Il giorno dopo
Akuro si presentò puntuale al parchetto. Gaara era seduto su una panchina
isolata da tutti e guardava in basso.
- Ho io quello
che ti ci vuole! Vieni! – gli disse Akuro prendendogli la mano. Gaara si fece
portare fino ad un piccolo edificio, all’interno c’erano molti clienti.
Akuro entrò e
tornò da Gaara poco dopo con due gelati.
- Ecco, tieni
questo è per te! Purtroppo avevano finito quasi tutti i gusti, ma spero che ti
piaccia! – disse porgendo il cono con un sorriso.
- Cos’è? –
chiese con un po’ di vergogna.
- Come, non
sai cos’è per davvero?? È un cono gelato! Non ti hanno mai comprato neanche
questo?! – rispose la ragazza con la faccia un po’ più seria del solito.
- … no… -
- … bhe, ora
non lo dirai più! Allora ti piace? –
fece con un sorriso
- … si, è
dolce… -
Dopo quel
giorno stettero molto insieme, passavano le giornate al parco e a camminare per
la città o a fare escursioni fuori dal villaggio, si divertivano insieme.
Ma più Akuro
stava insieme a lui, più non riusciva a capire come potessero chiamarlo mostro
quelli del villaggio e come nemmeno i suoi parenti lo accettassero in casa e lo
trattassero come un bimbo normale. Anche Akuro non aveva avuto un’infanzia
facile, ma non si era mai resa conto della sua sofferenza finché non aveva
trovato Gaara che le faceva rivivere il passato: e lei non voleva che
succedesse anche a lui, non voleva che rimanesse solo per sempre temuto da
tutti come lei. Questo NON doveva accadere. Così decise che doveva passare
tutto il suo tempo libero con lui e aiutarlo a cambiare, a diventare un bambino
con il sorriso pronto sulle labbra. Si, ci sarebbe riuscita.
Un giorno,
mentre passeggiavano per le vie della città, Akuro sentì dei bisbiglii tutto
intorno a loro. All’inizio non ci fece caso, ma ad un certo punto sentì quello
che più le dava fastidio sentire nella sua vita.
- Guardate…
quei mostri vanno in giro come se nulla fosse… guarda quel bambino… è orrendo,
anche i suoi capelli mostrano il suo vero io… -
Gaara strinse
più forte la mano di Akuro e si avvicinò come per nascondersi, ma non fece in
tempo. Akuro si era leggermente distaccata, non lasciando la mano di Gaara, e
aveva lanciato dei Kunai contro i ragazzi che parlavano senza ferirli.
- COME VI
PERMETTETE DI CHIAMARLO MOSTRO, LUI NON VI HA FATTO NULLA, NON E’ GIUSTO QUELLO
CHE DITE, NON E’ COLPA SUA, SE VE
- Tu sei pazza,
lo sai benissimo cos’è quell’essere! è un mostro, solamente un mostro, non è un
bambino! – replicò uno dei ragazzi liberandosi dalla presa del kunai.
- Tu sei
uguale a lui, dovreste morire tutti e due, siete soltanto dei mostri! – disse
un altro
- Voi non
capite nulla… questo bambino è stato vittima dei suoi genitori… potete
prendervela con me… il mio crimine è molto grave… ma lui è solo un bambino… le
vostre parole sono troppo dure, non è giusto che un bambino così piccolo debba
subirle! – rispose Akuro con gli occhi lucidi.
- SHIGAKI…
adesso smettila… porta via quell’essere da questa strada… lo sai che non può
entrare nel centro del villeggio! – disse un uomo anziano che arrivò dietro
Akuro.
- Nobile
Kazakage… non volevo creare scompiglio, eravamo venuti a fare compere… - cercò
di giustificarsi
- Adesso
basta… sei stata graziata una volta, non sfidare la sorte! – rispose secco
l’uomo, poi continuò – ora vattene da qualche altra parte! –
Akuro cercò di
rimanere impassibile, ma il suo volto ritraeva la tristezza, una tristezza non
rivolta verso di lei, ma verso quel bambino che aveva assistito alla scena con
le lacrime agli occhi. Per quel bambino che ormai non cercava più di
giustificarsi.
La ragazza
prese il bambino in braccio e corse via, corse veloce, senza pensare a nulla.
Lo portò a
casa sua. era una vecchia casa, ma ben tenuta.
Quando Akuro
mise giù Gaara, vide che il suo volto era rosso e solcato da grandi lacrime calde. prese un fazzoletto
e leggermente lo posò sul suo viso, asciugando dolcemente quelle lacrime.
Chiunque fosse passato li vicino e avesse visto la scena, avrebbe confuso Akuro
per una madre preoccupata per il figlio, ma che non lo dava a vedere e che
mostrava solo un sorriso dolce e tranquillo.
- Gaara,
scusami per prima… non avrei dovuto perdere la pazienza così… ho finito solo
per farti piangere… - disse continuando ad asciugargli il viso.
- … non è per
questo… - disse tra un singhiozio e l’altro - … per colpa mia… chiamano mostro
anche te… non mi piace… -
- … non è per
questo che mi chiamano mostro… tu non eri ancora nato quando successe. la mia
era una casata antica… e molto onorata… ma un giorno, i miei genitori,
lasciarono il villaggio senza preavviso, lasciandomi qui. poco tempo dopo il
villaggio fu attaccato dai ninja di un villaggio nemico, tra questi ninja vi
erano i miei genitori… - Akuro fece una pausa e abbassò la mano col fazzoletto
– i miei genitori hanno tradito il villaggio, l’hanno venduto… loro sono morti
in battaglia… ma non sono morti per difendere il loro villaggio… ma per
attaccarlo… è per questo che io sono considerata alla loro pari… - lo sguardo
di Akuro si fece triste, ma si rallegrò poco dopo dicendo che era ora di cena e
che, se voleva, poteva rimanere a mangiare li anche Gaara, che acconsentì
subito.
durante la
cena parlarono molto, anche di cose inutili, ma parlarono, ormai era diventato
naturale parlare così, stare con una persona cara, giocare come un comune
bambino, mangiare gelati, ormai era quella la sua vita e Gaara aveva ritrovato
la voglia di vivere che da tempo aveva perso.