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Autore: Griph    09/05/2012    2 recensioni
Questa piccola long non è altro che il sequel della one-shot "E' così sbagliato desiderarti ancora?".
- Dillo. Dillo, Granger. Per me -.
- Già lo sai, Malfoy -.
- Voglio sentirtelo dire -.
Lo fece aspettare qualche secondo, poi cedette. - Fai l'amore con me -.
La guardò dritto negli occhi, si fece guardare dritto negli occhi. - Devi dirlo come quella volta, Mezzosangue -.
Lei parlò, senza esitare. Tutto pur di riaverlo con sé. - Fallo, Malfoy. Fai di nuovo l'amore con me -.
La baciò.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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II capitolo
M i   s a r à   s u f f i c i e n t e   c h e   i n   u n   a n g o l o   d e l   m i o   m o n d o   c i   s i a   t u


Capitolo II

Si svegliò di soprassalto, ancora reduce da quel sogno che l'aveva scossa talmente tanto da svegliarla.
Era così reale che le sembrava di trovarsi realmente lì, mentre era tutto soltanto frutto della sua mente.
Guardò l'orologio. Le cinque del mattino.
Maledizione. Cosa faccio, adesso?
Prese la bacchetta dal comodino e la portò all'interno delle tende completamente tirate del letto a baldacchino.
- Lumos -. La luce accecante che apparì dalla punta della bacchetta le causò un leggero dolore agli occhi e ci mise qualche secondo prima di abituarsi. Quando si rese conto di riuscirli a tenere aperti senza alcun tipo di problema, scostò una tenda e uscì il braccio per illuminare la stanza. Fuori era ancora buio e nella sua stanza, così come in tutto il Dormitorio, regnava il più assoluto silenzio.
E' normale. Non sono tutti così stupidi d'alzarsi alle cinque del mattino come me.
Nonostante la pozione che Madama Chips le aveva dato, la mano le faceva ancora male e la contusione non sarebbe passata prima di dodici ore, almeno. Pulsava ancora sotto la fasciatura, ma non pensarci forse sarebbe stato meglio.
Rimanere a letto era completamente inutile. Provare a riaddormentarsi l'avrebbe soltanto innervosita, non ci sarebbe riuscita e sarebbe finita lo stesso per alzarsi. Quindi, perché non farlo ora?
Mise i piedi a terra e un brivido di freddo la percorse tutta, però non ci fece caso e scese dal letto dirigendosi verso l'armadio, dal quale tirò fuori una felpa e un jeans. Niente di più pratico, niente di più comodo.
Una volta indossati, si diresse verso la porta e scese in Sala Comune, che, com'era normale che fosse a quell'ora, era vuota.
Si sedette nella poltrona preferita di Harry, quella vicino al camino, che era perennemente acceso. Non aveva portato nessun libro con sé e, nel caso in cui non avesse preferito parlare da sola con i soprammobili, ne sarebbe dovuta andare a prendere uno. Quindi si alzò, ma non appena arrivò alle scale si fermò. Più che leggere, avrebbe preferito camminare.
Uscì dal ritratto, ma fu costretta a fermarsi non appena oltrepassò la soglia di quest'ultimo.
Che ci fai tu qui?
Lo guardò lì a terra, con il volto che poggiava su una spalla, la bocca leggermente aperta, le gambe incrociate.
Perché Malfoy dormiva davanti la sua Sala Comune?
Che faccio, ora?
- Malfoy -. Provò a chiamarlo, anche se non era sicura che con quel piccolo sussurro si sarebbe svegliato. Aveva il sonno dannatamente profondo, quel ragazzo. - Malfoy -. Provò alzando di qualche tono la voce, ma non ottenne nessun risultato.
Gli si avvicinò e si abbassò alla sua altezza. Le sembrava un peccato svegliarlo. Avrebbe potuto sedersi lì, accanto a lui, e guardarlo dormire finché non si fosse svegliato, come aveva fatto tante volte... ma quella, se ne rendeva conto, non era una di quelle volte. Gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla e lo scosse leggermente. - Malfoy. Malfoy, svegliati -. Lentamente aprì gli occhi e s'inumidì le labbra. Una volta resosi conto di dove si trovasse, e che non era solo, si voltò verso Hermione.
- Granger -.
- Che ci fai qui a quest'ora della notte, Malfoy? -.
- Cazzo... -. Si portò una mano al volto, chiudendo gli occhi. - Che ore sono? -.
- Le cinque -. Lo osservò, non sapendo bene se sarebbe dovuta andar via oppure restare lì e capire perché dormiva davanti il ritratto della sua Casa. Lo vide alzarsi e seguì con lo sguardo ogni suo movimento misurato, elegante, nonostante si fosse appena svegliato dopo aver dormito per chissà quanto tempo su un pavimento di pietra duro e freddo.
Rimase fermo ad osservarla. Quei suoi occhi addosso la stavano mettendo un po' a disagio.
- Da quanto sei qui, Malfoy? -. 
- Da un po' -. Aveva la voce impastata dal sonno.
- Da un po' tipo...? -.
- Che hai fatto alla mano? -. Tipico di Malfoy. Cambiare argomento per non rispondere alle domande.
Ma lei non avrebbe ceduto. - Tu rispondi alla mia domanda che io rispondo alla tua -.
Qualche secondo di silenzio, durante il quale si appoggiò, poco distante da lei, con una spalla al muro, incrociando le braccia al petto, poi... - Qualche ora -. Lei annuì. - Ora rispondimi -.
Lo guardò senza sapere se avrebbe dovuto dirgli la verità oppure una bugia.
Optò per la seconda.
- Mi è caduto un libro sulla mano. Un libro... pesante -.
Notò un piccolo sorriso che piano piano si stava facendo strada tra le sue labbra. - Quante volte ti devo dire che non sai mentire, Mezzosangue? -.
Sentirsi chiamare in quel modo la spiazzò e non poco. Non sentiva quel soprannome da... non si ricordava più da quando.
Lui non la chiamava così da tempo, ormai. 
Accasò il colpo e si rese conto che ogni volta che provava a dirgli una bugia era fondamentalmente inutile.
Nel frattempo il sorriso sul suo volto sparì e, per la gioia di Hermione, parlò di nuovo... - Quindi? Che hai combinato? -... Anche se avesse preferito che le rivolgesse una domanda diversa.
O glielo dico di mia spontanea volontà o me lo tira fuori con la forza.
- Ho tirato un pugno contro il muro -.
Malfoy annuì ed Hermione sperò con tutto il cuore che non fosse tanto perspicace da capire che il motivo per cui l'aveva fatto era proprio lui.
- Capisco -. Non aggiunse altro.
Forse perché sapeva.
Le sembrò decisamente insolita quella situazione. Stavano parlando, nel cuore della notte, come se fossero due amici che non si vedevano da parecchio tempo. Stavano parlando come se tra loro non fosse successo niente, o almeno niente d'insolito.
Lei gli stava parlando come se tutto fosse normale, quando non era riuscita quasi a proferire parola quello stesso pomeriggio.
- Adesso puoi rispondere alla mia altra domanda -.
La guardò confuso. - A quale domanda ti riferisci? -.
- Alla prima che ti ho rivolto. Perché eri qui? -.
- Volevo vedere come stavi -. Schietto, come sempre.
Perché doveva essere sempre così sincero? Lui sapeva mentire benissimo. Perché, allora, non le diceva una bugia, di tanto in tanto? Una menzogna non l'avrebbe fatta riflettere tanto quanto una verità.
- Addormentandoti sul pavimento? -.
- Aspettavo che uscissi -. Quella volta fu il suo turno di guardarlo con un'espressione strana stampata sul viso.
Aspettava me?
- Volevo vedere come stavi e a quanto pare ci sei andata, in Infermeria, anche se per un altro motivo -. Indicò la sua mano fasciata con un dito.
- Già, una stupidaggine -.
Continuava a fissarla, imperterrito, e si sentiva talmente a disagio in quel silenzio che era sceso all'improvviso.
Aveva una voglia incredibile di allungare una mano e accarezzargli il volto, ma non si sarebbe sognata mai e poi mai di fare una cosa del genere e utilizzò tutta la forza che aveva in corpo per tenere le mani al loro posto.
Alzò gli occhi su di lui, senza sapere cosa dire.
Perché non parlava? Lui aveva sempre qualcosa da dire. Perché adesso se ne stava in silenzio?
Dì qualcosa, ti prego.
Avrebbe voluto urlarlo ma, purtroppo, non poteva farlo.
Poi fece un passo verso di lei e quello bastò per smuoverla.
- Devo rientrare, adesso -. Indietreggiò quanto bastava per non commettere azioni stupide.
- Non è necessario che rientri così presto -. Lui, nonostante tutto, continuava ad avanzare.
- Invece, sì, devo -. Si voltò e percorse quei pochi passi che la separavano dall'entrata.
Porprio mentre stava aprendo il ritratto sentì un'improvviso calore alla schiena.
Chiuse gli occhi e lottò contro se stessa per non girarsi e stringerlo a sé. - Malfoy... -.
- Resta ancora un po', Granger -.
Quelle poche parole sussurrate nel suo orecchio, quel brivido che le percorse la schiena in tutta la sua lunghezza, il suo respiro sul collo, le sue mani che cercavano quelle di lei.    
"Resta con me". Le stava chiedendo questo?
Poteva sentire il suo profumo fresco, fresco come quello del muschio subito dopo un temporale.
Inebriante.
- Non posso... -. Anche i suoi erano sussurri.
Poggiò la sua fronte sulla sua testa e da quel semplice gesto le parve così indifeso... ma non poteva cedere.
- Sì che puoi -.
Non gli negò nessun movimento e lasciò che le dita di lui s'intrecciassero con le sue.
- No, invece, Malfoy -.
- Perché? -.
Quelle dita carezzevoli che vagavano sulle sue mani erano così delicate che vi si sarebbe abbandonata anche subito.
- Perché ho paura -.
Non si era mosso, niente era cambiato, le sue mani continuavano ad accarezzarla, lui era ancora appoggiato su di lei, il ritmo del suo respiro non era cambiato, ma era sicura che dentro di lui si stava scatenando una tempesta di emozioni.
Rimpianto, rabbia, tristezza, frustrazione... 
- Di me? -.
... Paura...
- Che tu possa abbandonarmi di nuovo -.
... Paura che non l'avrebbe mai più perdonato.
Quella volta non ottenne risposta ed era realmente arrivato il momento di andare via da lì.
Si allontanò da lui. Lentamente, ma lo fece.
Si liberò dalla sua stretta con una dolcezza inaudita. Nessun gesto brusco o veloce.
Niente che potesse turbarlo più di quanto già non fosse.
- Buonanotte, Malfoy -.
Non aspettò neanche una sua risposta.
Pronunciò di nuovo la parola d'ordine e sparì dietro il ritratto.
- Buonanotte, Mezzosangue -.

La sua voglia di fare una passeggiata in piena notte, per i corridoi del castello, era sparita magicamente.
La prima cosa che fece quando tornò in camera fu aprire la finestra. Aveva bisogno d'aria. All'improvviso si sentiva come se tutto l'ossigeno del mondo fosse scomparso.
Si sedette sul letto ed era come se fosse entrata sistematicamente in uno stato di catelessi. Il freddo che entrava dalla finestra non la scomponeva minimamente, anzi le faceva piacere; il rumore della pioggia, che era cominciata nel frattempo a cadere, non la disturbava; il rombo dei tuoi non la facevano spaventare come al solito; la luce dei lampi che illuminavano la stanza non le recavano alcun fastidio.
Cos'è successo prima?
Già, cos'era successo? Non sapeva spiegarselo. Aveva avuto una conversazione con lui, una conversazione lunga o, quanto meno, relativamente lunga.
Quelle mani... quanto le mancavano. Si era dimenticata cosa significasse avere le sue dita intrecciate con le sue, averlo così vicino. Anche se per poco, quel vuoto che sentiva da giorni era sparito, in quei brevi istanti non ce n'era stata traccia. E adesso, invece, era tornato, puntuale come un orologio svizzero.
L'avrebbe voluto lì, accanto a lei, nel letto, che dormiva. In quel modo avrebbe potuto osservarlo quanto voleva, avrebbe potuto accarezzare quel viso tranquillo finché non si sarebbe stancata. Avrebbe osservato il suo petto alzarsi e abbassarsi tranquillamente durante quelle innocenti ore di sonno, i suoi capelli su quella fronte che tante volte aveva spostato per guardare meglio i suoi occhi.
Oh, quegli occhi! Si sarebbe volentieri persa, in quelle iridi grige.
Appoggiò la testa al cuscino e guardò il vuoto accanto a sé, tentando d'immaginarselo di fianco a lei, con un braccia dietro la sua schiena e uno sul suo ventre e con la bocca, - oh, magnifica bocca -, leggermente schiusa.
E con quella gradevole visione si addormentò.

Un rumore estremamente fastidioso veniva dalla fine della stanza, un rumore di nocche battute contro il legno, contro la sua porta di legno.
- Herm! Stai ancora dormendo? -.
Ginny. Qualche volta l'avrebbe strozzata.
Aprì gli occhi e puntò gli occhi sull'anta della finestra che per tutto il resto della notte era rimasta aperta. Nonostante si gelasse in quella stanza, preferì andare, prima di tutto, ad aprire la porta alla sua migliore amica, perché, se non l'avesse fatto, da un momento all'altro l'avrebbe buttata giù a furia di bussare.
- Arrivo, arrivo -. Fece scattare la serratura e finalmente le aprì.
- Alleluia! Ma dov'eri? -. Senza bisogno che venisse invitata, Ginny entrò nella stanza e si fiondò sul letto disfatto. - Dio, si gela qui dentro -. Poi lanciò uno sguardo al letto sul quale si era appena seduta. - Non dirmi che dormivi -.
Hermione chiuse porta e finestra e si girò verso di lei. - Esattamente -.
- Tu non stai bene, è ufficiale -. Incrociò le gambe, incurante del fatto che aveva indosso le scarpe e che lì sopra Hermione ci dormiva.
- Perché ho dormito un po' di più? Devo ricordarti che io vivo per dormire? -. Si diresse verso la scrivania e tirò fuori la sedia, sulla quale si accomodò.
- E' mercoledì, mia piccola Hermione, e tu, il mercoledì, a quest'ora, solitamente sei a Erbologia -.
- Te l'avevo detto, ieri. Oggi le avrei saltate perché avevo una cosa urgente da fare -.
- Sì, ma non mi sembra che ti stia precipitando a farla. Sono le dieci del mattino e sei ancora qui dentro a poltrire sul tuo letto -.
- Veramente tu sei sul mio letto. Io sono su una sedia -.
- Sono dettagli irrilevanti, questi. E' il significato che conta -.
- Tu perché non sei a lezione? -.
- Vitious malato equivale a un'ora di buco. Niente di più bello -. Poi si voltò verso la finestra e la sua espressione, da entusiasta, si tramutò a sconsolata. - Qualora ci fosse un tempo decente, naturale -.
Hemione si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra, sedendosi sul davanzale. Adorava dormire tanto quanto adorava osservare la pioggia e, mentre Ginny parlava di qualcosa che al momento non le interessava, lei si perse nell'osservare le decine di goccioline che sbattevano sul vetro e che lì restavano, unendosi tra di loro e scivolando giù. Poi guardò oltre quel vetro e vide quella fitta pioggia scendeva da dei neri nuvoloni e che se sbatteva sul viso ti procurava un leggero pizzicorio che, per quanto le riguardava, non le dava tanto fastidio come invece succedeva a molta gente.

***

- Vieni a letto, Mezzosangue. Si gela fuori dalle coperte -.
- Due minuti e arrivo, promesso -. Si voltò a guardarlo e sorrise a un Draco Malfoy completamente sotterratto sotto il piumone dell'enorme letto a baldacchino della Stanza delle Necessità.
- Ti piace così tanto? -. Aveva sentito il fruscio delle coperte che venivano spostate e di un paio di boxer che venivano tirati su. Poi, un paio di braccia, da dietro, le circondarono le spalle e potè sentire la fredda pelle del ragazzo dietro di lei attraverso il leggero tessuto della camicia che indossava e che apparteneva proprio a quest'ultimo.
Aprì leggermente la finestra, lasciando un piccolo spiraglio aperto.
- Chiudi gli occhi e ascolta -.
- Cosa? -.
- Fallo, su -.
Malfoy chiuse gli occhi come le aveva detto e restò in ascolto. - E adesso? -.
- Shh, ascolta -.
Nessuno dei due parlò per qualche secondo.
- Mezzosangue? -.
Quel sussurro la fece sorridere. - Ti aiuta a pensare, ti rilassa quando ne hai bisogno. Basta che chiudi gli occhi e il gioco è fatto -. Lui nel frattempo gli occhi li aveva riaperti e la stava osservando. Aveva gli occhi chiusi, la testa leggermente piegata verso destra e un mezzo sorriso sulle labbra. Lei, intanto, continuò a parlare. - Ascolti quest'acqua che sbatte contro il suolo, contro il vetro, contro l'acqua stessa delle pozzanghere, e riesce a fermarti senza che tu riesca a opporti. Ti coinvolge completamente -. Gli piaceva osservarla quando parlava di quello che le piaceva. Era completamente assorta come quando parlava dei libri e cercava di spiegargli il motivo per cui riusciva a leggere per ore e ore senza riuscire a fermarsi. A lui piaceva leggere, ma lei era di un altro mondo. Per lei, i libri, erano la sua Bibbia, ognuno importante a suo modo, ognuno assolutamente intoccabile.
Era bellissima quando voleva renderlo partecipe delle sue passioni.
Era bellissima, in quel momento.
- Adesso hai capito perché mi piace così tanto? -. Aveva aperto gli occhi, mostrandogli le sue iridi color miele, dolci e profonde, che ti tentavano proprio come quel dolce lussurioso.
- Oh, sì. Ho capito perfettamente -.
- Davvero? -. Sorrise, radiosa.
- Puoi scommetteci -. Le sorrise di rimando.
Aveva davvero capito.
Aveva capito che lei era bellissima e che lui, senza di lei, era soltanto un corpo vuoto senz'anima e che questa la stava tenendo proprio tra le sue braccia.
La sua ancora di salvezza in un mare sconosciuto.

***

Ginny la riscosse dai suoi pensieri. - Ehi, Herm, mi stai ascoltando? -.
Si voltò a guardarla. - Come? -.
- Mi stai ascoltando? -.
- Oh, assolutamente -. Provò a sorrdierle, ma probabilmente quello che era venuto fuori era più simile a una smorfia che a un sorriso.
Lei parve lasciar perdere e le si avvicinò.
- E' passato un mese, lo capisci, vero? -.
La sua espressione cambiò di colpo e, per non guardarla negli occhi, si rivolse di nuovo verso la finestra. - Sì, lo so -. Non riuscì a capire se quell'affermazione era in risposta alla domanda di Ginny o era più rivolta a se stessa.
Ginny era l'unica che sapeva di quella cosa insieme a Blaise Zabini.
Lei e Draco ne avevano parlato, una sera. Entrambi i loro migliori amici li conoscevano fin troppo bene per non riuscire a capire che c'era qualcosa sotto i loro strani comportamenti e, nel caso in cui lo avessero scoperto, cosa che sarebbe successa, non se la sentivano di mentirgli. Quindi glielo dissero, raccomandandogli di tenere la bocca chiusa.
Erano persone affidabili, loro due, e sapevano che potevano contare su di loro. Come sempre, del resto.
- Ti manca? -.
Si limitò ad annuire. Se avesse parlato non sapeva cosa sarebbe successo.
Una cosa che adorava? I momenti come quelli, quando era tra le braccia della sua migliore amica che la consolava. Quale Dio doveva ringraziare per averle mandato un angelo del genere?
Una lacrima le scese lungo la guancia e si affrettò ad asciugarla prima che Ginny la vedesse. Non stava poi così male, c'erano stati momenti che era stata peggio, e non voleva che si preoccupasse inutilmente.
Quando si staccarono, Ginny lanciò un urlo che la fece saltare letteralmente sul posto.
- Sono le dieci meno un quarto! Devo sbrigarmi! -.
- Che lezione hai? -.
- Divinazione, ed è dall'altro lato del castello! -. Le diede un bacio veloce e le scompigliò i riccioli ribelli. - Devo scappare, Herm! - si fermò davanti la porta e si girò a guardarla, con un dolce sorriso stampato in volto - mi raccomando, non pensarci. Non farmi stare in pensiero! - e uscì di corsa dalla stanza.
Si guardò intorno e tirò un profondo respiro. Era rimasta sola, di nuovo.
Si alzò da lì e si diresse verso lo scrittoio per rimettere a posto la sedia, quando notò qualcosa sul ripiano.
Era una busta.
Se la rigirò tra le mani, non c'era scritto niente né davanti né dietro. Così l'aprì.
Impossibile! Impossibile...
Non era possibile, non poteva crederci.
Dentro quella busta c'era... c'era...
... La mia foto.
E quando era potuta arrivare? Nessuno era entrato lì dentro, non almeno nelle ultime... cinque, sei ore.
Nessuno che...
Aspetta. La finestra!
Un gufo, magari? Era l'unica spiegazione.
Ma chi poteva essere stato?
La guardò attentamente, cercando qualche segno, qualcosa che potesse suggerirle la verità.
Era pulita.
Era rimasta intoccata.
Il cuore le batteva freneticamente. Non sapeva perché. Forse perché l'aveva ritrovata, forse perché voleva sapere chi l'aveva presa, forse perché non sopportava il fatto che qualcuno l'avesse potuta vedere.
Aveva bisogno di camminare e quella volta doveva stare attenta a non incontrare nessuno.
S'infilò la foto in tasca e, con gli abiti di quella notte, oltrepassò di nuovo il buco del ritratto, come qualche ora prima.
Si assicurò che i corridoi fossero vuoti e uscì fuori dal grande portone d'ingresso.
Il freddo pungente d'inzio marzo la colpì in pieno viso, ma non se ne curò. Prese a camminare sotto i portici che circondavano il cortile davanti l'entrata e nell'ultimo si fermò, appoggiandosi con i gomiti al muretto che univa le due colonne.
Si guardò le mani nel mentre che tentava di capire qualcosa in tutta quella strana situazione. Era sicura che quando si era svegliata, alle cinque di quella mattina, non c'era niente sulla scrivania. L'avrebbe notata, sicuramente.
Si rese conto che la mano non le faceva più male e ne dedusse che ormai era tutto a posto. Slegò, quindi, la fasciatura e, una volta che l'ebbe completamente tolta, allungò la mano fuori dal portico e con la bacchetta la fece evanscere. Quando la rientrò era leggermente bagnata e un'idea folle le balenò in testa.
Si sarebbe presa un malanno, ma questo le importava poco, al momento.
Scavalcò il muretto e subito la pioggia le cominciò a bagnare i capelli, la felpa, il viso. Tutto.
Si mise al centro del cortile, alzò il volto verso il cielo, chiuse gli occhi e aprì le braccia.
Era una sensazione fantastica e voleva farlo sin da bambina.
Un sorriso si fece strada tra le sue labbra e non poté fermarlo. La sensazione era troppo forte, per quanto poteva sembrare un'azione stupida e priva di senso, ma non la stava facendo pensare a niente e in quel momento era proprio quello che ci voleva.
Ci fu il rombo di un tuono, seguito da un piccolo fulmine in lontananza.
La natura si stava scatenando al di sopra della sua testa ed era una sensazione terribilmente appagante.
Ma quell'attimo di spensieratezza non durò a lungo, perché i suoi problemi, ovunque andasse, erano sempre pronti a seguirla.
- Che stai facendo? -. La voce dietro di lei dovette gridare per farsi sentire, perché il rumore della pioggia, insieme ai tuoni, non permettevano di utilizzare un tono di voce normale.
Presa alla sprovvista si voltò di scatto e il sorriso che prima albergava sul suo viso scomparve.
Non era protetto da nessun incantesimo e la pioggia stava bagnando anche lui.
Le si avvicinò e si fermò proprio a un passo da lei. - Che stai facendo, Granger? - le ripeté.
- N-niente -.
- Allora perché sei qui fuori? Devi rientrare o ti ammalerai! -. Le si accostò e le mise una mano dietro la schiena, spingendola verso una zona riparata. Ma lei si oppose.
- No, Malfoy. Voglio rimanere qui -. Si allontanò da quella mano.
Lo guardò e notò che anche lui portava gli abiti di quella notte. 
Quante cose non capiva, quante risposte che voleva.
- Sotto la pioggia? Sei fuori di testa? -. Provò di nuovo ad avvicinarsi, ma questa volta lei fu più veloce e si spostò prima che riuscsse ad afferrarla.
Una rabbia improvvisa l'assalì. Non capiva perché lui fosse lì con lei, perché l'avesse seguita, nonostante si fosse assicurata di non essere vista da nessuno, perché le stesse dicendo quelle cose, perché si comportava in quel modo dopo un mese di silenzio, di completa assenza. - Perché fai così, Malfoy? -. Gli si avvicinò giusto un po'. - Perché? -.
Di colpo lui si fermò. - Come mi comporto, Granger? -.
- Come se te ne importasse ancora qualcosa. Dici che ti preoccupi per me, ma perché adesso? Perché proprio ora? -.
Lui non le rispose.
Si portò indietro i capelli bagnati ricaduti sugli occhi e guardò oltre di lei. Uno sguardo triste, malinconico, alla ricerca di qualcosa che ormai non si trovava più tra le sue mani, alla ricerca della sua anima.
Cosa poteva dirle? La verità? Quella poteva aspettare un altro po', non era ancora arrivato il momento.
Il suo silenzio la spazientì e la rabbia aumentò. Gli poggiò i palmi sul petto e lo spinse, facendolo indietreggiare leggermente, urlandogli contro. - Rispondimi, Malfoy! Perché ora, dannazione? Rispondi! -.
Malfoy le prese i polsi e li allontanò dal suo petto per evitare che continuasse ancora a colpirlo. - Lasciami -, provò a lottare contro quella leggera stretta, ma non ottenne un gran risultato. Nonostante tutto continuò, finché finalmente lui reagì e la trascinò sotto il portico, al riparo, e la spinse contro il muro bloccandole ogni via d'uscita allungando le braccia ai lati del suo corpo e appoggiando le mani al muro.
Finalmente la guardò negli occhi, ma solo per poco. Dopo abbassò la testa, mostrandole solo i suoi capelli scuriti dalla pioggia.
Vederlo così vulnerabile la spiazzò. Era abituata al Draco Malfoy forte, imperturbabile, che non mostrava la parte debole di sé. Aveva imparato a interpretare i suoi silenzi, quello che c'era scritto nei suoi occhi. Aveva imparato a leggerlo, sotto quel punto di vista, a capirlo.
Non era abituata, invece, a vederlo in quel modo.
All'improvviso tutta la rabbia che aveva provato prima sparì, lasciando il posto a una voglia sfrenata di consolarlo, di farsi dire cosa c'era che non andava.
La rabbia non c'era più, ma lei voleva ancora delle risposte.
- Malfoy -. Del tono di voce alto, della ferocia con cui gli aveva parlato non era rimasto più niente, solo un piccolo bisbiglio.
- Ti ho seguita, l'altra giorno -. Continuava a tenere la testa bassa e lei non poteva vedere il suo volto, i suoi occhi. Se fosse riuscita a perdersi dentro di questi, forse sarebbe riuscita a trovare le risposte che cercava. Forse ci sarebbe riuscita come ci riusciva tempo fa.
Non osò proferire parola. Primo, perché voleva vedere cosa aveva da dirle, secondo, sapeva quanto gli veniva difficile parlare di deternimate cose.
- Mi sembravi troppo... sconvolta -. Finalmente alzò la testa, guardandola. - E in un certo senso sapevo perché lo fossi -.
E in un certo senso sapevo perché lo fossi, e in un certo senso sapevo perché lo fossi. Continuò a ripetersi a mente quella frase non riuscendo a capirne il senso.
Che fosse sconvolta probabilmente era vero, ma lo era solo per un motivo e lui come faceva a saperlo?
Come poteva sapere della... della... della foto?!
Infilò una mano nella tasca dei pantaloni e tirò fuori quell'immagine quasi completamente zuppa d'acqua. La guardò e la girò. Adesso, nel retro, c'era un'iniziale, in basso a destra. Un'iniziale che prima non c'era. Era una semplice "D", tracciata da una mano tranquilla, da una persona dalla calligrafia estremamente ordinata. E lei sapeva di chi fosse, lo sapeva. La conosceva bene.
Alzò gli occhi su di lui, che adesso sembrava più svuotato.
- Tu -.
Annuì.
- Ma come... -.
La interruppe. O glielo diceva adesso o non gliel'avrebbe mai più detto. Si era sbagliato, prima.
Il momento era arrivato.
- Lo sapevo quanto ci tenevi e... non lo so perché l'ho fatto, però sapevo che appena te ne saresti accorta saresti entrata nel panico -.  
Sì, sono entrata nel panico, pensò.
Si staccò dalla parete, ma rimase davanti a lei, lì, vicino. - Ti ho vista entrare in quella stanza e tutto è andato in pezzi. Tutto -.
Cosa? Cosa era andato in pezzi? - Co... -.
Prese un lungo respiro. - Tutto quello che mi ero prefissato di ricominciare a ignorare, tutto quello che mi ero gettato alle spalle, tutto quanto -.
- Quindi, me? -. Quelle parole la colpirono.
Annuì, di nuovo. - Sì, te -.
- E allora perché mi hai seguita? -.
Ritornò alla posizione precedente e il suo profumo la invase. - Perché ormai non me ne importava più niente. I miei sforzi non erano serviti a nulla. Tu eri sempre presente. Più cercavo di dimenticare, di dimenticare tutto, più tu tornavi, mi seguivi ovunque. E' stato come un segno, quello -.
- E adesso perché sei qui? -.
- Per lo stesso motivo -.
- Sarebbe? -.
La guardò dritta negli occhi. - Per questo -. In un secondo, il tempo di un battito di ciglia, e si ritrovò le labbra di Malfoy sulle sue. Calde, morbide come le ricordava. In un primo momento non sapeva cosa fare, l'aveva colta alla sprovvista, non se l'aspettava. Ma fu un attimo. Infilò di fretta e furia la foto nella tasca della felpa e rispose al bacio, circondandogli il collo con le braccia.
Le mani di Malfoy volarono sulla sua schiena e la prima cosa che fece fu stringersela al petto.
- Dillo -. Quando si staccarono per riprendere fiato quella fu la prima cosa che le disse, ancora con gli occhi chiusi.
- Cosa, Malfoy? -.
- Dillo, Granger. Per me -.
Inizialmente non comprese a cosa si riferisse. Poi capì.
Fece scivolare una mano sul suo viso e finalmente poté accarezzarlo. - Già lo sai, Malfoy -.
- Voglio sentirtelo dire -.
Lo fece aspettare qualche secondo, poi lo accontentò. - Fai l'amore con me -.
Fu lì che aprì gli occhi. - Devi dirlo come quella volta, Mezzosangue -.
Un brivido le percorse la schiena, e non per il freddo, e subito dopo parlò, senza esitare. Tutto pur di riaverlo con sé. - Fallo, Malfoy. Fai di nuovo l'amore con me -.
Le sorrise.
Adesso si sentiva a casa.
Entrambi lo erano.







  
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