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Autore: Ninfea Blu    08/05/2012    19 recensioni
Oscar ha delle sorelle, lo sappiamo. Questa storia parla di una di queste sorelle, una che non conosciamo, perchè la Ikeda non ha pensato a una possibilità del genere. Danielle ha davvero molto in comune con Oscar... stessi capelli, stessi occhi. Qui parlerò dei suoi sentimenti, del suo rapporto con Oscar e inevitabilmente con l'amico Andrè che potrebbe, in qualche modo, mettersi fra loro. Perchè Danielle, gemella identica ma più femminile della nostra madamigella, potrebbe avere il coraggio di essere tutto quello che non è Oscar...
Aggiunte fan art cap. 7 - cap. 12
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A parti invertite

12 – Il valzer degli equivoci e fallimenti

 

 

23/11/2014

Piccola premessa. Avevo qualche riserva sui dialoghi di questo capitolo, che a una prima stesura non mi convincevano – soprattutto quelli tra Fersen e Oscar. – Rileggendolo credo di aver capito cosa non funzionava. Così è stato recentemente modificato, spero in meglio, senza snaturare il senso e lo sviluppo della storia, che non cambia. Buona lettura.

 

 

§§§§§§§

 

 

 

Mi accostai alla finestra; nascosta dietro la pesante tenda di broccato, aspettai di vedere mia sorella e il conte di Fersen salire a bordo della carrozza. 

Attesi qualche minuto più del previsto, e per un momento temetti un qualche ripensamento tardivo da parte di Oscar; stava ritardando.

Poi finalmente, vidi le loro figure comparire nel piazzale dove sostava in attesa l’elegante carrozza trainata da una pariglia di quattro cavalli. Il viaggio fino a Versailles sarebbe stato lungo e non soltanto per la distanza da colmare; forse ci sarebbero stati silenzi da riempire e imbarazzi da sciogliere.

Un attimo prima di salire in carrozza, Oscar aveva alzato lo sguardo verso la luce della mia finestra per riabbassarlo subito dopo.

Rimasi lì attaccata al vetro, una mano a scostare leggermente un lembo della tenda, mentre guardavo la vettura dei Recamier che si allontanava lungo il viale; la vidi varcare il cancello della villa e scomparire tra le prime luci blu violacee della sera che scendeva sul paesaggio della campagna.

 

Solo allora mi allontanai dalla finestra per andarmi a sedere sul divano al centro della camera; tremavo e non riuscivo a placare l’agitazione che mi sconvolgeva.

Dovevo riuscire a calmarmi, a frenare il tumulto del mio cuore che pareva volermi scappare dal petto. Emisi dei respiri profondi nel tentativo di recuperare un po’ di autocontrollo e sangue freddo; Oscar in questo sarebbe stata molto più brava di me, dovevo riconoscerlo. Ma io non potevo fallire, non potevo assolutamente tradirmi; la pena sarebbe stato l’insuccesso e una probabile cocente umiliazione che non ero pronta a sopportare.

Tra qualche ora avrei dovuto sostenere la parte più delicata e difficile della mia vita, ma dovevo aspettare.

Mi versai dell’acqua in un bicchiere; mi sentivo la gola secca e riarsa, la lingua impastata: doveva essere l’emozione al pensiero di quello che stavo per fare. Non potevo tornare indietro e non lo avrei fatto, anche se avevo un’ inspiegabile paura che non riuscivo a dominare; mi chiedevo se era la stessa tensione che avrebbe vissuto Oscar al ballo.

Quella notte, complice il buio, avrei attuato le mie segrete intenzioni e mi aspettavo la vittoria, quella della passione sulla ragione. Nei fui convinta fino all’ultimo secondo.

I miei capelli erano sciolti sulla schiena e lunghe ciocche scendevano in onde morbide sui pizzi macramè della camicia da notte che indossavo su un paio di pantaloni rubati solo poche ore prima dalla camera di Oscar.

Attesi ancora qualche minuto che il cuore finalmente tornasse a battere un ritmo più sostenibile. Mi rilassai.

Attorno a me c’era solo silenzio. Lo ascoltavo per convincermi che fosse reale.

Nessun rumore proveniva dalla casa.

Pareva disabitata.

Eppure nessuno poteva essere già andato a dormire; la servitù era senz’altro presa dalle ultime incombenze della giornata.

Solo allora mi alzai dal divano per avvicinarmi al baule posto in un angolo della camera, tra l’armadio e una sedia.

Lo aprii lentamente, quasi con timore: sul fondo, piegata con cura, era sistemata una camicia di foggia maschile recuperata dal severo guardaroba di mia sorella. Presi l’indumento di seta e lo strinsi tra le mani per sentirne la consistenza. Dovevo prepararmi per recitare la mia parte.

 

 

§§§§

 

 

 

 

 

Oscar si era chiusa la porta alle spalle e senza fretta, ma con decisione, si era apprestata all’ imbocco delle scale. Sollevò leggermente le gonne vaporose e mentre scendeva appoggiandosi al largo corrimano di marmo, pregò di non inciampare nell’ orlo dell’abito. Si sentiva un poco nervosa, ma s’impose di recuperare il controllo di sé, impostando il respiro. Era determinata ad andare fino in fondo e nulla le avrebbe fatto mutare opinione al riguardo.

Quella sera avrebbe messo alla prova sé stessa, i  suoi sentimenti; li avrebbe affrontati e riconosciuti e soprattutto, era decisa a riconoscere la vera personalità del suo ignaro accompagnatore.

Dell’animo del conte di Fersen conosceva già le luci che l’avevano sedotta, che forse ancora l’attiravano come una tentazione cui non si può resistere, ma voleva vedere le ombre nascoste, quelle più nette e oscure.

Se era una maschera quella che indossava, voleva strappargliela dal viso.

Voleva comprendere fino a che punto era grande il suo abbaglio e semmai, quanto fosse stata in grado di reggere la delusione che può dare il crollo di un ideale illusorio.

Questa forse era la sua paura più insidiosa; non sapere sostenere il peso di una verità rivelata.

 

Doveva arrivare al termine delle scale, attraversare il grande corridoio coi ritratti dei rigidi antenati, prima di arrivare all’ androne dove Fersen la stava aspettando. Fu un po’ prima di varcare l’ingresso della lunga sala rettangolare che incontrò André.

L’attendente camminava deciso nella sua direzione, per dirigersi probabilmente all’alloggio a lui assegnato nell’ala della servitù, ma appena la vide rallentò l’andatura fino ad arrestarsi a un paio di metri da lei. Oscar fece altrettanto e si bloccò di fronte all’ amico, al centro della sala sotto lo sguardo arcigno di uno dei ritratti di famiglia. Ebbe la strana sensazione di sentirsi sotto esame.

Sperò che lui parlasse e le dicesse qualcosa. Qualunque cosa pur di allontanare quel disagio.

Andrè restò un momento in silenzio, poi piegò un braccio e si profuse in un cortese inchino, prima di puntarle addosso il suo sguardo più ammirato oltre che disinvolto.

“Buona serata, contessa. Divertitevi al ballo.”

La voce di André era bassa e profonda, e il tono provocò in Oscar un lungo brivido di piacere per tutta la spina dorsale che salì rapido a solleticarle la base della nuca, come un soffio leggero di aria fredda sulla pelle nuda del collo. Piegò le labbra in un leggero sorriso.

“Grazie André. – Rispose semplicemente. Ma non seppe resistere e andò oltre. – Come mi trovi?”

Chiese quasi ingenuamente e mosse appena la mano che tratteneva il raffinato ventaglio di piume blu notte. Andrè si avvicinò ancora, accorciando pericolosamente la distanza fra loro, puntando su di lei lo sguardo più insistente e conturbante che gli avesse mai visto.

Quegli occhi dalle profondità ignote e insospettabili, erano accesi di luce intensa e vitale.

“Semplicemente stupenda: nessuna donna, neppure la regina vi supererà in bellezza. Fersen avrà occhi solo per voi. Se fossi nella posizione di poterlo invidiare, lo farei.”

André rimarcò il suo rapimento con tono ancor più profondo e quasi rauco.

“Vuoi dire… che non vorresti essere al suo posto, oppure sì?” Chiese incerta.

“Sono molteplici le ragioni per cui potrei voler essere al posto di Fersen; vi lascio indovinare quali, contessa. Ma preferisco non invidiarlo.”

Oscar trovò sorprendente e ambigua quella risposta; le sfuggiva il senso reale delle parole, ma era altrettanto sicura che la vera Danielle avrebbe colto immediatamente il loro significato se le avesse udite.

“Ammetto Andrè che preferirei mille volte andare al ballo con te…” sospirò con profonda decisione.

“Sono lusingato, ma… non potrei mai ricevere un invito ufficiale. Devo declinare. - Rivelò un guizzo ironico nell’inflessione della voce. – Se vi pesa partecipare a questo ballo, perché non rinunciate? È forse un obbligo? O in realtà, Fersen vi interessa più di quanto non vogliate ammettere?”

Colta visibilmente di sorpresa, Oscar ebbe la netta impressione che Andrè avesse voluto provocarla. Quel colloquio imprevisto, all’apparenza innocente, stava diventando pericoloso.

“No, niente affatto! - esclamò con troppo impeto - Sembra che l’ idea di Fersen come mio cavaliere ti disturbi, André.”

“È solo che trovo molto contraddittorio il vostro atteggiamento verso un uomo che dite di non stimare particolarmente, ma ballerete con lui fino all’alba. Scusate, ma con queste premesse non so come considerare l’ audacia che mi avete dimostrato tempo fa… mi chiedo se non lo avete già dimenticato.”

“Audacia? – Bisbigliò Oscar smarrita, quindi ebbe un lieve moto di stizza che non riuscì a dissimulare. - È un appuntamento importante, la contessa Recamier non può mancare. Già si noterà l’assenza del comandante delle Guardie Reali.”

“Allora dovete andare, contessa; Fersen vi attende, anche se è nel vostro diritto farlo aspettare.”

Oscar assentì con un breve cenno del capo e si mosse per allontanarsi, senza distogliere lo sguardo dall’affascinante scudiero che continuava a intercettare i suoi occhi celesti.

“Ne riparleremo, André.”

Aveva parlato, ormai volgendogli le spalle.

Al termine del lungo corridoio, Andrè vide Ninette porgere il mantello profilato di pelliccia alla sua padrona; seguì la sua figura incappucciata finché non scomparve oltre la porta, dietro cui Fersen l’attendeva.

 

Andrè osservò tra sé che Danielle curiosamente, non aveva mai mosso obiezioni al fatto che lui le avesse parlato usando sempre e solo la terza persona. Un fatto strano, quando lei in più di una circostanza aveva insistito perché si dessero del tu.

 

 

§§§§§§

 

 

 

 

Il viaggio era stato tranquillo, a tratti monotono per Oscar che, di fronte a Fersen, si era trovata a dover sostenere leggeri silenzi intervallati da sporadiche conversazioni fatue.

Aveva cercato di adattarsi, mentre la carrozza correva spedita nella sera crepuscolare per arrivare al ballo il prima possibile.

Quando non doveva sorridere al conte, nella semioscurità dell’abitacolo si era concentrata sui suoi pensieri, su come si sarebbe comportata a corte, e soprattutto, con il suo cavaliere che, doveva riconoscere, era davvero affascinante.

Trovava paradossale che solo qualche mese prima avrebbe fatto carte false per trovarsi sola con lui, in una situazione simile, ma adesso l’emozione che sentiva non era quella che si sarebbe aspettata.

Si domandava se tra qualche ora, galeotta la serata danzante, avrebbe ritrovato intatto lo stesso turbamento che le aveva fatto tremare il cuore di dolce sofferenza, per un uomo che non poteva avere.

Tra una fantasia e l’altra, continuava a pensare all’audacia di cui aveva parlato André, rodendosi nel dubbio, chiedendosi allarmata a cosa facesse riferimento; era abbastanza certa che tra Danielle e André fosse accaduto qualcosa, forse una reciproca confessione di sentimenti appassionati, e Danielle si era ben guardata di metterla a parte di retroscena troppo scabrosi.

E poi c’erano state le parole impetuose di André nella scuderia, quel bacio dolce e conturbante sul polso che le aveva fatto tremare la pelle e correre i pensieri; vento che ancora agitava le onde del mare racchiuso nella sua anima inquieta.

Ma adesso era lì in quella carrozza con Fersen.

 

Era stata innamorata di lui, ne era certa, magari lo era ancora.

Lei conosceva solo l’amore contorto, sofferto, quello che nel buio di notti gelide e solitarie fa versare lacrime salate.

Quello impossibile da ricambiare, da vivere.

Quello che fa sentire pesanti le membra e stanco il cuore.

 

Non sapeva nulla dell’amore che scalda le notti e illumina la vita, anche quella più miserabile.

Fersen era gentile, galante come lo sarebbe stato con una donna qualsiasi, ma le sue parole non la turbavano né accendevano il suo spirito.

Vi era in esse qualcosa di fasullo e non sapeva dire cosa fosse.

“Sono certo che sarà una splendida serata, contessa. Sapete, ho pensato molto a noi due in questi ultimi giorni, all’intesa che abbiamo raggiunto e che potrebbe raggiungere la perfezione questa notte. Non potrei volere nessuna, oltre voi al mio fianco.”

“Mi lusingate. Vi assicuro Conte di Fersen che per me è la stessa cosa; sarà una serata che non dimenticherò.”

Era terribilmente certa che sarebbe stato così.

“Dovrò lottare con chissà quanti pretendenti; questa sera altri potrebbero reclamare le vostre attenzioni. Non so se sarò disposto a tollerarlo.”

Stranamente la infastidì il tono; voleva essere leggero, ma rimarcava velatamente un’idea esclusiva di possesso che era tipicamente maschile.

Non le piacque come la fece sentire, ma finse di stare al gioco.

“Di questo non vi dovete preoccupare. Vi ho già fatto la mia promessa e per questa sera la manterrò. Ma non vi garantisco nulla per il futuro.”

 

 

Quando finalmente la carrozza arrivò a Versailles, la notte era scesa in tutta la sua oscurità.

Le sembrava ancora tutto un po’ irreale; finalmente, la vettura con un dondolio si arrestò nel grande cortile antistante la reggia dove altre carrozze stavano arrivando o erano già in sosta.

Le luci accecanti di Versailles, i bisbigli insinuanti dietro i ventagli variopinti l’avrebbero investita con la loro impietosa realtà, lo sapeva bene.

Fu l’esatta sensazione che ebbe appena mise piede sul selciato e alzò lo sguardo verso le luci che provenivano dalle grandi finestre illuminate a festa.

Conosceva già quello scintillio di colori, ma era la prima volta che lei ne faceva parte.

Il conte di Fersen le porse il braccio con galanteria consumata e Oscar vi si aggrappò leggermente; si incamminarono verso l’entrata senza fretta.

Alcuni lacchè in livrea, stavano prendendo i mantelli degli ospiti e Oscar lasciò il suo al primo che le si fece incontro con reverenza; quando abbassò il cappuccio e la stola scivolò dalle spalle candide, Fersen la vide per la prima volta in tutto il suo fulgore abbacinante e ne restò incantato.

La fissò ammutolito per alcuni secondi prima di ritrovare il dono della favella.

“Siete meravigliosa madame, non avevo ancora compreso quanto. Mi sento davvero fortunato questa sera.”

Oscar si limitò a sorridere lievemente, mentre il battito del cuore accelerava per un momento. Il conte era generoso nei complimenti, senza dubbio sinceramente colpito dall’avvenenza della sua accompagnatrice.

“Vogliamo andare?” disse, porgendo la mano guantata e cercando di smorzare la tensione che avvertiva.

Alcune dame e gentiluomini erano fermi a fare conversazione in prossimità dello scalone che portava al piano superiore.

Al loro passaggio, guardavano la coppia con evidente ammirazione e salutavano con un lieve cenno del capo a cui Oscar rispondeva nello stesso identico modo.

 

Quando prima di fare il loro ingresso nella Sala degli Specchi furono annunciati dal cerimoniere come prevedeva l’etichetta, si levò nell’aria un brusio di sorpresa che serpeggiò di bocca in bocca tra lo stupore degli astanti.

 

-             Il conte Han Axel di Fersen e la contessa Danielle Marie Angelique Di Recamier!

 

In un attimo tutti gli occhi della sala furono puntati su di loro; suscitarono sconcerto e meraviglia.

Oscar ebbe la netta, sgradevole sensazione di poter sentire i pettegolezzi maliziosi dietro i ventagli delle signore, i commenti, le insinuazioni, le curiosità più o meno piccanti passare da una persona all’altra.

Colse le occhiate d’intesa, i sorrisi velati d’ipocrisia.

Forse non era stata mai esposta così tanto all’attenzione generale, neppure subito dopo la nomina a Colonnello.

Improvvisamente si chiese come facesse solitamente Danielle a convivere con tutto quel bailamme inopportuno e soffocante, senza impazzire.

Ma era venuta per ballare e avrebbe ballato fino alle prime luci dell’alba.

 

 

-             Che novità è mai questa! Il conte di Fersen e la contessa di Recamier intervengono insieme a questo ballo! Ma allora è vero quello che si dice su di loro!

-             Ultimamente sono stati visti spesso insieme, a teatro e anche all’opera… sapete, girano voci piuttosto curiose. Lui frequenta assiduamente il salotto di villa Recamier, pare… la contessa non è nuova a frequentazioni con uomini affascinanti e molto chiacchierati, e il conte di Fersen corrisponde alla regola, come vedete.

-             Volete dire marchesa, che sono amanti?

-             Ci sarebbe chi è pronto a giurarlo, ma nessuno lo sa con certezza. Certo che madame Recamier è una donna davvero fortunata: è talmente bella che potrebbe avere tutti gli uomini che desidera. A quanto pare, anche il conte di Fersen subisce il fascino della gemella del colonnello Oscar!

-             Guardate, guardate che eleganza quei guanti! E quell’abito le sta d’incanto, metterebbe in ombra la nostra stessa sovrana. Come la invidio... vorrei avere io una figura simile!

-             Io invidierei Fersen, lo svedese si concede sempre il meglio! Che donna affascinante…

-             Bisogna ammetterlo: sono una coppia magnifica. E la nostra regina? Come prenderà la cosa? Se è vero che è innamorata del nobile svedese non sarà contenta.

-             Oh, non lo so. Forse la storia con la regina non è vera. Però non trovate strano che Oscar non sia qui, stasera? Lei è amica del conte di Fersen oltre che la sorella della contessa…

-             Già, vorrà dire qualcosa…

-             Guardate, arriva Sua Maestà la regina… che magnifico abito; lo avrà messo per far colpo sul conte.

 

Maria Antonietta, elegante come un cigno sull’acqua, accompagnata dalla onnipresente e invadente contessa Di Polignac, avanzava verso il centro della sala per andare a salutare i nuovi arrivati.

Il suo sguardo incontrò quello del conte che allacciò per pochi secondi prima di puntare la sua attenzione sulla dama al suo fianco, scivolata in un grazioso inchino. Salutandolo, porse la mano a Fersen che la baciò con devozione, poi si rivolse a quella che credeva la contessa di Recamier.

“Madame Recamier è un piacere trovarvi qui, questa sera. Credevo di incontrare anche vostra sorella, il colonnello Oscar, ma ultimamente diserta spesso le feste a corte. Spero che non la tenga lontano da me, qualcosa di grave.”

“Vogliate scusarla Maestà; Oscar vi invia i suoi saluti e si scusa per l’assenza; ultimamente è stata poco bene, ma nulla di grave.”

“Capisco. Il conte di Fersen questa sera sarà il vostro cavaliere? Non potevate fare una scelta migliore, contessa. Sarete invidiata da tutte le dame.”

“Non voglio suscitare le invidie di nessuno, Maestà. Molto semplicemente, tramite Oscar, siamo diventati buoni amici… – Oscar allargò il ventaglio e si avvicinò alla regina per parlarle senza che altri cortigiani udissero. – In confidenza, Oscar mi ha chiesto di fare una cosa per Voi; mi ha suggerito di ballare con il conte di Fersen tutta la sera e spero capiate il perché.”

Sul bel volto di Maria Antonietta si dipinse un sorriso mesto.

“Certo, capisco perfettamente. Rassicurate madamigella Oscar che ho apprezzato il consiglio.”

 

Finalmente, si aprirono le danze.

Il conte di Fersen invitò la sua dama a ballare.

Coppia principe e invidiata della festa, scivolarono leggeri e veloci accanto alle altre figure eleganti, disegnando giravolte e promenade sul prezioso pavimento, tra lo sfavillio delle luci dei lampadari di cristallo e la musica dei violini che si diffondeva nel salone.

“Faremo parlare di noi, questa sera, contessa.”

“Credo anch’io: è una cosa a cui sono abituata. Non temete, saprò gestire la situazione.”

Chi non sapeva gestire il confronto con totale serenità era l’altra donna coinvolta, e di questo Oscar aveva un vago timore e un lieve dispiacere, ma non poteva farci nulla.

Maria Antonietta anelava un contatto anche breve ed effimero con l’uomo che amava; incapace di resistere alle pressioni del suo cuore infelice, cedeva senza rimorsi ma con tanto rimpianto alla tentazione di seguirli di sottecchi a ogni passo.

Senza la presenza della regina, davvero Fersen non avrebbe avuto occhi per nessuna, tranne la sua dama, troppo bella e desiderabile quella sera.

Oscar non avrebbe avuto rivali.

Probabilmente nessuno tranne lei notò lo scambio di sguardi intensi oltre che un po’ sofferti tra il conte e la Regina.

Gli occhi tradivano il reciproco desiderio e gridavano apertamente che ciascuno dei due avrebbe voluto essere tra le braccia dell’altro nel giro di un passo di danza.

 

Oscar ne restò impressionata.

Di nuovo avvertì la tenerezza già provata in passato e provò autentica commozione per la delicatezza di un tale sentimento, senza riuscire a capire come questo potesse manifestarsi con tanta purezza.

Mentre guardava Maria Antonietta, negli occhi di Fersen non c’era dissolutezza o malizia consumata.

Per lei, fu come vedere due anime in un uomo, ma quella segreta, quella più intima e vera era riservata solo a colei che amava.

Quando pensava alla regina, per qualche strano mistero Fersen si trasfigurava e i suoi occhi brillavano di una luce diversa; solo allora si scorgeva in lui quella pena sincera, la capacità di soffrire celata normalmente dietro i sorrisi seducenti e maliziosi che esercitava con successo con le altre donne.

La semplice, banale verità era che il conte aveva dato la parte migliore di sé alla regina, un’ intuizione che Oscar sentì il bisogno di toccare con mano. L’altro uomo chi era, allora?

Quello vanesio, infedele che cadeva in relazioni adultere e torbide, quello alla costante ricerca di avventure? Nel piacere della seduzione che inseguiva con ogni mezzo, cosa cercava quell’uomo?

Stavano ballando gli ultimi accordi di un minuetto e spinta da volontà ferrea, Oscar ebbe l’audacia di gettarsi in una conversazione insinuante e pericolosa.

“Vi fa soffrire, non è così?” Chiese quasi a bruciapelo.

“A cosa vi riferite, madame?”

“Essere qui, così vicino a lei e doverle stare lontano. Siete altrove con la mente… mi fate sentire come se fossi trasparente.” Il tono di Oscar era quasi accusatorio.

Fersen sgranò gli occhi, per un breve istante. Poi sorrise un po’ mortificato, cercando di recuperare tutto il suo carisma.

“Perdonatemi contessa, avete ragione di lamentarvi; siete troppo bella e affascinante e non meritate certo un cavaliere distratto. Datemi l’opportunità di dimostravi che posso essere degno di voi, questa sera.”

“Sono sicura che sarà così.”

La musica dei violini si interruppe in quel momento.

Oscar e il conte si defilarono sul fondo della sala, in mezzo agli altri cortigiani. Un cameriere in livrea blu profilata d’argento passò accanto a loro con un vassoio e bicchieri colmi di vino; Fersen ne prese uno e Oscar fece altrettanto. Ne avrebbe avuto bisogno.

“Vorrei chiedervi di essere onesto, conte di Fersen. Prima avete parlato della nostra intesa: come vi aspettate che evolva la serata?”

Oscar sorseggiò brevemente il suo vino, prima di alzare lo sguardo sul conte.

“Nel migliore dei modi, naturalmente. Ma credo che dipenderà in massima parte da voi e da ciò che vi suggerirà il vostro cuore: posso solo sperare che vogliate seguirlo.”

 

Ma prima devo capire cosa vuole, pensò Oscar tra sé.

 

“E voi? State seguendo il vostro? Se amate un'altra donna, e sappiamo entrambi che è così, come fate a stare qui con me? Come fate a non correre da lei, anche in questo momento?” chiese spavalda.

“Siete senza pietà: vi piace tormentare la piaga che mi porto nell’animo.”

“Non è per questo, ma cercate di capire... Mi sto chiedendo che posto ho io nel vostro cuore, Fersen.”

“Un posto speciale, contessa. Ve lo assicuro.”

“Quanto speciale? Sono una delle vostre tante amiche? O potrei essere qualcosa di più? – Fersen la scrutava, ma non le diede una risposta immediata, e lei incalzò con la sua indiscrezione. - Siate sincero: conta il fatto che sono la gemella di madamigella Oscar?”

Quella era la domanda fatidica che le bruciava sulle labbra, motivo principale che l’aveva spinta a inscenare quella farsa.

“Contessa, mentirei se vi dicessi che la cosa mi lascia indifferente: il fatto che siete la gemella di Oscar, esercita una grande attrattiva su di me, è inutile negarlo. Ma questo particolare non sminuisce il vostro fascino.”

“Capisco. Apprezzo davvero la vostra franchezza. – Rispose, soddisfatta per la delusione mancata. – Però non mi posso accontentare del secondo posto… Devo avere l’esclusiva. Vi sembro troppo esigente?”

“Sì, molto. Ma avete ogni diritto di esserlo.”

“Questo è il mio prezzo per questa sera. Quanto siete disposto a pagarlo? Perché vi avverto, non accetterò nulla di meno della verità tra noi…”

“Dunque ponete un prezzo? E sia, lo pagherò per voi, Danielle.”

Fersen aveva risposto senza esitazioni mentre la luce di una violenta eccitazione gli accendeva lo sguardo, un guizzo repentino che a Oscar non sfuggì. Lei pensò fosse un lampo di sfida.

Certamente per Fersen lo era, ma Oscar si ingannava sulla natura di quello scontro: voleva mettere a nudo l’anima del conte, ma non conosceva la strategia né le tattiche provocatorie che lei stessa metteva in campo in quella schermaglia. Camminavano lentamente sul fondo della sala, ogni tanto Oscar puntava lo sguardo tra gli altri invitati presenti fino a trovare seduta sul lato opposto la figura della regina, circondata dalle sue dame di compagnia.

“Questa sera non trattatemi come una dama qualsiasi, né come la sorella del Colonnello Oscar. Io sono Danielle di Recamier...”

“Credetemi, non potreste mai essere una donna qualsiasi. Questa sera più che mai mi apparite sorprendentemente diversa, audace oserei dire; devo ammettere che mi cogliete un po’ di sorpresa, e la cosa mi piace. Siete una donna da scoprire un po’ alla volta, Danielle... Sarà entusiasmante farlo, se me lo permetterete.”

 

Ballarono ancora a lungo travolti dalla musica, infiammati dal vino frizzante, presi dall’allegria della festa.

Erano passate oltre due ore; la sala era piena di gente accaldata, uomini con i parrucchini incipriati appiccicati sulla testa e dame sudaticce sotto i corsetti troppo stretti.

Qualcuna sveniva e doveva essere portata nelle sale attigue per allentare i lacci del busto, prendere aria presso una finestra aperta e rianimata con i sali. Oscar iniziava ad avvertire un senso di soffocamento. Per combattere la nausea che sembrava assalirla, agitava il ventaglio con le piume che ondeggiavano vistosamente.

Sperava di non svenire come una donnicciola qualsiasi, sarebbe stato davvero troppo, e maledì Danielle che non aveva voluto farle allargare il bustino.

“L’aria qui dentro sta diventando irrespirabile. Vogliamo uscire sul balcone? C’è una luna splendida…”

Lo invitò lei, e Fersen acconsentì prontamente, interpretando quella richiesta come un abboccamento e si allontanarono sotto gli sguardi curiosi di dame e gentiluomini.

L’aria dell’esterno era piacevolmente fresca e Oscar sentì tornare l’ossigeno nei polmoni mentre la luce lunare creava una strana misteriosa atmosfera attorno a loro.

E Oscar sottovalutò un elemento che la vera Danielle non avrebbe trascurato. Il conte si sentiva travolto da un forte senso di aspettativa: l’ eccitazione cresceva in lui col passare del tempo e lo faceva sentire euforico e spavaldo.

La strana disinvolta malizia della contessa lo intrigava.

Non si sarebbe aspettato un risvolto di quel genere, ma lo trovava sorprendente oltre che travolgente.

“Sotto questa luce siete ancora più splendida, contessa… Una dea della notte, misteriosa e affascinante.”

La musica ovattata dei violini proveniente dall’interno faceva da sottofondo al palcoscenico della notte.

Contro le luci provenienti dalle grandi finestre si vedevano le sagome di alcune coppie che ballavano.

Fersen fissava la contessa con ardore, mentre lei, inquieta e ignara dei suoi pensieri, si appoggiava alla balaustra di marmo. Erano soli e lei riprese a parlare, sicura che nessuno li avrebbe sentiti.

“Cosa sarei per voi? Una consolazione per poche ore soltanto? O potrei essere qualcosa di più, la libertà da un amore che vi tiene prigioniero? Ci avete mai pensato?”

“Mi state chiedendo se potrei innamorarmi di voi?”

“Anche, sì. Avete mai provato? Potreste amare un’ altra donna in futuro?”

“Volete la verità?”

“Assolutamente conte. Abbiamo fatto un patto, ricordate?”

“Avete ragione. Ebbene, l’unica cosa reale è che il mio cuore non sarà mai di nessuna che non sia lei. Le altre donne sono avventure, l’oblio dei sensi in cui addormento per un momento la mia pena e la mia solitudine.”

“E Oscar? Lei cosa potrebbe essere?” chiese con un poco di timore.

“È davvero strano che mi chiediate di lei, ma a voi posso dirlo. Vostra sorella è il mio migliore amico…”

Migliore amico? – chiese, avvertendo una punta di delusione inaspettata. - Non sarà mai nient’altro che questo?”

“Lo trovate così strano? Chissà, con voi potrebbe anche essere diverso… potrebbe esistere un sentimento…”

Fersen le prese la mano appoggiata alla balaustra e la baciò dolcemente.

“Che genere di sentimento?” domandò Oscar, corrugando la fronte, mentre rifletteva tra sé sull’ultima affermazione del conte, e il suo cuore si rassegnava dolcemente e senza troppi scossoni a una strana amarezza che piano piano la invadeva.

“La complicità che esiste tra spiriti affini… col tempo una tale sintonia potrebbe anche diventare amore profondo…”

Fersen continuava trattenere la sua mano baciandola e intanto risaliva lungo il braccio foderato dal guanto. Oscar ringraziava il cielo che tra la sua pelle e le labbra di Fersen ci fosse il raso a proteggerla da un fremito confuso e pericoloso.

“Credete davvero in quello che dite? – chiese un po’ incerta. - Mi chiedo se si possa amare ed essere infedeli al proprio amore…”

“Questa è un’ ingenuità che potrei aspettarmi da Oscar, ma voi dovreste comprendermi: non siete poi tanto diversa da me.”

“Cosa? – Lei si bloccò di colpo, incrociando i suoi occhi ardenti che la fissavano. - Volete dire che io…”

“Ammettetelo contessa… - Fersen le si fece pericolosamente vicino, le sfiorò una guancia con la mano giocando con un ricciolo dei suoi capelli; le labbra bisbigliavano vicino al suo orecchio, e Oscar suo malgrado, percepì il profondo turbamento di una tale vicinanza. – Anche voi cercate l’oblio. Anche voi cercate di dimenticare la vostra solitudine nelle braccia dei vostri amanti. L’ho capito appena vi ho vista, sapete… Conosco la vostra inquietudine, è come se in voi ci fosse un terribile desiderio cui anelate, ma che non potete soddisfare. Ma la cosa più straordinaria è che siete così simile a vostra sorella! Un fuoco inestinguibile brucia nei vostri occhi limpidi come acqua sorgente: è la passione da cui siete dominata, come Oscar è animata dal fuoco della battaglia… non sapete quanto questo particolare ecciti la mia fantasia…”

Oscar si sentì quasi stordita dalle parole. Si accorse di tremare.

Tentò di recuperare un minimo di lucidità mentre avvertiva le mani del conte che la trattenevano per la vita stingendola contro il suo petto e la sua voce calda e morbida attraversava le nebbie della sua mente.

“Cosa state dicendo? Non capisco… Oscar… una fantasia?”

“Verità per verità, allora vi dirò tutto. Sono sicuro che nessun altro uomo vi ha mai confessato ciò che sto per dirvi io. Sì, voi scatenate i miei sogni più perversi e proibiti. Siete la mia fantasia più folle e impossibile. Lasciatevi andare Danielle! Lasciatevi amare come vorrei. Non sapete quante volte ho immaginato di fare l’amore con voi, di spogliarvi piano, sciogliere tra le mie dita i vostri capelli biondi per trovare alla fine la pelle di un'altra donna tra le mie braccia. Due donne in una sola! Voi come Oscar!! Oh, Danielle, mi fate impazzire!”

Troppo sbalordita per una qualsiasi reazione, Oscar non trovò la forza di ribattere o protestare per l’indignazione, e Fersen proseguì quell’incredibile confessione travolto dal suo stesso impeto, osando troppo.

“Chissà quanti dei vostri amanti hanno avuto il mio stesso pensiero. Sembrate sorpresa, ma siete troppo intelligente e arguta per non averci pensato!”

Fersen stringeva sempre più mentre Oscar si puntellava sconcertata contro il suo petto per tentare di liberarsi da quella presa che la stava soffocando.

Le girava la testa come se fosse preda dei fumi dell’alcool. Era davvero ubriaca, ma non per colpa del vino.

Guardava Fersen, i suoi occhi sfrontati, e le pareva di non riconoscerlo, mentre intuiva che per quanto fosse grottesca e assurda, quella era la realtà di cui la vera Danielle non si sarebbe sorpresa né scandalizzata.

E Oscar ripensò alle parole della sorella in quella notte furibonda nella sua stanza.

 

- Io sono la fantasia, la trasgressione… attraverso me, gli uomini cercano te…

 

Semplicemente Danielle era sempre stata consapevole di questo.

Forse ci aveva giocato. Forse giocava anche ora.

Lei no.

Lei non aveva mai voluto nemmeno pensarci.

E improvviso si affacciò alla sua mente il dubbio insinuante e maligno, eppure stranamente eccitante, che Andrè si sentisse attratto da Danielle per la stessa ragione.

Il pensiero esplose nella sua mente come un boato, come una luce accecante che ferisce il buio e svela impietosa recessi nascosti, angoli segreti sconosciuti, definisce oggetti e forme prima confuse, sottolinea i contorni invisibili.

Fu quasi altrettanto improvvisa la sensazione di fastidio più simile a disgusto quando avvertì le labbra umide del conte premere le sue e tentare di schiuderle.

Si sentiva debole e provò ad arrendersi pensando a tutte le volte che lo aveva desiderato, a quanto avesse sognato quel bacio.

A come lo avesse sempre immaginato.

 

Caldo, morbido. Avvolgente, conturbante. Travolgente.

 

Ma c’era qualcosa che non andava.

 

Era l’emozione che non c’era.

 

E lei non riusciva a sciogliersi in quell’abbraccio spasmodico.

Lei non sentiva niente tranne una profonda delusione.

Fersen la baciava e lei non sentiva altro che l’aria fredda della notte sulle spalle nude e non era un brivido di piacere.

Si divincolò con impeto e bruscamente girò il volto per sottrarsi al bacio. Con forza, posò le mani sulle braccia di Fersen per allontanarlo da sé.

“Lasciatemi, Fersen! Vi prego…” Il tono era stato perentorio. Quasi brusco.

Fece un passo indietro, emettendo un sospiro silenzioso, una mano posata sotto il seno.

Il conte era di fronte a lei e la guardava. E non capiva.

Era ammutolito, amareggiato e si chiedeva quale tremendo errore avesse commesso.

“Contessa… io credevo…” iniziò esitante.

Aveva perso molta baldanza.

Oscar stava cercando la cosa più giusta da dire e nonostante il disagio, si rese conto che proprio la verità nuda e cruda sarebbe stata la soluzione perfetta al caso.

“Perdonatemi, Fersen… così non posso. Non ce la faccio. Non voglio ridurmi a una fantasia. Neppure per voi. Scusatemi se ve l’ho fatto credere. Voi avete ragione su me e su Oscar, ma io ho giocato d’azzardo e ho perso contro me stessa…”

Oscar sollevò l’orlo delle gonne per allontanarsi e tornare nel salone; voleva abbandonare la festa, ma il conte la fermò.

“Vi prego, contessa… la colpa è solo mia. Sono stato molto presuntuoso e indelicato. Vi ho promesso che avremmo danzato insieme tutta la sera… vorrei mantenere la promessa… non andatevene così, io vorrei restare vostro amico.”

“Pensate che potremmo esserlo, dopo stasera?” domandò senza riuscire a camuffare il disinganno.

“Perché mai non dovremmo?” Obiettò Fersen che tentò di salvare il salvabile.

 

In effetti non potremmo essere altro, ora lo so, pensò Oscar, prima di tornare nel salone tra gli altri invitati.

 

 

§§§§§§§

 

 

 

 

Era trascorsa oltre un’ ora dalla loro partenza. Dovevano essere arrivati a Versailles da tempo.

La notte era ormai scesa su tutta la casa. Mio marito si era già ritirato nelle sue stanze e durante la cena mi era sembrato taciturno e stranamente cupo.

Lisette dopo l’incontro di quel pomeriggio nel parco, non si era fatta vedere neppure a cena, adducendo una violenta quanto improvvisa emicrania che l’aveva costretta a letto.

 

Avevo abbandonato la mia stanza di soppiatto, e nei panni di Oscar, mi ero spostata in quella riservata a lei per attendere il momento favorevole in cui avrei attuato il mio proposito senza destare sospetti, soprattutto in André.

Cercavo di mantenere la calma, ma sentivo l’ansia bloccarmi lo stomaco e corrermi sulla pelle come un brivido, mentre il tumulto del cuore mi scoppiava nelle orecchie.

Ero davanti alla porta che mi separava da André.

I corridoi di palazzo erano quasi avvolti nel buio; solo le luci di poche candele consumate poste in alto sulle pareti, creavano punti di luce in angoli estremi della casa.

Rimasi lì davanti, col cuore in tumulto per minuti interminabili, prima di trovare il coraggio di posare la mano sulla maniglia per entrare, che cedette subito sotto la pressione.

Finalmente varcai la soglia e mi investì una velata semioscurità rischiarata dalla luce tenue di una candela posta in un angolo. André non stava dormendo; era in piedi davanti alla finestra e guardava la luna che rischiarava a sprazzi le nubi che correvano nel cielo scuro.

Mi parve immobile come una statua di marmo e il mio cuore fu preda di una scossa di curiosa eccitazione mentre lo osservavo. Sembrava che mi stesse aspettando, ma sapevo che non poteva essere così. Anche lui era preda di qualcosa quella notte. Chissà quali pensieri lo tenevano sveglio.

Girò il volto e quando mi distinse nella penombra della camera, sembrò ridestarsi da sé stesso.

“Oscar? Cosa c’è? – Proruppe sorpreso. - Hai bisogno di qualcosa? Non ti senti bene?”

Avanzai verso di lui.

“Non riuscivo a dormire, André. Avevo bisogno di parlare con te.”

Forse la mia voce tradì una velata agitazione che lui colse immediatamente e che fraintese.

“Stai pensando a Danielle e al conte di Fersen, non è vero? Ti stai pentendo di non essere andata a quel ballo.” Allora si mosse dalla finestra per avvicinarsi a me.

“No, André. Sono contenta di non esserci andata, altrimenti adesso…”

Lui si mosse ancora di lato per andare a frugare in un cassetto.

“Accendo un'altra candela, è meglio.”

“No, non farlo. Non serve. Ho solo bisogno di stare qui con te…”

Lo bloccai sfiorandogli un braccio e lui si girò di nuovo a guardarmi, raddrizzandosi lentamente. Alla luce della candela leggevo una vaga perplessità nei suoi occhi che mi sembravano ancora più affascinanti e tenebrosi sotto il fuoco ballerino della fiammella. Un brivido insinuante come un soffio di vento caldo mi percorse la schiena.

Improvvisamente prese a scrutarmi in modo diverso come se fosse attraversato da un dubbio.

“Oscar, cosa sei venuta a fare in camera mia? Come mai non riesci a dormire?”

“Ecco, io… non faccio altro che pensare a te, André… a te e a Danielle. So che la desideri e io mi chiedo se puoi desiderare me nello stesso modo… ti prego, ho bisogno di saperlo.”

“Oh, Dio Oscar! Ma che domanda è? - Era sbalordito e forse per un momento lessi paura in fondo ai suoi occhi.  – No… tu non stai parlando sul serio…”

“Sono serissima, André, tanto da essere venuta fin qui in piena notte, senza badare alle conseguenze.”

Mi guardò fisso per un lungo istante; la luce lo illuminava solo in parte e le ombre sul suo volto gli conferivano l’espressione più enigmatica che gli avessi mai visto.

“Cosa stai cercando di fare? Vuoi competere con tua sorella, è per questo?”

Sentivo che era vulnerabile e dovevo osare adesso, se volevo che cedesse.

Mi avvicinai a lui così tanto da far quasi aderire i nostri corpi, sentivo il suo respiro caldo sul mio viso. Mi guardava e aveva il fuoco negli occhi, un fuoco ardente che stava cercando di dominare con tutte le sue forze.

Mi desiderava come avrebbe desiderato Oscar, come forse non avrebbe mai desiderato me; era un inganno, ma era il solo modo di aggirare le difese del suo cuore.

“Non si tratta di competere André, si tratta di amare… – dissi con impeto. - Danielle forse ti ama, è vero, ma per me tu sei troppo importante. Negli ultimi tempi ho capito tante cose che riguardano noi due. Ho capito cosa siamo veramente, cosa ci lega davvero. Lo vedo anche ora nel tuo sguardo; gli occhi non mentono André. Si può mentire con le parole, ma non con gli occhi.”

Era vero più di quanto immaginassi in quel momento.

“Dimmelo tu, Oscar, cosa ci lega davvero. Voglio sentirlo dire da te; sembri così sicura…” sussurrò deciso e la sua voce bassa mi spiazzò per un attimo. Ma ero determinata a giocare a carte scoperte.

“Tu mi ami, non è vero André? – Mi avvicinai ancora di più a lui, che sembrava trattenere il respiro. - Ora so cosa provo per te. Per quanto tu possa desiderare Danielle, non puoi amarla nello stesso modo… perché io e te siamo legati a filo doppio. Ora lo so…”

Faceva molto male ammetterlo, un dolore vero che inevitabilmente trasparì dal mio sguardo e per questo André forse percepì l’inganno. Finse di cascarci.

Posai le mie mani sul suo petto e risalii ad accarezzargli il viso e sentii sotto le dita la leggera peluria delle sue guance.

André chiuse gli occhi assaporando quel nostro contatto, sospirando forte.

Poi le sue mani grandi e forti corsero a prendere le mie per stringerle e accarezzarle. Il mio cuore batteva come un tamburo e sentivo la gioia scoppiarmi dentro. E lui parve arrendersi all’emozione che lo travolgeva, che gli faceva tremare la voce.

“Dio, Oscar… quanto ho sognato un momento del genere… quanto l’ho desiderato tu non ne hai idea. E ora sei qui, tra le mie braccia a confessarmi il tuo amore…”

Continuava ad accarezzare le mie mani con le dita lunghe, a baciarne i palmi con delicatezza e trasporto simile a sofferenza; invocava il mio nome falso mentre io tremavo, mentre speravo di godere delle sue labbra con le mie.

“Sì, André… sono qui e voglio amarti ed essere amata… non mandarmi via, ti prego…”

Mi strinsi a lui e lo abbracciai forte e lo sentii ricambiare l’abbraccio con lo stesso impeto, mentre le sue labbra mi procuravano un brivido sulla pelle del collo, prima di trovare la mia bocca.

E fu delirio dolce che mi prese.

E mi saziai di lui, e lui di me, in un bacio che sapeva di febbre e passione, di sete e fame d’amore.

Lo sentii spingermi dolcemente verso il letto e tra le lenzuola mi ritrovai sottomessa al suo corpo, al suo impeto virile, alle sue mani che accarezzavano il mio viso e correvano proprio dove io volevo, alla sua bocca che con tenera insistenza cercava la mia e la faceva sua. Sentivo il suo desiderio prepotente e trattenuto e sentivo il mio spasimo, il profumo e il sapore un po’ acido delle sue pelle che stordiva e accendeva la mia voglia. Era qualcosa di meraviglioso.

Era la perfetta felicità averlo lì, addosso a me, e sentire i nostri corpi frustrati dalle vesti, fremere insieme. Volevo fare l’amore con lui e cercavo di superare i suoi vestiti; le mie mani percorsero i muscoli tesi della sua schiena, infilandosi sotto il tessuto un po’ ruvido della sua camicia.

Sembrava tutto perfetto.

La nostra reciproca brama, uguale e travolgente.

 

Pensai di aver vinto.

 

Poi André smise di baciarmi e accostò la sua fronte alla mia.

Il suo respiro era affannoso quanto il mio, lo sguardo carico di oscuro e animale desiderio, una calamita che mi tratteneva a lui. Non parlò per alcuni secondi, limitandosi a fissarmi intensamente. Poi, lentamente sembrò rilassarsi e la luce del suo sguardo farsi più limpida.

Io lo baciai ancora, dolcemente, ma avvertivo qualcosa di diverso, quasi la tensione erotica stesse scemando via da noi.

Ebbi paura, finché André non parlò in un sussurro sommesso sulle mie labbra.

“Oh, questo è un sogno meraviglioso, dovrei ringraziarti; è così facile lasciarsi trasportare da una dolce illusione, andare alla deriva e approfittare di un regalo insperato che cancella per un attimo la pena che portiamo in cuore… sarebbe ancor più perfetto se fosse reale…”

“Oh, André, ma…”

Lui continuava a fissarmi con una strana dolcezza che non comprendevo.

“Sarebbe così semplice fingere, immaginare che è tutto vero e abbandonarsi al bisogno d’amore. Per un attimo ho voluto concedermi un sogno impossibile… l’illusione è così perfetta… Ma tu non sei lei. E io non posso approfittare di questo… Proprio non posso, Danielle.”

 

Quando sentii il mio nome, nell’immediato non seppi reagire.

Rimasi bloccata; non un’obbiezione, nessun tentativo di negare mi venne, lì per lì.

André mi guardava ormai consapevole di chi fossi in realtà, e io restavo in silenzio con la bocca spalancata e gli occhi sgranati su di lui.

Sembrava rammaricato e non compresi subito il reale motivo; quella notte non eravamo gli unici in gioco, lo sapeva anche lui.

Aveva parlato con assoluta pacatezza, non voleva umiliarmi o deridermi e di questo gli fui grata.

Tentai allora di riavermi dalla sorpresa e di difendermi per cercare di negare la realtà.

Un tentativo disperato. E mi chiesi come fosse successo. Dove mi ero tradita? In che modo?

Non riuscivo a capire. Pensai che potesse essere un azzardo e tentai di confutare le sue certezze, ben sapendo che sarebbe stato come arrampicarsi sugli specchi.

“Tu credi che io sia Danielle? Oh, ma è assurdo! Cosa te lo fa credere?”

Andrè sorrise calmo, come se si preparasse a spiegare la lezione a un bambino un po’ cocciuto. E dalla sua espressione compresi che la vergogna sarebbe piombata su di me come un macigno.

“C’è stato un momento in cui il tuo sguardo ti ha tradito; c’era qualcosa nei tuoi occhi che non riconoscevo, una luce che in Oscar non ho mai visto. Ma non potevo esserne sicuro… Poi mi hai toccato e allora, non ho più avuto dubbi…”

“Cosa??!!”

“Le tue mani Danielle sono troppo morbide e curate. Sono le mani di una donna che non ha mai impugnato una spada o qualsiasi altra arma. - A quel punto André prese con dolcezza la mia mano destra, aprì il palmo e con l’indice ne seguì le linee. - In questo punto centrale la mano di Oscar è indurita dagli allenamenti, dall’impugnatura della spada… la tua invece è morbida, la pelle è delicata e fragile. È un piccolo, banale dettaglio che non hai calcolato quando hai attuato il tuo gioco, vero?”

Non seppi più cosa rispondere, ormai completamente smascherata.

Mi sentii piccola e vagamente stupida.

Avrei voluto alzarmi dal letto e fuggire via, ma il peso della vergogna e i suoi occhi sinceri mi inchiodavano lì. Stavo per mettermi a piangere e cercai di ricacciare indietro le lacrime.

André si accorse del mio disagio e tentò di consolarmi.

Ma a me non restava che la disperazione che ti fa gridare anche la verità più scomoda.

“Danielle, ascoltami…”

“Andrè, io potrei essere lei, e potrei amarti sul serio…” tentai, mentre una lacrima inopportuna iniziava a scendere lungo le mie guance.

“No Danielle. Una rosa non può essere un lillà.”

“Potrei essere disposta a tutto, André… anche a trasformarmi in un lillà…”

“Pensaci bene, è davvero questo che vuoi? Un surrogato, un’ illusione d’amore… essere amata come la copia di qualcun altro? Inganneresti te stessa. Inganneremmo entrambi, Danielle. Io fingerei di avere Oscar, a quale scopo? Sarebbe una menzogna ancor più dolorosa. Devi pretendere di essere amata per la donna unica che sei, non la gemella sbagliata di qualcun altro.”

Andrè aveva parlato col cuore in mano, lo avevo sentito.

Era stato sincero e io sapevo che aveva ragione. Ma il dolore del rifiuto ormai opprimeva il mio cuore che esplose incontrollato.

Lui si allontanò dal mio corpo e io mi alzai a sedere sul letto, sconvolta e triste come non mai.

Mi nascosi il viso tra le mani cercando di frenare i singhiozzi. Mi rassegnai alla sconfitta, col timore folle di aver ormai scatenato la delusione più amara che ci avrebbe irrimediabilmente divisi.

“Scusami, André… perdonami ti prego! Io non volevo ingannarti, né prenderti in giro o sostituirmi ad Oscar. Ho sbagliato, lo so, ma volevo solo il tuo amore ed ero disposta a tutto pur di averlo… lo sono ancora. Io ti amo davvero, mi devi credere. Non posso fare a meno di sentire tutto questo per te.”

André seduto di fianco a me, prese le mani per allontanarle dal mio viso.

“Per amore si fanno davvero le più grandi pazzie… così tu sei rimasta qui, mentre Oscar è andata al ballo con Fersen… - parve riflettere per un istante, quindi una scintilla brillò nel suo sguardo. – Per quanto possa capire questa tua follia, mi delude il fatto che per venire qui a sedurmi, hai spinto lei tra le braccia di quell’uomo. Immagino che sia stato molto facile per te… - La sentii chiara quella nota profonda e dolente nella sua voce, mista a una punta di rabbia appena trattenuta. - Non dovevi farlo, Danielle. Questo è peggio di tutto! Anche dell’inganno!”

Esclamò con autentico sconforto e fu quello che mi ferì più di tutto; non potevo sopportare l’accusa implicita che mi stava rivolgendo e il disprezzo che poteva derivarne mi sconvolse.

“Oh, no, ti prego!! Non credere questo, non è stata un’ idea mia, André. È stata Oscar a propormelo! Lei ha voluto fare lo scambio; è stata molto decisa fin dall’inizio.”

Nient’altro che una mezza verità.

“Come può essere? Lo ama dunque a tal punto!”

Esclamò Andrè con sgomento, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e mettendosi le mani nei capelli corvini come se fosse oppresso da un peso.

Lo sentii imprecare. Quindi tornò a fissarmi serio.

“L’altro giorno nelle scuderie, subito dopo la vostra cavalcata… era Oscar quella vestita da amazzone, vero?”

Mi sembrò inutile negare; ormai André aveva capito tutto. Non avevamo più maschere per lui.

All’improvviso abbandonò il letto e fu in piedi di fronte a me.

“È meglio che tu vada via, ora. Io devo prepararmi ad accogliere la contessa che torna dal ballo…” disse con una voce che mi parve piena di risentimento. Un brivido inquietante mi attraversò.

Non ebbi il coraggio di chiedergli cosa volesse fare.

Sapevo solo che il gioco era appena cominciato e troppe mosse erano già state scoperte e io non ero più in grado di prevedere niente.

In realtà, non avevo mai avuto il controllo su nulla e nessuno.

Tutto da qui in avanti sarebbe stato più complicato.

 

 

 

Continua…

 

 

 

 

 

   
 
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