12 – Il valzer degli equivoci e fallimenti
23/11/2014
Piccola premessa. Avevo qualche riserva sui dialoghi di questo capitolo,
che a una prima stesura non mi convincevano – soprattutto quelli tra Fersen e
Oscar. – Rileggendolo credo di aver capito cosa non funzionava. Così è stato
recentemente modificato, spero in meglio, senza snaturare il senso e lo sviluppo
della storia, che non cambia. Buona lettura.
§§§§§§§
Mi accostai alla finestra; nascosta dietro la pesante tenda
di broccato, aspettai di vedere mia sorella e il conte di Fersen salire a bordo
della carrozza.
Attesi qualche minuto più del previsto, e per un momento
temetti un qualche ripensamento tardivo da parte di Oscar; stava ritardando.
Poi finalmente, vidi le loro figure comparire nel piazzale
dove sostava in attesa l’elegante carrozza trainata da una pariglia di quattro
cavalli. Il viaggio fino a Versailles sarebbe stato lungo e non soltanto per la
distanza da colmare; forse ci sarebbero stati silenzi da riempire e imbarazzi
da sciogliere.
Un attimo prima di salire in carrozza, Oscar aveva alzato lo
sguardo verso la luce della mia finestra per riabbassarlo subito dopo.
Rimasi lì attaccata al vetro, una mano a scostare
leggermente un lembo della tenda, mentre guardavo la vettura dei Recamier che
si allontanava lungo il viale; la vidi varcare il cancello della villa e
scomparire tra le prime luci blu violacee della sera che scendeva sul paesaggio
della campagna.
Solo allora mi allontanai dalla finestra per andarmi a
sedere sul divano al centro della camera; tremavo e non riuscivo a placare
l’agitazione che mi sconvolgeva.
Dovevo riuscire a calmarmi, a frenare il tumulto del mio
cuore che pareva volermi scappare dal petto. Emisi dei respiri profondi nel
tentativo di recuperare un po’ di autocontrollo e sangue freddo; Oscar in
questo sarebbe stata molto più brava di me, dovevo riconoscerlo. Ma io non
potevo fallire, non potevo assolutamente tradirmi; la pena sarebbe stato
l’insuccesso e una probabile cocente umiliazione che non ero pronta a
sopportare.
Tra qualche ora avrei dovuto sostenere la parte più delicata
e difficile della mia vita, ma dovevo aspettare.
Mi versai dell’acqua in un bicchiere; mi sentivo la gola
secca e riarsa, la lingua impastata: doveva essere l’emozione al pensiero di
quello che stavo per fare. Non potevo tornare indietro e non lo avrei fatto,
anche se avevo un’ inspiegabile paura che non riuscivo a dominare; mi chiedevo
se era la stessa tensione che avrebbe vissuto Oscar al ballo.
Quella notte, complice il buio, avrei attuato le mie segrete
intenzioni e mi aspettavo la vittoria, quella della passione sulla ragione. Nei
fui convinta fino all’ultimo secondo.
I miei capelli erano sciolti sulla schiena e lunghe ciocche
scendevano in onde morbide sui pizzi macramè della camicia da notte che
indossavo su un paio di pantaloni rubati solo poche ore prima dalla camera di
Oscar.
Attesi ancora qualche minuto che il cuore finalmente
tornasse a battere un ritmo più sostenibile. Mi rilassai.
Attorno a me c’era solo silenzio. Lo ascoltavo per
convincermi che fosse reale.
Nessun rumore proveniva dalla casa.
Pareva disabitata.
Eppure nessuno poteva essere già andato a dormire; la
servitù era senz’altro presa dalle ultime incombenze della giornata.
Solo allora mi alzai dal divano per avvicinarmi al baule
posto in un angolo della camera, tra l’armadio e una sedia.
Lo aprii lentamente, quasi con timore: sul fondo, piegata
con cura, era sistemata una camicia di foggia maschile recuperata dal severo
guardaroba di mia sorella. Presi l’indumento di seta e lo strinsi tra le mani
per sentirne la consistenza. Dovevo prepararmi per recitare la mia parte.
§§§§
Oscar si era chiusa la porta alle spalle e senza fretta, ma
con decisione, si era apprestata all’ imbocco delle scale. Sollevò leggermente le
gonne vaporose e mentre scendeva appoggiandosi al largo corrimano di marmo,
pregò di non inciampare nell’ orlo dell’abito. Si sentiva un poco nervosa, ma
s’impose di recuperare il controllo di sé, impostando il respiro. Era
determinata ad andare fino in fondo e nulla le avrebbe fatto mutare opinione al
riguardo.
Quella sera avrebbe messo alla prova sé stessa, i suoi sentimenti; li avrebbe affrontati e
riconosciuti e soprattutto, era decisa a riconoscere la vera personalità del
suo ignaro accompagnatore.
Dell’animo del conte di Fersen conosceva già le luci che
l’avevano sedotta, che forse ancora l’attiravano come una tentazione cui non si
può resistere, ma voleva vedere le ombre nascoste, quelle più nette e oscure.
Se era una maschera quella che indossava, voleva
strappargliela dal viso.
Voleva comprendere fino a che punto era grande il suo
abbaglio e semmai, quanto fosse stata in grado di reggere la delusione che può
dare il crollo di un ideale illusorio.
Questa forse era la sua paura più insidiosa; non sapere
sostenere il peso di una verità rivelata.
Doveva arrivare al termine delle scale, attraversare il
grande corridoio coi ritratti dei rigidi antenati, prima di arrivare all’
androne dove Fersen la stava aspettando. Fu un po’ prima di varcare l’ingresso
della lunga sala rettangolare che incontrò André.
L’attendente camminava deciso nella sua direzione, per
dirigersi probabilmente all’alloggio a lui assegnato nell’ala della servitù, ma
appena la vide rallentò l’andatura fino ad arrestarsi a un paio di metri da
lei. Oscar fece altrettanto e si bloccò di fronte all’ amico, al centro della
sala sotto lo sguardo arcigno di uno dei ritratti di famiglia. Ebbe la strana
sensazione di sentirsi sotto esame.
Sperò che lui parlasse e le dicesse qualcosa. Qualunque cosa
pur di allontanare quel disagio.
Andrè restò un momento in silenzio, poi piegò un braccio e
si profuse in un cortese inchino, prima di puntarle addosso il suo sguardo più
ammirato oltre che disinvolto.
“Buona serata, contessa. Divertitevi al ballo.”
La voce di André era bassa e profonda, e il tono provocò in
Oscar un lungo brivido di piacere per tutta la spina dorsale che salì rapido a
solleticarle la base della nuca, come un soffio leggero di aria fredda sulla
pelle nuda del collo. Piegò le labbra in un leggero sorriso.
“Grazie André. – Rispose semplicemente. Ma non seppe
resistere e andò oltre. – Come mi trovi?”
Chiese quasi ingenuamente e mosse appena la mano che
tratteneva il raffinato ventaglio di piume blu notte. Andrè si avvicinò ancora,
accorciando pericolosamente la distanza fra loro, puntando su di lei lo sguardo
più insistente e conturbante che gli avesse mai visto.
Quegli occhi dalle profondità ignote e insospettabili, erano
accesi di luce intensa e vitale.
“Semplicemente stupenda: nessuna donna, neppure la regina vi
supererà in bellezza. Fersen avrà occhi solo per voi. Se fossi nella posizione
di poterlo invidiare, lo farei.”
André rimarcò il suo rapimento con tono ancor più profondo e
quasi rauco.
“Vuoi dire… che non vorresti essere al suo posto, oppure
sì?” Chiese incerta.
“Sono molteplici le ragioni per cui potrei voler essere al
posto di Fersen; vi lascio indovinare quali, contessa. Ma preferisco non
invidiarlo.”
Oscar trovò sorprendente e ambigua quella risposta; le
sfuggiva il senso reale delle parole, ma era altrettanto sicura che la vera
Danielle avrebbe colto immediatamente il loro significato se le avesse udite.
“Ammetto Andrè che preferirei mille volte andare al ballo
con te…” sospirò con profonda decisione.
“Sono lusingato, ma… non potrei mai ricevere un invito
ufficiale. Devo declinare. - Rivelò un guizzo ironico nell’inflessione della
voce. – Se vi pesa partecipare a questo ballo, perché non rinunciate? È forse
un obbligo? O in realtà, Fersen vi interessa più di quanto non vogliate
ammettere?”
Colta visibilmente di sorpresa, Oscar ebbe la netta
impressione che Andrè avesse voluto provocarla. Quel colloquio imprevisto,
all’apparenza innocente, stava diventando pericoloso.
“No, niente affatto! - esclamò con troppo impeto - Sembra che
l’ idea di Fersen come mio cavaliere ti disturbi, André.”
“È solo che trovo molto contraddittorio il vostro
atteggiamento verso un uomo che dite di non stimare particolarmente, ma
ballerete con lui fino all’alba. Scusate, ma con queste premesse non so come
considerare l’ audacia che mi avete dimostrato tempo fa… mi chiedo se non lo
avete già dimenticato.”
“Audacia? – Bisbigliò Oscar smarrita, quindi ebbe un lieve
moto di stizza che non riuscì a dissimulare. - È un appuntamento importante, la
contessa Recamier non può mancare. Già si noterà l’assenza del comandante delle
Guardie Reali.”
“Allora dovete andare, contessa; Fersen vi attende, anche se
è nel vostro diritto farlo aspettare.”
Oscar assentì con un breve cenno del capo e si mosse per allontanarsi,
senza distogliere lo sguardo dall’affascinante scudiero che continuava a
intercettare i suoi occhi celesti.
“Ne riparleremo, André.”
Aveva parlato, ormai volgendogli le spalle.
Al termine del lungo corridoio, Andrè vide Ninette porgere
il mantello profilato di pelliccia alla sua padrona; seguì la sua figura
incappucciata finché non scomparve oltre la porta, dietro cui Fersen
l’attendeva.
Andrè osservò tra sé che Danielle curiosamente, non aveva
mai mosso obiezioni al fatto che lui le avesse parlato usando sempre e solo la
terza persona. Un fatto strano, quando lei in più di una circostanza aveva
insistito perché si dessero del tu.
§§§§§§
Il viaggio era stato tranquillo, a tratti monotono per Oscar
che, di fronte a Fersen, si era trovata a dover sostenere leggeri silenzi
intervallati da sporadiche conversazioni fatue.
Aveva cercato di adattarsi, mentre la carrozza correva
spedita nella sera crepuscolare per arrivare al ballo il prima possibile.
Quando non doveva sorridere al conte, nella semioscurità
dell’abitacolo si era concentrata sui suoi pensieri, su come si sarebbe
comportata a corte, e soprattutto, con il suo cavaliere che, doveva
riconoscere, era davvero affascinante.
Trovava paradossale che solo qualche mese prima avrebbe
fatto carte false per trovarsi sola con lui, in una situazione simile, ma
adesso l’emozione che sentiva non era quella che si sarebbe aspettata.
Si domandava se tra qualche ora, galeotta la serata
danzante, avrebbe ritrovato intatto lo stesso turbamento che le aveva fatto
tremare il cuore di dolce sofferenza, per un uomo che non poteva avere.
Tra una fantasia e l’altra, continuava a pensare all’audacia
di cui aveva parlato André, rodendosi nel dubbio, chiedendosi allarmata a cosa
facesse riferimento; era abbastanza certa che tra Danielle e André fosse
accaduto qualcosa, forse una reciproca confessione di sentimenti appassionati,
e Danielle si era ben guardata di metterla a parte di retroscena troppo
scabrosi.
E poi c’erano state le parole impetuose di André nella scuderia,
quel bacio dolce e conturbante sul polso che le aveva fatto tremare la pelle e
correre i pensieri; vento che ancora agitava le onde del mare racchiuso nella
sua anima inquieta.
Ma adesso era lì in quella carrozza con Fersen.
Era stata innamorata di lui, ne era certa, magari lo era
ancora.
Lei conosceva solo l’amore contorto, sofferto, quello che
nel buio di notti gelide e solitarie fa versare lacrime salate.
Quello impossibile da ricambiare, da vivere.
Quello che fa sentire pesanti le membra e stanco il cuore.
Non sapeva nulla dell’amore che scalda le notti e illumina
la vita, anche quella più miserabile.
Fersen era gentile, galante come lo sarebbe stato con una
donna qualsiasi, ma le sue parole non la turbavano né accendevano il suo
spirito.
Vi era in esse qualcosa di fasullo e non sapeva dire cosa
fosse.
“Sono certo che sarà una splendida serata, contessa. Sapete,
ho pensato molto a noi due in questi ultimi giorni, all’intesa che abbiamo
raggiunto e che potrebbe raggiungere la perfezione questa notte. Non potrei
volere nessuna, oltre voi al mio fianco.”
“Mi lusingate. Vi assicuro Conte di Fersen che per me è la
stessa cosa; sarà una serata che non dimenticherò.”
Era terribilmente certa che sarebbe stato così.
“Dovrò lottare con chissà quanti pretendenti; questa sera
altri potrebbero reclamare le vostre attenzioni. Non so se sarò disposto a
tollerarlo.”
Stranamente la infastidì il tono; voleva essere leggero, ma
rimarcava velatamente un’idea esclusiva di possesso che era tipicamente
maschile.
Non le piacque come la fece sentire, ma finse di stare al
gioco.
“Di questo non vi dovete preoccupare. Vi ho già fatto la mia
promessa e per questa sera la manterrò. Ma non vi garantisco nulla per il
futuro.”
Quando finalmente la carrozza arrivò a Versailles, la notte
era scesa in tutta la sua oscurità.
Le sembrava ancora tutto un po’ irreale; finalmente, la
vettura con un dondolio si arrestò nel grande cortile antistante la reggia dove
altre carrozze stavano arrivando o erano già in sosta.
Le luci accecanti di Versailles, i bisbigli insinuanti
dietro i ventagli variopinti l’avrebbero investita con la loro impietosa
realtà, lo sapeva bene.
Fu l’esatta sensazione che ebbe appena mise piede sul
selciato e alzò lo sguardo verso le luci che provenivano dalle grandi finestre
illuminate a festa.
Conosceva già quello scintillio di colori, ma era la prima
volta che lei ne faceva parte.
Il conte di Fersen le porse il braccio con galanteria
consumata e Oscar vi si aggrappò leggermente; si incamminarono verso l’entrata
senza fretta.
Alcuni lacchè in livrea, stavano prendendo i mantelli degli
ospiti e Oscar lasciò il suo al primo che le si fece incontro con reverenza;
quando abbassò il cappuccio e la stola scivolò dalle spalle candide, Fersen la
vide per la prima volta in tutto il suo fulgore abbacinante e ne restò
incantato.
La fissò ammutolito per alcuni secondi prima di ritrovare il
dono della favella.
“Siete meravigliosa madame, non avevo ancora compreso
quanto. Mi sento davvero fortunato questa sera.”
Oscar si limitò a sorridere lievemente, mentre il battito
del cuore accelerava per un momento. Il conte era generoso nei complimenti,
senza dubbio sinceramente colpito dall’avvenenza della sua accompagnatrice.
“Vogliamo andare?” disse, porgendo la mano guantata e
cercando di smorzare la tensione che avvertiva.
Alcune dame e gentiluomini erano fermi a fare conversazione
in prossimità dello scalone che portava al piano superiore.
Al loro passaggio, guardavano la coppia con evidente
ammirazione e salutavano con un lieve cenno del capo a cui Oscar rispondeva
nello stesso identico modo.
Quando prima di fare il loro ingresso nella Sala degli
Specchi furono annunciati dal cerimoniere come prevedeva l’etichetta, si levò
nell’aria un brusio di sorpresa che serpeggiò di bocca in bocca tra lo stupore
degli astanti.
-
Il conte Han Axel di Fersen e la contessa Danielle Marie Angelique Di
Recamier!
In un attimo tutti gli occhi della sala furono puntati su di
loro; suscitarono sconcerto e meraviglia.
Oscar ebbe la netta, sgradevole sensazione di poter sentire
i pettegolezzi maliziosi dietro i ventagli delle signore, i commenti, le
insinuazioni, le curiosità più o meno piccanti passare da una persona
all’altra.
Colse le occhiate d’intesa, i sorrisi velati d’ipocrisia.
Forse non era stata mai esposta così tanto all’attenzione
generale, neppure subito dopo la nomina a Colonnello.
Improvvisamente si chiese come facesse solitamente Danielle
a convivere con tutto quel bailamme inopportuno e soffocante, senza impazzire.
Ma era venuta per ballare e avrebbe ballato fino alle prime
luci dell’alba.
-
Che
novità è mai questa! Il conte di Fersen e la contessa di Recamier intervengono
insieme a questo ballo! Ma allora è vero quello che si dice su di loro!
-
Ultimamente
sono stati visti spesso insieme, a teatro e anche all’opera… sapete, girano
voci piuttosto curiose. Lui frequenta assiduamente il salotto di villa
Recamier, pare… la contessa non è nuova a frequentazioni con uomini
affascinanti e molto chiacchierati, e il conte di Fersen corrisponde alla
regola, come vedete.
-
Volete
dire marchesa, che sono amanti?
-
Ci
sarebbe chi è pronto a giurarlo, ma nessuno lo sa con certezza. Certo che
madame Recamier è una donna davvero fortunata: è talmente bella che potrebbe
avere tutti gli uomini che desidera. A quanto pare, anche il conte di Fersen
subisce il fascino della gemella del colonnello Oscar!
-
Guardate,
guardate che eleganza quei guanti! E quell’abito le sta d’incanto, metterebbe
in ombra la nostra stessa sovrana. Come la invidio... vorrei avere io una
figura simile!
-
Io
invidierei Fersen, lo svedese si concede sempre il meglio! Che donna
affascinante…
-
Bisogna
ammetterlo: sono una coppia magnifica. E la nostra regina? Come prenderà la
cosa? Se è vero che è innamorata del nobile svedese non sarà contenta.
-
Oh,
non lo so. Forse la storia con la regina non è vera. Però non trovate strano
che Oscar non sia qui, stasera? Lei è amica del conte di Fersen oltre che la
sorella della contessa…
-
Già,
vorrà dire qualcosa…
-
Guardate,
arriva Sua Maestà la regina… che magnifico abito; lo avrà messo per far colpo
sul conte.
Maria Antonietta, elegante come un cigno sull’acqua,
accompagnata dalla onnipresente e invadente contessa Di Polignac, avanzava
verso il centro della sala per andare a salutare i nuovi arrivati.
Il suo sguardo incontrò quello del conte che allacciò per
pochi secondi prima di puntare la sua attenzione sulla dama al suo fianco,
scivolata in un grazioso inchino. Salutandolo, porse la mano a Fersen che la
baciò con devozione, poi si rivolse a quella che credeva la contessa di
Recamier.
“Madame Recamier è un piacere trovarvi qui, questa sera.
Credevo di incontrare anche vostra sorella, il colonnello Oscar, ma ultimamente
diserta spesso le feste a corte. Spero che non la tenga lontano da me, qualcosa
di grave.”
“Vogliate scusarla Maestà; Oscar vi invia i suoi saluti e si
scusa per l’assenza; ultimamente è stata poco bene, ma nulla di grave.”
“Capisco. Il conte di Fersen questa sera sarà il vostro
cavaliere? Non potevate fare una scelta migliore, contessa. Sarete invidiata da
tutte le dame.”
“Non voglio suscitare le invidie di nessuno, Maestà. Molto
semplicemente, tramite Oscar, siamo diventati buoni amici… – Oscar allargò il
ventaglio e si avvicinò alla regina per parlarle senza che altri cortigiani
udissero. – In confidenza, Oscar mi ha chiesto di fare una cosa per Voi; mi ha
suggerito di ballare con il conte di Fersen tutta la sera e spero capiate il
perché.”
Sul bel volto di Maria Antonietta si dipinse un sorriso
mesto.
“Certo, capisco perfettamente. Rassicurate madamigella Oscar
che ho apprezzato il consiglio.”
Finalmente, si aprirono le danze.
Il conte di Fersen invitò la sua dama a ballare.
Coppia principe e invidiata della festa, scivolarono leggeri
e veloci accanto alle altre figure eleganti, disegnando giravolte e promenade
sul prezioso pavimento, tra lo sfavillio delle luci dei lampadari di cristallo
e la musica dei violini che si diffondeva nel salone.
“Faremo parlare di noi, questa sera, contessa.”
“Credo anch’io: è una cosa a cui sono abituata. Non temete,
saprò gestire la situazione.”
Chi non sapeva gestire il confronto con totale serenità era
l’altra donna coinvolta, e di questo Oscar aveva un vago timore e un lieve
dispiacere, ma non poteva farci nulla.
Maria Antonietta anelava un contatto anche breve ed effimero
con l’uomo che amava; incapace di resistere alle pressioni del suo cuore
infelice, cedeva senza rimorsi ma con tanto rimpianto alla tentazione di
seguirli di sottecchi a ogni passo.
Senza la presenza della regina, davvero Fersen non avrebbe
avuto occhi per nessuna, tranne la sua dama, troppo bella e desiderabile quella
sera.
Oscar non avrebbe avuto rivali.
Probabilmente nessuno tranne lei notò lo scambio di sguardi
intensi oltre che un po’ sofferti tra il conte e la Regina.
Gli occhi tradivano il reciproco desiderio e gridavano
apertamente che ciascuno dei due avrebbe voluto essere tra le braccia
dell’altro nel giro di un passo di danza.
Oscar ne restò impressionata.
Di nuovo avvertì la tenerezza già provata in passato e provò
autentica commozione per la delicatezza di un tale sentimento, senza riuscire a
capire come questo potesse manifestarsi con tanta purezza.
Mentre guardava Maria Antonietta, negli occhi di Fersen non
c’era dissolutezza o malizia consumata.
Per lei, fu come vedere due anime in un uomo, ma quella
segreta, quella più intima e vera era riservata solo a colei che amava.
Quando pensava alla regina, per qualche strano mistero
Fersen si trasfigurava e i suoi occhi brillavano di una luce diversa; solo
allora si scorgeva in lui quella pena sincera, la capacità di soffrire celata
normalmente dietro i sorrisi seducenti e maliziosi che esercitava con successo
con le altre donne.
La semplice, banale verità era che il conte aveva dato la
parte migliore di sé alla regina, un’ intuizione che Oscar sentì il bisogno di
toccare con mano. L’altro uomo chi era, allora?
Quello vanesio, infedele che cadeva in relazioni adultere e
torbide, quello alla costante ricerca di avventure? Nel piacere della seduzione
che inseguiva con ogni mezzo, cosa cercava quell’uomo?
Stavano ballando gli ultimi accordi di un minuetto e spinta
da volontà ferrea, Oscar ebbe l’audacia di gettarsi in una conversazione
insinuante e pericolosa.
“Vi fa soffrire, non è così?” Chiese quasi a bruciapelo.
“A cosa vi riferite, madame?”
“Essere qui, così vicino a lei e doverle stare lontano.
Siete altrove con la mente… mi fate sentire come se fossi trasparente.” Il tono
di Oscar era quasi accusatorio.
Fersen sgranò gli occhi, per un breve istante. Poi sorrise
un po’ mortificato, cercando di recuperare tutto il suo carisma.
“Perdonatemi contessa, avete ragione di lamentarvi; siete
troppo bella e affascinante e non meritate certo un cavaliere distratto. Datemi
l’opportunità di dimostravi che posso essere degno di voi, questa sera.”
“Sono sicura che sarà così.”
La musica dei violini si interruppe in quel momento.
Oscar e il conte si defilarono sul fondo della sala, in
mezzo agli altri cortigiani. Un cameriere in livrea blu profilata d’argento passò
accanto a loro con un vassoio e bicchieri colmi di vino; Fersen ne prese uno e
Oscar fece altrettanto. Ne avrebbe avuto bisogno.
“Vorrei chiedervi di essere onesto, conte di Fersen. Prima
avete parlato della nostra intesa: come vi aspettate che evolva la serata?”
Oscar sorseggiò brevemente il suo vino, prima di alzare lo
sguardo sul conte.
“Nel migliore dei modi, naturalmente. Ma credo che dipenderà
in massima parte da voi e da ciò che vi suggerirà il vostro cuore: posso solo
sperare che vogliate seguirlo.”
Ma
prima devo capire cosa vuole, pensò Oscar tra sé.
“E voi? State seguendo il vostro? Se amate un'altra donna, e
sappiamo entrambi che è così, come fate a stare qui con me? Come fate a non
correre da lei, anche in questo momento?” chiese spavalda.
“Siete senza pietà: vi piace tormentare la piaga che mi
porto nell’animo.”
“Non è per questo, ma cercate di capire... Mi sto chiedendo
che posto ho io nel vostro cuore, Fersen.”
“Un posto speciale, contessa. Ve lo assicuro.”
“Quanto speciale? Sono una delle vostre tante amiche? O
potrei essere qualcosa di più? – Fersen la scrutava, ma non le diede una
risposta immediata, e lei incalzò con la sua indiscrezione. - Siate sincero:
conta il fatto che sono la gemella di madamigella Oscar?”
Quella era la domanda fatidica che le bruciava sulle labbra,
motivo principale che l’aveva spinta a inscenare quella farsa.
“Contessa, mentirei se vi dicessi che la cosa mi lascia
indifferente: il fatto che siete la gemella di Oscar, esercita una grande
attrattiva su di me, è inutile negarlo. Ma questo particolare non sminuisce il
vostro fascino.”
“Capisco. Apprezzo davvero la vostra franchezza. – Rispose,
soddisfatta per la delusione mancata. – Però non mi posso accontentare del
secondo posto… Devo avere l’esclusiva. Vi sembro troppo esigente?”
“Sì, molto. Ma avete ogni diritto di esserlo.”
“Questo è il mio prezzo per questa sera. Quanto siete
disposto a pagarlo? Perché vi avverto, non accetterò nulla di meno della verità
tra noi…”
“Dunque ponete un prezzo? E sia, lo pagherò per voi,
Danielle.”
Fersen aveva risposto senza esitazioni mentre la luce di una
violenta eccitazione gli accendeva lo sguardo, un guizzo repentino che a Oscar
non sfuggì. Lei pensò fosse un lampo di sfida.
Certamente per Fersen lo era, ma Oscar si ingannava sulla
natura di quello scontro: voleva mettere a nudo l’anima del conte, ma non
conosceva la strategia né le tattiche provocatorie che lei stessa metteva in
campo in quella schermaglia. Camminavano lentamente sul fondo della sala, ogni
tanto Oscar puntava lo sguardo tra gli altri invitati presenti fino a trovare
seduta sul lato opposto la figura della regina, circondata dalle sue dame di
compagnia.
“Questa sera non trattatemi come una dama qualsiasi, né come
la sorella del Colonnello Oscar. Io sono Danielle di Recamier...”
“Credetemi, non potreste mai essere una donna qualsiasi.
Questa sera più che mai mi apparite sorprendentemente diversa, audace oserei
dire; devo ammettere che mi cogliete un po’ di sorpresa, e la cosa mi piace.
Siete una donna da scoprire un po’ alla volta, Danielle... Sarà entusiasmante
farlo, se me lo permetterete.”
Ballarono ancora a lungo travolti dalla musica, infiammati
dal vino frizzante, presi dall’allegria della festa.
Erano passate oltre due ore; la sala era piena di gente accaldata,
uomini con i parrucchini incipriati appiccicati sulla testa e dame sudaticce
sotto i corsetti troppo stretti.
Qualcuna sveniva e doveva essere portata nelle sale attigue
per allentare i lacci del busto, prendere aria presso una finestra aperta e rianimata
con i sali. Oscar iniziava ad avvertire un senso di soffocamento. Per
combattere la nausea che sembrava assalirla, agitava il ventaglio con le piume
che ondeggiavano vistosamente.
Sperava di non svenire come una donnicciola qualsiasi,
sarebbe stato davvero troppo, e maledì Danielle che non aveva voluto farle
allargare il bustino.
“L’aria qui dentro sta diventando irrespirabile. Vogliamo
uscire sul balcone? C’è una luna splendida…”
Lo invitò lei, e Fersen acconsentì prontamente,
interpretando quella richiesta come un abboccamento e si allontanarono sotto
gli sguardi curiosi di dame e gentiluomini.
L’aria dell’esterno era piacevolmente fresca e Oscar sentì
tornare l’ossigeno nei polmoni mentre la luce lunare creava una strana misteriosa
atmosfera attorno a loro.
E Oscar sottovalutò un elemento che la vera Danielle non
avrebbe trascurato. Il conte si sentiva travolto da un forte senso di
aspettativa: l’ eccitazione cresceva in lui col passare del tempo e lo faceva
sentire euforico e spavaldo.
La strana disinvolta malizia della contessa lo intrigava.
Non si sarebbe aspettato un risvolto di quel genere, ma lo
trovava sorprendente oltre che travolgente.
“Sotto questa luce siete ancora più splendida, contessa… Una
dea della notte, misteriosa e affascinante.”
La musica ovattata dei violini proveniente dall’interno
faceva da sottofondo al palcoscenico della notte.
Contro le luci provenienti dalle grandi finestre si vedevano
le sagome di alcune coppie che ballavano.
Fersen fissava la contessa con ardore, mentre lei, inquieta
e ignara dei suoi pensieri, si appoggiava alla balaustra di marmo. Erano soli e
lei riprese a parlare, sicura che nessuno li avrebbe sentiti.
“Cosa sarei per voi? Una consolazione per poche ore
soltanto? O potrei essere qualcosa di più, la libertà da un amore che vi tiene
prigioniero? Ci avete mai pensato?”
“Mi state chiedendo se potrei innamorarmi di voi?”
“Anche, sì. Avete mai provato? Potreste amare un’ altra
donna in futuro?”
“Volete la verità?”
“Assolutamente conte. Abbiamo fatto un patto, ricordate?”
“Avete ragione. Ebbene, l’unica cosa reale è che il mio
cuore non sarà mai di nessuna che non sia lei. Le altre donne sono avventure,
l’oblio dei sensi in cui addormento per un momento la mia pena e la mia solitudine.”
“E Oscar? Lei cosa potrebbe essere?” chiese con un poco di timore.
“È davvero strano che mi chiediate di lei, ma a voi posso
dirlo. Vostra sorella è il mio migliore amico…”
“Migliore amico? – chiese, avvertendo una punta di delusione
inaspettata. - Non sarà mai nient’altro che questo?”
“Lo trovate così strano? Chissà, con voi potrebbe anche
essere diverso… potrebbe esistere un sentimento…”
Fersen le prese la mano appoggiata alla balaustra e la baciò
dolcemente.
“Che genere di sentimento?” domandò Oscar, corrugando la
fronte, mentre rifletteva tra sé sull’ultima affermazione del conte, e il suo
cuore si rassegnava dolcemente e senza troppi scossoni a una strana amarezza
che piano piano la invadeva.
“La complicità che esiste tra spiriti affini… col tempo una
tale sintonia potrebbe anche diventare amore profondo…”
Fersen continuava trattenere la sua mano baciandola e
intanto risaliva lungo il braccio foderato dal guanto. Oscar ringraziava il
cielo che tra la sua pelle e le labbra di Fersen ci fosse il raso a proteggerla
da un fremito confuso e pericoloso.
“Credete davvero in quello che dite? – chiese un po’
incerta. - Mi chiedo se si possa amare ed essere infedeli al proprio amore…”
“Questa è un’ ingenuità che potrei aspettarmi da Oscar, ma
voi dovreste comprendermi: non siete poi tanto diversa da me.”
“Cosa? – Lei si bloccò di colpo, incrociando i suoi occhi
ardenti che la fissavano. - Volete dire che io…”
“Ammettetelo contessa… - Fersen le si fece pericolosamente
vicino, le sfiorò una guancia con la mano giocando con un ricciolo dei suoi
capelli; le labbra bisbigliavano vicino al suo orecchio, e Oscar suo malgrado,
percepì il profondo turbamento di una tale vicinanza. – Anche voi cercate
l’oblio. Anche voi cercate di dimenticare la vostra solitudine nelle braccia
dei vostri amanti. L’ho capito appena vi ho vista, sapete… Conosco la vostra
inquietudine, è come se in voi ci fosse un terribile desiderio cui anelate, ma
che non potete soddisfare. Ma la cosa più straordinaria è che siete così simile
a vostra sorella! Un fuoco inestinguibile brucia nei vostri occhi limpidi come
acqua sorgente: è la passione da cui siete dominata, come Oscar è animata dal
fuoco della battaglia… non sapete quanto questo particolare ecciti la mia
fantasia…”
Oscar si sentì quasi stordita dalle parole. Si accorse di
tremare.
Tentò di recuperare un minimo di lucidità mentre avvertiva
le mani del conte che la trattenevano per la vita stingendola contro il suo
petto e la sua voce calda e morbida attraversava le nebbie della sua mente.
“Cosa state dicendo? Non capisco… Oscar… una fantasia?”
“Verità per verità, allora vi dirò tutto. Sono sicuro che
nessun altro uomo vi ha mai confessato ciò che sto per dirvi io. Sì, voi scatenate
i miei sogni più perversi e proibiti. Siete la mia fantasia più folle e
impossibile. Lasciatevi andare Danielle! Lasciatevi amare come vorrei. Non
sapete quante volte ho immaginato di fare l’amore con voi, di spogliarvi piano,
sciogliere tra le mie dita i vostri capelli biondi per trovare alla fine la
pelle di un'altra donna tra le mie braccia. Due donne in una sola! Voi come
Oscar!! Oh, Danielle, mi fate impazzire!”
Troppo sbalordita per una qualsiasi reazione, Oscar non
trovò la forza di ribattere o protestare per l’indignazione, e Fersen proseguì
quell’incredibile confessione travolto dal suo stesso impeto, osando troppo.
“Chissà quanti dei vostri amanti hanno avuto il mio stesso
pensiero. Sembrate sorpresa, ma siete troppo intelligente e arguta per non
averci pensato!”
Fersen stringeva sempre più mentre Oscar si puntellava
sconcertata contro il suo petto per tentare di liberarsi da quella presa che la
stava soffocando.
Le girava la testa come se fosse preda dei fumi dell’alcool.
Era davvero ubriaca, ma non per colpa del vino.
Guardava Fersen, i suoi occhi sfrontati, e le pareva di non
riconoscerlo, mentre intuiva che per quanto fosse grottesca e assurda, quella
era la realtà di cui la vera Danielle non si sarebbe sorpresa né scandalizzata.
E Oscar ripensò alle parole della sorella in quella notte
furibonda nella sua stanza.
-
Io sono la fantasia, la trasgressione… attraverso me, gli uomini cercano te…
Semplicemente Danielle era sempre stata consapevole di
questo.
Forse ci aveva giocato. Forse giocava anche ora.
Lei no.
Lei non aveva mai voluto nemmeno pensarci.
E improvviso si affacciò alla sua mente il dubbio insinuante
e maligno, eppure stranamente eccitante, che Andrè si sentisse attratto da
Danielle per la stessa ragione.
Il pensiero esplose nella sua mente come un boato, come una
luce accecante che ferisce il buio e svela impietosa recessi nascosti, angoli
segreti sconosciuti, definisce oggetti e forme prima confuse, sottolinea i
contorni invisibili.
Fu quasi altrettanto improvvisa la sensazione di fastidio
più simile a disgusto quando avvertì le labbra umide del conte premere le sue e
tentare di schiuderle.
Si sentiva debole e provò ad arrendersi pensando a tutte le
volte che lo aveva desiderato, a quanto avesse sognato quel bacio.
A come lo avesse sempre immaginato.
Caldo, morbido. Avvolgente, conturbante. Travolgente.
Ma c’era qualcosa che non andava.
Era l’emozione che non c’era.
E lei non riusciva a sciogliersi in quell’abbraccio
spasmodico.
Lei non sentiva niente tranne una profonda delusione.
Fersen la baciava e lei non sentiva altro che l’aria fredda
della notte sulle spalle nude e non era un brivido di piacere.
Si divincolò con impeto e bruscamente girò il volto per sottrarsi
al bacio. Con forza, posò le mani sulle braccia di Fersen per allontanarlo da
sé.
“Lasciatemi, Fersen! Vi prego…” Il tono era stato
perentorio. Quasi brusco.
Fece un passo indietro, emettendo un sospiro silenzioso, una
mano posata sotto il seno.
Il conte era di fronte a lei e la guardava. E non capiva.
Era ammutolito, amareggiato e si chiedeva quale tremendo
errore avesse commesso.
“Contessa… io credevo…” iniziò esitante.
Aveva perso molta baldanza.
Oscar stava cercando la cosa più giusta da dire e nonostante
il disagio, si rese conto che proprio la verità nuda e cruda sarebbe stata la
soluzione perfetta al caso.
“Perdonatemi, Fersen… così non posso. Non ce la faccio. Non
voglio ridurmi a una fantasia. Neppure per voi. Scusatemi se ve l’ho fatto credere.
Voi avete ragione su me e su Oscar, ma io ho giocato d’azzardo e ho perso
contro me stessa…”
Oscar sollevò l’orlo delle gonne per allontanarsi e tornare
nel salone; voleva abbandonare la festa, ma il conte la fermò.
“Vi prego, contessa… la colpa è solo mia. Sono stato molto
presuntuoso e indelicato. Vi ho promesso che avremmo danzato insieme tutta la
sera… vorrei mantenere la promessa… non andatevene così, io vorrei restare
vostro amico.”
“Pensate che potremmo esserlo, dopo stasera?” domandò senza riuscire
a camuffare il disinganno.
“Perché mai non dovremmo?” Obiettò Fersen che tentò di
salvare il salvabile.
In
effetti non potremmo essere altro, ora lo so, pensò Oscar, prima di
tornare nel salone tra gli altri invitati.
§§§§§§§
Era trascorsa oltre un’ ora dalla loro partenza. Dovevano
essere arrivati a Versailles da tempo.
La notte era ormai scesa su tutta la casa. Mio marito si era
già ritirato nelle sue stanze e durante la cena mi era sembrato taciturno e
stranamente cupo.
Lisette dopo l’incontro di quel pomeriggio nel parco, non si
era fatta vedere neppure a cena, adducendo una violenta quanto improvvisa
emicrania che l’aveva costretta a letto.
Avevo abbandonato la mia stanza di soppiatto, e nei panni di
Oscar, mi ero spostata in quella riservata a lei per attendere il momento
favorevole in cui avrei attuato il mio proposito senza destare sospetti,
soprattutto in André.
Cercavo di mantenere la calma, ma sentivo l’ansia bloccarmi
lo stomaco e corrermi sulla pelle come un brivido, mentre il tumulto del cuore
mi scoppiava nelle orecchie.
Ero davanti alla porta che mi separava da André.
I corridoi di palazzo erano quasi avvolti nel buio; solo le
luci di poche candele consumate poste in alto sulle pareti, creavano punti di luce
in angoli estremi della casa.
Rimasi lì davanti, col cuore in tumulto per minuti
interminabili, prima di trovare il coraggio di posare la mano sulla maniglia
per entrare, che cedette subito sotto la pressione.
Finalmente varcai la soglia e mi investì una velata
semioscurità rischiarata dalla luce tenue di una candela posta in un angolo.
André non stava dormendo; era in piedi davanti alla finestra e guardava la luna
che rischiarava a sprazzi le nubi che correvano nel cielo scuro.
Mi parve immobile come una statua di marmo e il mio cuore fu
preda di una scossa di curiosa eccitazione mentre lo osservavo. Sembrava che mi
stesse aspettando, ma sapevo che non poteva essere così. Anche lui era preda di
qualcosa quella notte. Chissà quali pensieri lo tenevano sveglio.
Girò il volto e quando mi distinse nella penombra della
camera, sembrò ridestarsi da sé stesso.
“Oscar? Cosa c’è? – Proruppe sorpreso. - Hai bisogno di
qualcosa? Non ti senti bene?”
Avanzai verso di lui.
“Non riuscivo a dormire, André. Avevo bisogno di parlare con
te.”
Forse la mia voce tradì una velata agitazione che lui colse
immediatamente e che fraintese.
“Stai pensando a Danielle e al conte di Fersen, non è vero?
Ti stai pentendo di non essere andata a quel ballo.” Allora si mosse dalla
finestra per avvicinarsi a me.
“No, André. Sono contenta di non esserci andata, altrimenti
adesso…”
Lui si mosse ancora di lato per andare a frugare in un
cassetto.
“Accendo un'altra candela, è meglio.”
“No, non farlo. Non serve. Ho solo bisogno di stare qui con te…”
Lo bloccai sfiorandogli un braccio e lui si girò di nuovo a
guardarmi, raddrizzandosi lentamente. Alla luce della candela leggevo una vaga
perplessità nei suoi occhi che mi sembravano ancora più affascinanti e
tenebrosi sotto il fuoco ballerino della fiammella. Un brivido insinuante come
un soffio di vento caldo mi percorse la schiena.
Improvvisamente prese a scrutarmi in modo diverso come se
fosse attraversato da un dubbio.
“Oscar, cosa sei venuta a fare in camera mia? Come mai non
riesci a dormire?”
“Ecco, io… non faccio altro che pensare a te, André… a te e
a Danielle. So che la desideri e io mi chiedo se puoi desiderare me nello
stesso modo… ti prego, ho bisogno di saperlo.”
“Oh, Dio Oscar! Ma che domanda è? - Era sbalordito e forse
per un momento lessi paura in fondo ai suoi occhi. – No… tu non stai parlando sul serio…”
“Sono serissima, André, tanto da essere venuta fin qui in
piena notte, senza badare alle conseguenze.”
Mi guardò fisso per un lungo istante; la luce lo illuminava
solo in parte e le ombre sul suo volto gli conferivano l’espressione più
enigmatica che gli avessi mai visto.
“Cosa stai cercando di fare? Vuoi competere con tua sorella,
è per questo?”
Sentivo che era vulnerabile e dovevo osare adesso, se volevo
che cedesse.
Mi avvicinai a lui così tanto da far quasi aderire i nostri
corpi, sentivo il suo respiro caldo sul mio viso. Mi guardava e aveva il fuoco
negli occhi, un fuoco ardente che stava cercando di dominare con tutte le sue
forze.
Mi desiderava come avrebbe desiderato Oscar, come forse non
avrebbe mai desiderato me; era un inganno, ma era il solo modo di aggirare le
difese del suo cuore.
“Non si tratta di competere André, si tratta di amare… –
dissi con impeto. - Danielle forse ti ama, è vero, ma per me tu sei troppo
importante. Negli ultimi tempi ho capito tante cose che riguardano noi due. Ho
capito cosa siamo veramente, cosa ci lega davvero. Lo vedo anche ora nel tuo
sguardo; gli occhi non mentono André. Si può mentire con le parole, ma non con
gli occhi.”
Era vero più di quanto immaginassi in quel momento.
“Dimmelo tu, Oscar, cosa ci lega davvero. Voglio sentirlo
dire da te; sembri così sicura…” sussurrò deciso e la sua voce bassa mi spiazzò
per un attimo. Ma ero determinata a giocare a carte scoperte.
“Tu mi ami, non è vero André? – Mi avvicinai ancora di più a
lui, che sembrava trattenere il respiro. - Ora so cosa provo per te. Per quanto
tu possa desiderare Danielle, non puoi amarla nello stesso modo… perché io e te
siamo legati a filo doppio. Ora lo so…”
Faceva molto male ammetterlo, un dolore vero che
inevitabilmente trasparì dal mio sguardo e per questo André forse percepì
l’inganno. Finse di cascarci.
Posai le mie mani sul suo petto e risalii ad accarezzargli
il viso e sentii sotto le dita la leggera peluria delle sue guance.
André chiuse gli occhi assaporando quel nostro contatto,
sospirando forte.
Poi le sue mani grandi e forti corsero a prendere le mie per
stringerle e accarezzarle. Il mio cuore batteva come un tamburo e sentivo la
gioia scoppiarmi dentro. E lui parve arrendersi all’emozione che lo travolgeva,
che gli faceva tremare la voce.
“Dio, Oscar… quanto ho sognato un momento del genere… quanto
l’ho desiderato tu non ne hai idea. E ora sei qui, tra le mie braccia a
confessarmi il tuo amore…”
Continuava ad accarezzare le mie mani con le dita lunghe, a
baciarne i palmi con delicatezza e trasporto simile a sofferenza; invocava il
mio nome falso mentre io tremavo, mentre speravo di godere delle sue labbra con
le mie.
“Sì, André… sono qui e voglio amarti ed essere amata… non
mandarmi via, ti prego…”
Mi strinsi a lui e lo abbracciai forte e lo sentii
ricambiare l’abbraccio con lo stesso impeto, mentre le sue labbra mi
procuravano un brivido sulla pelle del collo, prima di trovare la mia bocca.
E fu delirio dolce che mi prese.
E mi saziai di lui, e lui di me, in un bacio che sapeva di
febbre e passione, di sete e fame d’amore.
Lo sentii spingermi dolcemente verso il letto e tra le
lenzuola mi ritrovai sottomessa al suo corpo, al suo impeto virile, alle sue
mani che accarezzavano il mio viso e correvano proprio dove io volevo, alla sua
bocca che con tenera insistenza cercava la mia e la faceva sua. Sentivo il suo
desiderio prepotente e trattenuto e sentivo il mio spasimo, il profumo e il
sapore un po’ acido delle sue pelle che stordiva e accendeva la mia voglia. Era
qualcosa di meraviglioso.
Era la perfetta felicità averlo lì, addosso a me, e sentire
i nostri corpi frustrati dalle vesti, fremere insieme. Volevo fare l’amore con
lui e cercavo di superare i suoi vestiti; le mie mani percorsero i muscoli tesi
della sua schiena, infilandosi sotto il tessuto un po’ ruvido della sua
camicia.
Sembrava tutto perfetto.
La nostra reciproca brama, uguale e travolgente.
Pensai di aver vinto.
Poi André smise di baciarmi e accostò la sua fronte alla
mia.
Il suo respiro era affannoso quanto il mio, lo sguardo
carico di oscuro e animale desiderio, una calamita che mi tratteneva a lui. Non
parlò per alcuni secondi, limitandosi a fissarmi intensamente. Poi, lentamente
sembrò rilassarsi e la luce del suo sguardo farsi più limpida.
Io lo baciai ancora, dolcemente, ma avvertivo qualcosa di
diverso, quasi la tensione erotica stesse scemando via da noi.
Ebbi paura, finché André non parlò in un sussurro sommesso
sulle mie labbra.
“Oh, questo è un sogno meraviglioso, dovrei ringraziarti; è
così facile lasciarsi trasportare da una dolce illusione, andare alla deriva e
approfittare di un regalo insperato che cancella per un attimo la pena che
portiamo in cuore… sarebbe ancor più perfetto se fosse reale…”
“Oh, André, ma…”
Lui continuava a fissarmi con una strana dolcezza che non
comprendevo.
“Sarebbe così semplice fingere, immaginare che è tutto vero
e abbandonarsi al bisogno d’amore. Per un attimo ho voluto concedermi un sogno
impossibile… l’illusione è così perfetta… Ma tu non sei lei. E io non posso
approfittare di questo… Proprio non posso, Danielle.”
Quando sentii il mio nome, nell’immediato non seppi reagire.
Rimasi bloccata; non un’obbiezione, nessun tentativo di negare
mi venne, lì per lì.
André mi guardava ormai consapevole di chi fossi in realtà,
e io restavo in silenzio con la bocca spalancata e gli occhi sgranati su di
lui.
Sembrava rammaricato e non compresi subito il reale motivo; quella
notte non eravamo gli unici in gioco, lo sapeva anche lui.
Aveva parlato con assoluta pacatezza, non voleva umiliarmi o
deridermi e di questo gli fui grata.
Tentai allora di riavermi dalla sorpresa e di difendermi per
cercare di negare la realtà.
Un tentativo disperato. E mi chiesi come fosse successo.
Dove mi ero tradita? In che modo?
Non riuscivo a capire. Pensai che potesse essere un azzardo
e tentai di confutare le sue certezze, ben sapendo che sarebbe stato come
arrampicarsi sugli specchi.
“Tu credi che io sia Danielle? Oh, ma è assurdo! Cosa te lo
fa credere?”
Andrè sorrise calmo, come se si preparasse a spiegare la
lezione a un bambino un po’ cocciuto. E dalla sua espressione compresi che la
vergogna sarebbe piombata su di me come un macigno.
“C’è stato un momento in cui il tuo sguardo ti ha tradito;
c’era qualcosa nei tuoi occhi che non riconoscevo, una luce che in Oscar non ho
mai visto. Ma non potevo esserne sicuro… Poi mi hai toccato e allora, non ho
più avuto dubbi…”
“Cosa??!!”
“Le tue mani Danielle sono troppo morbide e curate. Sono le
mani di una donna che non ha mai impugnato una spada o qualsiasi altra arma. -
A quel punto André prese con dolcezza la mia mano destra, aprì il palmo e con
l’indice ne seguì le linee. - In questo punto centrale la mano di Oscar è
indurita dagli allenamenti, dall’impugnatura della spada… la tua invece è
morbida, la pelle è delicata e fragile. È un piccolo, banale dettaglio che non
hai calcolato quando hai attuato il tuo gioco, vero?”
Non seppi più cosa rispondere, ormai completamente
smascherata.
Mi sentii piccola e vagamente stupida.
Avrei voluto alzarmi dal letto e fuggire via, ma il peso
della vergogna e i suoi occhi sinceri mi inchiodavano lì. Stavo per mettermi a
piangere e cercai di ricacciare indietro le lacrime.
André si accorse del mio disagio e tentò di consolarmi.
Ma a me non restava che la disperazione che ti fa gridare
anche la verità più scomoda.
“Danielle, ascoltami…”
“Andrè, io potrei essere lei, e potrei amarti sul serio…”
tentai, mentre una lacrima inopportuna iniziava a scendere lungo le mie guance.
“No Danielle. Una rosa non può essere un lillà.”
“Potrei essere disposta a tutto, André… anche a trasformarmi
in un lillà…”
“Pensaci bene, è davvero questo che vuoi? Un surrogato, un’
illusione d’amore… essere amata come la copia di qualcun altro? Inganneresti te
stessa. Inganneremmo entrambi, Danielle. Io fingerei di avere Oscar, a quale
scopo? Sarebbe una menzogna ancor più dolorosa. Devi pretendere di essere amata
per la donna unica che sei, non la gemella sbagliata di qualcun altro.”
Andrè aveva parlato col cuore in mano, lo avevo sentito.
Era stato sincero e io sapevo che aveva ragione. Ma il
dolore del rifiuto ormai opprimeva il mio cuore che esplose incontrollato.
Lui si allontanò dal mio corpo e io mi alzai a sedere sul
letto, sconvolta e triste come non mai.
Mi nascosi il viso tra le mani cercando di frenare i
singhiozzi. Mi rassegnai alla sconfitta, col timore folle di aver ormai
scatenato la delusione più amara che ci avrebbe irrimediabilmente divisi.
“Scusami, André… perdonami ti prego! Io non volevo
ingannarti, né prenderti in giro o sostituirmi ad Oscar. Ho sbagliato, lo so,
ma volevo solo il tuo amore ed ero disposta a tutto pur di averlo… lo sono
ancora. Io ti amo davvero, mi devi credere. Non posso fare a meno di sentire
tutto questo per te.”
André seduto di fianco a me, prese le mani per allontanarle
dal mio viso.
“Per amore si fanno davvero le più grandi pazzie… così tu
sei rimasta qui, mentre Oscar è andata al ballo con Fersen… - parve riflettere
per un istante, quindi una scintilla brillò nel suo sguardo. – Per quanto possa
capire questa tua follia, mi delude il fatto che per venire qui a sedurmi, hai
spinto lei tra le braccia di quell’uomo. Immagino che sia stato molto facile per
te… - La sentii chiara quella nota profonda e dolente nella sua voce, mista a
una punta di rabbia appena trattenuta. - Non dovevi farlo, Danielle. Questo è
peggio di tutto! Anche dell’inganno!”
Esclamò con autentico sconforto e fu quello che mi ferì più
di tutto; non potevo sopportare l’accusa implicita che mi stava rivolgendo e il
disprezzo che poteva derivarne mi sconvolse.
“Oh, no, ti prego!! Non credere questo, non è stata un’ idea
mia, André. È stata Oscar a propormelo! Lei ha voluto fare lo scambio; è stata
molto decisa fin dall’inizio.”
Nient’altro che una mezza verità.
“Come può essere? Lo ama dunque a tal punto!”
Esclamò Andrè con sgomento, appoggiando i gomiti sulle
ginocchia e mettendosi le mani nei capelli corvini come se fosse oppresso da un
peso.
Lo sentii imprecare. Quindi tornò a fissarmi serio.
“L’altro giorno nelle scuderie, subito dopo la vostra
cavalcata… era Oscar quella vestita da amazzone, vero?”
Mi sembrò inutile negare; ormai André aveva capito tutto.
Non avevamo più maschere per lui.
All’improvviso abbandonò il letto e fu in piedi di fronte a
me.
“È meglio che tu vada via, ora. Io devo prepararmi ad
accogliere la contessa che torna dal ballo…” disse con una voce che mi parve
piena di risentimento. Un brivido inquietante mi attraversò.
Non ebbi il coraggio di chiedergli cosa volesse fare.
Sapevo solo che il gioco era appena cominciato e troppe
mosse erano già state scoperte e io non ero più in grado di prevedere niente.
In realtà, non avevo mai avuto il controllo su nulla e
nessuno.
Tutto da qui in avanti sarebbe stato più complicato.
Continua…