando il bacio che lei stessa aveva iniziato: quello impacciato e
insicuro, quello caldo di un amore troppo lampante da poter esser
ignorato,
quello da proteggere per sempre.
La
mia cognizione del tempo era svanita dall’inizio
di quello scontro di bocche, perso in lei e nei miei pensieri
improvvisamente
chiari e determinati.
Mi resi conto che stava terminando l’ossigeno, la mia umana di fuoco, così
rallentai il ritmo e mi staccai di poco,
poggiando la mia fronte sulla sua. Non volevo perdere tutto quel calore
quindi
la strinsi ancora di più a me, avvicinandola
anziché allontanarla come mi ero
predisposto.
Era affannata, il suore scalpitava furiosamente e mi fece sorridere.
Respirava
dalla bocca, che teneva dischiusa, e mi resi conto che la sentivo in tutto e per tutto.
“Elena..”
Soffiò la streghetta, senza
convinzione, ancora sconvolta “..I capelli..”
Strinse
le mani che teneva sul mio petto a pugno
e la schermata che proteggeva i suoi pensieri era crollata senza
preavviso;
potei leggere tutta la sua insicurezza, tutto lo sbalordimento e anche
la
paura.
Non aveva bisogno di provare tutte quelle sensazioni sgradevoli.
Non volevo che lo facesse.
“Elena
può aspettare..” Mormorai, avvicinando il
mio volto ancora una volta al suo.
Non
ne avevo avuto abbastanza. Non ne avrei mai
avuto abbastanza, di lei. Ora lo sapevo ed essere consapevole di dover
probabilmente ringraziare uno stupido alter-ego incontrollato, mi
faceva quasi
venir da ridere.
Ora che ti ho preso Uccellino, non ti lascio più.
Una parte sicuramente non programmata ma ben
voluta.
Devo ringraziare coloro che hanno recensito lo scorso
capitolo,perchè mi hanno fatto
capire che avevo omesso particolari importanti e determinanti.
Spero, con questo inedito, di aver fatto chiarezza sulle emozioni del
bel vampiro,
e di non aver deluso nessuno.
Scrivere un POV -Damon non è tanto facile se l'obbiettivo e
non cadere nell' OOC.
Siccome è il mio 'debutto' in
questo fandom, sono
contenta di aver ricevuto critiche costruttive e spero di riceverne
ancora per poter migliorare.
Incrocio le dita per una lettura piacevole.
Alla prossima.
-Eyes.
PS: Forse, tempo e realife permettendo,
riuscirò anche ad aggiungere
un piccolo extra neanche troppo lungo.
Fatemi sapere cosa ne pensate, se volete, eh!