Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Dira_    17/05/2012    23 recensioni
“Mi chiamo Lily Luna Potter, ho quindici anni e credo nel Fato.
Intendiamoci: niente roba tipo scrutare il cielo. Io credo piuttosto che ciascuno di noi sia nato più di una volta e che prima o poi si trovi di fronte a scelte più vecchie di lui.”
Tom Dursley, la cui anima è quella di Voldemort, è scomparso. Al Potter lo cerca ancora. All’ombra del riesumato Torneo Tremaghi si dipanano i piani della Thule, società occulta, che già una volta ha tentato di impadronirsi dei Doni della Morte.
“Se aveste una seconda possibilità… voi cosa fareste?”
[Seguito di Doppelgaenger]
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo LVI
 
 
 
 
Possiamo lasciare che la storia ci spieghi se siamo buoni o cattivi.  
A lasciare che sia il passato a decidere per il nostro futuro.
Oppure possiamo scegliere.  E forse inventare qualcosa di meglio è il nostro compito. 
(Soffocare, C. Palahniuk)
 
 
21 Gennaio 2023
Germania, Residenza estiva dei Von Hohenheim.
Una del mattino.
 
Desislav Ganin era consapevole del fatto che la vita di un Mercemago era più dura di quella di un mago con una professione onorevole.
Ciononostante, da dove veniva lui fare il Mercemago era l’unico modo per non finire come un pezzente a mendicare per un tozzo di pane e un po’ di minestra. Certo, anche nel loro lavoro c’erano momenti di bonaccia: capitava ci fossero giorni in cui buttare giù un po’ di vino elfico che sapeva d’aceto era l’unico modo per combattere i morsi della fame, ma c’erano anche grandi occasioni.
Come era capitato a loro due mesi prima, quando erano stati arruolati da Alberich Von Hohenheim; Desislav non sapeva granché sul mago tedesco che dava loro vitto e alloggio in cambio di semplici pattugliamenti dei suoi terreni. Neanche gli importava finché aveva abbastanza soldi da poter spendere alla taverna e qualche procace Incantatrice dalle labbra di miele sulle ginocchia.
Quel giorno però era stato diverso; il Capitano li aveva svegliati all’alba e aveva intimato di disporsi attorno alle mura della fortezza, chi dentro, chi fuori. A lui era toccato il compito più infame, rifletté sputando tabacco vischioso sul terreno accidentato; doveva infatti sorvegliare dall’alto il porticciolo in cui attraccavano le imbarcazioni.
Infame perché tirava un vento del diavolo, freddo e tagliente come un coltello. Non c’era neanche un po’ di sole, dacché il tempo in quella terra schifosa variava da piovoso a nuvoloso.
Desislav non ricordava l’ultima volta in cui aveva visto il sole.
Riflettendo cupamente sul suo compito, e chiedendosi quando Bogdan sarebbe venuto a dargli il cambio, rimase totalmente abbacinato dall’improvviso lampo di luce che esplose all’interno della rimessa delle barche. Scattò in piedi dalla posizione accovacciata che aveva assunto per mantenere un po’ di calore e sfilò prontamente la bacchetta dal fodero. Prima di gettarsi a capofitto a controllare lanciò però un incantesimo di segnalazione ai compagni; non avrebbe fatto la fine del pollo. Un Mercemago non arrivava alla vecchiaia facendo l’eroe.
Lo scoppio della Materializzazione portò da lui Bogdan e Ghena, una strega della Dobrugia a cui nessuno di loro aveva mai pensato di fare avances, neppure da sbronzi; il solo occhio glauco che ti trafiggeva ti lasciava le viscere molli e la sensazione che fosse meglio non scherzare con lei; alcuni dicevano fosse una Megera.
“Che succede Ganin?” Fu lei ad apostrofarlo con il bulgaro sporcato di accento rumeno tipico delle sue zone. “Sarà bene che sia qualcosa di importante o…”
“Lo è!” La anticipò sputando a terra il resto del tabacco, ormai masticato in abbondanza. “È come aveva detto il Capitano, qualcuno si è Materializzato con una Passaporta alla rimessa, laggiù!” Indicò il posto con un cenno della testa.  

“Andiamo.” Disse immediatamente questa.
Nella rimessa era piuttosto buio ma fu facile individuare il pacco appena arrivato; il ragazzo che si era Materializzato doveva averlo fatto male, perché era seduto a terra, con la schiena appoggiata ad una parete. Si teneva una spalla con la mano e respirava forte, pallido in volto.
Qualcuno ha fatto una brutta caduta…
“Non ti muovere, tu.” Lo apostrofò Ghena in tedesco puntandogli la bacchetta addosso. “Sei Thomas?”
Desislav squadrandolo meglio notò che aveva una certa somiglianza con il loro generoso, quanto inquietante, datore di lavoro. Era piuttosto giovane però dato che indossava un uniforme scolastica; non doveva fare neanche venti primavere.
“Sì, sono io.” Disse. “Non… non fatemi del male.” Mormorò con tono spaventato, guardando le loro bacchette spianate. “Non sono armato.”
“Questo lo controlliamo subito.” Ghena non era donna che andava contraddetta, così lui e Bogdan si affrettarono ad afferrare il ragazzo e perquisirlo. Ovviamente trovarono la bacchetta infilata nei passanti posteriori dei pantaloni. Bogdan se la rigirò tra le dita e poi se la infilò nel vecchio pastrano consunto con soddisfazione; avrebbero riparlato di quel suo prendersela senza colpo ferire. Sembrava un buon legno, non avrebbe lasciato che la avesse solo perché era stato più svelto a scovarla.

“Non eri armato, eh?” Ghignò Ghena. “Voi piccoli Chistata Krŭv¹ siete tutti uguali. Credete di poterci far fessi solo perché non abbiamo il blasone!”
Il ragazzo fece una strana espressione. Il pallore sembrò ridimensionarsi notevolmente, e Desislav, non senza una certa inquietudine, lo vide serrare la mascella e fissarli con uno sguardo che in una taverna sarebbe bastato a decretare un Duello all’ultimo sangue. “Ridatemi la bacchetta. Ora.
Desislav non si considerava un cervello fino, ma non ci voleva un genio per capire che il ragazzino non sembrava più così spaventato. Forse non lo era mai stato, realizzò.
Ma che…
Bogdan invece fece una risata divertita, logico considerando che avevano di fronte un adolescente secco come un albero e disarmato. “Mi sa che ora è mia, bel musetto.” Gli afferrò il viso con una mano e lo voltò verso di lui; nella compagnia era conosciuta la passione che aveva il valacco per i bei ragazzi.
Desislav si voltò verso la Megera per chiederle con uno sguardo di rimettere in riga Bogdan, che c’era qualcosa che non gli tornava, ma poi sentì un gemito di dolore; Bogdan era crollato a terra con le mani sul viso. Sconcertato capì che era stato il ragazzo.
“Ops.” Disse soltanto soffiandosi via una ciocca di capelli dalla fronte. “Mi dicono sempre che ho la testa dura.”
Ghena fu svelta a reagire; con una falcata gli fu accanto e gli spinse la bacchetta contro la gola. “Non siamo balie che lasciano giocare i mocciosi.” Ringhiò. “Desislav, rialza quell’idiota, portiamo il mostriciattolo al castello!”
Desislav obbedì ma non appena toccò il valacco sentì uno scoppio esplodergli vicino, rintronandolo. Era un incantesimo, era più di un incantesimo. Rotolò a terra e castò un immediata barriera che gli impedì di essere letteralmente investito da una selva di incantesimi che arrivavano da tutte le parti. Ghena lanciò un paio di Schiantesimi, mentre dalle barche ormeggiate saltavano fuori quattro figure armate. Un lampo argento – erano i capelli? - fu addosso alla Megera che abbandonò la presa sul ragazzo per difendersi.
Desislav ignorò l’ormai esanime Bogdan ed estrasse la bacchetta; avrebbe dovuto dar retta alle sue sensazioni. Era una trappola. Doveva immediatamente lanciare l’allarme, prima che…
Prima che un lampo rosso lo centrasse in pieno petto.
 
“Dovevi aspettare il segnale!”
Naturalmente Lupin doveva avere a ridire. C’era da aspettarsi che l’insopportabile ragazzo biblioteca gli facesse notare lo sbaglio. Si chinò sul Mercemago svenuto che aveva osato prendere in ostaggio la sua bacchetta e se la riprese, stringendola e promettendole che nessuno, oltre a lui, l’avrebbe più toccata. Si frenò dal gettarlo in acqua solo perché gli altri vigilavano.
Seccante.
“Avevano la mia bacchetta.” Spiegò, e notò un’occhiata di approvazione da parte di Malfoy. “Nessuno prende la mia bacchetta.”
“Teddy dai, ha recitato la parte del tipo cacasotto da schifo… Segnale o non segnale, avrebbero fiutato la trappola comunque!” Esclamò Dominique, che aveva neutralizzato la controparte femminile degli avversari come faceva tutto. Rapida e con un sogghigno sulle labbra come se fosse tutto un gioco.

Forse in certi contesti è utile.
“Non ho chiesto di aspettare il segnale convenuto per un capriccio.” Ribatté cocciuto il metamorfomago, i cui capelli erano un manto di fiamme e l’espressione quanto più lontana da quella mite che approntava per i suoi impressionabili Tassorosso. Erano di quel colore da quando era stato annunciato il rapimento di Lily. “Thomas, l’improvvisazione non ha mai … Albus!” Tom si voltò per vedere il suo ragazzo tirare un calcio al Mercemago ladro e al momento, gemente.
“Cosa?” Chiese questo, suonando anche sorpreso. “Avete visto come guardava Tom!” Borbottò mentre le occhiate raddoppiavano. “Non mi è bastato schiantarlo, tutto qui …” Vedendo l’espressione dell’altro, sbuffò “Alla fine li abbiamo neutralizzati, no? È questo l’importante!”
“Siamo stati grandiosi!” Convenne Scorpius.
“Le forze di Von Hohenheim non sono certo tutte qui.” Fece loro notare Ted, ingoiando un grosso sospiro e probabilmente una serie di improperi. “Riflettete. Pensate davvero che siano venuti tutti? Questa è solo una pattuglia.”

Tom dovette ammettere che quel ragionamento aveva senso; per quanto mal sopportasse Ted, sapeva che era un uomo intelligente e con tre anni di studi all’Accademia Auror alle spalle. Dubitava, con il cervello metodico e rigido che aveva, che li avesse dimenticati.
“Tra poco ne arriveranno altri.” Considerò meritandosi un’occhiata d’approvazione da Lupin.
“Sì. Dobbiamo nascondere loro e andarcene noi, il tutto senza farci vedere. Scopriranno sicuramente che siamo qui, ma non sapranno dove. È questo che conta.” Lanciò un’occhiata alla scogliera, ripida ma praticabile, che portava al grosso agglomerato che era la fortezza sopra di loro.
Tom capì che stava valutandone la conformazione e le vie d’accesso alle mura. Per un momento provò uno sconcertante moto di stima per l’altro mago. “Va bene.” Convenne e glissò sull’occhiata stupita di quest’ultimo.
Anch’io so essere ragionevole.
Gli altri, ovviamente,  non contrastarono il fatto che Lupin avesse preso il comando, aiutando a legare, imbavagliare e nascondere i Mercemaghi nelle barche ormeggiate. Si fidavano di lui da sempre, come Dominique e Albus e avevano imparato a stimarlo come docente nel caso di Malfoy. Lui invece aveva i suoi motivi, oltre al generale buonsenso, nell’affidare il comando all’altro.
Non devono affidarsi o guardare a me. Perché non abbiamo gli stessi obbiettivi.
Lily doveva essere salvata ad ogni costo, ma non sarebbe stato lui a farlo. Per quello c’erano Lupin e gli altri.  
Io devo vedere mio padre.
Vide con la coda dell’occhio che Albus lo stava guardando. “Va tutto bene?” Gli chiese facendolo sentire stupidamente in colpa; era stupido perché non coinvolgere Al in quella sua decisione aveva senso, non era sbagliato.
Ti ho già coinvolto troppo, vi ho già coinvolto troppo. Questa è una cosa tra me e Von Hohenheim.  
Era un discorso a due interlocutori. Non avrebbe trascinato Al o gli altri nella follia dell’uomo che gli aveva dato due volte la vita.
Per quanto fosse razionale la sua decisione il senso di colpa però non se ne andava; stava di nuovo nascondendo qualcosa ad Albus.
“Sì, sto bene.” Gli sorrise. “Così sei stato tu a schiantarlo?”
Al annuì. “Ho esagerato però, in fondo era già a terra.” Tom notò in quel momento che aveva un taglio sulla guancia, forse dovuto ad uno striscio di incantesimo. Si sentì serrare lo stomaco. Prese la bacchetta e richiuse l’abrasione mentre l’altro si toccava la guancia stupito.
Giocatore di Quidditich… Non si accorgono di sanguinare finché non crollano a terra.
“Mi so difendere da solo.” Gli disse sopprimendo l’impulso di rivoltarlo come un calzino per accertarsi non avesse altre ferite. E quello era solo l’inizio; una breve scaramuccia e Al era già ferito.
Non permetterò che ti succeda qualcosa… Non ancora.
Forse Al poteva aver ragione di un Mercemago, ma non di Doe né di Von Hohenheim.
Non dovrai neppure vederlo. Sarò io ad occuparmi di lui.

Al non rispose; mentre gli altri si affrettavano ad uscire di lì, lo afferrò per il bavero del mantello e gli parlò direttamente sulle labbra, piano, per farsi sentire solo da lui. “No che non lo sai fare… Spero te ne ricordi.”
Tom si chiese per quanto sarebbe riuscito a nascondere il suo piano ad Al. Perché la parola insieme non era soltanto un concetto a cui affidarsi; era anche qualcosa da cui non si poteva fuggire.
 
 
****
 
Norvegia, Dintorni di Durmstrang.
Due del pomeriggio.
 
Harry era furioso.
Furioso con la situazione, naturalmente, ma anche furioso perché aveva dovuto confrontarsi nel giro di poche ore con le sue peggiori paure; sapere che uno dei suoi figli era in pericolo e ferirne un altro lui stesso.
La Passaporta li aveva materializzati nel piccolo villaggio adiacente ai terreni dell’Istituto – assai più vasti di quelli di Hogwarts, e principalmente costituiti da rocce a strapiombo e una foresta di pini che si estendeva a perdita d’occhio. Al momento lasciava che fosse Ron a trattare con il conducente del noleggio di slitte del villaggio, l’unico mezzo di locomozione usato dai locali in quel periodo dell’anno.
James naturalmente aveva saputo ciò che era successo; glielo doveva aver detto Ginny, oppure l’aveva saputo per vie traverse. Chi fosse stato non aveva importanza, ciò che era importante era stata la decisione immediatamente presa.
Venire con noi.
Era irrotto nell’ufficio auror poco dopo che Malfoy era tornato con la Passaporta e i permessi d’attivazione, con la povera Grace alle calcagna.
 
“Vengo con voi!” Aveva esclamato, facendoli ammutolire tutti. Aveva il fiatone e l’uniforme da allenamento dell’Accademia; appresa la notizia doveva aver mollato tutto ciò che stava facendo per raggiungere il Ministero.
Lodevole, ma decisamente non richiesto.
“No, Jamie.” Aveva esordito prima che chiunque altro potesse aprire bocca. Dopotutto fino a prova contraria il capo era lui. “Andremo io, Ron e il Sergente Gillespie.”
“Non potete lasciarmi qui!” Era sbottato. “Si tratta di Lils e Al! E Merlino, c’è anche Teddy e Scorpius e… Domi? Persino Domi!”
Harry sapeva che le osservazioni erano pertinenti; non gli importava. Non avrebbe permesso che tutti i suoi figli rischiassero la vita, per quanto fosse fiero del senso di amore e coesione che regnava tra di loro. In quello era in accordo con la moglie, dato che gli era bastata un’occhiata per captare l’appoggio dell’altra. “Per quanto tu sia in gamba, non posso portare un allievo Auror in missione. È contro le regole e soprattutto, contro il buonsenso.”
“E gli altri? Sono studenti!” James sembrava stupefatto dal suo rifiuto; Harry si era appuntato di fare un discorso ai suoi figli, finito tutto, sull’importanza di non darsi responsabilità che non avevano.
“Le contingenze sono diverse, James.” Era intervenuta Hermione. “Non credere che non li avremo fermati, se fossimo stati lì.”
“Si tratta dei miei fratelli! Si tratta del mio ragazzo e dei miei amici! Non potete chiedermi di restare qui ad aspettare notizie come un moccioso!”
Harry aveva capito; aveva capito e sposava a pieno le ragioni del suo Malandrino; era certo che si sarebbe battuto con valore, ed era proprio questo il punto. James avrebbe affrontato la Morte stessa pur di salvare i suoi fratelli e i suoi amici. Era come lui, ed esattamente come lui non era ancora pronto per quel compito. Non era giusto che lo fosse, come non lo era stato per lui.
“È un no, James. Resterai qui, con tua madre e zia Hermione. Sarete i primi a cui daremo notizie.”
“Non me ne frega un accidente! Io
verrò con voi!” Si era avvicinato con due falcate alla scrivania e vi aveva sbattuto le mani. Harry aveva avuto lo sconcertante deja-vu di rivedersi ragazzo. Solo che stavolta era lui il Silente della situazione
“Tu non verrai con noi.” Anche il tono era da Silente, ed Harry si era odiato, ma non aveva vacillato. “Devo occuparmi di riportare a casa i tuoi fratelli, James. Non ho tempo di badare anche a te.”
 
Era stato meschino, se ne era reso conto non appena pronunciato quelle parole. Aveva lasciato che il figlio maggiore se ne andasse com’era venuto, come una furia. Ginny gli era andata immediatamente dietro, promettendogli con uno sguardo che l’avrebbe riportato alla ragione.
Non ci sono torti o ragioni in questa storia… Se ci fossero, non dovrei raggiungere dei ragazzi che combattono.
Nora gli si avvicinò, stretta nella pelliccia in cui aveva trasmutato il proprio mantello. “So che non sono affari miei… ma una parola da genitore a genitore?”
Harry suo malgrado sorrise. L’americana aveva una straordinaria empatia, e questo gliel’aveva definitivamente resa amica. “Permesso accordato, Sergente.”
La strega gli restituì il sorriso. “Hai fatto bene con tuo figlio. Sembra un ragazzo di cuore, ma abbiamo bisogno di averti concentrato. Non lo saresti stato con lui accanto… Come non lo sarei stata io con accanto Ama.” Fece una breve pausa in cui entrambi osservarono Ron pagare il conducente della slitta. “Sai, anche lei lavora al Dipartimento.” Alla sua espressione sorpresa sospirò. “C’è da aspettarselo no? I nostri figli ci vedono tornare a casa a notte fonda sin da quando sono bambini, sanno che lavoro facciamo, sanno che combattiamo i cattivi. Anche nel Mondo Babbano non è raro che ci siano generazioni di servitori della legge.”
“A volte vorrei che non fosse così…” Confessò. “Vorrei che James avesse scelto di fare, chessò… Il giocatore di Quidditch. È molto bravo con la scopa.” Pensare ad altro, persino pensare alla lite era meglio che pensare alla piccola Lily nelle mani di Von Hohenheim e Al, Tom e gli altri al suo folle salvataggio.

“Non possiamo decidere del futuro dei nostri figli. Sta qui la fregatura.” Sospirò la strega facendo annuire di rimando. “Sei un buon padre, Harry.” Gli diede una pacca sulla spalla. “Aggiungi anche questo alla lista dei tuoi infiniti meriti.”
Harry sospirò; apprezzava il tentativo, ma era stato piuttosto vano, date le contingenze.
“A volte vorrei che fosse il solo.”
 
Arrivati all’Istituto si trovarono di fronte un’enorme porta. Tanto enorme che a causa del nevischio che vorticava impazzito non era possibile vederne la fine. Ron pagò il conducente e lo congedò frettolosamente prima di avvicinarsi, stringendosi nella grossa sciarpa che Hermione aveva insistito – con tutte le ragioni – per fargli indossare.
“Miseriaccia, è enorme! Come bussiamo?”   
Nora indicò l’enorme battente incastonato proprio al centro; era grande quanto una ruota di carro e si supponeva molto più pesante. Lo fecero risuonare con la magia e attesero. La porta si aprì quasi immediatamente, rivelando che qualcuno era già stato avvertito del loro arrivo. Dall’enorme atrio di cui erano visibili solo la prima fila di colonne, apparve una donna bionda dall’aria rigorosa che indossava l’uniforme standard dell’Istituto, unicamente abbellita da una spilla con un grosso rubino al centro. La seguivano due energumeni persino più alti di Ron, ma dai lineamenti ancora imberbi.

Una docente e due studenti.
“Sono la Professoressa Tjader Jaspersen, assistente del Direttore.” Si presentò con la rigidità tipica dei sottoposti di una struttura militare. “Posso sapere le vostre generalità e il motivo della vostra visita?”
Harry aveva poca voglia di ripassare cerimoniale e protocolli diplomatici, buoni forse per un ministeriale come Malfoy. “Sapete benissimo chi siamo e il motivo per cui siamo qui.” Esordì asciutto. “Mi porti dal suo Direttore, subito.”
Il tono dovette sortire un certo effetto, perché le labbra tirate della donna fremettero prima di tornare all’immobilità. “I permessi d’indagine” Tentò.
“Sono Harry Potter e mia figlia è stata rapita.” Con un cenno fermò il braccio di Nora, la quale già stava cercando materiale cartaceo che chiudesse la bocca all’altra strega. Non serviva; per una volta avrebbe fatto esattamente quello che Piton gli aveva sempre rinfacciato. Il bullo.

“Se volete contattare il Ministero Britannico siete liberi di farlo, ma nel frattempo sarà meglio che il suo Direttore mi riceva.” Fece una calcolata pausa. “Altrimenti le posso giurare su Merlino che riempirò la vostra scuola di Auror e qualsiasi tipo di forza di polizia Magica. Sono stato chiaro?”
Lo era stato, perché la donna non tentò una seconda obiezione e li fece immediatamente entrare.
Ron si schiarì la voce. Doveva essere l’elemento razionale del gruppo, ed era meglio che si muovesse velocemente ad assolvere quel compito. “Dove sono gli agenti del vostro Dipartimento di Polizia Magico?”
“Bloccati dal maltempo. Richiede una Passaporta necessita ore … di solito.” Harry ignorò la frecciatina; che lo accusassero pure di smuovere mari e monti a suo favore. L’avrebbe fatto letteralmente se questo avrebbe significato riportare la sua bambina a casa.
“Noi inglesi siamo gente sveglia.” Replicò Ron come se ottenere Passaporte nel giro di una ventina di minuti fosse cosa da tutti i giorni. “Ah, oltre al vostro Direttore vorremo parlare con un allievo, Dionis Radescu. Ha trovato Rose Weasley nel luogo del rapimento di Lily Potter… abbiamo bisogno di fargli qualche domanda.”
“Di questo dovrete parlarne con Herr Direktør.”
“Il ragazzo è maggiorenne, no? Se non ha nulla in contrario non credo ci saranno problemi.”
Herr Direktør…” Iniziò di nuovo ed Harry ne ebbe abbastanza.
“Il suo prezioso Direttore è probabilmente complice del rapimento di una minorenne straniera e connivente di un Mago Oscuro ricercato in due Continenti.” Ringhiò. Oh, lo fece davvero. “È accaduto qui, nella sua scuola, sotto gli occhi  di voi professori. Vuole davvero continuare a fare ostruzione?” Sentì la mano di Nora sul braccio ed ispirò forte, vedendo che la docente era impallidita come uno straccio. “Ci porti da lui.” Borbottò infine.
La donna non aprì più bocca, guidandoli attraverso un labirinto infinito di corridoi e salotti dalle volte altissime. Incontrarono abbastanza studenti per farsi l’idea generale che tutti sapessero cos’era accaduto, ma preferissero abbassare lo sguardo e badare ai fatti propri. Naturalmente non si poteva dar la colpa a ragazzi dell’età di Lily, Albus e Thomas. Tuttavia…
Lily è stata presa qui. Qualcuno, molte persone hanno distolto lo sguardo.
“Harry.” La voce di Nora lo riscosse. Si accorse che aveva stretto tra le dita il fodero della bacchetta e che da esso uscivano piccole scintille rosse. Allentò la presa e scoccò un’occhiata interrogativa all’americana. “Come ci dividiamo per gli interrogatori? Per economizzare i tempi.” Spiegò.
Sì, quello aveva senso. “Io andrò dal Direttore, tu e Ron dal ragazzo. Dopo andremo assieme da Rosie e dalla McGrannit.” Aggiunse a beneficio dell’amico, che però sembrò tentennante.
“Credo sia meglio che venga con te.” Mugugnò con l’aria di chi avrebbe preferito ingoiare un cucchiaio di Puzzalinfa piuttosto che mettere in discussione la sua obbiettività di fronte ad estranei.
Come ha appena fatto.
“Vengo io.” Si inserì Nora come se non si fosse appena seduta su una polveriera di sua sponte. “Non sono molto brava negli interrogatori, ma mi è stato detto che Ronald è notevole.” Ron arrossì di piacere alla lusinga. “Se per te non è un problema.” Lo squadrò e Harry lesse comprensione ma anche ferrea intenzione di non fargli mandare tutto alla malora.
Si piegò all’evidenza della sua poca obbiettività. “Non lo è.” Si rivolse alla professoressa. “Qualcuno può accompagnarlo da Radescu?”

La donna fece fremere di indignazione le labbra una seconda volta, ma a parole non obbiettò. “Sì, possono farlo gli allievi.”
Decise le disposizioni, ad Harry non restò che prepararsi mentalmente all’interrogatorio. Aveva come l’impressione che ci sarebbe voluto tutto il suo autocontrollo.
 
****
 
Ginny seguiva da un po’ il figlio maggiore. Dopo aver praticamente corso per tutta la rampa della scale di servizio che portavano alla piazza centrale del Ministero aveva rallentato, salvo per finire, adesso, a sedersi su una delle panchine di fronte alla fontana dedicata ai tre fratelli Peverell, costruita dopo la guerra in sostituzione di quella precedente, distrutta durante la battaglia al Ministero.
James doveva aver capito di esser stato seguito, ma non dava cenno di considerare la sua presenza. Così finì per sedersi vicino a lui. Da quell’angolazione vedeva il filo teso della mascella del suo povero ragazzo.
Aspettò che fosse lui a parlare però.
“Sono la mia famiglia.” Mormorò lentamente. “Sono i miei fratelli, i miei amici… Teddy. Sono la mia famiglia. Come può non capirlo?”
“Lo so, tesoro.” Replicò pacata. Vedendo che l’altro non aveva reazioni se non un lieve sorrisetto sarcastico, quasi a dimostrazione del fatto che lei non poteva capire, sospirò. “Sai bene che tuo padre non si presentò per il suo Settimo anno, vero?”

James aggrottò le sopracciglia. “Andò a cercare gli Horcrux con zio Ron e zia Herm, sì.” Le scoccò un’occhiata interrogativa. “E quindi?”
Era il momento di condividere un po’ di vecchi rimpianti con uno dei suoi figli; Ginny non si era mai ritenuta donna che guardava al passato. Ma se serviva per trarne insegnamento, poteva anche indulgervi. “E quindi non considerò neppure l’idea di rendermi partecipe della spedizione.” Replicò con tono discorsivo, ma fu contenta di notare come adesso avesse attenzione completa. “Ero ancora minorenne, certo… Un anno meno di lui e molta meno esperienza, forse. Ma non me lo chiese neppure. Decise, ed io dovetti adeguarmi.”
“Potevi insistere… Insomma, minacciarlo di seguirlo!” Si mordicchiò il labbro. “Non credevo tu volessi…”
“Aiutarlo? Più di ogni altra cosa, James. Rimasi ferita quando mi disse che non mi avrebbe portata con sé.” Aspettò che avesse recepito il messaggio e continuò. “Ma poi riflettei… Riflettei bene sulle sue ragioni, perché, a dirla tutta, era l’unica cosa che potevo fare. E smisi di essere arrabbiata. Capii.”
James si voltò verso di lei. “Cosa?”

“Che se avessi insistito per andare con lui l’avrei soltanto fatto soffrire.” Gli mise una mano sulla sua. “Avrebbe finito per cedere, perché sapevo che aveva bisogno di me. Ma avrebbe finito per consumarsi nell’intento di proteggermi a tutti i costi.”
“Potevi badare a te stessa come posso farlo io! Sei sempre stata una tosta, ma’!” Ginny sorrise a quell’accorata dichiarazione; era sempre piacevole quando uno dei suoi figli glielo ricordava. “Avresti potuto aiutarlo davvero nella ricerca di quei cosi!”

“Forse.” Concesse. “Ma non è questo il punto… Tuo padre aveva paura per me. Ed era questa percezione che lo avrebbe distolto dal suo obbiettivo. Doveva esser certo di sapermi al sicuro.”
James abbassò lo sguardo. “Stai dicendo che sarei stato un peso?”
“Sto dicendo che tuo padre deve affrontare una prova molto dura. Lily è in pericolo… e non è riuscito a fermare tuo fratello.” Inspirò, imponendosi di continuare quel discorso e non concentrarsi sullo spavento che provava. “Non sarebbe concentrato a sufficienza sapendo che ci sei anche tu.”
“Ha bisogno di sapermi al sicuro…” Sospirò. Si era rilassato nei lineamenti, e Ginny conosceva abbastanza il suo maggiore per sapere che stava processando la notizia, lentamente ma in modo costante.
“Proprio così.” Gli strinse con forza la mano. “Hai ereditato il mio destino tesoro, mi spiace.”
James sorrise, stringendole la mano di rimando. “Spero di aver preso anche il tuo essere tosta, allora.”
Ginny gli accarezzò i capelli corti e ispidi sulla nuca. “Assolutamente tesoro.”
 
****
 
Germania, Residenza estiva dei Von Hohenheim.
Una e mezzo.
 
Sören riprese coscienza lentamente, vedendo un alone sfumato cominciare a prender contorno, sempre più velocemente finché non si accorse di fissare una candela appoggiata su un basso tavolino. Aveva una sete dolorosa così cercò di dirlo; quello che venne fuori fu un rantolo privo di senso.
“Ah, sei sveglio!” Lo sorprese una voce che rimbombava dalle profondità degli abissi. Quando gli fu avvicinato un bicchiere alle labbra bevve avidamente e senza fare domande.  
“Ti sentirai meglio.” Disse la voce che Sören riconobbe per come trascinò l’ultima sillaba. Era il dialetto di Lubecca. Era Milo, uno dei tre Magonò a servizio di suo zio.
Mise a fuoco la figura atletica del ragazzo. Era seduto sulla sedia di paglia accanto al letto, più che altro una branda a giudicare dalla scomodità. Realizzò di essere nella sua stanza e negli appartamenti della servitù.
“Meglio?” Chiese il ragazzo finendo di arrotolare una sigaretta di tabacco. “Credo di sì… per voi Maghi le nostre pozioni funzionano meglio che per noi. Ironico, no?”
“Che ci faccio qui?” La voce era tornata salda e sì, si sentiva effettivamente meglio. Con meraviglia ricordò di aver appena subito una punizione. Meraviglia, perché non sentiva alcun dolore al braccio.
Sono stato curato, dunque.
Milo si accese la sigaretta sfregando un cerino sul muro. “Sei al sicuro.” Tirò una boccata di fumo e poi gliela passò. “Ti ho salvato il sedere, Signorino.”
Sören la prese e vi diede una boccata. Il sapore forte del tabacco non erano Vodka incendiaria ma gli diede un po’ di stabilità in più. Si sentiva ancora girare la testa. “Cos’è successo?”
Il Magonò fece schioccare la lingua. “Cosa stava per succedere piuttosto… Avrei dovuto mollarti nelle segrete e lasciarti agonizzare, secondo ordini.” Piantò gli occhi nei suoi, e ancora una volta Sören fu sorpreso di vedervi una fermezza d’animo senza pari. “Invece…” Lasciò aleggiare la frase.

“Invece non l’hai fatto.” Disse per lui. “Se lo sapesse mio zio ti ucciderebbe.”
“Puoi giurarci.” Replicò con un sogghigno. “Forse mi farebbe pure di peggio. Sembra nervosetto di questi tempi.”
Sören cercò febbrilmente di fare il punto della situazione; era di nuovo in grado di camminare, correre, battersi. Poteva ancora salvare Lily. Tutto questo era stato possibile grazie all’intervento del Magonò. La domanda fu sequenziale. “Perché vuoi aiutarmi?”

Milo gli lanciò un’occhiata. “Non ci vuole un cervello da Purosangue per capire che qui le cose stanno andando a puttane.” Si riprese la sigaretta e ne diede una soddisfatta boccata. “Io son venuto qui per evitare la strada e avere la pancia piena. Non per farmi arrestare da voi maghi come complice nel rapimento di una ragazzina.”
Aveva senso. Sören controllò di avere piena motilità e controllo delle gambe e delle braccia, poi si alzò in piedi. La testa gli girava un po’, ma sarebbe passato. Era a posto.
Si voltò verso l’altro. “Temo tu non ci abbia guadagnato molto a salvarmi… Non sono certo dalla parte dei buoni.” Ironizzò richiamando le parole di Doe; chissà dov’era Johannes. Sperava ben lontano di lì.
“Sì, ma non sei neanche cattivo…” Virgolettò le parole. “Davvero ragioni in bianco e nero, tu?”
Sören lo fissò confuso e l’altro scosse la testa. “Lascia perdere. Vuoi salvare la ragazzina, no?”
“Esattamente.”
“Bene, ti aiuterò.” Decretò alzandosi in piedi e spazzolandosi i pantaloni. “Se la Rossa riesce a tornare a casa forse eviterò Nurmengard. Personalmente non voglio neanche trascorrerci un solo giorno… Uno come me non ama gli spazi angusti.”

Sören ascoltò a metà il chiacchierare dell’altro. Estrapolò piuttosto ciò che gli interessava. “Puoi aiutarmi?”
Milo fece un sorriso divertito. Chissà se era capace di farne sinceri. “Si dà il caso che sia il carceriere.” Fece tintinnare con un colpetto di dita delle chiavi attaccate alla cintura. “Tuo zio pensa proprio zero di noi SenzaMagia.”
“È difficile pensare che uno di voi si ribelli rischiando la sua ira. Forse non crede voi siate capaci di prendere decisioni razionali.” Replicò senza il vero intento di offendere o sottintendere la debolezza di nessuno. Era così che ragionava Alberich.
L’altro fece una smorfia, ma sembrò accettare il punto. “Non posso dargli tutti i torti. I due vecchi se la stanno facendo sotto nelle loro stanze… L’unica cosa di utile che han fatto è stato prepararti la pozione, e solo perché sei il padroncino.” Fece una smorfia nauseata. “Sai come funziona? Tecnica degli Snasi. Nascondi la testa e aspetta che passi la bufera.” Diede un’ultima boccata poi gettò il mozzicone nel fuoco. “Io nella bufera però non ci voglio affogare e mi dispiacerebbe veder affogare pure quei due.” Gli tese la mano. “Siamo d’accordo? La nostra salvezza per la tua bella Rossa.”
Sören non esitò prima di stringerla; aveva capito sulla sua pelle che non poteva salvarla da solo. Aveva bisogno dell’aiuto di quello strambo, irrispettoso Magonò. “Lily non è mia…” Puntualizzò però, sentendosi un idiota non appena lo ebbe detto: che senso aveva chiarirlo in quel momento?
Milo inarcò le sopracciglia. “No? Ci avrei scommesso cinque galeoni che era la tua fidanzatina. Quando l’ho portata giù, dopo che quel vecchio con la faccia da moccioso l’aveva rapita, mormorava il tuo nome. Da svenuta. Non sarà tua, ma nella sua testa tu ci sei di sicuro.”

Sören sentì una stretta allo stomaco; chissà cosa doveva aver provato Lilian quando aveva scoperto tutto dalla bocca crudele di suo zio. Non poteva immaginarlo… ma forse tradimento era un’espressione calzante.
“È mia amica.”
Il Magonò gli scoccò un’occhiata indecifrabile, gemella di quella che gli aveva dato quando era rimasto con lui dopo che era stato torturato. “Parola mia, Von Hohenheim… sei un mago ben strano.”
Sören sorrise appena. Lo era; ma se quella sua stranezza avrebbe aiutato Lily a scappare era la benvenuta. “Vorrei un favore.”
“Un altro?” Motteggiò, ma gli fece cenno di continuare mentre accendeva la lanterna con cui avrebbero attraversato l’oscurità del castello.
“Non sono un Von Hohenheim. Sono un Prince. Puoi ricordarlo?”

L’altro non ribatté, ma fece un inchino, tutto fuorché umile, ma neppure irrispettoso. Forse era il suo modo per attestare che aveva capito la sua richiesta.
“Come desideri, Sören Prince.”
 
****
 
Norvegia, Durmstrang.
Due del pomeriggio.

 
Il Direttore Helmut Jagland atterrò con tutto il suo peso di quasi due metri sulla sedia, con una precisione che aveva del notevole considerando il fatto che c’era stato spedito da un pugno. Il pugno, per precisione di notizia, apparteneva al Salvatore dei Due Mondi, all’Eroe che aveva sconfitto il Mago più oscuro di tutti i tempi.
In breve, Harry Potter, che al momento si stagliava di fronte all’uomo quasi fosse il doppio in altezza e in imponenza. Perlomeno, a giudicare dal colorito terreo del norvegese, lo sembrava.

“Lei… Come… come osa?” Balbettò in pessimo inglese; la maschera di boria e supponenza era completamente scomparsa non appena il Capo Auror era entrato nel suo ufficio, bypassando i due nerboruti allievi posti a suo presidio.
C’era da dire che i suddetti, riconosciutolo, non avevano tentato di fermarlo.
“Chiudi il becco, feccia.” Poche persone avevano avuto il privilegio di vedere il Leggendario Bambino-che-era-sopravvissuto-due-volte seriamente infuriato, e Nora realizzò di essere appena entrata nel novero. Non tentò di fermare la rabbia del collega d’Oltre Oceano però; comprendeva perfettamente il suo stato d’animo, e finché non avesse tirato fuori la bacchetta, creando un precedente magico che avrebbe potuto crear loro grattacapi, non avrebbe alzato un mignolo.
Mai piaciuti i Purosangue fieri di esserlo. Fortuna che ormai in America sono più rari delle eclissi di sole.
“Mia figlia è stata rapita sotto la tua tutela… E non perché non te ne sei accorto, ma perché hai voltato lo sguardo.” Il tono di Harry era di una calma mortale, ma c’era dietro talmente tanta rabbia che nessun uomo sano di mente avrebbe ribattuto. Jagland infatti non aprì bocca. “Sei della Thule.” Era un’affermazione, e a questo il senso del dovere di Nora pizzicò.
“Harry…” Disse soltanto, e l’altro recepì anche se non si voltò a guardarla. Le bastò sentirlo inspirare bruscamente.
Non so se sia vero quello che dicono dei Grifondoro, ma basandomi solo su Harry e Ronald… Sì.
Non sono difficili da capire. Da fermare, piuttosto.

“Riformulo la domanda… Conosci Alberich Von Hohenheim?” Sbatté la mano sul tavolo di quercia nobile non appena l’uomo tentò di protestare. “Facciamola semplice.” Disse. “Rispondi con un sì o con un no. Preferisco. Non ho tempo da perdere.”
“… Sì.” Sussurrò l’altro mago, terrificato. Lo sguardo volava per tutta la stanza, ma si soffermava spesso sul fuoco magico. A Nora fece quasi pena; era ovvio che l’inglese non l’avrebbe fatto muovere di mezzo centimetro in direzione di qualsivoglia forma di comunicazione.

“Hai fatto infiltrare qui suo nipote, Sören?”
“Sì…”
“Hai fatto in modo che venisse scambiato per il suo omonimo, Sören Luzhin. Come?”
Nora si accorse che Harry non aveva ancora revocato l’ordine di risposta binaria, così si schiarì la voce. “Parli pure liberamente.”

“Tramite… delle spille. Sono incantate. Le indossano tutti gli studenti e il corpo docente… In questo modo il ragazzo aveva l’aspetto di Luzhin. Per tutti.” La voce del norvegese era ridotta un sussurro; sembrava incredibile, ma nonostante la stazza e l’espressione distinta era ormai ridotto ad un vecchio tremante.
Proprio vero che la paura è lo specchio dell’anima.
“Per tutti tranne chi?” Lo incalzò Harry. “Chi altro sapeva della sostituzione?”
“La delegazione del Tremaghi… ed io. Solo io.”
Nora gli lanciò un’occhiata; comprendeva, ma non poteva permettere che si facesse una caccia al colpevole tra minorenni. “Come ha convinto i suoi allievi a non denunciare la cosa?”
Il Direttore la guardò come se non capisse la domanda. Era mal formulata in effetti; era piuttosto probabile che quel manipolo di ragazzi fosse stato cresciuto nella più ferrea obbedienza e disciplina.
Ma dovevano comunque tutelarsi da un’eventuale crisi di coscienza…
“Come poteva esser sicuro che non avrebbero parlato? Magari senza volerlo.”
“Erano tutti sotto Voto Infrangibile.” Disse infatti e stavolta Nora dovette frenare l’Auror afferrandolo per un braccio. Con la coda dell’occhio aveva visto la mano scattargli troppo vicina al fodero.
“Harry, no.” Disse piano mentre Jagland aveva l’aria di chi stava per svenire o rimettere. “Affatturarlo non ci porterà da nessuna…”
“Ha messo dei ragazzi sotto Voto Infrangibile.” La interruppe con gli occhi che bruciavano. “Sai cosa succede se, anche solo per sbaglio, per una parola di troppo, lo si rompe?”
“Sì.” Gli strinse appena un polso e con sollievo vide l’altro rilassarsi e allontanare le dita dalla fondina. “È solo un burattino… Non è lui che ha preso queste decisioni. Probabilmente non ha mai visto Von Hohenheim in vita sua.”
“È… è la verità!” Esclamò l’altro mago, concitato; con disgusto Nora ricordò come l’avesse trovato distinto al Ballo del Ceppo. “Mi è stato dato ordine tramite terzi!”
Harry si era liberato della sua presa e aveva fatto un paio di passi verso la finestra quindi ora il testimone passava a lei. Era quasi un sollievo constatare che persino un uomo della sua tempra arrivava vicino al punto di rottura. “Chi?”
“Non so chi fosse… I corrieri sono sempre diversi. Era la prima volta che ne ricevevo uno, a parte quando sono stato nominato Direttore.” Jagland non era furbo come sembrava, perché stava praticamente vuotando il sacco sulla corruzione della sua nomina, in modo così stupido da essere quasi imbarazzante.
“Non importa. Lo descriva.”
“Era… biondo. Sì, biondo. Un ragazzo giovane. Credo fosse tedesco dall’accento, parlava molto… era irrispettoso.” Il Camaleonte. Così era stato quell’avanzo di laboratorio a predisporre le cose per l’arrivo del nipote di Von Hohenheim. “Non so altro… ho solo obbedito a ciò che mi è stato chiesto di fare!”
“Peccato che lei non stesse lavorando per la Thule, ma per un uomo da cui la sua Organizzazione ha preso le distanze.” Gli rivelò. “Alberich Von Hohenheim non rappresenta più niente, se non una mina impazzita, un rapitore e un assassino. E lei, Signore, ne è complice.”
Nora non si giudicava una persona impietosa, ma vedere un vigliacco realizzare di essere mortalmente fottuto era appagante. Prese poi la bacchetta e materializzò una pergamena nuova di fronte all’uomo.

“Questa… a che serve?”
“Alla sua confessione. Partendo dalla Thule, se non le spiace.” Sorrise, poi si rivolse ad Harry. “Tu raggiungi il sergente Weasley, qua finisco io.”
L’uomo si limitò ad un breve sorriso. “Perfetto.” Esitò, poi aggiunse. “Grazie.”
“No, grazie a te.” Una volta Jeremiah le aveva detto che ad accompagnarsi a persone di valore portava sempre a qualcosa di buono. In quel momento Eleanor Gillespie pensò che se poteva mettere una pietra sul suo incubo personale lo doveva a quell’uomo con l’aria da ragioniere e l’interiorità di un eroe.

 
 
Harry fu sorpreso quando vide che nell’infermeria, oltre che a Rose e la McGrannitt c’era anche il giovane sotto-ufficiale con cui aveva parlato ad Hogwarts. Ron lo accolse con i lineamenti notevolmente più rilassati; vedere la figlia sana e salva, con un buon colorito addosso, doveva essere stato un notevole sollievo.
“Signor Potter.” Lo salutò la McGrannitt. Harry si sentì diviso: se da una parte voleva prendersela con lei per aver permesso ai suoi figli di compiere quell’idiozia, dall’altra il rispetto e la stima che nutriva glielo impediva.
“So cosa pensa.” Lo anticipò. “Ma come ho spiegato al Signor Weasley, il mio margine di manovra era minimo. Legalmente, i suoi figli sono maggiorenni… Personalmente, sarei andata io stessa se fossi stata in grado di essere un aiuto e non un peso. Ho visto ragazzi ben più giovani battersi come eroi… e due di essi sono in questa stanza.”
Ron prese un’aria imbarazzata. Anche Harry si trovò a corto di parole; la donna aveva centrato il cuore stesso delle loro indoli. Sospirò. “Non sono qui per accusarla, professoressa. Sono qui per riportare indietro tutti sani e salvi.” Sorrise a Rose. “Come ti senti?”
“Molto meglio zio.” Fece una smorfia insofferente. “Mi tengono qui per sicurezza, ma sto bene.”
“Hai avuto una commozione cerebrale, Rosie!” La apostrofò suo padre con forza, ma poi finì per guardarla con affetto. “Non lascerai quel letto prima di  un mese, se chiedi a me.”
“Meno male non devo farlo…” Borbottò “Zio, io…” Lesse colpa negli occhi della nipote, e si affrettò a sorriderle come meglio poté.
“Sei stata molto coraggiosa. So che hai fatto del tuo meglio… grazie.” La ragazza arrossì, ma non ribatté né sembrò rincuorata. Poteva capirla, ma doveva passare oltre. Si rivolse dunque al giovane durmstranghiano. “Radescu, giusto?”
Il ragazzo annuì; aveva l’aria sveglia e molto meno rigida rispetto al loro primo incontro. Si avvicinò e gli strinse la mano. “Grazie per aver soccorso mia nipote.” Lo scrutò; se era sotto Voto Infrangibile l’interrogatorio con Ron doveva essere stato un buco nell’acqua. “So che sei sotto Voto…” Esordì e Ron annuì. Forse era la gratitudine per avergli salvato la figlia, ma sembrava comunque ben disposto verso il giovane.

“Sì, ho fatto un Incantesimo di Rilevamento quando me l’ha detto. C’è dentro fino al collo.” Confermò i suoi sospetti. “Ma è qui comunque per aiutarci.”
Harry si chiese come, ma fu lo stesso Dionis a venirgli in aiuto. “Non posso parlarvi di quello che è successo quando … Luzhin…” Disse cauto, poi sospirò. Doveva essere tremendo avere una spada di Damocle del genere sulla testa. “… era con noi. Ma posso dirvi quello che è successo ieri sera.”
“Non rientra nel Voto Infrangibile?” Chiese perplesso e si scontrò con l’aria confusa dell’amico e quella valutativa della McGrannitt.

Il ragazzo sorrise. “Ho studiato bene il Voto. Per capire se c’era modo di parlare… Non c’è.” Disse subito. “Ma si tratta di un giuramento. Di altre parole. Io ho giurato di non tradire l’identità del ragazzo presentatosi come Sören Luzhin. In senso lato, ho giurato di proteggerlo.”
“Dunque?” Non capiva. Se era lì per aiutarli fare muro attorno al nipote del padre di Tom non era la strategia giusta.

“Ieri notte io e Sören abbiamo scoperto che Kirill Poliakoff, il suo Assistente era stato ucciso…”
Harry si scambiò uno sguardo con Ron, ma quello gli fece solo cenno di ascoltare. “Sören non ne sapeva niente. È  stato messo da parte… Quindi ha fatto una scelta. Ed è per questa scelta che io posso parlare.” Prese un profondo respiro. “Con questi occhi, Signore, io ho visto Sören scegliere di andare a salvare sua figlia.”

“Lily?” Dovette appellare tutto il suo auto-controllo per non sbottare contro il ragazzo. “È colpa di quel ragazzo se mia figlia…”
“Con tutto il rispetto, Signore.” Lo interruppe incredibilmente. Era pallido, ma determinato. “So che la persona di cui stiamo parlando non si può definire un mago perbene. Però è un guerriero.” La definizione sarebbe stata ridicola in bocca a molte persone, ma non a quel ragazzo che un guerriero lo sembrava davvero. “Si è votato ad una causa sbagliata, è indubbio. Ma testimonio sul mio onore che la persona che ho visto non è più un nemico. Non per sua figlia, non per lei. Quella causa, Signore, l’ha abbandonata sotto i miei occhi.”
“Dice che Novij ha usato lo Specchio delle Brame per andare da suo zio e per convincerlo a rilasciare Lily.” Sbuffò Ron. Sembrava incerto se cedere alla fiducia che ispirava quel ragazzo rigoroso o cedere al suo scetticismo da Auror.
Harry scelse il secondo. “Dionis, Sören Novij è il nipote di uno stregone oscuro che si è macchiato di innumerevoli crimini. Non vi è onore in persone del genere, né crisi di coscienza… Quel ragazzo è stato cresciuto sotto l’ala di suo zio. Perché avrebbe dovuto rinnegarlo? Ti ha ingannato per farsi aiutare.”

Il Durmstranghiano non si scompose. “ Per sua figlia, Signore.” Disse come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Sono amici.”
Harry non rise solo perché l’espressione di quel ragazzo era troppo seria per farlo. Conversioni del genere non esistevano nella vita reale. Nessuno passava dal male al bene solo per affetto.
Sicuro? Un precedente lo conosci… e curiosamente, è pure parente del ragazzo.
Severus Piton. Ha rinnegato Voldemort per salvare tua madre. No?
Guardando il volto pallido e tirato di Rose e quello stanco della McGrannitt decise di accantonare quel problema, per il momento. Non poteva continuare a far domande su qualcosa che comunque non gli avrebbe fatto guadagnare tempo ma piuttosto il contrario. “Hai detto che ha usato lo Specchio delle Brame per andarsene. Come?”
“Lo ha trasmutato in una Passaporta.” Fu l’immediata risposta. “Ha usato un incantesimo per attivarla.”
“Lo ricordi?”

Il giovane rumeno sorrise. “Posso fare di meglio, Signore. Posso mostrarvelo.”
 
****
 
Milo si voltò per controllare la presenza del mago dietro di sé; quel Prince era silenzioso come un gatto e non lo si sentiva camminare, né tantomeno respirare.
“Entrato in modalità spia?”
Venne squadrato con confusione; c’era tanto di sorprendente in quel tipo. Si vedeva da come si muoveva, dalla velocità con cui reagiva a tutto ciò che gli circondava che era letale, però al tempo stesso era capace di espressioni da bambino sperduto. “Non importa.” Scosse la testa. “Non perdermi di vista e non entrare nel raggio della torcia… Se ti vedono siamo fottuti. Tuo zio ha già detto a tutti che non sei più parte della banda.”
“Lo immaginavo.” Replicò senza particolari emozioni. Alternava una faccia anodina a quell’aria da cucciolo smarrito, che certo avrebbe sciolto più di una ragazza e pure qualche ragazzo con la fissa per i ragazzi più bassi di lui e che amavano vestirsi da mago cattivo.

Di certo qui ci sarebbe tanto da lavorare per uno strizzacervelli babbano… È il controsenso di se stesso.
Scesero le lunghe scale a chiocciola che portavano da una sezione della torre di centro alle segrete, situate parecchi piani più sotto. Dallo spiffero umido che tirava fuori doveva aver cominciato a piovere.
“Tuo zio ha arruolato altri Mercemaghi.” Continuò sottovoce. “Ora sono una specie di piccolo esercito maleodorante e con pretese assurde. Non sarà facile uscire dal castello, lo pattugliano da cima a fondo.”
“Di questo non preoccuparti.” Fu l’ovvia risposta da macho della situazione. Però era stranamente convincente. “Piuttosto… Vuoi che porti fuori anche voi?”
“Voi chi?” Poi intuì che si riferiva anche ai due vecchi Maghinò. “No, scordatelo. Prima di tutto, sarà già un inferno portar fuori una persona… Secondo, saremo dei bersagli mobili. Ho un coltello, ma non è un granché contro due dozzine di bacchette incazzate.”
Sören sospirò, ma non disse niente; in quella sua stramba testa dovevano esser state ficcate anche nozioni di strategia. Quel discorso terra terra doveva aver senso anche per lui.

“Ce la caveremo.” Si sentì in dovere di dirgli. “Quando arriveranno i buoni diremo che non sapevamo che stava succedendo e oh, avevamo tanta paura per le nostre misere vite…” Scimmiottò un tono piagnucoloso e si voltò a guardare l’altro. Aveva fatto un mezzo sorriso.
Beh, perlomeno non gli hanno cancellato il senso dell’umorismo.
“Tu mi hai aiutato però.” Osservò. “Mio zio non ci metterà molto a capire che sei stato tu.”
Milo Meinster non era nato stupido; senza Magia, ma non senza cervello. Fece un sorrisetto. “Motivo per cui  io…” Si fermò e vide che anche il mago si irrigidì facendo scattare la mano vicino al fodero della bacchetta; erano dei passi piuttosto affrettati.

Tre, due… Quanti diavolo sono?
“Sta arrivando qualcuno!”
“Tre persone.” Replicò Sören con sicurezza. “C’erano guardie nei sotterranei?”
“Fino a due ore fa no!” Masticò un’imprecazione. “Devono averle messe mentre ero sopra… Nasconditi!”
Sören non se lo fece ripetere e sparì inghiottito dalle ombre e forse anche da un incantesimo di Disillusione veloce.

Come previsto, arrivarono tre Mercemaghi, trai più cenciosi e maleodoranti, stimò con disgusto.
Solo perché non hai abbastanza Galeoni per avere dei vestiti di ricambio non significa dover farsi marcire addosso quelli di tutti i giorni.  Io i miei li lavo. Quant’è difficile?
“Ehi, Magonò!” Lo apostrofò uno dei tre, il più in alto nella loro traballante scala gerarchica a giudicare dai vestiti meno unti e più cicatrici. “Che ci fai qui?”
“Controllo la prigioniera?” Chiese come se fosse la cosa più naturale del mondo; sfortunatamente così non era, perché tutto quello che doveva fare erano darle da mangiare o spostarla.
E non ho ordini di spostarla, né ho un piatto in mano. Merda. Giochiamoci la prima.
“Non abbiamo saputo di nessun spostamento. Che ci fai qui?” Insistette il tizio, avvicinandosi e facendogli arrivare alle narici puzza di vino elfico e stantio. Milo, che era stato condannato ad avere un naso sensibile, si concentrò sul non rimettere.
Merlino, persino un cassonetto della spazzatura ha un odore migliore…
“In realtà sono venuto per i vostri brutti musi.” Replicò con il suo ghigno migliore; se Prince era furbo avrebbe approfittato di quella diversione per andare dalla sua amichetta.
E per aprire la porta si inventerà qualcosa… Non è il ragazzo meraviglia del padrone?
Pensò questo e poi sentì un dolore lancinante al costato. Nessuno si era mosso o lo aveva colpito, ma la bacchetta del Puzzone era levata. Una fattura. Crollò in ginocchio.
“Fa’ anche lo spiritoso, il Sangue Marcio… La magia con voi serve solo per farvi strisciare.”
Milo notò che un’ombra si era mossa al lato della sua visuale; bene, Prince non era un’idiota. Era consolante. “Veramente Sangue Marcio sono quelli con i parenti babbani…”  Puntualizzò; non era la prima fattura che si beccava, e i Maghi non entravano mai nell’ordine di idee che anche quelli come loro potevano sviluppare una certa resistenza – o sopportazione – alle stesse.

Chiuse gli occhi quando vide il Mercemago preparare il secondo colpo, ma poi sentì una specie di guaito. Li riaprì: Sören, uscito dal cono d’ombra, era piombato sul suo aguzzino, tirandogli un colpo al braccio e facendogli cadere la bacchetta. Il bastardo si voltò subito, riflesso condizionato per capire cosa diavolo l’avesse preso; errore. Si vide arrivare un colpo a mano aperta al setto nasale, che lo fece esplodere in un grumo di sangue e muco.
Sören prima che cadesse come una bambola, lo usò come scudo contro gli incantesimi degli altri. Neutralizzò gli altri due nello stesso modo con un efficienza che aveva dello spaventoso.

Cazzo. A mani nude?
“A mani nude?!” Ripeté ad alta voce. Sören si chinò ad aiutarlo e lo rimise in piedi; magrolino, ma con dei muscoli d’acciaio. Li sentì tendersi quando lo tirò su di peso.
“Gli incantesimi fanno rumore.” Replicò. Gettò un’occhiata ai tre corpi svenuti e malmenati. “Anche loro erano rumorosi.”
“Dove diavolo hai imparato quella roba da babbani?” La fattura non doveva essere stata di prima classe, perché il dolore stava scemando. “Dico sul serio, cos’era, kung-fu?”

Prince gli scoccò l’ennesima occhiata confusa. “Non so cosa sia. Mi è stato semplicemente insegnato a difendermi in qualsiasi situazione. Anche quando non ho una bacchetta e non posso usare…” Tacque, inspirando. “Andiamo.”
“Non dovremo nasconderli o qualcosa del genere?” Diede un calcetto al tipo di prima. Era svenuto sul serio e forse stava affogando nel suo stesso sangue.
Crepa.
L’altro aggrottò le sopracciglia. “Dove? Questa è una scala. In ogni caso, prima o poi se ne accorgeranno comunque. Sarò fuori prima del prossimo turno di guardia.”
“Arrogante bastardo…” Ghignò divertito. “Grazie, comunque. Potevi aggirarli e andartene, lo sai?”
Sören fece un mezzo sorriso. “Sì, lo so.” Non era tanto sveglio nei doppi sensi, ma qualche sottotesto sembrava coglierlo.

Scesero un altro paio di rampe, poi Milo gli mise una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione. La gratitudine era una brutta bestia; sapere che la persona davanti a lui gli aveva appena risparmiato un bel ciclo di torture lo metteva in una posizione scomoda.
Non posso diventare sentimentale adesso… Per un mago, poi!
“Ascolta, non posso venire con te.” Gli disse, staccandosi le chiavi dalla cintura e porgendogliele. “Come hai detto tu rischio troppo. Deve sembrare che me le hai rubate… Schiantami.”
Sören esitò, poi sembrò considerare la cosa velocemente. “Sei sicuro che i Mercemaghi che abbiamo appena incontrato non sospetteranno? Posso portarti con me fuori di qui prima che lui se ne accorga.”

Nah, sono troppo stupidi per fare due più due.” Ribatté. “E poi te l’ho detto, non posso abbandonare i vecchi. È una questione da grande famiglia Magonò. Devo tornare da loro.” Vedendo che esitava sbuffò. “Andiamo, non hai tempo!”
Sören annuì; apprezzava il fatto che fosse un tipo di poche parole. “Sei pronto?”

“Fallo sembrare convincente, mi raccomando.” Gli strizzò l’occhio e si beò ancora di quella faccia da cucciolo smarrito; sul serio, come poteva un tizio letale essere così adorabile? Era disturbante. “Terza cella a destra. Va’ a salvare la tua principessa.”  
 
****
 
Sören posizionò la torcia che gli aveva consegnato Milo sul supporto accanto alla cella. Lilian era lì, non c’era tempo da perdere. Prese le chiavi e le inserì nella serratura; il movimento avrebbe neutralizzato la barriera che era stata messa per impedire ad esterni di aprirla con la magia. Dall’interno era chiusa allo stesso modo.
Sentì un rumore al di là della porta e si sentì serrare lo stomaco; come avrebbe potuto convincerla a fidarsi di lui ora che sapeva la verità?
Aprì la porta e una lama di luce entrò dentro la cella. “Lily.” La chiamò. “Sono io, Sören.” Cercò di tenere la voce ferma, anche se tutto quello che voleva era chiedere perdono. “Va tutto bene.” Non erano le parole giuste, forse.

“… Sören?” La voce, era la sua voce. Respirò sollievo sentendola; certo, sapeva che era viva, Milo gliel’aveva assicurato implicitamente portandolo lì.
Tuttavia, era viva.
Si avvicinò all’uscita, strizzando gli occhi per la luce improvvisa. Aveva ancora l’uniforme scolastica spiegazzata e anche rotta in più punti. Doveva esser caduta e si stringeva le braccia al petto come a difendersi dal freddo. “Sören…?” Mormorò, quasi non credesse alla sua presenza.
Le tese la mano. “Ti porto via di qui.” Vedendo che non accennava a muoversi si sforzò di trovare parole più adatte. Non avevano tempo, ma non voleva usare la forza. Voleva convincerla. Voleva che gli credesse. “Al sicuro, Lily… ti porto al sicuro. Via.”
Sei patetico. Perché dovrebbe?
Gli occhi della sua piccola amica erano grandi di spavento e confusione. Non parlava, però. Non chiedeva, non protestava, non urlava accusandolo di essere come suo zio, come Johannes.
Perché?
Le porse nuovamente la mano. “Non c’è tempo, Lilian. Ti prego, devi fidarti.” Cercò di infondere in quelle parole tutta la convinzione che provava. Aveva abbandonato suo zio per lei. Era stata la scelta più giusta della sua vita, la più vera. Come poteva comunicarglielo però?
Lily rimase a guardarlo per un tempo che gli parve infinito. L’espressione sul suo viso era illeggibile, oltre al pallore dello shock. Avrebbe tanto voluto essere un Legimante in quel momento, invece che un banale Occlumante. “Lily…”  
“… Non ho la bacchetta.” Disse all’improvviso. “Non ho la mia bacchetta.”
“Johannes te la deve aver presa. Non preoccuparti, io…”
“Voglio una bacchetta. Per difendermi.” Il tono era incolore, ma lo sguardo determinato. “Verrò con te, ma voglio una bacchetta.”
“Ti fidi?” Gli venne spontaneo chiederlo, sperarlo. Forse con il suo essere Legimante Naturale aveva capito la bontà delle sue intenzioni. Forse.

“Sì.” Disse. “Ma…”
“Va bene.” Estrasse la sua dal fodero e gliela porse dalla parte del manico. “Puoi prendere la mia per il momento. Penseremo dopo a cercarne una.” Usare quel braccio in un eventuale scontro non era l’idea migliore del mondo, ma non poteva neppure lasciare Lily disarmata, se era l’unica condizione che gli imponeva per seguirlo.

“E tu?”
“Io me la caverò.” Scosse la testa. “Adesso dobbiamo andarcene, non c’è più tempo.”
Lily gli prese la mano. Era stranamente fredda, ma forse non era così strano considerando che aveva passato le precedenti ore in una cella gelida. Il palmo toccò il suo e poi Sören si sentì strattonare. Non capì finché non vide la punta della sua bacchetta puntata contro il petto.

“Stupeficium.”
Sören istintivamente si protesse il petto con quel braccio e questo gli impedì di essere schiantato sul colpo. Non poté impedire però che perdesse l’equilibrio e crollasse a terra. Lily saltò indietro, agile come un gatto e con una manata richiusa la porta.
Lei fuori, lui dentro.
“Lily!” Saltò in piedi ignorando il dolore al petto; si era protetto, ma non era stato abbastanza per evitare, forse, la frattura di una costola. Lo Schiantesimo era stato pronunciato con un intento solo.
Neutralizzarmi.
“Lily, aprimi!”
Sentì dare un giro di chiave; le maledette chiavi erano rimaste nella toppa, all’esterno e l’altra le aveva appena usate. “Lily!” Urlò sbattendo il pugno contro il legno pesante e incantato. “Liberami!”
“Almeno su questo non hai finto…” Sentì dire la voce dell’altra. Era fredda, piena di rancore. “Non sai davvero renderti conto quando qualcuno ti prende in giro.” Esattamente come aveva immaginato e come gli aveva detto suo zio, Lily Potter lo odiava.

Ma non così… non avevo immaginato questo.  
“Non…” Non sapeva cosa dire, era quella la verità. Avrebbe dovuto saperlo che Lily non l’avrebbe mai visto come il suo salvatore, come l’eroe, ma come uno dei cattivi, venuto forse ad ingannarla. Come aveva fatto Johannes, come gli aveva chiarificato suo zio. “Ti prego.” Mormorò appoggiando la fronte contro la porta. “Ti prego, non riuscirai ad uscire di qui … Non da sola. Avrai bisogno del mio aiuto.” Nessuno gli aveva mai insegnato ad affrontare una cosa simile. Come poteva sapere qual’erano le parole giuste? C’era modo per saperlo? “Hai… hai detto che siamo amici.”
“Ho detto a Sören Luzhin che eravamo amici. Tu sei Sören Luzhin?” La voce aveva avuto un tremore. Aveva solo quindici anni, e lui le aveva stravolto la vita. L’odio andava bene con le lacrime, non con la fiducia. 

Premette la fronte contro il legno, sentendola bruciare per il freddo del metallo innestato. “No… non sono Sören Luzhin.” Sussurrò. “Mi dispiace… mi dispiace tanto.”
“Ti dispiace? Io mi fidavo di te!” Urlò. “È colpa tua se sono qui! È per salvare te, come la povera idiota che sono, che sono finita in questa situazione! Ed era tutto falso! Tutto quanto!”
Sören si scostò dalla porta, riprendendo fiato e contegno. Non era mostrandole quanto era dispiaciuto che si sarebbe fatto aprire, ormai era ovvio. “Hai tutto il diritto di odiarmi per quello che ti ho fatto…” Anche se questo non lo rendeva meno facile. “Ma devi credermi, non sto lavorando per mio zio, adesso. Sto lavorando per te.”
“Le persone mentono.” Sentì un paio di passi. Era indietreggiata, se ne stava andando.

“Sei una LeNa!” Se fosse scappata non avrebbe più potuto aiutarla. I Mercemaghi, o Johannes l’avrebbero trovata e nascosta in un altro posto, mentre lui sarebbe rimasto lì, impotente. “Guarda dentro di me, scopri se sto mentendo!”
I passi si fermarono. Lily stava valutando seriamente la cosa. Non poteva vedere nulla ma poteva percepire la sua esitazione. O forse voleva solo crederlo.
“Va’ all’inferno…” I passi si allontanarono. Sören chiuse gli occhi: era finita.
Poi sentì una risata; e la riconobbe subito, come riconosceva tutto di Johannes.
 
“Ma così mi rendete il lavoro una passeggiata!”
 
No. No, no, no… Non dovrebbe essere qui. Come ha saputo? Come ha saputo che…
Sbatté le mani contro la porta. “Lily, aprimi! Aprimi subito!” Urlò, ma non poteva sapere se l’altra fosse lì, o se fosse già nelle mani di Johannes. “Scappa!”  
“Ren…” Fu un sussurro e gli sembrò, assurdamente, che fosse al suo orecchio.
E poi, un lampo verde. Un boato. Quel lampo verde.
Johannes, John Doe. Uno dei pochi maghi di sua conoscenza capace di lanciare un Avada Kedavra senza aprire bocca.
 
 
****
 
Note:
Okay, prometto che dal prossimo capitolo niente cliff-hanger.

Qui la canzone. Gran colonna sonora, the Avengers. <3
1.Sangue puro in bulgaro.
Per capirsi, immagino il castello così però che si affaccia in un paesaggio come questo .
  
Leggi le 23 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Dira_